giovedì 21 luglio 2016

La Bella Carpi - Prefazione a Rospi e Farfalle di Gigi Filiberti - di Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano.



prima stesura 24-06-2016                               v16 del set  2016
La BELLA Carpi
Prefazione a Rospi e Farfalle di Gigi Filiberti
di Mauro D’Orazi


Parlare di Gigi Filiberti è parlare di una icona di Carpi. Di un’immagine che la rappresenta, per tanti aspetti, per almeno una trentina d’anni.
Riflettere sul mondo carpigiano di Gigi Filiberti significa riflettere su una parte substanziale della nostra grande e, a un tempo, piccola città. Mi lascerò guidare, come sono aduso, dal Libero Pensiero e dalla ricerca oggettiva e introspettiva di quanto ho vissuto e visto in questi anni, mischiando, del tutto consapevolmente, i miei ricordi personali di vita e piccole illuminazioni.
La Carpi del boom economico, del “posso e voglio”, del benessere diffuso, della Dolce Vita al Bar Roma, delle strade in periferia con decine e decine di piccoli laboratori artigianali conto terzi. La Carpi dell’orgoglio di uscire dai penosi anni della Guerra e della forte aspirazione di riscatto dalla povertà antica e diffusa, intesa fino ad allora come uno “stato delle cose”; a gh éera i sgnóor e i puvrètt! Difficile poter cambiare classe, a parte la batosta della Quota 90, che ridusse, all’inizio degli anni ’30, tanti benestanti e possidenti a disperati poveretti, spesso costretti a emigrare all’estero e nelle colonie. Fino all’Ottocento sarebbero stati definiti “poveri vergognosi”, ossia che non volevano mostrare i segni, evidenti e noti a tutti, del decadimento economico.
Conosco bene questa dolorosa storia, perché la famiglia di mia madre, i Bertolazzi, l’hanno vissuta nella sua massima drammaticità. E da una situazione privilegiata, si ritrovarono in uno stato di disperazione nera e totale. A tale proposito mi piace SIMBOLICAMENTE ricordare, che, vivendo in un periodo irripetibile, sono passato (1953-59) da un lurido cesso in comune in lavanderia a Palazzo Gandolfi in Corso Fanti 40, a ben tre bagni nel 2000. Penso che mai più potrà ripetersi per me (ma anche per tantissimi altri) una conquista del genere.
Carpi dopo il 1945 era una grande lavagna su cui progettare, un quadernone su cui scrivere nuove idee da realizzare, un secchio e una cazzuola con i quali costruire la cosa più ambita: una casa propria! Una bella scommessa! Un sindaco comunista, Bruno Losi, ma capace e lungimirante, ebbe l’intuito di agevolare l’iniziativa privata, da quella minuscola a quella che divenne strutturata e imprenditoriale.
La tradizione del truciolo, un’industria consolidata e fiorente fino agli anni ’20, riprese fiato rinnovandosi con la maglieria e le confezioni. (Non è storicamente proprio è vero, ma è la vulgata comune, pazienza!)
All’ inizio degli anni ’50 la “macchina” si rimise in moto e, cosa importante, a gh n éera pèr tutt! Si improvvisava, si otteneva un aiutino dalla banca, che allora aveva i funzionari locali che conoscevano la gente di cui potevano fidarsi, si cercavano i clienti nei modi più fantasiosi e tenaci. Insomma a s èggh dèeva da tóoren.
È in questo contesto, già consolidato nei suoi elementi più basilari, che troviamo figure come Gigi Filiberti, che univa alla voglia di fare, ingegno, fantasia, capacità imprenditoriali. In molti hanno successo… e tanto… e come conseguenza esplode anche la Carpi del bon vivre, che si esplicherà in città e, con grandi viaggi ,in Italia e nel mondo.
Ecco allora il Bar Roma, in Piazza, pieno di nuovi ricchi carpigiani, serviti dai migliori camerieri di sempre in giacca bianca, come la famosa panna montata a banco della signora Nelve. I nomi dei “tre moschettieri” erano: Gianni, Alcide e Valerio, a cui si aggiunse il quarto, l’allora piccolo Donato, ora al bar Tazza d’Oro. Voglio esagerare: se non fosse stato per la carenza di acque salmastre per un attimo al Bar Roma ci si poteva illudere di essere in Piazza San Marco a Venezia.
Fra gli anni ’60 e ’70 davanti al Bar Roma fioriva un parcheggio a quattro ruote di altissimo rango: Maserati, Porsche, Jaguar, Mercedes, BMW e anche qualche Ferrari, marca quest’ultima di super prestigio, ma stranamente NON al top degli acquisti dell’arricchito carpigiano. Strano, ma è così!
I giovani magliai si incontravano per l’aperitivo, si raccontavano e si vantavano delle ultime imprese produttive, parlavano eccitati e divertiti di gioco d’azzardo, di donne da night, “altine e perdute” (cit. canzone da Lucio Dalla), contese a suon di bigliettoni in aste improvvisate, con offerte a puntiglio all’estremo rialzo.
Cominciarono a vedersi sul rialzato della Piazza anche le prime grandi moto che iniziavano a essere commercializzate in quegli anni: Honda, Kawasaki, ecc… Indimenticabile la prima Kawasaki 500 azzurrina a tre cilindri di Paolo Tarabini.
Per me e i miei amici, più giovani di circa 15 anni di questi ruggenti Leoni carpigiani, era un continuo sberlucciare con ammirazione, stupore e invidia.
Pensavo, con una piccola smorfia e un sospiro profondo: “Starà anche me! Mi toccherà prima o poi!” e, malinconico, davo gas al mio modesto motorino Daina Matic 50 cc. che mi ero guadagnato faticosamente in famiglia, grazie alle incerte promozioni liceali.
Ebbene con le moto ci sono arrivato abbondantemente, con le auto… quasi. Anche se ho dovuto affidarmi al più economico usato e sempre qualche anno dopo di quando sarebbe stato necessario.
Gli aneddoti dei ruggenti Leoni passavo di bocca in bocca, si diffondevano e diventavano… leggenda. Leggende che ancora oggi rimangono nelle memorie di chi ha vissuto quel periodo e quei luoghi, anche di chi le ha ascoltate con stupore.
Gigi si pone perfettamente in questo milieu, ma senza raggiungere eccessi provinciali e pacchiani. Vive bene, apprezza le belle cose, gode di quanto di meglio sia possibile, ma con misurata signorilità e con consapevole saggezza. Non penso che abbia mai comprato libri a metro, una casa spicchio sul mare o, entrando in locale con tutti i posti occupati, indispettito da sì tanta lesa carpigianità, abbia ringhiato: “Mò ‘sa còssta la baraaca!”, o schiacciando, con la grossa Mercedes, la Fiat 500 di chi gli aveva appena rubato il parcheggio… “Al mònnd l è di fuureb!” “NO! Caro al mè umarèel… L è èd chi gh à di béeṡi!
Gigi, direi che rappresenta a pieno la seconda generazione del boom carpigiano, coloro che praticavano e realizzavano la filosofia epicurea del carpe diem, o meglio… carpidiem anni’70.
Anche lui, come tanti altri, ha attraversato momenti alti, ma anche momenti drammatici, quando tutto il prezioso risultato del passato sembrava sfumare, svanire…
Salvò il salvabile e si diede a un’antica vocazione, quella della Cucina con la C maiuscola; e dopo aver trattato milioni e milioni di capi, si mise a spadellare, a cuocere, a perfezionare e inventare squisite ricette. Insomma un Grande Cuoco, molti anni prima delle attuali orride mode televisive.
Anche in questo campo ha ottenuto un indiscusso successo, pur tenendo presente che accontentare i carpigiani al ristorante è impresa fra le più difficili.
Gigi ha poi trovato la vena dello scrittore e compone libri di cucina: non freddi ricettari, ma pagine intrise di vita vissuta e goduta. In essi traspare la gioia e la soddisfazione di fare… di realizzare le cose belle e buone per se stesse e per se stessi, ma nel contempo anche per gli altri.
In questa sua ultima fatica letteraria racconta la BELLA Carpi, con luci e ombre: la città che ha vissuto profondamente fino all’ultima della sue cellule vitali.
Chi leggerà queste pagine avrà un quadro della BELLA Carpi che è, più che nei nostri ricordi,… nel nostro cuore.
Incombe però una frase di Marx, che citerò con una leggera e maliziosa integrazione: a godere del Capitale non sarà il capitalista, ma il figlio o, aggiungo io, il nipote… s a gh in sarà armèeṡ… obvius!

Il libro servirà agli storici di domani a capire quel particolare momento sociale e ai braghèer d incóo (curiosi odierni) per stare… informati.

Saranno più i Rospi o le Farfalle? All’attenta lettrice e al complice lettore l’arduo responso.
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Piazza chiusa, piazza aperta? Carpi - dialetto carpigiano - Mauro D'Orazi



prima stesura 14-06-2016                                    V10 del 14-07-2016

Piazza chiusa… Piazza Aperta
                                                                         di Mauro D’Orazi      
CINIK!!! Movimentiamo un po' il dibattito... Qualcuno giustamente dirà: "Piazza chiusa / Piazza aperta! Che palle! Basta!" - Ma se ne discute da trent'anni... semplicemente, perché il problema NON è risolto e si aggrava di anno in anno… vedi chiusura del Caffè Teatro ("Adesso il teatro è tutto nostro!!! è di tutti!" vomitò qualche sempliciotto in quella triste circostanza!). Sapete… che io sono contro la Piazza chiusa fin dal 1981, e anche oggi in certe ore o stagioni la aprirei senza pietà (ad es: d’inverno dalle 18 in poi), a dispetto degli ecologisti pedestri, che la vogliono chiusa e poi se ne stanno a casa d'inverno col culetto al calduccio, invece di venirsi a rinfrescare di sera in dicembre e gennaio sul tiepido porfido, vietatissimo al traffico e al parcheggio anche nelle stagioni più fredde. La ns orgogliosa e vana Piazza è affogata in un penoso, cupo, buio deserto. Ma che bella… la Piazza deserta e gelida! Che naturalmente "é di tutti!" È di tutti, mò a n gh è nisuun! Mò ch meraviia! Mò ch belèssa! Chissà cosa succederebbe se la aprissimo d'inverno dalle 18 poi in accordo coi gestori dei locali? Però, però... ATTENZIONE… Però volevo anche sfatare e sottolineare un aspetto NON vero e cioè che la Piazza sia frequentata solo da... stanlòun. È Falso. Falsissimo. A n s contèmmia mia dal ciavèedi. La frequentazione della Piazza, soprattutto al pomeriggio e verso sera, è garantita da inani pensionati soci INPS carpigiani di genere maschile, (invento… biaasa-dopraans) momentaneamente cacciati di casa da mogli disperate dalla pesantezza dei consorti: ”Tóot di pèe e va a fèer un giir in piaasa! Bóorsa t en ii èeter!” 
I consumatori in piazza
I tapini siedono mummificati sulle panchine, o stanno incollati alle selle delle loro bici, o al più si accomodano sui gradoni gratuiti del pronaos del Teatro, semmper cun la biici sòtt òoc’, per via ch iin la cèeven. Forse a causa delle basse pensioni sociali INPS, o forse più semplicemente per "pellismo atavico acutizzato", non spendono mezzo euro, né tanto meno consumano al bar, o nei negozi. (I gh aan al catuèin cun al tralèedi). Controllate ciò che ho scritto! Dèegh 'n òoc' a la Piaasa al dopraans! Controllate pure se non è vero! In Piazza manca la Carpi che spende, che consuma, che vuole farsi vedere col gomito fuori dal finestrino dell’auto potente (acquisto che a quanto pare non è proibito dalla vigente normativa, ma che suscita invidie feroci. Vedasi il “mio famoso paradosso” della Ferrari: In tanti tengono la Ferrari nelle corse - ORGOGLIO ITALIANO -, ma se poi ti vedono in Ferrari in Piazza, sempre in tanti ti odiano ferocemente, dimenticandosi che la ragione sociale della Ditta Ferrari è… strano… ma va? … di vendere auto alle persone…). In Piazza manca la gente che vuole incontrare altra gente VIVA! Cosa che per fortuna della ns città succede in corso A. Pio e in Piazzetta (magnificamente sistemati dal Comune), in corso Roma e via San Francesco (questi ultimi due meno male aperti al traffico). Allora (a parte gli eventi... ovvio… La Festa del Racconto, che é stata splendida, il Festival della Filosofia idem, il mercatino del riuso... idem, gli stand alimentari del patrono, ecc… idem) cos'è che non funziona in Piazza nei momenti normali, nel "tutti i giorni", cos'è che tiene lontana la gente dal luogo d'orgoglio della ns città?
Ai contemporanei l'ardua analisi e la difficile sentenza!