martedì 18 giugno 2013

Un pòo èd Cagnóola di Mauro D’Orazi e Florio Magnanini -dialetto carpigiano - Carpi



Un pòo èd Cagnóola
di Mauro D’Orazi e Florio Magnanini
prima stesura 11-4-2013                                                       V 10  del 13-05-2013

La Cagnóola è un quartiere di Carpi sorto fuori dalle vecchie mura, sul lato sinistro dell’aera ospedaliera, in angolo con Via Molinari, già via S. Giacomo.
Un luogo pieno di vitalità e umanità; oggi la strada ha il nome di Via Sergio Manicardi.


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Estate 1943 - Abitanti dla Cagnóola (oggi Via Manicardi) impegnati nella costruzione di un rifugio anti aereo che aveva l'intento di riparare almeno dalle schegge. La testimone dirette Orianna Righi, madre di Mauro Bulgarelli che mi ha fornito gentilmente la foto, ha riconosciuto molte persone: Lisetta Lugli, Maura Meschiari, Uliano X, Nara Righi,
Cinzio Gasparini, Adorno Oste con gioco Bocce della Cagnola, Ernesto Bellanti, Lea Righi, la bimba Odette, Ferruccio Righi, Clara Vincenzi, Elvia X, Marino Ugolini, Ennio Ugolini, Antonietta Bellanti, Ivanoe Belmondi, Manon Lugli, Florindo Galloni, Orianna Righi, Giuseppe Vignoli, Nando Lugli, Leda Beltrami, Alfio Belmondi (padre di Glauco), Giorgio Saltini (gioielleria),
ecc …
L'autore dell'immagine potrebbe essere Tonino Gasparini, appartenente alla nota schiatta di fotografi che risiedeva proprio nella contrada.

Florio Magnanini, direttore di VOCE di Carpi, così commenta la foto sul numero dell’11 aprile 2013 del suo settimanale:
Questa foto costituisce un documento eccezionale. Ritrae un folto gruppo di carpigiani in quella particolare contrada, che dopo la guerra è stata intitolate al partigiano Sergio Manicardi, ma che nella memoria cittadina resta sempre come la Cagnóola. Una denominazione piuttosto oscura che evoca località lombarde od onomatopèe con il latrare dei cani.
Fatto sta che si tratta di una delle rarissime foto scattate a Carpi in tempo di guerra e in particolare nel periodo dell’estate del 1943, che andava dalla caduta del regime fascista del 25 luglio, con la grande illusione che la guerra stesse per finire, all’armistizio dell’8 settembre.
Un breve lasso che aprì la grande illusione che la guerra stesse per finire.
L’illusione svanirà ben presto e l’occupazione tedesca porterà a Carpi altri due anni di lutti, dolore e fame.
In quel momento tuttavia nessuno poteva prevederlo e i volti sono tutti sorridenti, radiosi e come in attesa di un futuro finalmente di pace, anche se la minaccia dei bombardamenti anglo americani continuava.
Ed era proprio per realizzare un rifugio, che li potesse mettere al riparo dalle bombe che la popolazione, che la contrada si era messa tutta quanto al lavoro … uomini, donne e bambini. Era stato scelto un tratto della vicina via S. Giacomo che allora non era ancora edificata, così come si può notare dai tralci e dalle alberature alle spalle del gruppo.
L’atmosfera è lieta, tutti sorridono davanti all’obiettivo di Tonino Gasparini, fotografo che abitava proprio lì; suo fratello Cinzio compare fra gli altri, accanto all’uomo con la vanga triangolare.
Erano tempi di sofferenza e di speranza, ma il senso della comunità che traspare dalla foto, è unico e resterà a lungo a connotare quìi dla Cagnóola.
1948 Segantini in Via S. Manicardi (Cagnóola.) -  Faglioni e  altri amici
1939 Trecciaiole della Cagnóola. Rustichelli Bassoli Alma, Lugli Enrichetta in mezzo e la Belmondi. Davanti all'abitazione dei Belmondi in via Sergio Manicardi.
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Renato Corsi (attore dialettale carpigiano) ci regala questi racconti di gioventù passata:

La Ca dla bòocia negli anni ‘20

Negli anni ’50 anche l’inverno per me era un periodo bellissimo di giochi e di avventure.
Allora venivano delle nevicate nemmeno paragonabili a quelle oggi, che sembrano delle spolveratine di zucchero a velo sulle brioche.

 
Ecco oggi in via Molinari (già via San Giacomo) la Ca dla bòocia. Èd sicùur lè dèinter a gh e stèeva soquàant quintée d ragasóo ... sèmmper in guèera cun quìi dla Cagnóola.
                                                                                                   
Noi ragazzi della Cagnóola (oggi la zona di via Manicardi) eravamo sempre in lite con i ragazzi dla Ca dla bòocia, distante poche centinaia di metri, andando verso il centro di Carpi.
La cosiddetta Casa della Boccia, in via Molinari / San Giacomo, si trova subito di fianco al Molino Verrini; deve la sua denominazione denominata al fatto di avere, anche oggi, sul vertice del tetto a quattro acque una pigna ben augurante in cemento.
Dopo una bella nevicata noi ragazzi della Cagnóola, che in tono emulatorio ci eravamo chiamati niente meno che i ragazzi della via Paal, costruivamo con tutta l’energia e la fantasia possibili, una specie di fortino con la neve caduta.
Facevamo rotolare la neve su se stessa in modo da ottenere una specie di cilindroni con i quali via via costruivamo un muro. Esso era dotato anche di appositi spioncini per controllare il nemico ed evitare di essere colpiti dal ṡbalèedi (i tiri con le palle di neve) avversarie.
Lo scambio di proiettili era fitto e costante, solo che noi rendevamo più potenti le nostre palle, mettendo al loro interno un sasso.
Qualcuno si faceva anche male, ma non era niente di grave.
Devo dire che è stato un periodo bellissimo e indimenticabile della mia vita.
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Anni ’20 due interessanti foto di Don Ettore Tirelli di via S. Giacomo (oggi via Molinari), e la ca èd la bòocia

Mia sovrapposizione arbitraria della due foto precedenti per avere una visione di orizzonte più ampia







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Sempre su VOCE di Carpi troviamo altre interessanti testimonianze a cura di Florio Magnanini.

Cagnóola è per sempre (Voce 24 giugno 2004)

Raduno dei tanti ex che abitavano il questa contrada negli anni Cinquanta.
Fra tutti noi, qui, saranno al massimo due o tre che stanno ancora alla Cagnóola. Ma non importa, perché la Cagnóola è una cosa che rimane dentro, ovunque si sia andati a finire. La frase di Gianni Gualdi non poteva riassumere meglio il senso dell'avere oggi fra i cinquanta e i sessant'anni, avendone trascorsi chi molti e chi pochi (qualcuno, anche tutti) nella via che si chiama Sergio Manicardi - parte vecchia -, ma che i Carpigiani doc conoscono ancora come Cagnóola. L'occasione per un ritrovarsi fra attuali e soprattutto ex della strada l'ha fornita una cena all'Oste organizzata da Gloria Pantaleoni, senza il cui prezioso lavoro di ricerca di nomi e numeri telefonici il raduno non sarebbe mai stato possibile.
Ed è stato un ritrovarsi fra gente che, pur cambiata dagli anni, dopo le prime difficoltà a collegare i volti ai nomi e cognomi e a riconnettere percorsi familiari, legami di parentela e trame anagrafiche, alla fine si è pur riconosciuta. Finendo per riscoprire, in quelli degli altri, i propri ricordi e frammenti di infanzie e adolescenze vissute fra gli anni Quaranta e Cinquanta nella contrada più contrada di tutte, a Carpi.
Perché Cagnóola - strana onomatopea, evocante baccano di quadrupedi che non caratterizzava di certo questa, più di tante altre aree cittadine - era all'epoca sinonimo di coralità stradaiola, dove ci si parlava da una finestra all'altra, dove si faceva filosso sulle porte e nei cortili, dove si giocava, si festeggiava, si viveva sulla pubblica via. Tutti insieme, come in una via del centro, anche se centro non era, la Cagnóola. Quando ancora la circondavano i campi, sembrava piuttosto un frammento di città caduto lì, fuori le mura, con le case che si fronteggiavano allineate, ma senza portico. E chiuse da una siepe, abbattuta all'alba di un giorno del 1954 in cui cominciò la grande urbanizzazione imperniata sulla via Berengario. Dopo di che la Cagnóola cominciò a non esser più la Cagnóola, evolvendo poco a poco verso la strada di passaggio, da vicolo chiuso che era.
Sullo sfondo, oltre il parco, oltre la via Tre Febbraio percorsa notte e giorno dai pesanti automezzi in transito tra Mantova e Modena, c'era la Carpi uscita esausta dalla guerra; le mille avventure imprenditoriali che incominciavano allora, finendo alcune bene, altre male; la città che premeva da quel lato per allargarsi e trovare nuovi spazi proprio verso ovest, quasi una frontiera.
Erano una trentina, gli ex della Cagnóola, riuniti per dar corso ai ricordi. Fra loro Renato Corsi e Roberto Righi, Teresa Vignoli e Domenico Sberviglieri, Ombretta Lamma e Gianfranco Mescoli, Lia Gualdi e Meris Guberti. E poi Alberto e Gianna Gasparini, Meris Gualdi, Vanna Camellini, Gianni Leporati, Pino Martinelli, gli Sgarbi, i Carretti e altri.
La Cagnóola di ieri e la Cagnóola di sempre, appunto.
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La Cagnóola al gran completo (Voce 21 ottobre 2004)

Dopo l'assaggio del giugno scorso, in cento sono intervenuti al raduno.
Questa volta c'erano tutte le generazioni dei residenti nella storica contrada. La corsa a riconoscersi
Dopo la rimpatriata di pochi del giugno scorso, il grande raduno del 14 ottobre 2004. È andata così per il piccolo mondo della Cagnóola - la parte di via Sergio Manicardi edificata a filo strada - che è tornato a riunirsi al ristorante "Al Poggio" di Budrione, ancora una volta per iniziativa di Gloria Pantaleoni e grazie a un poderoso e spontaneo tam tam che ha fatto affluire degli ex perfino da Reggio Emilia, Mantova e Sassuolo. A differenza del precedente estivo, che coinvolse poco più di una ventina di nati nella mitica strada (o che vi hanno vissuto solo per qualche tempo), questa volta la partecipazione è stata totale e si è tradotta in un autentico raduno di un centinaio di persone. Al punto che è stato necessario distribuire i partecipanti per generazioni, dividendo i tavoli con il criterio dell'anno di nascita, dal 1925 in poi. Ed è stato tutto un cercare di riconoscersi fra gente che aveva perso l'abitudine di farlo; e di indovinare fisionomie oltre i segni del tempo; e di salutarsi e di cercare ricordi e di condividerli nella rievocazione.
Erano rappresentati tutti i nuclei familiari che hanno fatto la storia della contrada - e anche un bel po' di quella di Carpi nel dopoguerra - contribuendo a creare l'anima della Cagnóola e un senso di fortissima coesione che è sopravvissuto al trascorrere degli anni e alla dispersione fra i luoghi. C'erano i Lamma, i Gasparini, i Corsi, i Tavani, i Camellini, i Guaitoli, i Vignoli, i Guberti, i Carretti, i Magnanini, Gualdi, gli Sgarbi, i Beltrami, i Cucconi, i Pantaleoni, i Mescoli, i Martinelli, i Vellani, gli Arletti, i Guberti, i Galloni, i Righi. Era ben riconoscibile il gruppo degli ex teddy boy anni Cinquanta, quìi dla Cagnóola srèeda (cioè chiusa - l'allusione è alla siepe, abbattuta nel 1954 per consentire la successiva espansione sull'asse di via Berengario).
È stato salutato con un'ovazione Cinzio Gasparini, mitico fotografo, nonché residente storico della via, che ha letto una poesia dialettale. Qualcuno si è chiesto come facesse tanta gente a vivere concentrata nei pochi metri della contrada. Forse proprio a causa di questa prossimità, anche un po' forzosa, si è mantenuto un così vivo senso di identità e appartenenza.
Quante altre vie storiche di Carpi possono vantarsene?

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Metà anni  '50 Trattoria Caffè in via Manicardi n 6
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Foto Gasparini
Chiusa definitivamente la ditta creata nel 1941
dai fratelli Cinzio e Tonino. (Voce 12 gennaio 2006)

Foto Gasparini, lo studio che ha fissato in immagini in bianco e nero più di sessant'anni e fra i più importanti della storia cittadina, ha chiuso definitivamente l'attività. L'ultimo epigono di una illustre tradizione di famiglia, Gianfranco Gasparini, che pur in forma ridotta dopo l'avvento delle tecnologie digitali aveva mantenuto in vita l'insegna, ha abbassato definitivamente la saracinesca. Ora, buona parte della cospicua e incredibile memoria iconografica costruita nei decenni dagli obiettivi dei fratelli Tonino e Cinzio Gasparini è confluita negli archivi del Centro etnografico collegato ai Musei di palazzo Pio: un'autentica miniera di immagini che la responsabile, Luciana Nora, ha provvidenzialmente saputo acquisire con gradualità alle raccolte pubbliche, facendole conoscere attraverso le numerose rassegne allestite negli ultimi anni, autentiche schede della trasfigurazione antropologica di Carpi nella seconda metà del Novecento.
La ditta "foto Gasparini" non si è mai spostata da dove è nata e cresciuta, unendo nell'attività professionale la vita di due famiglie: all'esterno, gli obiettivi di Tonino e Cinzio impegnati a riprendere eventi pubblici e privati, fatti storici e quadretti familiari o sociali; e dentro, impegnate per anni in lunghissime sedute in camera oscura per sviluppare, fissare e stampare le foto all'epoca del bianco e nero, le rispettive mogli, Iria e Zelma, coadiuvate dallo stesso Gianfranco, figlio di Tonino, e dalle sorelle Rosa, Gianna e Gloria a cui si aggiungeranno più tardi e più saltuariamente, anche Alberto e Angela, i discendenti di Cinzio. Questa fusione di vita e lavoro, di famiglia e ditta era ben percepibile nell'animatissima casa di tre piani al civico 5 della Cagnóola (la parte vecchia di via Manicardi). Nel corso degli anni i suoi spazi vennero progressivamente adattati, restringendo la dimensione domestica a vantaggio delle esigenze del negozio e dell'attività esterna, in un miracoloso equilibrio che oggi sarebbe inconcepibile, ma che era del tutto normale in una città che assisteva al trionfo in tutti i settori economici del modello dell'impresa familiare. Il cortile diventò così garage, il piano terra negozio e archivio, il primo piano camera oscura con annessi e connessi, mentre le scale erano un continuo andirivieni, mosso da ragioni domestiche e aziendali e dove l'odore della pellicola si mescolava ai profumi della cucina. E mentre nelle vetrine del negozio, sempre quello, rimasto immutato nelle dimensioni e, a lungo, perfino negli arredi, si aveva modo di assistere all'evoluzione tecnologica di macchine fotografiche e cineprese, a partire dalla italiana Ferrania, all'esterno Tonino e Cinzio immortalavano senza saperlo il volto di una comunità in trasformazione.
Avevano iniziato negli anni Trenta come reporter sportivi. Le foto di gare ciclistiche, partite di calcio e degli avvenimenti agonistici più popolari erano destinate alle testate locali. L'evento che li indusse a insediare una vera e propria azienda fu però la visita a Carpi di Benito Mussolini, il 28 luglio 1941: "Nella circostanza - ricorda oggi Cinzio, 83 anni - si mobilitarono il fotografo Bandieri di Modena e il Comando federale della Gil, ma ci fu lavoro anche per noi".
Da un fatto storico all'altro: saranno i due fratelli a documentare l'ingresso in città del primo carro armato americano Sherman, a riprendere i volti dei tanti apolidi raccolti nel campo di Fossoli, a realizzare la drammatica sequenza dell'esumazione dei fucilati al poligono di Cibeno e la successiva edificazione, sempre a Fossoli, della Nomadelfia di don Zeno.
Ma la città negli anni della guerra viveva anche una propria difficile quotidianità: "E siccome - rievoca ancora Cinzio - la domenica non c'era molto da fare, il cinema non funzionava perché toglievano la corrente ed era difficile spostarsi, vennero di moda le passeggiate al parco con la famiglia". Per la neonata "foto Gasparini" fu la svolta: per anni, anche dopo la fine del conflitto, i gruppi familiari ripresi la domenica pomeriggio fra alberi e panchine del parco delle Rimembranze, nei pressi del monumento al generale Fanti, diventeranno insieme un filone commerciale e uno spaccato di società in bianco e nero. A esse andarono accostandosi la documentazione delle gite sociali ("Mi capitava di partire il sabato per il lago di Garda in un pullman di Valenti, di dormire dai contadini e di ritornare la domenica, con la gita successiva. Poi si sviluppavamo e vendevamo le foto che avevo scattate", ricorda ancora Cinzio), i matrimoni, i battesimi e le cerimonie in genere, le veglie, la Festa dei Ragazzi al parco. In parallelo con un panorama economico che andava sempre più arricchendosi, cominciarono poi le commesse di foto industriali, la documentazione delle manifestazioni fieristiche e delle inaugurazioni aziendali.
C'erano sempre, i Gasparini: chiamati per precise circostanze, ma anche presenti in proprio, per quello spiccato senso dell'attualità che derivava loro dall'originario e mai sopito istinto dei reporter, affidando la propria tempestività dapprima alla motocicletta (sempre Guzzi, dalla Sport 15 all'Astor al Falcone) e poi alle utilitarie attrezzate, anche qui mirabile fusione di vita privata e lavoro. Documentarono così la ricostruzione, seguirono il Giro d'Italia, le prime edizioni della Fiera di Milano, l'apertura della tratta modenese dell'Autosole, assistettero a tutti gli avvenimenti che, nel corso degli anni Sessanta, si incaricarono di trasferire Carpi e l'Italia dalla secolare dimensione rurale alla più dinamica, avventurosa e travolgente avventura dell'industrializzazione e del benessere.
La fine della pellicola ricalcò la pasoliniana "scomparsa delle lucciole", per i fratelli Gasparini: la scomparsa del bianco e nero e dello sviluppo su scala domestica, l'avvento del digitale, il tramonto dell'era dei rullini e delle cineprese, insieme alle scelte della discendenza segnarono l'inizio del lungo addio della ditta.
Dei due fratelli, Tonino, scomparso nel 1999, era l'autorevolezza matura, silenziosa e competente trasferitasi in buona parte in Gianfranco; Cinzio l'estroversione, la comunicatività pronta e mista alla curiosità dell'eterno ragazzo. E le donne rappresentavano il sostegno infaticabile, una coralità nella quale si coniugavano il senso dell'unità familiare e quello di una impresa comune. Proprio come la grande casa della Cagnóola che ha spento in questi giorni l'insegna. 
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La via che non muore mai
Secondo raduno degli ex della Cagnóola (Voce 24 aprile 2008)

La seconda edizione della Festa della Cagnóola ha registrato il consueto successo di partecipazione di ex residenti nella storica via Sergio Manicardi, convenuti in più di un centinaio all'appuntamento organizzato da Gloria Pantaleoni e Renato Corsi il 19 aprile scorso al ristorante il Poggio. Passano gli anni, i lutti ovviamente non mancano come pure le defezioni dovute all'età, ma non si affievolisce il forte legame di tanti che vi hanno abitato (gli attuali residenti storici sono una esigua minoranza) con i ricordi di quella via di città - case a schiera alternate a qualche cortile - cresciuta verso la fine degli anni Venti fuori le mura, forse per ospitare gli operai addetti alla costruzione e gestione del vicino molino Verrini. Non aveva niente - e non ha tuttora niente - la Cagnóola da spartire con l'habitat delle periferie edificate nei decenni successivi, tutte villette mono o bifamiliari isolate nel loro quadratino di verde recintato dalle cancellate.
Proprio la contiguità di quelle case, gli ingressi uno accanto all'altro che davano direttamente sulla via deve aver consolidato un forte senso comunitario, coltivato in tanti momenti collettivi, nei giochi dei ragazzi fra strada e cortili come nelle chiacchiere da una finestra all'altra e nell'abitudine a condividere momenti di gioia e di dolore. E' quello "spirito di contrada", insomma, che fatica a disperdersi e continua ad attirare, anche da lontano, chi ha avuto la fortuna di viverlo anche solo per qualche tratto della propria esistenza.
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2012 - Via Sergio Manicardi
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Con Cinzio Gasparini, Carpi saluta un pezzo del proprio Novecento
Settant'anni di fotografia (Voce 28 giugno 2012)

Avrebbe compiuto novant'anni tra due mesi. Non ce l'ha fatta, Cinzio Gasparini, e si è spento il 26 giugno là dove avrebbe voluto: la sua casa al civico 5 della Cagnóola, l'unica in città che ancora può esibire un'insegna a bandiera, e con quella scritta "Foto Gasparini" che è stata molto più di un segnale commerciale, per assurgere a simbolo di un'epoca, di uno scorcio molto ampio di storia cittadina.
E' quello che si potrebbe riassumere nelle quattro parole che hanno scandito il secondo Novecento di Carpi: la guerra, il dopoguerra, la ricostruzione e il miracolo.
Queste fasi della vita della città non sarebbero arrivate fino a noi, per di più avvolte nell'aura dell'epopea, se non ci fossero stati i fratelli Tonino e Cinzio Gasparini a ritrarle con lo scrupolo, la precisione e soprattutto la passione di un mestiere di fotografi coltivato fin da giovanissimi. Tonino, il maggiore, scomparso nel 1999, era il taciturno, compreso della propria professione quanto aperto agli stimoli della modernità che essa dischiudeva con gli eventi che la cronaca di anni in ascesa andava continuamente proponendo.
Cinzio era l'inquieto, il polemico, l'osservatore curioso di tutto, appassionato e impulsivo, quanto il fratello era distaccato e ragionatore. Insieme, completandosi, hanno cominciato negli anni Trenta, come fotografi di eventi sportivi, e insieme hanno proseguito, documentando la venuta di Benito Mussolini a Carpi, l'esumazione dei fucilati di Cibeno, la vita all'ex Campo di Fossoli dopo la guerra, la vicenda di Nomadelfia con don Zeno. Negli anni Cinquanta, con una città in cerca di futuro fra tentativi falliti e qualche successo, ripresero le prime, timide fiere campionarie di Carpi, mentre con i ritratti delle famiglie in passeggiata domenicale al parco o alle prese con matrimoni e battesimi o in gita sui pullman di Valenti al lago di Garda hanno lasciato una ineguagliabile testimonianza del costume e della società del tempo. Poi vennero gli anni Sessanta, pervasi dell'ottimismo che faceva della fiera di Milano un appuntamento imperdibile e del viaggio Modena Sud Modena Nord in Autosole uno spaccato di vita americana ... Loro c'erano sempre, sulla loro Guzzi o con l'850 Fiat, fossero gli eventi collettivi, come il Giro d'Italia, o le foto ai campionari della maglieria e ai prototipi dell'industria meccanica.
Si deve alla fruttuosa collaborazione con Luciana Nora se quell'enorme patrimonio di memoria - esibito anche in diverse mostre - è rimasto in dotazione al Centro etnografico del Comune. Nessuno riuscirà a cancellarlo, nemmeno il terremoto che sembra essersi portato via, insieme a un pezzo di Carpi, anche la vita di Cinzio Gasparini.
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Vitti matrimonièeli - di Mauro D'Orazi Carpi - Dialetto carpigiano



 v 21 del 18-6-2013
Vitti  matrimonièeli

(Vite matrimoniali)  di Mauro D'Orazi 
Carpi dialetto carpigiano

S im l issen ditt (se me lo avessero detto), non ci avrei creduto che anche mé a srèev finìi impichèe in simma a la pèerdga di salàmm (che sarei finito sulla pertica dei salami a stagionare).
Salami appesi alle apposite pertiche per la stagionatura

Il 22 aprile è una data importate: c’è stata la LiberaSione di Carpi nel 1945 e appena otto anni dopo a suun né mé … sono nato io.
Nemmeno è trascurabile che lo stesso giorno nel 2001 sia nato Lucky, il nostro cagnone di famiglia, di cui io sono lo zio. Un personaggio silenzioso e affettuoso, la cui costante e affamata presenza, mi (ci) ha accompagnato lealmente in tutti i più importanti e decisivi passaggi della vita, tristi e felici, degli ultimi anni passati.

Ebbene il 22 aprile del 2013 a ssaant ann, giùsst giùsst, precìiṡ precìiṡ, a i ò tóolt muièera, o forse   pèr diir mei … l è stèeda lè a torèmm mé.
A sessant’anni giusti e precisi ho preso moglie, o forse … per meglio dire … è stata lei che ha preso me.

Quaanti vòolti lè l am gìiva: “Biṡòggna ch a se spuṡòmma!”
E mé: “Mò chi vóot ch a s tóoga a la nòostra ètèe!”
Oppure: “In primavera, amóore! Cun al róosi … al dè dal màai!
Quante volte lei mi diceva: “ Bisogna che ci sposiamo!”
E io: “ Ma chi vuoi che ci prenda … alla nostra età!”
Oppure rispondevo: “In primavera, amore! Con le rose, ma non il giorno di maggio, ma il giorno del … mai!”
*0*



Fatto sta che si è aperta una nuova fase: quella della vita matrimoniale.
Un argomento di infinite fonti letterarie, aneddottistiche, di proverbi, di modi di dire, ecc …
Anche il nostro dialetto e i nostri costumi locali sono in prima fila su questo argomento.
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Gianfranco (Gigia) Sgarbi - Carpi - ricorda, con simpaticissimo raccontino in prima persona, i nonni paterni e il loro modo di rapportarsi nella vita coniugale.
“I nonni di Gigia

I miei nonni paterni si chiamavano Cesare Sgarbi e Maria Cavalieri.
Parlare di mio nonno è meraviglioso, perché gli ho voluto molto bene.
Cesare era un uomo che nella vita non aveva fatto altro che lavorare come contadino e giardiniere fino ad oltre 85 anni (è morto ad 88 anni), è stato decorato Cavaliere di Vittorio Veneto ed era molto buono.
Mia nonna Maria invece era una che aveva studiato molto, per la sua epoca, e comandava e disponeva sempre tutto:

- Magna mò Ciciòun (era il suo soprannome) t è gh é fàam!  Mangia mò che hai fame e magari erano solo le 11,30 di mattina.
- Làasa mò lé! T è bèelè magnée abasta!  Lascia lì che hai già mangiato a sufficienza e doveva ancora finire quello che aveva nel piatto. 
- Và mò a lètt Ciciòun t è gh é sòon! Vai a letto che hai sonno ed erano le 20,00.
- Lèevet Cicòun t è già durmì abasta! Alzati che hai già dormito abbastanza.  
- A gh è da taièer l'èerba! C’è da tagliare l’erba e stava facendo altre cose.
- e dopo un po’ ... Làasa mò lè! T è già lavurée abasta! Lascia lì e doveva ancora finire.
- Fùmma ‘na sigarétta Ciciòun te gh n è vòoia! Fuma una sigaretta che nei voglia e non lo aveva neppure in mente.
- dopo solo due tiri ... Làasa lè ch a m dà fastiddi! ... Lascia lì che mi dai fastidio.

Era un continuo richiamo al fare e non fare per proteggere la sua età e la sua infinita voglia di fare, di non stare mai fermo. Ho un ricordo immenso di mio nonno che mi seguiva quando correvo in moto ed era di una discrezione tale che nemmeno ci accorgevamo della sua presenza. Grazie Dorry per avermelo fatto ricordare.
                                   Gigia 2013”
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Ecco invece una scena domestica in via Galvani, dove ho abitato per tanti anni in una casa INA con quattro famiglie: Réenso sgrida nervosamente la moglie Afra circa la scelta del metodo migliore per riporre in granaio i vasi del giardino per il riposo invernale. A un certo punto lui le fa sbuffando: Te n capìss GNIINTA!!”. Lei brontolando raucamente con un pesante vaso in mano, barcollando lungo le scale: “Nuèetri (sottinteso … dònni) a gh òmm sóol cla furtuuna lè! Noi donne abbiamo solo quella fortuna lì!”
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Succede purtroppo che molto coppie non vadano d’accordo e l’unione esploda.
In questo caso sono guai seri soprattutto per i mariti, quando la moglie di fronte alla legge può vantare l’ostàag’ o i ostàag’.
Come diceva l’indimenticato Barry (Claudio Baraldi) nei momenti difficili con la moglie: “I gh aan l’ostàag’! Hanno l’ostaggio!”
L’ostaggio, purtroppo, non è altro che un figlio, che consentirà alla moglie quasi sempre affidataria, a torto o ragione, di ottenere, da una non sempre corretta giustizia, di spolpare pesantemente per anni e anni il meschino ex consorte.
Che non di rado il poveretto sarà costretto ad abbandonare la propria casa, tenendosi però … sia ben chiaro … le rate del mutuo da pagare.
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Sempre riguardo ai figli e ai problemi che ne derivano, si è soliti augurare con perfidia:
Dal mèel a nisuun e di fióo a tutt! Del male a nessuno, ma dei figli a tutti!
Chi 'n sà 'd fiòol, a n sà d vitta!  Chi non sa di figli, non sa cos'è la vita"

Quando vedi in piazza un tuo amico, senza la moglie, ma con il figlio in carrozzina o in bici sul seggiolino, s ocórr cun la spòorta d la ṡpéesa (eventualmente con la sporta della spesa), lo si potrà prendere in giro con questa fase:“Vè! Va indù t vóo! S tè t ii n sèint!“
(Vè, vai dove vuoi! Se te ne senti!)”
 
1947 - Padre e figlio in bici
Lo stesso capita se un amico ti vede spingere il carrello strapieno alla Coop; tu sei lì … mogio mogio, privo di ogni dignità umana e di volontà dell’essere, all’obbediente seguito di tua moglie.
Se capita poi che la moglie arrivi in tempo per sentire la frase di presa in giro, dopo pochi secondi, in falsetto stizzito, chiederà argnèeda al marito, fingendo di non aver capito:”Cosa ha detto quel cretino?”
Quando una persona l’è argnèeda (o arghignèeda) evidenzia un’espressione del volto disgustata fra il dolore e il fastidio.
Altre frasi ironiche in tema:
Va indù t vòo ... cadèina cuurta, mai lunnga !
Va pure dove vuoi … catena corta, lunga!
Va indù t vòo … aaah la libeterèe èd ca sua e pòo … più!
Va pure dove vuoi … aaah la libertà di casa propria e poi più!

        
Le tre parole magiche per una serena vita matrimoniale: “Sì! Caaara!
Silenzio e rassegnazione e alla minima terribile proposta sul tipo “Sabato prossimo sarebbe bello andare all’IKEA.”    Sì! Caaara! Mi sembra un’ottima idea!”
Lée: “A m pieṡrèev fèer un bèel fine settimana!”
Lò: “Anch a mè! A se vdòmm lunedèe matèina!”
I disèen che un da per lò si diverte il doppio e s al spèend la metèe.
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Indovinello doppio

Tutt i dé mé marì a m al pòorta a ca,
mè al sfrèegh cun la mé “bagaaia” ,
sòtta al crèss e sóovra al caala.
Tutti i giorni mio marito me lo porta a casa,
io sfrego con la mia “cosa”,
sotto cresce e sopra cala.

Niente di ché: si tratta del formaggio grana … al graana, che fino agli anni ’40 non si distingueva nell’eccellenza del Parmigiano Reggiano, e dla raṡóora, cioè della grattugia.

‘N raṡóora èd ‘n vòolta

Piutòost che tóor muièera, a còumper ‘na Gilèera! C’è chi faceva scelte di vita precise e preferiva comprare la Gilera, piuttosto che prendere moglie.
1956 - Girera 150 c c

Nel mantovano, dove al mutuur, negli anni ’50 aveva la sua importanza, una ragazza confidandosi con l’amica circa il futuro marito, diceva: “A n è mia béll, bèel, la al gh à la Vesspa! (Non è molto bello, ma ha Vespa!)”

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“Gh èe t la féevra?  Hai la febbre?” Chiede la moglie stupita che al marito una di quelle rarissime volte che stranamente rientra prestissimo dal bar o addirittura resta a casa.
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Primo Saltini (Carpi) ricorda che assieme a un suo vicino stavano rastrellando le foglie autunnali sparse sul marciapiede. Muovendole, protetto da una tiepida l'umidità, saltò fuori un verme grosso e bello disteso per la sua lunghezza. Al ché, il vicino stupito esclamò ad alta voce: "Mò vacca bòoia! Ècch bigòun! (Accipicchia che vermone!)”. Proprio in quel momento si affacciò dalla finestra la moglie del tizio, che prontamente esortò: "Tiin èl da càat ch al t póol sèmmper servìir!  Tienilo da conto, che ti può sempre essere utile! ”

A lavèers i pée a se stà bèin un dè, a tóor muiéera ’na stmaana, a masèer al póorch un aan: lavarsi i piedi si sta bene un giorno; a prendere moglie una settimana, ad ammazzare il porco un anno. Indubbiamente ci sono molte varietà di piacevolezze nella vita.

Passa una gran bella fanciulla. Gli amici seduti al Bar Roma, dopo alcuni secondi di silenzio assoluto (il cosiddetto “silenzio della bellezza” che immobilizza il corpo e stravolge la mente), si guardano l’un l’altro con una faccia ammirata e stupita. Poi uno, scuotendo la testa, si riprende e dice: “La m fa pròopria schiiva!” - “Mò ’sa dii t? Ii t séemo?” gli ribatte un amico. ”Mò nooo! ’S’èe t capìi … a pinsèeva a mè muiéera!” (Mi fa proprio schifo! - Ma cosa dici? - Ma no! Cosa hai capito? Pensavo a mia moglie!)

“Va là vèecia ch a t guss!”: è la concessione di un anziano marito alla matura moglie per un ulteriore e svogliato rapporto sessuale. I vent’anni sono ormai lontani.
La frase si dice quando si fa una cosa, così tanto per farla e dove la fadìiga l’è più dal gusst.
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I palchi e la platea del Teatro Comunale di Carpi

Questo è aneddoto storico, molto conosciuto e dipinge bene una certa Carpi arricchita, ma sempliciotta che ha caratterizzato in passato la nostra città. Anni '60, prima dell'inizio dello spettacolo a teatro, due signore in parùcaa (o in pirùcca) e bóorsa, mogli di ricchi magliai, guardano con curiosità gli spettatori negli altri palchi e in platea. A un certo punto una dice a bassa voce all'altra: "Vedètt ... quèela là, in quèerta fiila, l'è la pratica èd Tizìi ! " Vedi quella la in quarta fila è l'amante di Tizio (il nome di un altro magliaio che non posso svelare). L'amica guarda con attenzione e dopo un po' esclama: "Bèe mò! Al nòostri in pòo dimmondi più bèeli!" (Le nostre però sono poi più belle!)

Tanti anni a fa Carpi a un marì al murì in simma a la sò praatica. (Un marito morì all’improvviso addosso all’amante, mentre facevano l’amore). La moglie, costretta anche all’imbarazzante recupero del corpo esanime, pensò bene di tutelare a ogni costo il buon nome della famiglia, facendo incidere sulla lastra di marmo del tombino:
MARITO FEDELE - PADRE ESEMPLARE.

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Chiudo con una citazione di altissima qualità.
Il più grande poeta carpigiano Mario Stermieri (1886-1910), ci regala questa viva pennellata sul rapporto di coppia all’interno di una sua splendida poesia del 1909 L imberièegh :

«Quàand i iin zóovni, stèll serpèinti,     Quando sono giovani, ‘ste serpente,
pèr spuṡèeres i iin furèinti;                    per sposarsi son furenti;
dòop sée méeṡ èd matrimòoni,              ma dopo soli sei mesi di matrimonio,
i me dvèinten taant demòoni!».             si trasformano in tanti demoni.

Nell’incisiva e splendida quartina, il poeta condanna magistralmente il furore delle ragazze carpigiane per arrivare a ogni costo al matrimonio. Però, non appena raggiunto lo scopo dell’agognato sposalizio, si affrettano a mettere in atto l’antica, biblica unione di intima sostanza col diavolo, per tiranneggiare capricciosamente il consorte.

  
Al serpèinti

A tale proposito si può ben citare il detto che … dòop al srèesi a vìin i duròun … dopo le ciliegie vengono maturi … i duroni, cioè, giocando sulle parole, le cose più dure e spiacevoli.