mercoledì 30 gennaio 2013

Evoluzione del dialetto carpigiano


Evoluzione del dialetto  carpigiano

 nov 2010   Mauro D’Orazi      dorry@libero.it
V 14 del 29-1-2013
Anni fa partecipai ad alcune bellissime serate presso la "Falegnameria Beltrami" dove, di lunedì, si dibatteva, fra le altre cose, anche l’enigmatico tema  " Il dialetto carpigiano è morto ?" Agli interessanti dibattiti intervennero vari eminenti personaggi della carpigianità. Il risultato quasi unanime fu che se proprio non era morto, il dialetto stava molto male e che per il futuro non c'erano molte speranze.
Il mio parere era ed è invece un po’ diverso: il dialetto imparato in famiglia, dalle zie e dalle cugine sta certo scomparendo, ma "quel dialetto", non il "dialetto", che continua e continuerà ad esistere, pur attenuato dall'istruzione medio - alta generalizzata, annacquato dall'invadente e arrogante linguaggio dei media e contaminato da neologismi. Ciò non è altro che un fenomeno comune ad ogni lingua viva; chiunque in passato abbia tentato di fermarlo (e sono tanti gli esempi di tali stupidi nazionalismi nella storia) quasi sempre è caduto nell'assoluto ridicolo con risultati insignificanti.
A distanza quindi di oltre dieci anni da quelle serate, il dialetto continua per la sua strada; non è morto e lo sento parlare tutti i giorni, ma la sua trasformazione è continua, coinvolgendo giovani e anziani.
I giovani con strane miscelazioni (chèelsi, invece che calsètt, pisée invece che rudèea,  ho colto anche un clamoroso òog’ pomerìig’, di origine meridionale, per incò dopràans, ecc ... tutte cose orribili, ma che si sentono) e gli anziani con l'assorbimento di nuove parole.
Comuni a tutte le categorie umane e forse le ultime a morire saranno l'esplicito "T è n càpìis gnìinta... cretèin !!!"  e i chiarissimi e raffinati "Mò va a caghèer !!"  o "Tòola in dal cuul !!" queste ultime dai significati, direi, lampanti, per esplicitare a qualche inopportuno, che staziona nei pressi del declamatore delle fatidiche frasi, che è gentilmente invitato a spostarsi in un altro più idoneo loco o a prodursi in prestazioni particolari, essendo la pazienza terminata.
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Poco tempo fa ero nel Parco delle Rimembranze (quél davanti a l'usdèel - ma già da tempo alterato comunemente in un più italianizzato "uspidèel"); passo davanti una panchina dove erano seduti due pensionati col cappello in testa e ho modo di sentire questo dialogo.
"Sèt fàt incò ? "- Cosa hai fatto oggi  -  " Guèerda, a i ò apèina finì ed ferèem carghèer al celulèer !! Ai ho fàat na carga da dèes evro." - Guarda ho appena finito di farmi caricare il cellulare con 10 euro - "UMhh, te fàat pròopria bèin !! L è un lavòor ch à dèev fèer anca mè !!" - Hai fatto proprio bene! è una cosa che devo fare anch'io!
Si nota dunque che nel dialetto è stato assorbito non solo il più comune "telefunèin" (dàmm al telefunèin !!- a rispòund al telefunèin !!), ma addirittura è stato preso il termine ben più tecnico di cellulare; la stessa cosa però capitò ad esempio negli anni '60 con la televisione (impìa /smòorsa al televisòor !! .. o la televisòun).
Per l'euro poi non se parla, è stato acquisito subito. Evro!
Ma non solo: fra i  miei amici di PC, qualcuno mi ha detto "A i ò fàat mètter su l'adieselle  -  adesa a vàagh comme al treno ...  a scarghèer !!" - Ho fatto montare l'ADSL, (la banda larga per collegarsi ad alta velocità con internet) – adesso vado fortissimo a scaricare!  Oppure: A gh ò ‘na ciavètta da òtt giga ..
E  al uairless ? Un faleo al ma dìtt: “Uairless l è in dialètt, in italian a s dìis 'vireless'!”
Si possono poi tranquillamente aggiungere … al bancomàtt, la chèerta ed crèdit, al letòor ed cidi o ed dividi, al portatìil (PC), al digitèel terèestre,  ecc...
Penso che la mia teoria fosse dunque corretta; con chi non è d'accordo sarebbe interessante aprire un interessante confronto.
Se qualcuno poi, non conoscendomi, dovesse eccepire qualcosa sul mio cognome, non proprio nostrano, rispondo che mia madre è di Carpi e sono nato e sempre vissuto a Carpi; ciò ha comportato l'assunzione piena dei canoni e delle tradizioni locali, compresa quella di appartenere a quell'endemica e pervicace categoria carpigiana … nota come … quéela di ARVèERS !!
Oggi mi sforzo di scrivere come nel dizionario di carpigiano del 2011 per avere un codice comune di trasmissione (se no a n m in fregarèev un bèel càas èd gniita): mi sono convinto a fare questo passo dopo un bel po' e facendomi violenza. Ciò anche dopo aver parlato con gli esperti del dialetto bolognese, che già da anni osservano codici precisi per scrivere. Hanno prodotto dizionari, corsi di dialetto, scritti e libri e si attengono alle regole. Ciò col solo ESCLUSIVO obiettivo di conservare e tramandare bene il dialetto. Ci metto anche il cuore in queste cose, perché amo profondamente Carpi e la sua parlata.

Due fratelli Baseei e Beesem - Baciateli & Baciami - dialetto carpigiano - Mauro d'Orazi Carpi



Prima stesura 17-01-2013                                               V18 del 29-09-2016

Due fratelli Baṡèei (o Bèesla) e Bèeṡem
 
a cura di Mauro D’Orazi
E te bèeṡem... (E tu baciami!)
Frequente rimando sfottitore a chi conclude un discorso con un vocabolo terminante in èl - én - ón - èla e simili, sottintendendo qualche parolaccia ecolalica.
La frasetta "… e bèeṡem... " è applicabile gioiosamente a qualsiasi frase enfatica pronunciata da chiunque. Anche a me in questo preciso momento:
"Gh oia ragiòun?"
"Sè! bèeṡem mò i maròun!"
Talora non si pronuncia nemmeno la rima finale, vista la notorietà della risposta in rima baciata, e basta un semplice leggermente modulato: " Sé! ... Besèeeemm…" che fa capire tutto lo stesso molto bene..

Da Sempre Noi – Gian Paolo Lancellotti, indimenticato batterista dei Nomadi, poco prima di lasciarci interveniva su Facebook e mi ha lasciato alcune cose simpaticissime che qui riporto.

Ecco un vero e proprio tormentone a presa in giro dei tempi passati; le godevoli storie dei due fratelli Baṡèei (o Bèesla) e Bèeṡem (o Bèeṡom stando più su reggiano), nomi che si possono forse tradurre approssimativamente in Baciateli & Baciami.
*Baṡèei (o Bèesla) e Bèeṡem i andèeven a scóola!! Baṡèei al purtèeva i libber e Bèeṡem... la bóorsa!
*Baṡèei e Bèeṡem i fèeven i muradóor. Baṡèei al fèeva la crippta e Bèeṡem... la capèela!
*Baṡèei al rustiiva al castaagni e Bèeṡem... i maròun!
* Baṡèei e Bèeṡem i andevèen a pèss: Baṡèei cun la balansa e Bèeṡem... la caana!
 *Baṡèei e Bèeṡem i andèeven in biciclètta: Baṡèei al tuliiva la strèeda e Bèeṡem... al carad(l)òun! o al carad(l)èin. Riferiti rispettivamente al cuul e al tètti.
* Baṡèei al preparèeva l impàast dal sfóoi e Bèeṡem … la canèela !
* Baṡèei e Bèeṡem i vènnden i straas, Baṡèei al li pòorta e Bèeṡem al… caas!
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Marco Giovanardi ricorda ch a gh éera 'na sturièela di fradée Baṡèei e Bèesem, lunnga ch la n finiiva màai.
*I duu fradée i éeren andèe a rubèer èd nòot da un cuntadèin.
Nasceva una complessa storia con numerose traversie, che si dipanavano in base fertile alla fantasia di chi raccontava... al cuntadèin al gh curiiva adrée cun al furcòun o cun al s-ciòop carghèe a sèel e lóor... ṡò dal fniil, sòtta un puunt, scaapa ché, scaapa là, ecc...
Chi narrava insisteva, calcando ad ogni nuova azione sempre sui due nomi "Baṡèei e Bèeṡem", finché giunti all’atteso finale... Baṡèei la faceva franca, sfuggiva all'inviperito inseguitore, scavalcava la rete di cinta, saltava il fosso, raggiungeva la strada e scappava, mettendosi in salvo.
A questo punto qualcuno del gruppetto, che seguiva con attenzione l'evoluzione della trascinante della vicenda, esclamava curioso: "Sèe va bèin... mò Bèeṡem???" E allora arrivava scattava l'attesa trappola del narratore:"... I maròun!”
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* Baṡèei e Bèeṡem i gh àan anch un cusèin ch a s-ciàama Baṡòot e se a ‘na quelchidunna a ch pièes Baṡòot i la fàan murìir!

Carlo Alberto Parmeggiani osserva che la voce verbale "Bèeṡem" oltreché essere usata come irrisoria interlocuzione di un altrui discorso in cui il finale termina con una desinenza di parola in "...òun", oppure in "...èela", è pure e molto spesso usato per le parole con desinenza in "...èel" (intendasi: bèeṡem mò l usèel, al bartadèel e similari) e pure, in rima assonanzata, in "... a gh ò", "… a farò", ad esempio bèeṡem mò chelò!
E via così! A colpi d'inventiva...

"Mò l é vèera! Che al tòo cuul l é fàat a pèera!" Ma è vero! Che il tuo culo è fatto a pera!
"Mò la là! Testòun!"
"E té bèeṡem i maròun!" E te baciami i maroni!
"Èet dìtt t îi in bulètta?" Hai detto di essere in bolletta?
E té famm 'na pugnètta!” E te fammi una pugnetta!
"E adèes t è fâat la rìmma, t îi più caiòun èd prìmma! E adesso che hai fatto la rima, sei più ignorante di prima!)
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Ciàapa mò chelò (e po’...): divertita o scostante allocuzione derisoria, di solito seguita da una rima baciata sulll'ultima parola udita sulle labbra dell'interlocutore, che interrompe e risponde, con adozione di un registro alquanto basso e ragaìi a una affermazione di tono elevato e sussiegoso e dove il chelò (questo qui) è la pronomizzazione del membro virile.
Esempio - Primo personaggio: Nella vita, ahinoi, c'è l'alfa e l'oméga... 
Risposta immediata del Secondo personaggio: Ciàapa mò chelò e po’ faa m 'na séega!
A integrazione della voce va detto che le desinenze ancora maggiormente utilizzate per la rima risultano essere quelle in ...àas, ...éega, ...ètta, ...èin, ...èeṡ, ...ìin, ...òun, ...ùul. Con le quali desinenze, veri e propri e antichi cultori del motteggio (ormai piuttosto rari) sanno interloquire e rispondere a fagiolo a qualsivoglia argomento, frase o periodo complesso venga dato loro di ascoltare, rispondendo in rima e per le... rime.
C’è anche però un’eccezione esotica, avventurosa e senza rima, derivante dai film in bianco e nero degli anni ‘50: Ciàapa mò chelò e fa Taarṡan! - che fa presupporre slanci e ululati piuttosto considerevoli.

Ecco poi una piccola filastrocca senza fine, piena di doppi sensi, anche pesanti, e tratta apparentemente dei difficili rapporti tra un padre (tale Minetta) e il figlio evidentemente poco propenso a un proficuo studio scolastico:

Mèina Minètta !
Ciàapa chelò e pò tètta!
Tètta, tetaróola,
ciàapa chelò e va a scóola!
Scóola, scularèina,
ciàapa chelò e pò mèina!
Mèina Minètta !
... Ecc... da capo... ad libitum...

giovedì 17 gennaio 2013

Avvertenze per i lettori - dialetto carpigiano - mauro d'orazi

Avvertenze per i lettori
Tutti gli scritti sono in bozza, sono in progress:
essi in continua modifica in base a nuovi elementi , versioni di modi dire, aneddoti, ecc
Possono contenere errori o omissioni involontarie.
La versione del pezzo è indicato con Vxxx e la data.
Più è alto il numero di Vxxx e più il testo è stato revisionato
Tutti i lettori sono chiamati, se amano il dialetto,
a suggerire modifiche o integrazioni al fine che cose preziose di cultura locale e familiare
non vadano perse.
foto, fatti, racconti, modi di dire della mamma, della nonna
ricette, rimedi

possono essere anche cose volgari o banali
non ha importanza
la ricerca sul dialetto è scientifica e non certo morale
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 usuali avvertenze per a n èsser di fapèes
1) siete liberissimi di non leggerle e di cestinarle
2) sono graditi integrazioni, correzioni, critiche anche feroci, ma motivate, aneddoti, storie familiari, o foto inerenti  i pezzi scritti
3) se non gradite questi invi, basta mandarmi un breve cenno.
4) si possono distribuire liberamente
5) se avete antiche foto di famiglia scannerate e mandatele, è il miglior modo di conservarle e renderle pubbliche a beneficio di tutti
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praticamente ogni riga dei miei scritti
viene controllata da 10- 15 persone fra le  più esperte (e disponibili) di carpi e fuori carpi
che conoscono il dialetto e le ns tradizione e che ... sanno scrivere e trovare i miei errori
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il testo viene poi sottoposto all'amico Luigi Lepri che è forse il nmr 1 del dialetto bolognese, persona simpaticissima e a giorgio rinaldi di folclore contadino esperto del dialetto di MO e dell'appennino.
Anche con loro ho  un frequente scambio continuo di scoperte e interpretazioni.
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i testi vengono messi, un po' ridotti e senza foto , sul gruppo di Facebook "Conosci il dialetto carpigiano", con 1350 membri. il gruppo è aperto a TUTTI anche a non carpigiani per un confronto continuo su accezioni e varianti- senza stupidi o idioti campanilismi
i testi vengono messi anche su un blog  di microsoft . Ciò ha buoni riscontri soprattutto grazie al fatto che i titoli entrano di botto nei motori di ricerca e questo è un bel trucco . basta mettere nel titolo anche "dialetto carpigiano" e con una ricerca gnocchissima saltano fuori da tutte le parti.
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in tal modo i rischi di errori (pur sempre possibili) vengono ridotti moltissimo.
difficile pensare a un circuito più virtuoso
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buona lettura
mauro d'orazi detto dorry
per comunicazioni
email
dorry@libero.it


Norme di trascrizione

Le Norme di trascrizione adottate sono quelle di pag. XXII del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011” di cui si riporta il testo integrale.

“Il vocabolario adotta una trascrizione delle voci e della fraseologia modellata sulla grafia italiana, seguendo una tradizione lessicografica che ha quasi sempre impiegato adattamenti a tale grafia. In particolare, si segue il sistema di trascrizione semplificato messo a punto dalla Rivista italiana di dialettologia. Lingue dialetti società.
Le vocali i, a, u sono rese come in italiano, mentre la pronuncia aperta di e, o è indicata con un accento grave, la pronuncia chiusa con uno acuto; il fenomeno della lunghezza vocalica è particolarmente marcato nel carpigiano e per indicarla si è scelto di ripetere la vocale, sprovvista di accento, onde evitare l’accumulo di segni diacritici sovrapposti, come – nella tradizione – il circonflesso o il trattino: bièeva, butéer, fagòot, arióoṡ (e così per i, a, u: sintìir, cavàal, futùu). Le vocali è, é, ò, ó sono distinte solo sotto accento, mentre in posizione atona sono segnate e, o.
L’accentazione si indica con l’accento grave, salvo i casi citati di é, ó (dove tale accento denota anche la chiusura della vocale), quindi ì, ù, à: ad es. scarnìcc’, fisù, bacalà.
Di norma, per semplicità, non si accentano le parole piane (ad es. bussta), ma soltanto quelle che hanno l’accento sull’ultima (arvùcc’) e sulla terzultima sillaba (ṡàberia); allo stesso modo, di norma (escluse alcune forme verbali come dà, fà, dì) non si accentano le parole monosillabiche (csa, al), a meno che contengano é, ò accentati per indicare la qualità aperta o chiusa (, èl, bòll).
Per indicare sempre con sicurezza le semivocali, senza complicare la grafia con segni estranei al sistema italiano (ad es. usando j), si avverte che, nella parola, i, u a contatto con vocale hanno valore di semivocali, in caso contrario recano l’accento (mìa, tùa).
Sono rese come in italiano le consonanti p, b, t, d, m, n, r, l, v, f. Per le palatali e le velari si adottano le norme grafiche italiane. Le affricate palatali sono indicate con c, g davanti a e, i: ad es. ducèer, bòocia; con ci, gi davanti ad a, o, u: ad es. ciàapa, baciòoch, paciùugh, gianèin, giocaatol, argiulìi; con c’, g’ davanti a consonante e in fine di parola: ad es. òoc’, curàag’. Le occlusive velari vengono indicate con c, g davanti ad a, o, u: ad es. catèer, còpp, cun, galupèer, góob, guàast, (tuttavia – questa volta in ossequio alla
tradizione – si è usato il segno q per aaqua, daquèer e simili); con ch, gh davanti ad e, i, di norma davanti a consonante e in fine di parola: ad es. bachètta, bèech, béegh, sanghnèer, stanghèer, lèegh, liigh, brighèer. Per quanto riguarda le sibilanti dentali, come è noto l’italiano non distingue graficamente tra sorda e sonora: seguendo l’esempio di alcuni vocabolari
nazionali, indichiamo con s la sorda e con la sonora: ad es. baṡèer.
La laterale palatale è resa con gli davanti ad e, a, o, u: ad es. striglièer, butigglia, manigliòun; con gl davanti ad i e in fine di parola: ad es. ègl’idèi. Quanto alle nasali, abbiamo – oltre a m, n – la palatale gn, tutte rese come in italiano, anche in finale di parola: ad es. fuggna, paagn, staagn.
Le consonanti intense vengono indicate, come in italiano, mediante il raddoppiamento della consonante semplice: ad es. bagaiètt, aluminni; in caso di digrammi, come in un paio di esempi già visti (butigglia, fuggna), viene raddoppiata soltanto la prima lettera.
Infine, quando un nesso grafico non rappresenta un unico suono, ma la successione dei suoni indicati dalle singole lettere, esso viene sciolto con l’inserzione di un trattino: ad es. s-ciòop, s-ciafòun, s-ciflèer.”

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è      e aperta (come in dieci)                   martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                 méi, mé 
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i       i come in italiano                            bissa, dì
ii      i  prolungata                                  viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó  
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                  bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                     vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                    ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sòol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch

giovedì 10 gennaio 2013

FILASTRÒOCA CARPṠANA D ’NA VÒOLTA - dialetto carpigiano - Mauro D'Orazi



    FILASTRÒOCA CARPṠANA D ’NA VÒOLTA  dialetto Carpi
raccolta da Mauro D’Orazi con varianti
                        prima stesura 13 -7-2010         v15  gen 2013

Ti (o Tu) tu-sèela cavalòun !! (o Tròota, tròota)
Va in piàasa dal padròun,
perché al digga cun la Lèevra (Laura)
ch la parèccia bèin la tèevla,
ch à da gniir di furastéer
bèin vistìi da cavaléer
cun la piùmma sul capèel,
perché incóo l è carnevèel.
Carnevèel al ne póol gniir,
la puiàana la póol murìir !

Laasa ch la móora ♫ ♪ ♫ ♪ (canticchiando)
a gh farèmm ’na caasa nóova.
Nóova nuvèinta,
un piàat èd pulèinta,
un pàatt èd salsissa,
a balèer la Margheritta.

Margheritta di curàai
sèelta su ch a caanta al gaal.
Caanta al gaal e la galèina,
sèelta su Margheritèina,
che in cuṡèina a gh è al furnèer
e tutt al paan l è incòrr da fèer.
La farèina da ṡdasèer,
l alvadóor da fèer alvèer,
al pastòun ch l è da gramlèer,
al paan da fèer, i stèech da stlèer,
al fóogh d'impièer, mò ’sa stèe t … lè a … tuntugnèer ?
       (o a tuntugnèer, o a cuncunèer, o a pistulèer) ♫ ♪ ♫ ♪
**
Altra versione
della prima strofa

Tròota tròota cavalòun,
curr in piàasa dal padròun
Diggh acsè che la sgnóora Lèevra (Laura)
la parèccia bèin la tèevla
ch à da gniir di furastéer
 tutt vistìi da cavaléer.
**
Altra variante

Tutu-tèela al mè cavàal
quàand al viin da la vaal
da la vaal e dal mulèin
tutu-tèela cavalèin.

La versione di Luisa Pivetti (Carpi) è invece la seguente e si richiama solo alla seconda parte dell'antica filastròoca carpana d 'na vòolta Titu-sèela cavalòun !!

La puiàana in simma a un pèel             La poiana sopra un palo
la ciamèeva carnevèel.                         chiamava Carnevale.
Carnevèel al n à vluu gniir,                  Carnevale nonè voluto venire,
la puiàana l à tgnuu murìir.                  la poiana ha dovuto morire.

Laasa ch la moora,                              Lascia che muoia,
a gh farèmm 'na caasa noova.              le faremo una cassa nuova.
Noova nuvèinta, un piàat èd pulèinta,   Nuova noventa, un piatto di polenta,
un piàat èd salsissa                             un piatto di salsiccia
ch al fa balèer la margaritta.                 che fa ballare la margherita

Margaritta di curàai                             Margherita dei coralli
sèelta su ch a caanta al gaal.                salta su che canta il gallo.
Caanta al gaal e la galèina,                   Canta il gallo e la gallina,
sèelta su Margaritèina!                         salta su Margheritina!

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Ilva Tosi (Carpi) - Mè a la saiva anch acsè:
Tutu-sèela cavalòun,
tè t ìi 'n èesen e mè un caiòun ...

mercoledì 9 gennaio 2013

Il tiro al cavaliere di Fabrizio Pederzoli (e Mauro D’Orazi) Carpi - Dialetto carpigiano


Il  tiro  al  cavaliere

                                                     di Fabrizio Pederzoli (e Mauro D’Orazi)

revisione del testo a cura di Graziano Malagoli

prima stesura 01-01-2013                                        v14 del 07-01-2013

Fabrizio Pederzoli, stimato dirigente bancario carpigiano, racconta una sua importante esperienza di vita nel Parco legata alle palline e illustra un’altra variante di gioco. Un piccolo episodio, ma un’importante lezione esistenziale
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partitabiglie

“Nel 1970 avevo 12 anni, quando andai per la prima volta al Parco delle Rimembranze senza i miei genitori. Era estate e la scuola era appena finita. Mi sentivo libero. Ero solo e avevo con me un prezioso sacchetto di plastica con dentro qualche biglia di vetro. Mi apprestavo a varcare una "foresta impenetrabile", al tempo occupata da ragazzi scaltri ed esperti che la facevano da padroni. Un vero salto di qualità esistenziale e di relazioni umane.
Impiegai poco tempo a imparare e a impratichirmi dei tanti giochi con le biglie in voga in quei tempi.


C’era lo zig - zag (la serpentina) sulle panchine in cemento che avevano sul fondo quattro buchi equidistanti per il deflusso dell’acqua piovana. Dentro di essi venivano piazzate dal ragazzino che teneva banco le biglie. Il concorrente, tramite uno studiato cricco sulla propria pallina dato con sapiente angolazione laterale, doveva effettuare lo zig zag in modo dolce, ma nel contempo deciso e terminare il percorso senza "ticciare" (toccare) le palline stesse. In caso di successo il concorrente avrebbe vinto tutte le palline infilate nei buchi, in difetto avrebbe perso la propria. Il gioco era estremamente difficile da vincere e veniva puntualmente proposto ... alle nuove ingenue reclute, che ben presto avrebbero imparato ad astenersi o ad allenarsi intensamente da sole.
C’era poi il tiro al cavaliere (una "preziosa" biglia colorata di bianco con lune trasversali marroni, verdi e blu).
Il gioco consisteva in questo: l'organizzatore sedeva su una panchina e poggiava a terra il cavaliere, mentre da una distanza di circa due metri, i concorrenti lanciavano le proprie biglie. Era una variante semplificata della torretta. Nel caso avessero "ticciato" avrebbero vinto il cavaliere, in difetto avrebbero perso tutte le biglie degli lanci effettuati.
C’erano delle gradazioni nel gioco basate sull’aumento della posta al variare della distanza di lancio, indicata per terra da un gessetto o da una riga sulla polvere fatta con la scarpa
C’era il tiro delle 10, il tiro delle 20, ecc ...  Prima del tiro si dichiarava e ci si sistemava alla distanza prestabilita. Per il tiro delle 10 la distanza era breve, per il tiro delle 20 la distanza più lunga, e così via.
Quel giorno avevo con me biglie poco più di una ventina di biglie di vetro e dovevo con attenzione capitalizzare il mio tesoro, ma avevo timore che ragazzi più esperti avrebbero potuto appropriarsi del mio tesoretto.
A un certo punto un ragazzo, che si vantava di essere un esperto conoscitore di tutto e di tutti, abile a chiacchiere, ma senza una biglia di vetro con cui giocare, mi diede un consiglio a suo dire "unico":
"S te vóo viinser dimònndi … mètt su al tiir dal sèint. (Se vuoi vincere parecchio … organizza il tiro delle cento)".
Nel lato nord del parco, davanti alla pista di pattinaggio, a sinistra il bar (ora anche ristorante) a destra c’era una panchina in cemento (di quelle usate anche per la serpentina). Avrei solo dovuto sedermi lì e poggiare a terra una biglia di vetro dichiarando ad alta voce "Tiro delle 100!"
I concorrenti avrebbero dovuto lanciare le loro biglie da molto lontano, considerata l’altezza della posta e contavo proprio su questa rilevante distanza per vincere parecchie palline e trascurando il fatto che, se per sventura avessi perso, non avrei avuto di ché onorare l’abile vincitore.
Lo sciagurato in ogni caso mi tranquillizzava e mi incitava all’impresa:" Stà tranquìll ! Nisùun a gh ciaparà màai (Tranquillo! Nessuno ci prenderà mai) e te ne andrai a casa col sacchetto pieno di biglie."
Non troppo convinto, ma carico di adrenalina, gridai:
"Tiro delle 100!!".
Improvvisamente un nugolo di ragazzi cominciò a tirare biglie di vetro dietro una linea tracciata a terra col tallone. Io, a distanza di circa 15 metri, seduto sulla panchina, cominciai a raccogliere con crescente entusiasmo le prime biglie che arrivavano senza colpire la mia. Poi d’improvviso … ticc’ … imbarazzo e paura: una maledetta biglia colpì in pieno la mia e mi rese debitore di 100 biglie che non possedevo. La paura diventò poi subito panico, quando vidi in faccia chi aveva vinto e reclamava la sua vincita: "A m ciàam Omar, mò a sun Ramo pèr i mè amìigh! Òccio ch a suun dimònndi scòomed!  A suun duur damàand al lèggn e a suun pròunt a ṡbraghèer èt la ghignèera s te n pèegh mìa! (Mi chiamo Omar, ma per gli amici Ramo. Sono molto scomodo e duro come il legno e sono disposto a romperti la faccia, se non paghi)".
Con il cuore in gola, concordai una tregua temporanea. Gli lasciai il sacchetto con tutte le mie insufficienti palline, impegnandomi a saldare il debito rimanente per il giorno dopo.
Me ne andai mestamente verso casa, con lo scontato timore della severa reazione di mio padre. Infatti egli, dopo la sorpresa iniziale, mi manifestò tutta la sua delusione e amarezza per il mio comportamento. "Hai giocato e impegnato ciò che non possedevi; è un fatto davvero grave; un errore che ti deve servire come insegnamento per la vita futura" mi ammonì severo.
Mi comprò le biglie di vetro ed io mi impegnai a rinunciare alle mancette settimanali per qualche tempo, ma imparai la lezione.
La mattina del giorno dopo ero già al Parco a saldare il mio debito di … vita.”
**M**


Norme di trascrizione del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                         martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                  méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                   bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                      vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                     ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sóol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch


Pipi e il Bar Scacco Matto - dialetto carpigiano carpi


Pipi e il  Bar Scacco Matto

di Fabrizio Pederzoli e Mauro D’Orazi

Foto di Alcide Boni
revisione a cura di Graziano Malagoli e Giliola Pivetti
stesura iniziale 01-01-2013                                              v23 09-01-2013

Alla fine degli anni ’70, Sergio Pederzoli era il titolare del Bar Scacco Matto (***) di Viale Guido Fassi che, con il Bar Stadio, rimaneva aperto praticamente tutta notte (orario di chiusura dalle ore 1,00 alle ore 4,00 con le pulizie del locale nell’intervallo).
Il Bar Scacco Matto doveva il suo nome a praticanti e maestri nel gioco degli scacchi, ma era frequentato da molteplici categorie di persone: turnisti del lavoro, cacciatori e pescatori che facevano colazione al mattino presto, medici ed infermieri del vicino Ospedale di Carpi.

1976 Pipi (Fantini) in Piazza con l’inseparabile pipa e il cappello da spasèin
(foto di Alcide Boni)

Tra le tante persone negli orari più strani frequentava il bar un personaggio caratteristico tale Alfredo Fantini, da tutti conosciuto come Pipi (o Pippi) Fantèin. Era facile incontrarlo tutti i giorni in piazza e vicino al Comune, con la pipa in bocca (da cui il soprannome) con un consunto e lurido berretto grigio, calcato in testa, “simil vigile”, ma che era poi un dismesso da spazzino regalatogli da chissà quale burlone. Spesso si dilettava a dirigere con ampi gesti delle braccia un traffico di veicoli che non esisteva se non nella sua mente, con una grande passione per ... il buon e abbondante bere.

1980 Pippi dirige la Banda cittadina di Carpi (foto di Alcide Boni)
All’evenienza si dedicava con perizia a dirigere anche la banda cittadina in giro per le strade della città. Aveva il viso paonazzo e la punta del naso ancor più arrossata, segni più che evidenti di recenti e ripetute bevute.
1976 Pipi dirige il traffico in Corso Cabassi cun al s-ciflèin da viggil (foto di Alcide Boni)
Non di rado tendeva arditi “agguati” vicino agli incroci del centro, uscendo fuori all’improvviso da un angolo; imbracciava un fucile immaginario e lo puntava verso uno stupefatto passante: “Bum! BUM!

Una mattina all’alba entrò nel bar Scacco Matto col naso già particolarmente arrossato ed esclamò:
"Ciao Sergio, daa m un bicéer d biàanch, mò èd cal bòun! (Dammi un bicchiere di bianco, ma di quello buono!)"
Nei bar del tempo era consuetudine mescere a singoli bicchieri vini e anche bibite economiche gasate. In quest’ultimo caso si trattava dell’indimenticabile spuma, prodotta in improbabili gusti e sgargianti colori anche a Carpi dalla ditta Casarini, Marri & Mazzucchelli in Via Trento e Trieste.

 
Marche di spuma

La spuma è una bibita analcolica soft drink a base di acqua gassata, zucchero, quantità variabili di caramello e aromi vari (tra cui, succo di limone, infuso di scorze di arancia, rabarbaro, vaniglia, spezie varie); il termine, generico, risale ai tempi in cui esistevano molti produttori locali di bibite gassate, per cui il nome delle singole marche era meno importante di adesso. Il termine è equivalente all'anglosassone "soda"..

La spuma al cedro era forse la più richiesta, ma c’erano anche all’arancia, al ginger, al chinotto e al limone. Ne esisteva poi una speciale bianca al moscato: una vera ciofeca, mal colorata, che tentava disperatamente di ricordare il vino dolce.
Sergio, preoccupato di gestire la situazione che è sempre critica quando c’è la presenza di un ubriaco in un locale pubblico, rispose a Pipi:
"A m è sóol rivèe ’na partiida èd vèin biàanch. Adèesa a t al faagh sintìir, acsè te m dii pò cum a t sèmmbra. (Mi è appena arrivata una partita di vino bianco. Adesso te la faccio sentire e poi mi dici come ti sembra)".
Pipi prese il bicchiere, ne osservò il colore già poco convincente, ma il sapore lo era ancor meno. Seppure ubriaco, dopo averne appena sorseggiato un poco, con una smorfia si rivolse al gestore, piuttosto arghgnèe (imbronciato, disgustato):
"Sergio! Pèr pòoch te l aabi paghèe, i t àan ciavèe! (Per poco che tu l’abbia pagato ti hanno fregato!)"

1982 Alfredo Fantini detto Pipi  in un ritratto di Matteotti Franco, detto Correggio
**
(***) Pietro Arcolin ricorda bene il bar Scacco Matto, avendolo frequentato fin dagli anni iniziali con la famiglia Bulgarelli, i vecchi Adelmo e Elisa, il figlio Francesco che diede il nome al bar. Era il 1964 e tennero l'esercizio fino al ‘72; poi passò alla famiglia di Sergio Pederzoli. Lì si sono formati i gruppi di scacchisti di Carpi: il dott. Pollastri, Pedrielli, Massari, Marco Giovanardi, Pietro Arcolin, Amadei, Guaitoli. Parteciparono a molti tornei e vincendo a Reggio Emilia un torneo nazionale a squadre per non classificati. L'apertura mattutina delle 4 portava a incontri "meravigliosi" di personaggi di tutti i tipi più strani e particolari. Pederzoli istituì anche ogni anno una gara podistica per gli avventori,con mangiata finale.
**
Alcide Boni (autore delle foto) ricorda che Alfredo Fantini era detto Pippi. Negli anni '70, frequentava tutti i bar del centro, avendo un'autonomia breve, a causa dell'alto consumo al chilometraggio. Una mattina andò al Caffè Teatro, al banco c'era il papà di Vittorio Garzon, Danilo, un uomo piuttosto rustico e dai modi decisi. Gli chiese col suo idioma di origine veneta:" Cossa ti vòl, Pippi? (Cosa vuoi ?)” E lui: "Dàa m un cafè corèet graapa!" (Dammi un caffè corretto con grappa!)” Ma Danilo, constatando il suo stato etilico più che evidente, gli rispose che non glielo avrebbe servito corretto, ma solo normale.
"Fa gniint! Dà chè listèss! (Fa niente! Da qui lo stesso)" Allora Danilo gli preparò il caffè; Pippi mise una mano nella tasca del suo sudicio e sdrucito cappotto e tirò fuori una bottiglietta di grappa semi piena e poi borbottò:"Bèè! S te nn èm la dèe mia tè ... la coresiòun, a gh la mètt mè! (Se non me la dai, la correzione ce la metto io !)” Così corresse abbondantemente il caffè e se lo bevve soddisfatto e tranquillo.

1974 - Danilo Garzon serve un Martini a un allegro avventore del Caffè Teatro
“No Martini! No party!” (foto di Alcide Boni)
**M**

L’aneddoto di Pipi al Bar Scacco Matto ricorda molto quello di Guaitlòun.
Difficile dimenticare la figura di Erio Guaitoli, tipografo e gran brava persona. Negli anni ’70 lo si riconosceva facilmente dai capelli bianchi e dall’eterno purillo blu scuro che indossava. Gli piaceva raccontare di essere stato allievo della scuola professionale di don Benatti (sottolineando e calcando: cal bòun … però!! - per distinguerlo da altri omonimi), un ottimo sacerdote che operò a Carpi in aiuto dei ragazzi nei primi del ‘900, facendo in modo che imparassero una professione artigianale, che li avrebbe tolti dall’indigenza nella vita adulta senza arte,  né parte.
Erio narrava con allegra e divertita rassegnazione alcune vicende capitate al padre Guaitlòun, dovute alla allora molto nota debolezza del genitore nell’eccedere col lambrusco.
Prima della guerra si tenevano sempre al già citato teatrino LUX le rappresentazioni di una commedia a cura del Circolo di Filodrammatica di Carpi. Quella sera il teatro l éera piìin a martlètt, senza un posto libero. La scena si ambientava in un osteria; naturalmente tutto era finto, compreso il vino che era una brodaglia chimica di color rosso. Erio era un valente attore dilettante e faceva la parte dell’oste. A un certo punto arrivò dentro al teatro, nella semioscurità della sala, un omone in tabarro traballante, che cercava invano da sedere. Era suo padre Guaitlòun … già in ciarèina (ubriaco). Vide sulla scena un tavolo e qualche sedia libera. Con andatura molto incerta, fra le risate del pubblico, piano piano raggiunse il palcoscenico, scalando con fatica i gradini che lo separavano dalla platea. Finché, fra il divertimento generale, esclamò fra lo stupito e il soddisfatto: Mò vè! Mò vè … ch i àan avèert ’n’usterìa nóova! (Ma guarda che hanno aperto una nuova osteria). Al tòoṡ ’na scraana, al dà un cóolp cun la maan al tabàar e al s mètt a séeder. (Prende una sedia, da un colpo con la mano al tabarro per assestarlo e si siede, senza riconoscere il figlio truccato). “Óoo ! Ṡuvnòot purtèe m mò da bèvver! (Giovanotto! ordunque portate da bere!). Il figlio, imbarazzatissimo, pensò di assecondarlo, sperando che poi se ne andasse via, ma non trovò niente di meglio che versare l’intruglio di scena. Il vecchio prese il bicchiere e cominciò a bere lentamente, ma dopo pochi istanti sputò fuori schifato il liquido e poi diretto all’oste lo ammonì: “Óoo al mè umarèel, stèe mò atèinti che cun cla ròoba chè … cum a ii avèert a … srèe!!!” (Caro il mio omarello, state attento che a servire questa schifezza, come avete fatto presto ad aprire questo nuovo locale, altrettanto velocemente dovrete chiudere). Naturalmente venne giù il teatro.

Sempre Guaitlòun nel ’44 era uno dei pochi che non rispettava il coprifuoco imposto dagli occupanti; tuttavia i tedeschi, incontrando questo uomo barcollante e pensando certamente ai loro usi e costumi beverecci, erano molto tolleranti. Una sera lo incontrano sotto al portico di piazza e il nostro fece loro: “Spetèe mò ch a v caant ’na romaanṡa!” (Aspettate che vi canto una romanza) e quelli divertiti “ Ja! Ja!”
Con ritmo cadenzato e voce baritonale … allora attaccò:
Ooh rondinella pellegrina / che vai ballando sera e mattina / chi maagna al pèerṡegh / al chèega la rumèela! (Chi mangia la pesca/ deve poi cagare la romella!). Ubriaco sì, ma non tanto da non far loro un auguraccio simbolico e in prospettiva molto doloroso.

Quando Erio si sposò, pèr diir la bulètta ch a gh èera, per dire quanti pochi soldi c’erano allora, partì in viaggio nozze in bicicletta con la moglie sulla canna. Meta: al Vrée (Rovereto di Novi), dove il prete del luogo li avrebbe ospitati. Giunti a destinazione, era il giorno della festa del paese e c’era moltissima gente. A un certo punto Erio notò un fitto assembramento con gente che sghignazzava: al centro del nutrito rughlètt (gruppo di persone) era suo padre Guaitlòun che ubriaco fradicio teneva un irresistibile concione alla folla …





Norme di trascrizione del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                         martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                  méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                    bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                   bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                      vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                     ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sóol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch