sabato 12 novembre 2016

Gusti e odori dei cibi in dialetto carpigiano di Mauro D'Orazi

Gusti e odori dei cibi in dialetto
di Mauro D’Orazi
La casistica dei cattivi gusti, sgradevoli odori e spiacevoli consistenze è piuttosto vasta e articolata; in passato non c’erano i nostri spaziosi e indispensabili frigoriferi che ornano ogni cucina d’oggi.
  La Ruscaròola èd Chèerp Tre
il recente libro di Mauro D’Orazi
ancora una volta primo assoluto nelle vendite per molte settimane nelle librerie e nelle edicole

Il dialetto naturalmente ha colto in pieno questo sensazioni, spesso sgradevoli al palato o al naso; così troviamo tante parole e modi dire molto caratteristici, spesso ironici e divertenti. Dal mio libro La Ruscaròola èd Chèerp Tre   ecco alcuni esempi fra i più significativi.

Nel dopo guerra non di rado alcuni salumieri carpigiani tenevano anche prodotti non di gran qualità che potevano essere venduti a prezzi contenuti.
La miseria era diffusa e la gente si adattava, anche se, dopo il forzato acquisto, non mancavano di certo pesanti critiche e prese in giro per bottegaio.

Ad esempio il grana (il parmigiano non c’era allora, o quanto meno non si distingueva, ma nacque per fortuna di lì a poco) al psiiva avéer al furmighìin, o la furmiiga, o al scapèin, o al psìigh (il pizzico) quando assumeva l'odore pungente sul tipo dell'acido formico, o sapere di disgustose pedule puzzolenti, o prendere una punta di acido
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Al tempo era noto in particolare un bottegaio ch al gh iiva un persùtt cun al scaldèin (o al caldèin), cioè che aveva preso un colpo di caldo e le sue qualità organolettiche erano irrimediabilmente degenerate.
Con la consueta ironia corrosiva carpigiana, il gestore fu soprannominato “Il Musichiere”, traendo il nome da una nota trasmissione televisiva del tempo, ma soprattutto perché in dialetto, quando una cosa o una persona emana un cattivo odore, si dice che... suona.
Sempre con lo stesso significato, c’era anche chi chiedeva: “Daa m dóo fètti èd sonòoro! (Dammi due fette di... sonoro)”
Capitava anche che d'inverno qualche amico entrasse in bottega e vedendo il prosciutto fallato sull'affettatrice, avvicinasse le mani... sfregandole. "Sèint mò ècch caldèin ch a gh è chè dèinter!" (Senti che bel caldino che c'è qui dentro!)
Interessante a tale proposito notare che anche a Bologna usano un'espressione simile, chiamandolo "parsótt con la chèlda".

Qualche altro maligno insinuava anche che al persùtt al girìss da pèr lò, spostandosi con mezzi autonomi dal retro bottega fin sul bancone di vendita.

Ci sono poi anche alcune interessanti disamine sulla patologia dei prosciutti.
"Gh èe t al mèel dal persùtt?" si dice a chi lascia la porta aperta, perché il prosciutto da stagionare richiede aria fresca.
Avéer al mèel dal persùtt, male del prosciutto. È un detto scherzoso per indicare quella malattia che, sotto le armi quando c’era la naia, faceva ottenere una lunga licenza alla recluta in cambio di un prosciutto al maresciallo.
Coréeger un persùtt significa accudire alla stagionatura di un prosciutto, ma anche cercare di salvarne almeno una parte, togliendo dal un prosciutto “malato” il pezzo andèe da mèel.
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Un altro fetido cibo avariato è l óov unndeṡ o ènndeṡ; questa strana e misteriosa parola indica infatti uovo marcio.
Essa sta a significare... indice o endice, cioè l'uovo che la reṡdóora di campagna collocava in posti predeterminati, per... indicare... alla gallina il posto dove abitualmente doveva deporre con sicurezza le uova.
Esso poteva essere di legno e allora non c'era problema, ma non di rado era vero. Poiché non si buttava via niente, spesso era un uovo difettoso, da cui non sarebbe mai nato un pulcino. Veniva utilizzato per un tempo indefinito.
Ciò faceva sì che l'uovo, se già non lo era, si guastasse e in caso di rottura emanasse il noto fetore, detto appunto di... uova marce.
C'è però chi si divertiva a interpretare scherzosamente la parola e ad abbinarla per puro gioco verbale al numero undici, col quale però non c’entra nulla, assolutamente nulla, se non per curiosa assonanza.
Accadde che durante la seconda guerra mondiale, la madre di un soldato mandasse un pacco di alimentari al figlio lontano. Un salàam di quelli fatti in casa, un bensòun, un pèer d calsètt per sostituire le classiche pezze, qualche altra cosetta e infine dieci uova sode.
Il figlio ricevette il pacco poco più di un mese dopo, si affrettò a ringraziare la madre premurosa elencando con ordine il contenuto del pacco per assicurare che nulla fosse stato sottratto. Citando le uova alle fine dell'elenco precisò che le dieci uova erano diventate unndeṡ o... dòddeṡ, perché nel trasporto qualcuna di esse era andata a male.

Ma passiamo in rassegna nel nostro simpatico dialetto i vari gusti, puzze e odori, consistenze sospette, quasi sempre riferiti a cibi o bevande:

·        al gh à al scapèin e al sà èd furmiiga! o al sà èd furmighìin... o al psìigh; di questi interessanti termini si è già trattato poco sopra;
·        al sà èd machìin; simile ai precedenti: odore e sapore di rancido; al persùtt (o al furmàai) l à ciapèe al machìin - il prosciutto (o il formaggio) ha preso odore di rancido; machìin indica pure un cattivo odore di indumenti ammuffiti, mal conservati in luoghi umidi e malsani;
·        al sà d caldùss o d scaldèin, sapore avariato e sgradevole di carni o salumi mal conservati; rancido;
·        al buttèer al gh à al rumghèin , quando  prende di rancido (nel bolognese);
·        l è scalmìi, quando un alimento sa odore di muffa; cal furmàai chè al sà èd scalmìi... questo formaggio sa di vecchio;
·        al gh à al luméedegh o lumaadegh, sapore di mucido, ammuffito o stantio;
·        al sà d cagnùss, odore molto pungente e sgradevole simile alla puzza del pelo del cane bagnato; lo si può sentite in cibi mal conservati, in piatti, pentole bicchieri lavati male e asciugati peggio;
·        a gh è 'na pèesta ch la s arghiggna, c’è un odore che fa corrucciare il viso;
·        l è staladìi o staradìi , stantio, rinsecchito; un termine che si usa in prevalenza per il pane vecchio e i biscotto, anche in versione con la “e” fonetica di supporto: estaladìi o estaradìi;
·        al sà d aràans, sa di rancido; fatto rilevante per il nostro dialetto è che nell’uso moderno… aràans indica il frutto dell’arancia, che invece aveva l’antico nome di portogàal, oggi quasi in disuso; ransuum, ransumèeri, quantità di grassi che si sono irranciditi (termini scherzosi);
·        l a ciapèe al fòort, un cibo, ad esempio formaggi o carni, sta cambiando sapore e il suo gusto diventa… deciso, al limite del mangiabile; il vino quando comincia a inacidire in aceto;
·        al pussa d caiòun… irrimediabile, né con frequenti lavaggi, né occultabile con pregiate essenze;
·        al pussa cóome ’n unndeṡ, come un uovo marcio;
·        l è mèers pòoder o pòddegh, al femminile l'è mèersa pòddga... marcio completamente; anche l è faat, l è maduur;
·        l è mèers patòoch... marcio fradicio si dice ad esempio di un frutto, ma anche di una persona dalla morale corrotta;
·        l è mèers in pée... è marcio in piedi, molto marcio;
·        l è ṡmulèddegh... si riferisce a un cibo viscido, di consistenza molliccia, “mollicosa”; si può riferire a persona sfuggente o ambigua;
·        l è ṡguìtter... ‘na mnèsstra ṡguìttra... cibo scivoloso, una minestra poco consistente; ad esempio delle tagliatelle condite male o poco e con troppa acqua dovuta a una insufficiente scolatura o a un ragù eccessivamente liquido;
·        l è dsèvved o sèvved... è insipido; lo si può riferire anche a persona di poco intelletto con scarso sale in zucca;
·        al ne sa né èd mé mè èd tè (né èd chi l à faat)!, non sa né di me, né di te (né di chi l’ha fatto); espressione che si usa dopo aver messo in bocca un cibo che non sa di nulla; può essere riferito a tutte le cose mediocri,senza lode e senza infamia;
·        l è salèe, salato; “mò chi t à salèe?” ecco una frase ironica rivolta a chi si comporta in modo sciocco, alludendo al rito battesimo che prevede l’uso di qualche granello di sale nella bocca del neonato;
·        c'è anche del pane che, invecchiando, diventa tiròun, oppure al contrario sèech e sèech rabìi;
·        l è scaalis significa che un alimento è stopposo o fibroso; si usa per un rapanello non fragrante… un ravanèel scaalis;
·        l è scudrèggn sta per coriaceo, tiglioso, cotennoso, legnoso, fibroso; un pòmm scudrèggn è una mela coriacea, al pari della sua buccia; la parola dovrebbe derivare dal latino cutis;
·        al fa spadìir… che fa allappare, allegare i denti o la bocca; dà alla bocca la sensazione dei frutti aspri o acerbi, che legano... figurato: la n gh à mìa spadìi in bòcca! persona che parla, esterna ciò che pensa (anche di maleducato e sgradevole) con estrema libertà di linguaggio, senza porsi dei timori reverenziali;
·        L è avròdegh. Parola arcaica, certamente interessante, non carpigiana, ma del dialetto delle montagne bolognesi, significhebbe aspro, acerbo, ad esempio di frutta;
·        la pèer un sedròun! sembra un cetriolo! così si definice, con espressione disgustata, una cocomera senza zucchero e dal sapore cattivo; da notare che cocomera e cetriolo appartengono alla stessa famiglia vegetale;
·        d’inverno un buon brodino caldo... l umillia al stòmmegh, cioè ben predispone lo stomaco;
·        al sa èd strinèe! sa di strinato! quando un cibo è cotto male e bruciacchiato
·        la pèer ‘na sóola! sembra una suola! quando una bistecca è particolarmente dura dopo la cottura;
·        l è tachìss, è attaccaticcio, “taccolento”, appiccicoso; è una caratteristica di un bòun sampòun o anche di un cudghìin; il macinato che compone queste prelibatezze modenesi, quando è buono, evidenzia questa caratteristica di collosità;
·        l è mulṡèin, è morbido, soffice, liscio;
·        la farèina la muccia palóor  (pallore) quando è troppo vecchia;

  • l è tgniss, è tenace, coriaceo, resistente; può essere riferito a cibi di non agevole masticazione o anche a vini dal gusto “duro”. 

A Gigiin Liivra - A Gigi Lepri - Grandissimo bolognese - dialetto bolgnese - Carpi di Mauro D'Orazi dialetto carpigiano

Prima stesura 9-7-2016                                       v03 del 9-7-2016

A Gigiin Liivra
(a Luigi Lepri dopo la pubblicazione del sul libro di poesie Al Rusicaan)

Ṡuuntèegh mò aanch quèssta…
al tóo poveṡìi rusticaani!
Dièevel èd ‘n òmm!
Uun ditt carpṡaan al diis:
“Gigiin da l aan pasèe,
invèece èd crèsser… l è calèe!”
Mò invèece Gigiin Liivra
tutt i aan al crèss
e a n è mai li stèss:
scritóor, atóor, dupiadóor, giornalìssta,
poeta, eminèesa griiṡa èd soquaant sindèegh,
sproloquìssta, cumpiladóor èd vòcabulaari,
fantèesma, divulgadóor e profesóor dal dialèet, ecc…
Un GRANDE!! Mò dabòun!
Unna dal mióori persòuni che mè aabia mai cgnusùu.
Al gh à sóol un piccol difetèin:
l è bulgnèes e mia carpṡaan!
Mò cóome a giiva mè nòon:
“Nisuun l è perfèet…
a ste mònnd!”

Con affetto

 Mauro D’OraSi

Il mistero della lapide scomparsa di Mauro D'Orazi - Carpi - dialetto carpigiano

Prima stesura 12-07-2016                                                      V09 del 19-10-2016

Il mistero della lapide scomparsa
di Mauro D’Orazi
si ringrazia Lucia Armentano per la preziosa consulenza

La lapide negli anni ‘90

Dal 1885 questa lapide faceva bella mostra di sé nei giardinetti; era presso l’angolo destro del retro del teatro, subito alla sinistra della seconda rampa.

La dislocazione della lapide

Giuseppe Rebuttini (industriale del truciolo) affidava alla fecondità dell’orto domestico… un carpine! Augurando a Carpi e al civico emblema… prosperi gli eventi!
Non male come auspicio e la nostra città ne ha certo beneficiato, soprattutto nel secondo dopo guerra, ma albero e lapide hanno invece avuto eventi e sorti tristissimi.
Il carpine ormai non c’era più da anni e nel 2004, io con Ada Menozzi, allora neo presidente del Consiglio Comunale e Anna Maria Ori, storica e esperta di “cose” locali, tentammo disperatamente di ridare il senso originario alla lapide, sollecitando la messa a dimora di un nuovo carpinello (simbolo del nostro glorioso Comune). NIET! Niente da fare, gli esperti del verde ci dissero che c’erano troppi alberi tutto intorno e che la piantina non avrebbe tenuto, causa mancanza di luce. Per me era una balla bella e buona, o una miserrima scusa; si poteva comunque tentare, considerata anche la spesa contenutissima. Ma non ci fu nulla da fare! Ed ebbi pure la chiara sensazione che ci prendessero per i fondelli con gran divertimento.

La lapide nel 2009
Poco tempo dopo (2009/10 ?) la lapide fu poi distrutta da mano ignobile di un essere mentecatto, che nella vita non potrà altro che aspirare alle più luride mansioni lavorative e che avrà dei figli bastardi come lui.
La cornice residua, dopo il vandalismo.

Poi è rimasta solo la povera cornice di ferro, che quando piove si trasforma in una piscinetta fangosa per cani. Ancor oggi è visibile nel suo squallore.

Peccato! Era una bella testimonianza a cui tanti prestavano curiosa attenzione.
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Ma chi era questo Giuseppe Rebuttini?
Rebuttini Giuseppe è citato in Storia di Carpi. vol. III tomo I come consigliere comunale nelle elezioni del 1889 e viene ricordato come un protagonista del movimento cooperativo.

Ci sono alcuni dubbi e considerazioni da verificare. Infatti, riflettendo la cosa in sé non convince del tutto.
Rebuttini parla del suo giardino? Come fu possibile che potesse definire il giardino pubblico come “domestico”?

Mi mancano al momento dei pezzi di questa piccola storia per venirne a capo compiutamente: la data di morte del Rebuttini, il suo indirizzo di casa per verificare, se dove abitava c’era un giardino idoneo …
Il mistero è doppio. Future ricerche potranno chiarire questi dubbi.

A tale proposito ecco l’opinione di Luciana Nora, già responsabile della Sezione Etnografica del Museo di Carpi, nel 2009 scriveva ad Ada Menozzi, in quel momento Presidente del Consiglio Comunale, che le chiedeva chiarimenti circa la lapide in giardino, avendo l’intenzione (vana) di far ricollocare un carpine:
-Giuseppe Rebuttini è stato uno degli industriali del truciolo di Carpi fra i più illuminati dell’Ottocento; era amato dai suoi dipendenti e orientato a “sinistra”.
“Nel "Giornale e memorie economiche" di Alfredo Bertesi, del 29 novembre 1905 si legge: -Ho visitata stasera una splendida collezione di campionari di treccia della vecchia ditta Giuseppe Menotti, ora in mano agli Eredi Rebuttini, e questi ne chiedono 1.000 lire. Io ne ho esibito 500, vedremo come andrà. - Al primo dicembre sempre del 1905, veniva annotato: - Carlo Zanoli ha combinato cogli eredi Rebuttini per il campionario in lire 600. È una spesa grossa, ma è una bella spesa. Il campionario ha un valore storico/artistico straordinario. Lo vedremo all'esposizione di Milano 1906.-
È da notare che agli inizi del '900 gli industriali, ma anche i politici (l’on. Bertesi era un politico) avevano sicuramente maggiore consapevolezza e sensibilità rispetto a quanto si produceva a Carpi. La lunga tradizione documentabile era il migliore attestato di affidabilità e qualità. Per quanto attiene all'"Orto Domestico", credo si facesse riferimento al giardino del Castello. Orto può essere inteso come Orto, o giardino botanico. Crederei che la lapide vada senz'altro salvata, forse affiancata da una spiegazione sintetica e, chissà, sarebbe bello rimettere un carpine! –
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 C’è da segnalare che in base a uno scritto di Policarpo Guaitoli del 1866 relativo allo stemma di Carpi e dei carpini esistenti nella nostra città si apprende che erano quasi scomparsi. La lapide di Rebuttini segnala la posa di un tale albero nel giardino. Giardino che dal 1859 si stava portando a compimento a corredo del nuovo Teatro comunale inaugurato nel 1861. Un bellissimo giardino realizzato da Carolus Susan, architetto ducale.
Nello scritto di Policarpo alla fine si trova questa frase: - … nel 1859 Carpi fu abbellita, unitamente al Teatro Nuovo di un elegante, anche se non esteso, giardino di proprietà del Comune. Si piantarono in esso diversi fusti di carpini, i quali, giova sperare, emuleranno in bellezza e ampiezza i loro predecessori.-

Giuseppe Rebuttini viene definito da Don Paolo Guaitoli industriale carpigiano del truciolo e da Alessandro Spinelli, autore di “Notizie sull’Arte del Truciolo a Carpi” come… - Egregio uomo che l’arte del truciolo elevò ad agiatezza, saputa nobilmente usare. Fu quel benefattore che piantò un albero di carpine e posò a ricordo la lapide. Carpine che la storiografia vuole essere l’albero su cui si posò il falcone di Re Astolfo. –
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Ecco alcune tracce grafico-commerciali della sua ampia attività lavorativa, risalenti alla fine dell’Ottocento/ primi Novecento.
  


1900 ca il biglietto da visita

Un'Ora - dialetto carpigiano - Carpi - di Mauro D'Orazi

Un'ora
sola ti vorrei   
di Mauro D'Orazi
L éera óora!  Finalmente!
'N’ óora tònnda. Un'ora completa.
'N’ urètta! Un'ora scarsa.
'N’ óora bòuna! Un po' più di un'ora

Che óor' è?
Detta secca secca è la frase detta con esaltazione, ad esempio quanto si è fatto una gran giocata carte, un bel tiro a bigliardo o a bocce.

Che óor'è? Te dmaand l'óora e i t rispònnden: "L è l'óora ch l'éera aiéer de st'oora!" Coglioni! (Che ora ? Tu domandi l’ora e ti senti rispondere: “È l’ora che era ieri a quest’ora!)
Oppure:"L'è l'óora te cumprìss 'n arlóoi!" È ora che ti compri un orologio.

Che óor' è?
L è l'óora te t ṡvèlli, èd tasèer, te te scàant, te t móov, te t daagh 'na mòosa! Te ciàap dl òmm! (che ti svegli, di tacere, che tu diventi scaltro, che tu ti muova, che tu ti dia una mossa, che cresci e prendi dell’uomo!)

A che óora t ciàam ia?
Domanda posta mò di rimbrotto a persona che in una certa circostanza si è dimostrata non perspicace o "addormentata". Costui, per ribattere, con ironia potrà dire: "A meṡdè e un quèert!" o "A un'óora dòop meṡdè!"

Dice il contadino:"A vàagh in campaagna ind l'óora bòuna! (Vado nei campi nell’ora buona!)”.
D'istèe, l'óora bòuna l è quaand l è meno chèeld (questo d’estate, quando è meno caldo); ma a s dìis soprattutto d inverèen, quando esce un po’ di sole e a s póol stèer fóora in di caamp sèinsa murìir dal frèed (ma si usa soprattutto d’inverno per star fuori nei campi nelle ore meno fredde).
“L'ora buona” è quella che in campagna indica l'orario migliore per lavorare con meno disagio.

L’óora leghèel e l’óora solèer – neologismi dialettali.

♪ ♫  ♪ Un'ora sola ti vorrei! Per dirti quello che non sai! ♪  ♪ ♫Putèina! (La mia ragazza)
E pò dòop a sèelta fóora ch la saviiva de tutt e de più! E poi salta fuori che ne sapeva di tutto e di più.


Gigi Filiberti - il sacchetto delle palline di vetro- Carpi - dialetto carpigiano - a cura di Mauro D'Orazi

Gigi Filiberti (Carpi) nel suo libro di ricordi “Rospi e farfalle” (2016) si sofferma in modo efficace sui giochi con le palline.
I nonni di Gigi avevano un emporio - ingrosso sotto il portico del vescovado in corso Fanti e, nella seconda metà degli anni ‘40, il vivace ragazzino assieme a tanti coetanei si concentrava in giochi tradizionali, tra i quali quìi dal véedri.
Ecco la sua intensa rievocazione:

“Eravamo in tanti ragazzini, oltre che da Corso Fanti, venivano dalle vicine vie Santa Chiara, Ciro Menotti (Dóo Schèeli) e Cesare Battisti (Bevdéer).
D’inverno in corso Fanti si faceva la linghèeda sull’asfalto ricoperto da una lastra liscia di ghiaccio; si giocava a bigaara con le pietre sotto il portico e a  s-ciàancol - vèggna! Una specie di “baseball” nostrano giocato con mazze di legno (la canèela) fatte da noi.
Corso Fanti era a quei tempi una strada stupenda; era viva e brulicante di gente e di attività. Il vescovo Dalla Zuanna passava tutti i giorni col suo segretario. Sempre sorridente, porgeva a noi bimbi la mano, perché potessimo baciare l’anello con sigillo episcopale.
C’erano poi tanti contadini e bottegai di periferia che entravano a Carpi da Porta Mantova... C’erano le suorine di Santa Chiara e, sempre tanta gente che andava e veniva da piazza Martiri, gli studenti del liceo Manfredo Fanti, i seminaristi e i bambini delle scuole elementari. Ala, la nostra femmina di bracco italiano, andava da Romano, il cartolaio di fronte a Palazzo Gandolfi, a prendere il giornale per il nonno. In bocca, senza bagnarlo, glielo depositava in mano in cambio di una carezza sulla testa. Da Palmati, l’antiquario poeta, compravamo gli ami da pesca, che attaccavamo maldestramente a un filo di nylon legato in cima a una frusta da cavallo, che trovavamo alla Ferramenta Tardini. Con questa canna rudimentale andavamo a pescare le sgarze o gli “orologi” alla Lama o nel canalino in via Due Ponti. Giocavamo a nascondino dietro le colonne del portico del vescovado o, addirittura, entrando nei vari negozi, dove tutti i proprietari ci sopportavano avendo anche loro dei bambini nel nostro gruppo.
Giocavamo con le “vetre” o, ancor prima, con le palline di terracotta che noi fabbricavano con l'argilla. Infatti, in campagna, ti procuravi della morbida terra all'interno degli argini dei fossi, ti assicurarvi che fosse bella morbida, cremosa e priva di impurità, la inumidivi e la manipolavi un po' e, con un pizzico, ne facevi una pallina, strofinando il palmo destro in senso orario su quello sinistro che si teneva fermo. Ne usciva una pallina, più o meno rotonda, a volte ovale, che si doveva correggere perché, rotolando in modo irregolare, avrebbe, durante il tiro, cambiato direzione. Poi, posizionate tutte in fila, si mettevano ad asciugare al sole cocente dell'estate. Una volta cotte, con gli acquerelli Giotto o con i pastelli, si dipingevano. Ognuno sfogava, nella pallina, il suo estro, il suo gusto, la sua personalità. Una volta finite, le mostrava agli amici e ne andava fiero.
Finalmente avemmo a disposizione le VETRE! Esistenti, ma rare, anche prima della guerra, trovarono grande diffusione negli anni ’50, soppiantando quelle brutte e fragili di terracotta. Le vetre le potevi trovare al bazar in piazza, oppure al carretto di Medici sotto al portico di corso Fanti. Potevano essere a tinta unita, trasparenti o con al loro interno venature di smaglianti colori, dal viola al giallo, dal rosso al fucsia, dal verde al nero. Erano di dimensioni piccole, medie, grandi e, le più belle, erano conosciute nell'ambiente, ambite e valevano due, tre, quattro di quelle normali: i famosi bulòun. Significava che, se uno, nel cerchio, le metteva in gioco, l'altro, come contropartita, ne doveva mettere due, tre, quattro. Chi le vinceva arricchiva la sua collezione. Giocavamo con le vetre sulla terra battuta, sulle strade quando non erano ancora asfaltate, sui marciapiedi.
Mi rivedo ancora giocare a "trii paas ind la saana", ovvero tre passi nel terreno regolare. Consisteva nel tracciare un cerchio sul terreno di gioco, dentro il quale, ogni giocatore metteva un ugual numero di “vetre”. Una pallina veniva usata “criccare” col dito pollice e il dito medio, cercando di colpire quelle dentro al cerchio per farle uscire e intascarle.
Il terreno di gioco doveva essere minimo èd trii paas ind la saana (sul piano pari) per fare in modo che le “vetre” scorressero veloci e non prendessero direzioni diverse. Quelle che bocciavi e che uscivano dal cerchio, diventavano tue. Continuavi fino a quando non sbagliavi e, a quel punto, la mano passava a un altro. Per criccare bene, quando il colpo era difficile, dovevi metterti in ginocchio, a volte mettere la testa di lato, quasi a toccare il terreno; poi, chiudendo un occhio per meglio prendere la mira, sferrare il cricco vincente. Quel gioco era il nostro biliardo e il cricco la nostra stecca.
Avevamo i pantaloni corti e, inginocchiandoci, si conficcavano nelle ginocchia i sassolini, la ghiaia, la polvere. Mamma mia che male! Era tanto però il desiderio di vincere e tanta la competizione che nemmeno ti accorgevi del dolore e delle goccine di sangue che uscivano dalla pelle impolverata.
Si facevano gli scambi. Una bella vetra (un cavaliere) ne poteva valere anche otto, dieci di quelle normali e sacrificarne una bella voleva dire aumentare la propria "cartucciera", quindi poter partecipare sempre al gioco. Giocando, avevi la possibilità di recuperare la tua, quella che avevi sacrificato poco prima.
Le mie vetre le ho ritrovate per caso, dopo circa sessant'anni anni, ancora nel piccolo sacchetto con cordoncino che mia madre mi aveva fatto all’uncinetto. A volte quel sacchettino era sgonfio, altre tanto pieno da non riuscire nemmeno a chiuderlo con laccetto. Si portava sempre in tasca quel sacchettino, perché in ogni angolo di strada, in ogni quartiere dovevi essere sempre pronto a raccogliere qualsiasi sfida. Quando camminavi, sentivi il caratteristico tintinnio delle vetre in tasca. Sono ventidue quelle che ho ritrovato, una delle quali “importante” e due di terracotta! Guardandole mi sembra di ricordare dove, quando, perché, con chi e in quale fosso presi quel certo giorno quella manciata d'argilla. Mah?!? Sono passati, da allora, quasi sessantacinque anni... troppo tempo: è impossibile! ... come faccio a ricordare?


Seconda metà degli anni ’40 -  Ecco il sacchetto porta palline di Gigi Filiberti (Carpi) fatto a uncinetto dalla madre. Una preziosa reliquia di un glorioso e indimenticabile tempo passato!

Ricordo di Mauro Prandi - Carpi - dialetto carpigiano - di Mauro D'Orazi

Prima stesura ottobre 2004                             V11 del 03-09-2016 sempre in via di aggiornamento in base ai ricordi che arriveranno

Mauro Prandi e i suoi scutaai

raccolti da Mauro (Dorry) D’Orazi
su Facebook  dalle tante persone che lo hanno frequentato


Mauro Prandi, uno più carpigiano della Piazza, del Castello, dei piletti del Duomo come suol dirsi. Commesso all'Ente di Consumo Comunale sempre in Piazza, andò in pensione giovanissimo per una legge andreottiana: la n 336… era orfano di padre partigiano; poi si dedicò all'intermediazione e al commercio. Ha sempre frequentato amici più giovani di lui di 15-20 anni. Grande frequentatore di bar con sviluppata carpigianità.
Ricordo il Bar Teatro (dove l'ho conosciuto) in perenne dissidio con Vittorio, Alla Rosa Nera, poi al Jimmyc's e poi al Bim Bum Bar. Scomèed, tagliente, salace, verboso, pronto alla battuta, ma intollerante alla risposta. Aveva la capacità di affibbiarti un efficace e super descrittivo soprannome che in un attimo ti identificava per tutta la vita. Gli "scutmaai", seppure IMPIETOSI, non erano mai offensivi, ma vere e proprie efficaci caricature verbali.

Alcuni esempi di scutmaai:
Cipo = La Dea; Alessio = La Navrativlova; Io (Mauro D'Orazi) = L'onorevole, per la mia deprimente e vana carriera politica. L'Architrave per l'arch Claudio Pedretti, Cialana per gli stivaletti dell'esule a Formentera. Il famigerato Gigi Lugli = Il Caciondo; Sharon = la bionda la ricciolona Daniela, I soprannomi sono tanti… se ne ricordate altri scriveteli. Sarà il modo migliore per ricordarlo. A fine settembre 2004 ci ha lasciato.
*
Nel gioco del cotecchio quando uno è già fuori (10 e passa punti) e due sono a 9, lì lì per per uscire, il quarto giocatore potrà fare il furbo e prendere in giro gli avversari: Duu a Nóov e un a la Móoja. Ovvero due a Novi di Modena e uno alla Moglia (cioè già nell'acqua e col culo bagnato. La battuta... davvero notevole... è dell'indimenticabile Mauro Prandi.
1976 19 marzo 1976 Caffè Teatro -  dietro Giò Placaan e Mauro Prandi

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1997 Jimmjc'z - Mauro Prandi impegnato al cotecchio
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Riporto un ricordo di IMBENI tratto da La VOCE del 07 ott 2004
Amico dell'umanità, capace di ascoltare - È morto Mauro Prandi
Carpi - Detto così un po' alla semplice, se a una persona spettava il diritto a percorrere serenamente tutta intera la terza età che aveva appena imboccato questa era Mauro Prandi, 68 anni scivolatigli addosso senza scalfire uno spirito di conio fine e spumeggiante insieme alla straordinaria dinamicità nelle azioni, nei gesti, nelle parole. Ma erano solo i suoi tratti più immediati. Una sua qualità davvero rara, come ricordano i più giovani amici del caffè Jimmyc's e del Bim bum bar, era di sapere non solo interloquire, ma concretamente comunicare con ogni fascia generazionale: una trasversalità di partecipazione che la dice lunga sulla freschezza del suo rapporto con la realtà. Sotto intuivi, e conoscendolo riscoprivi ogni volta, una cordialità ricca di attenzioni e sfumature. Non è una virtù da poco sapere uscire dalle formalità e dal distacco e aderire, con i propri, ai moti dell'animo alle idee alle difficoltà, perfino alle ubbìe, degli altri. Molti che si credono disponibili si fermano a metà strada e quando si allontanano si lasciano dietro una scia mielosa, adulterata. Difficile essere presenti al prossimo senza pesantezza o saccenza. Ancora più difficile è farlo in modo totalmente disinteressato, senza altro contraccambio che una ventata d'amicizia.
Mauro, geniaccio arguto quanto curioso di tutto quanto lo circondava, andava oltre. Sembrava attratto anche dalle individualità più lontane dalla sua: introversi, musoni, sussiegosi, misantropi per sfinitezza o per calcolo. Cubicolari e camerari annidati negli enti pubblici, per esempio, o nelle corporazioni, nelle canoniche, nei partiti. Nei confronti di costoro, anche in loro presenza, scattava spesso il repertorio pirotecnico del suo satireggiare gustoso e paralizzante, mai offensivo. L'osservazione critica, la battuta salace non umiliavano mai, facevano saettare (e poi rendere subito pensosi) gli occhi di chi era preso di mira muovendo gli altri al sorriso ma soprattutto alla riflessione. A molti affibbiava un affettuoso nomignolo, il carpigiano scutmaai, rinnovando un'abitudine antica e di origine nobile quanto incerta.
Così, con quel suo piglio aperto e diretto, Mauro Prandi componeva le tessere di un suo mosaico della "commedia umana" cittadina, lui che a sedici anni, per difficoltà famigliari, aveva dovuto interrompere gli studi al liceo Fanti e impiegarsi dietro un bancone da commesso al Magazzino comunale (poi Ente Tessuti) di piazza Martiri. Erano i tempi della direzione di Rinaldo Pelliciari, detto Plicio, il comandante "Rino" delle brigate partigiane "Aristide", ma erano ormai tempi di pace e Mauro lo chiamava Sua Santità.
Ci sono modi diversi di porsi come "testimoni" nel fluire e intrecciarsi quotidiano di persone e di accadimenti di una città. Mauro aveva scelto il meno accademico, il più esposto e delicato, quello di chi vi partecipa in prima linea, vero inviato speciale di se stesso, ma anche di un profondo sentire comune. E vi si spende giorno dopo giorno anche là dove all'apparenza non sono in gioco complicate scelte strategiche, alchimie di poteri, oscure transazioni all'ingrosso o al minuto.
Per tutto questo, per una volta non è un abuso di parole scontate dire che ci mancherà.
Gianfranco Imbeni
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Ligabue Arianna: una bellissima descrizione.
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Jango Grandi:  Bravo Dorry! .. "non erano mai offensivi, ma vere e proprie efficaci caricature verbali." assolutamente .. perfetta descrizione - 9 agosto 2009
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Giuliana Faglioni Ciao Mauro!! 9 agosto 2009 alle ore 22:35 

Gianni Bassoli: GRANDE MAURO!!!!
in negozio di barbierie da noi veniva spesso e al suo acconciatore aveva affibbiato il nome "burino", la motivazione era che veniva dal Cantone di Gargallo e l'alto mio socio più vecchio lo chiamava "clergyman", perche aveva il modo di fare di un prete!! Grande persona e  ottima compagnia !! UN PERSONAGGIO CHE MANCHERÀ!!!   10 agosto 2009 alle ore 14:26 · 

Alessio Pignatti: Un grande saluto a Mauro Prandi, che rimarrà sempre nel mio cuore; a me aveva affibbiato anche "la perfida Alexis" e ricordo in particolare l'Ezbhollà, a Dario Bassoli per il suo carattere un tantinino aggressivo e i suoi tratti somatici non proprio carpigiani, poi tanti altri…
7 settembre 2009 alle ore 9:26 

Mauro D'Orazi: grazie Alessio. se te li ricordi… scrivili, prima che il tempo con la sua maledetta polvere inesorabilmente li inghiotta.
Fine anni '90 al Jimmic's Mauro Prandi, Luca Lamma, Sandro Santacèera.

William Lugli: Un nostro amico, Ivan, era diventato "Bugnolis" per la sua acne!   Non ci giurerei, ma anche lo scutmaai "Pipòun" affibbiato al ex assessore Gianni Lodi viene da lui. Dovrebbe essere legato al fatto che incontrando una donna egli guardava subito nella direzione e all’incrocio di una ben determinata… parte anatomica!
9 settembre 2009 alle ore 19:56  

Davide Sgarbi io mi ricordo di Marco (il fratello di Fabrizio Valisi) chiamato da lui "Creatina" per via dei muscoli!!!! ahahahaha che genio!

Mauro D'Orazi: Carlo Annovi che mandava tutti a cagare, come interlocuzione abituale, era per questo chiamato: Charly Mc Kegh

 Davide Fabbri:  Sono d'accordo con tutti voi, il mio nome era e rimane "Amarena", dal famoso omonimo produttore di confetture di ciliege. Devo comunque riportare una nota spiacevole. Il "povero" Mauro è stato prima giudicato e poi dimenticato da moltissime persone alle quali ha regalato momenti indimenticabili, causa spiacevoli scontri dovuti alla sua (e riporto descrizione correttissima) intolleranza alla risposta. Ha frequentato il nostro gruppo per una decina di anni e posso fornire a richiesta decine di "scutmaai".10 ottobre 2009 alle ore 9:45 

 Andrea Nicolini: il mio era COLORADO...  14 ottobre 2009 alle ore 12:24 

Alessio Pignatti:  Franco Magnanini era "magna ninein"... tradotto... Mentre Mauro Torelli era "Taps, squilli di rivolta" per il suo carattere un po' permaloso e si rifaceva a un poco famoso film militaresco dell'epoca.

Davide Dodo - Righi grande Mauro .. io ero/sono "Il nome della rosa" !
28 novembre 2009 alle ore 21:23 

Andrea Andreoli: io ero "Nanòun", Fede Andreoli "American Gigolô”, Andrea Righi "By american", la Simo  "La Divina"... etc.
Ricordo che quando giocava a carte c'era una persona, di cui non faccio il nome, era spesso nominato "Testòun" lascio a voi indovinare... Grande Mauro!
28 dicembre 2009 alle ore 20:02 

Daniele Diacci: io ero il Barone Von Opel!   Al Comissaari  - Commissario era Maurizio Catellani
18 marzo 2010 alle ore 0:35 · 

Alessio Pignatti: Commissario derivava dalla "Piovra" famosa saga televisiva sulla mafia, dove nelle prime serie il commissario Cattani era il protagonista... dal titolo della serie (Maurizio è un famoso "tombeur"), la Piovra, gli venne appioppato il soprannome di Commissario, perché le avvincolava tutte…

Mauro D'Orazi spietato!
19 marzo 2010 alle ore 8:57 · 

Carlo Lodi: con l’amico Mauro,  ho passato il più bel periodo della mia vita. Ho lavorato con lui per molto tempo all'ENTE Comunale, proprio nel suo reparto: era il mio caporeparto.
Per gli scutmaai era proverbiale; all’Ente eravamo circa in una quarantina e a ognuno di noi aveva dato il suo – a Me a m ciamèeva “Valeriaan !”
 
Giorgio Guidetti:  Ciao Maurino.... forever! A me aveva affibbiato il nome “La Rockstar” per via del Complesso dei Buscadero e Franco era ''Heating the pigs”,  che era il suo cognome tradotto da lui in inglese, come ha ricordato Alessio.  7 giugno 2011 alle ore 20:04 · 

Mauro D’orazi: la sua interlocuzione tipica era “M ÈET TÒOLT?”  Cioè “ Mi ha capito? mi ha preso in ciò che volevo dire?” sottinteso, interpretando… “Imbambìi che te tribuul a capiir!”

Milena Bassoli; una delle più belle persone che io abbia mai conosciuto, aveva sempre una parola speciale per tutti noi; io ero “Milly for…Lillly, grazie mauro mi manchi!
7 giugno 2011 alle ore 21:41 

Simona Sgarbi:  ho dei bellissimi ricordi... a ognuna "girl" (gherls)  della mia compagnia aveva dato un simpatico nomignolo che tuttora ci portiamo dietro... unico... - Ecco Alcuni nomi: la grande e unica "Sharon" Daniela, "Leguara" (Simona Sgarbi)..."Mariadolores", "Incallita"... e poi altri
8 giugno 2011 alle ore 14:56 · 

Carlo Lodi - al rivendidóor èd disc èd via Genova al le ciamèeva “Valdo Pop Del Los Rios”
8 giugno 2011 alle ore 18:52 

Armando Mirra:  persona speciale, io ero “il Maltese” per via della giacca marinara che avevo all'epoca. Dal personaggio Corto Maltese dei fumetti di Ugo Pratt.
16 ottobre 2012 alle ore 0:23 · 

Daniele Bonni Bonini:  Spero non si offenda nessuno se...  ricordo altri soprannomi affibbiati e inventati genialmente da Mauro, durante le interminabili partite a cotecchio !
 Dunque… Luca Lamma era il " CANARONE ", un quasi estinto uccello di palude, Giorgio Bondi era “JAMES BOND”, oppure “Mochio Piteco” (abita in via Monchio), Fabio Siligardi, al primo vero fidanzamento, era " URANIO IMPOVERITO ", l'apoteosi però l'ha raggiunta con Sandro Santachiara, ironizzando delle sue "note" dimensioni sottopanni, chiamandolo " ALEJANDRO SOTOLONGO DE PALMERA, detto EL CURANDERO "
 E ai tempi dello sceneggiato Sandokan (interpretato dall’attore Kabir Bedi)… non ricordo a chi.... ma evidentemente non era un "genio " lo aveva soprannominato... “Capir Baby” !!!
16 ottobre 2012 alle ore 1:10 ·

Dario Bassoli: confermo… io ero detto “Hezbholla ex stillbird”
Un uomo insostituibile grande conoscitore della vita e dei risvolti 
Ho ricevuto consigli che tuttora mi salvano. Un grande UOMO!
  16 ottobre 2012 alle ore 8:54 

Mauro D'Orazi: il soprannome “Cialana” forse personaggio messicano di un film di cappelloni western 
1972 Magazzino Comunale nuovo negozio biancheria 
Mauro Prandi, Carlo Lodi, Arrigo Gallesi e Giuliano Arletti.

Luisa Pelliciari:  “M ÈET TÒOLT?” hai afferrato il concetto? Mio padre (già presidente dell’Ente di Consumo Comunale) diceva che come commesso non aveva uguali. Personaggio scomodo, ma non offendeva mai. 9 agosto 2016 alle ore 16:28 

Paola Masci: Quante partite a cotecchio ho fatto con lui... Che bei ricordi... e come diceva lui.... Le sue storie iniziavano dalle guerre puniche!  Frequentare il bar senza lui non è più stata la stessa cosa!! 9 agosto 2016 alle ore 18:21 

Rosy Carrannante:  lo ricordo bene Mauro e con tanto affetto... lo ricorda anche mia figlia Greta. Cominciava con i più piccoli, parlando delle guerre puniche, arrivare ai giorni nostri era lunga! Ho una bellissima  pentola in rame per fare la polenta che mi ha regalato lui. Il mio nomignolo era “Biondina! … vieni a sederti vicino a me che mi porti fortuna!”  9 agosto 2016 alle ore 21:48 · 

Franco Creola:  Ricordo le notti davanti al Caffè Teatro a raccontar barzellette. Ne sapeva un milione. Mi ha sempre chiamato "Ciccia" forse per i miei 50 kg x 1.80 mt.

Alessio Pignatti:  A dire il vero non era solo ciccia... 10 agosto 2016 alle ore 17:47 · 

Franco Creola:  In effetti......   10 agosto 2016  alle ore 18:27 · 

Guido Meschiari: Grande persona e grande giocatore di cotecchio, se a carte gli facevi un torto ti mandava a 10 in due mani. A me è sempre piaciuto "l'incastro del pollastro", che usava quando ti faceva "la decima" e tu ribaltavi le carte, perché non riuscivi più a venderla a nessuno dei tuoi tre avversari. Poi c'era "il colpo delle cento pistole"....
11 agosto alle ore 14:44 

Claudio Caffagni: Capir baby, era l'aiuto di Vittorio, che era chiamato Baby, per via della statura... 1,55 mt  - 11 agosto2016  alle ore 16:39 

Alessio Pignatti L'unico che a cotecchio ha pagato con sei!!! detto anche “Caribù'”.
11 agosto 2016 alle ore 17:11 · 

Mauro D'Orazi: Per dirla tutta e in verità... Prendeva in giro, ma non c'èra reciprocità: perché poi di rimando non sopportava lui di essere preso in giro; e questo per me era un grosso difetto, gli altri erano TENUTI a sopportare, ma lui no!  11 agosto 2016 alle ore 20:06 

Guido Meschiari: Ma infatti… Se lo contraddicevi rischiavi "la squalifica" e non potevi più giocare al suo tavolo !!!!  Che tipo che era!!!  11 agosto 2016alle ore 20:08 · 
                                                                   
Mauro D'Orazi: Io in alcune occasioni gli feci due o tre battutacce a freddo… contro,  a prendi in giro. Non se l’aspettava da me, di solito taciturno e prudente nell’esprimermi in mezzo a tanti leoni azzannanti. E se la prese sempre parecchio!!  Così io ne godevo di più ! Anche se i rischi di spietata ritorsione erano altissimi. S t èel tuliiv pèr al cuul.  a s n intaièeva e al dvintèeva pòoch gustóos.
11 agosto 2016 alle ore 20:48 
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Alla fine degli anni ’80, ai tempi d’oro del Caffè Teatro gestito dal grande e sfortunato Vittorio Garzon, Giancarlo Tartari, detto Taras, ma anche Delon o Delone per la sua avvenenza a cànone inverso, nel gioco cotecchio era la vittima designata e costante di ogni partita: quasi tutti gli assi e le decime erano suoi. Da ciò nacque, con un colpo di geniale creatività del ns Mauro Prandi, questa frase ironica e memorabile derivata da un antico proverbio delle nostre zone : “Dio al s sèelva da la siilta e dal tròun e dal dècimi èd Delòun!” = Dio ci salvi dalle saette e dal tuono e dalle decime destinate a Delone, o da lui giocate in modo improvvido.

La raccolta di ricordi continua… mandate… Grazie! Non perdiamo queste piccole cose preziose che caratterizzano una comunità, anche se super eterogenea come siamo ed eravamo: mi trovare su FB come Mauro D’Orazi e su dorry@libero.it come email…
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