venerdì 26 settembre 2014

La misstra Centiṡmèina - la maestra Centesmina - Mauro D'Orazi dialetto carpigiano - Carpi



stesura iniziale 17-1-2010                                      V03 del 16-09-2014
La misstra Cintiṡmèina
(Agnese Bassoli)
                                                                 di Mauro D’Orazi


Per dire centesimo a Carpi, oltre a centéeṡim, si usava anche il grazioso termine “centiṡmèin (o centeṡmèin)” = centesimino, dalla piccola dimensione della allora monetine di rame con la testa del Re. In questo contesto possiamo ricordare la figura di una maestra elementare (la sig.ina Agnese Bassoli) che insegnò a Carpi dagli anni ’30 in poi e che abitava in Bevdéer, in via Battisti; una donna benvoluta e di corporatura molto minuta, ma anche con seri problemi cronici di salute; la leggenda racconta che era solita contare, con caratteristico tintinnio, i soldini nel suo borsellino. Per questi motivi le fu dato l’affettuoso soprannome di Misstra Centeṡmèina (o Centiṡmèina, o Cintiṡmèina). I suoi alunni avevano anche creato una filastrocca su di lei; ci sono pervenuti da Gianfranco Imbeni solo questi frammenti:” La Misstra Centeṡmèina / còn trii méeter èd bragunsèina/ ch la s dà in faacia la farèina … ” … La Maestra Centesimina/ con tre metri di antichi mutandoni/ che si dà in faccia del belletto bianco …

La misstra Centiṡmèina (Agnese Bassoli)

Gilda Lugli (Carpi) ricorda: "La Centiṡmèina (Agnese Bassoli) era una mia lontana parente. Era una donna molto colta e intelligente. Viveva con due sorelle più giovani, tutte signorine; una si loro si chiamava Maria. Andavo a far loro visita accompagnata da mio padre Arrigo. Agnese, mi spaventava un po', perché il suo aspetto era un po' particolare. Aveva il viso bianco di cipria e i capelli molto cotonati. Mi regalava libri bellissimi.
Le sorelle Bassoli erano tutte basse di statura. Agnese, quando la mamma andava a far loro visita, stava tutto il tempo in punta di piedi, perché aveva il complesso dell'altezza. Mia madre era molto alta e lei non gradiva vedersela davanti in piedi. Appena entrava in casa le diceva: - Fernanda, sei troppo alta, accomodati a sedere! - "

Marco Giovanardi (Carpi): "Ooooh la misstra Centiṡmèina! Che personaggio! A volte passava anche da viale De Amicis. Era minuta e sempre vestita di nero, ma la sua caratteristica era che anche nelle giornate di sole portava l'ombrello aperto. Sèmmper da pèr lée, mai vista a ciacarèer cun nisùun.
E nuèeter ragasóo a gh ridiiven adrée - Mò csa faa la? ée la maata?... cun l'umbrèela avèerta quaànd a n pióov mìa? Mà!!

Gianni Manfredini (Carpi): ”Le sorelle Bassoli abitavano in Corso Cabassi, angolo via XX Settembre, sopra il forno di Rossini.”

Gianna Pagliani (Carpi): "Negli anni '50 io me la ricordo piccola, rotondina, sempre con l'ombrellino e la faccia bianchissima!”

Enrico Rancan (Carpi) ricorda: "La Cintiṡmèina era una nipote di una mia bisnonna. Era una delle tante sorelle Bassoli, maestra, sarta, impiegata alle poste. Quando contava i centesimi andava veloce come una macchinetta e per questo era detta Cintiṡmèina. Le Bassoli erano in tante: Agnese, Roberta. Venusta, Aldrovanda, Cornelia, Maria (sarta), Giuseppina, e Venusta (Nella). Poi c'erano anche i fratelli Odone e Romeo.”

Corrado Cattini (Carpi) ricorda che misstra Centiṡmèina è stata la sua maestra in 1^ elementare alle Fanti nel lontano 1938. Era una brava una insegnante, ma era davvero un tipo strano. Andava dietro alla lavagna per risistemarsi. Si aggiustava i mutandoni che le arrivavano coi merletti a mezza gamba e poi prendeva una piccola trousse e si incipriava il viso in modo molto evidente.


Alice Giovanardi (Carpi) - Sua madre Berni Maria era stata allieva dla la misstra Centiṡmèina. Nel 1927 la maestra aveva insegnato ai suoi scolari questa poesia a memoria:
"C'è un omino sotto un fungo
ed il tempo gli par lungo.
Deve andare assai lontano e ad un tratto dice -Ohibò!-
quando mai arriverò?"
Pare che l'omino fosse uno gnomo, ecco perché al stèeva sòtta al funnṡ!
Durante l'estate la maestra l'andava a trovare in campagna e con questo espediente tornava sempre a casa con la sporta piena di frutta e verdure. Per il tragitto sceglieva sempre fossati asciutti, perché pensava sempre di essere inseguita. Usava sempre tre dita di cipria e, essendo di bassa stature, indossava un cappello a tuba per rubare un po' nell'altezza.


Descrizione: 1601150_10202484569986952_857960341_n
Monetine da un centesimo del Regno, detto anche bugnìin.

i buoni maestri Ivo Lodi e Ottorino Savani - Carpi Mauro D'Orazi- dialetto carpigiano





Prima stesura 10-09-2014                                                    V12 del 03-10-2014
                                                                                   
I buoni maestri: Ivo Lodi e gli altri.
 di Mauro D’Orazi

Nella vita bisogna anche essere fortunati! Io questa fortuna l’ho avuta in modo splendido nel mio percorso scolastico, godendo dell’insegnamento di maestri e professori di grande valenza culturale e umana. Non potevo sperare e chiedere di più.
Sono cose che fai fatica a capire da giovane, preso da tante pulsioni, passioni e voglia di vita da costruire, ma che ti ritrovi come patrimonio inestimabile negli anni successivi. Una ricchezza che ti consente di affrontare al meglio la tua esistenza, usufruendo di un potenziale di conoscenze davvero di gran pregio.
I “buoni maestri”, dunque! Persone generose nell’insegnamento che hanno vissuto la loro missione con vocazione e impegno, donando agli studenti il meglio di loro stessi.
Ho avuto la fortuna di avere questa serie virtuosa di persone che mi hanno fatto crescere, realizzando questi versi di Dante, che da sempre mi hanno affascinato e attratto:

“Considerate la vostra semenza,
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”

Ecco il mio pregevole elenco personale: alle elementari i maestri Anna Maria Leporati e Ivo Lodi (e la direttrice Saffo Bocchi), alle medie i professori Giacomo Beltrami e Ione Pasquini (e la preside Wanda Bonizzi); infine al liceo i professori Bertina Benetti, Lando Degoli (sì! proprio quello del Lascia o raddoppia, un mezzo genio matematico e musicale, ma gretto umanamente), il grandissimo e amatissimo Ottorino Savani, il professore più amato di Carpi.
Da ciascuno di essi ho appreso cose bellissime e utili; la mia gratitudine nei loro confronti è sempre presente nei miei pensieri.
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Mi soffermerò in questa sede sul maestro Lodi; nacque a Carpi nel 1918 e ci ha lasciato nel 2007.
Il settimanale Voce di Carpi nel commemorarlo così ha scritto: Il 30 luglio se n'è andato Ivo Lodi. Aveva 89 anni ed era uno degli ultimi superstiti della gloriosa generazione di maestri elementari che ha retto i destini dell'istruzione pubblica a Carpi fra gli anni Cinquanta e Ottanta, quando la scuola elementare traeva giovamento anche da qualche apporto maschile. Prigioniero degli inglesi, durante l'ultimo conflitto; fu catturato a El Alamein nel 1942 e rimase prigioniero in Egitto; tornò in Italia solo nel 1946.
Univa la compostezza del docente rigoroso, severo e preparato all'ironia sagace e pungente del carpigiano Doc, attento e disincantato osservatore dei costumi e dei tic cittadini. Quando se ne vanno persone così, si perde tutti qualche cosa.”
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Col maestro Lodi c’era anche un’amicizia di famiglia di antica data; sua madre Carolina era grande amica di mia zia Valentina, quest’ultima la cara parente che mi aveva “tirato su” da bimbo, perché i miei genitori lavoravano entrambi.
Lodi viveva a Carpi in Via Andrea Costa 33; dopo la morte della madre, stava con due sorelle che gestivano un rinomato laboratorio di sartoria per signora nel loro appartamento al secondo piano; tutti e tre putti; per motivi vari, forse per amori finiti amaramente, forse per vocazione, avevano scelto di non sposarsi e di non avere figli.
Ivo era molto amante dei viaggi, della buona letteratura e della musica classica; condivideva queste passioni con il prof Ottorino Savani, il maestro Enzo Righi, l’ing Giuseppe Caffarra e il maestro di musica Silvestri. Commovente il suo impegno umano diretto nel seguire quotidianamente, fino all’epilogo, la terribile malattia distruttiva del suo grande amico Ottorino, anche lui non sposato e bisognoso di assistenza.
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Ivo Lodi fu il mio maestro alle Manfredo Fanti dalla seconda alle quinta elementare; MAI le chiamerò primarie! Sciagurato battezzo di mode pedagogico-nevrotiche che non comprendo.
Il primissimo approccio non fu dei migliori: nella verifica della nostre conoscenze, il primo giorno di scuola, scrissi l’8 con due cerchietti sovrapposti e non incrociando le linee; lui se ne accorse subito e mi riprese con decisione; io ci rimasi molto male, anche perché quel pomeriggio dovetti correttamente scrivere ben due pagine di quaderno con quella cifra.
Ma fu solo un momento passeggero e i rapporti con lui e il suo modo di insegnare furono davvero ottimi: io ero fra i tre migliori della classe con Lauro Zuffolini e Righi Giorgio. I componenti nostro terzetto erano sempre in competizione per arrivare al primo posto e superare gli altri due.
Il quarta ci fu un’elezione democratica a schede segrete per nominare il capoclasse; vinsi battendo i due avversari e mi insediai con una certa soddisfazione nell’ambita carica.

Le votazioni venivano espresse in “Bene”, “Benino”, “Sufficiente”, ecc… talora accompagnati da un più o un meno. Gli errori erano segnati con la matita rossa, quelli molto gravi con la matita blu.

I ricordi di quegli anni è vivo e tante immagini vi vengono alla mente.
Era bravo a insegnare, con una voce calda e chiara; durante le lezioni interpretava se stesso con misurata, ma concreta spinta. Si percepiva che aveva voglia di trasmetterci il suo sapere. Indimenticabile, mezz’ora prima della campanella, la lettura di un capitolo del libro Cuore di De Amicis. Io mi tuffavo dentro a questo mondo di tardo ‘800 o mi arrampicavo sull’albero della piccola vendetta lombarda.
E poi… quanto abbiamo disprezzato Franti per la sua crudeltà e amato Garrone per la sua generosità. Tutte cose oggi inammissibili in una scuola ipocrita del politicamente corretto a ogni costo.

Ci furono anche momenti tragici.
Quando mori Valentino (un bambino della nostra età, ma di un’altra classe, operato al cuore a Torino con esito infausto) andammo tutti al funerale, un pomeriggio in Viale De Amicis, guidati dal maestro che ci aveva spiegato il triste evento. Fu allora che ebbi il mio iniziale vero incontro con la morte, passando davanti alla bara aperta dello sfortunato coetaneo. C’è l’ho ancora davanti agli occhi. Avevo visto Mamma Nina, nel ’57 a quattro anni, ma non avevo capito bene.

Poi nell’ottobre del 1963, quando dagli altoparlanti presenti in ogni aula, di forma quadrata e di color marroncino installati durante il fascismo per diffondere concioni maschi e patriottici, si sentì la voce penetrante e nasale della direttrice Saffo che invitava i maestri a commentare la terribile strage della diga del Vajont. Per la prima volta vidi i giornali in classe, portati dal nostro maestro; pubblicavano in prima pagina le foto della devastazione. Ci fu chiesto di scrivere un tema su questi fatti e qualche mio compagno, in eccesso di commozione, scrisse pure digha con l’acca…

Quanto il maestro ci faceva fare i dettati, calcava oltremodo sulle doppie per farci capire meglio… “mammmmma”; successe che una mattina ci fosse da scrivere la difficile parola “soprattutto”; il maestro si sforzava oltremodo…  soprattttttttuttttttto. Io, saputello, all’ennesima declamazione, dissi forte: “Sì! Maestro… quattro T!”
Il risultato fu che qualcuno scrisse “soprattttutttto” e mi presi una sgridata per non essere stato zitto e aver condotti i compagni all’errore.

Rammento poi una bellissima dimostrazione del maestro sulla corrispondenza delle misure fra solidi e liquidi; sembrava impossibile che un decimetro cubo in ottone potesse contenere un chilo di acqua… eppure il peso che segnava la bilancia lo confermava. Lo avrei ricordato per tutta la vita.

L’esame di seconda, allora si faceva anche questo, lo superai alla grande, consegnando le quattro operazioni; primissimo con grande distacco da tutti e correttissimo nelle soluzioni.
Anche l’esame di quinta andò molto bene: solo 9 e 10. I risultati sarebbero però stati affissi solo i primi di luglio e io sarei stato al mare. Con mia madre andammo a trovare il maestro a casa sua per il commiato finale e per ringraziarlo complessivamente del suo lavoro dei quattro anni passati.
Messo a conoscenza della mia imminente assenza da Carpi, il maestro in un bigliettino scrisse i voti che avevo preso, li chiuse in una bustina e mi fece promettere che l’avrei aperta solo il giorno delle pagelle. Un impegno sofferto che però rispettai puntualmente, aprendo con ansia la bustina, assieme ai miei genitori, quanto era al mare. Ma ormai le scuole medie Alberto Pio mi aspettavano.
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Il maestro era solito seguire le carriere scolastiche e di lavoro dei suoi ex studenti; io di tanto in tanto lo andavo a trovare o ci fermavamo a parlare per strada.
Gli raccontavo le ultime novità e lui mi chiedeva di questo o di quello che erano nella mia classe.
Verso il 2000 la sua salute e quella della sorelle cominciò peggiorare; ogni volta che lo vedevo diventava sempre più piccolo, più gracile; il suo guardo tradiva una profonda tristezza. Lo vidi l’ultima volta davanti a Villa Richeldi con la sportina della spesa; era molto triste e sofferente. Aveva in tasca una busta con delle foto: erano quelle (poche) della nostra classe. “Le sto dividendo per darle ai miei ragazzi. Saranno spero un bel ricordo. Io ormai… “ E me le porse sorridendo con dolcezza e malinconia.
Non lo avrei più incontrato.
Grazie Maestro, per tutto quello che hai fatto per noi.
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Anna Maria Ori (Carpi) commenta: "Molto bello e molto giusto il tuo scritto sul maestro. Ho anch’io un bellissimo ricordo di lui, che conobbi quando ero in quinta elementare, perché teneva dei corsi di matematica insieme al maestro De Pietri (italiano) di preparazione all’esame di ammissione alla scuola media. Doveva essere il 1953. Inoltre le sue sorelle erano amiche di mia zia, quindi siamo sempre stati in contatto, lontano certo, ma importante.
Più tardi, quando ho cominciato a dedicarmi alla storia, ci siamo riavvicinati, e l’ho ammirato ancora di più, perché ho capito meglio quello che già mi aveva colpito da bambina: la sua cultura, il suo equilibrio, i multiformi interessi, venati da una tristezza (malinconia? – inadeguatezza? – forse la parola giusta è l’intraducibile Sehnsucht) che lui cercava di nascondere, ma che ormai era parte di lui. Una bella persona, da mettere tra quelle che non dimenticherò mai."
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Graziano Malagoli (Carpi) ricorda: "Il maestro Lodi, collega e grande amico di mio padre, è stato direi quasi parte della mia famiglia. Spesso veniva a trovarci o era nostro gradito ospite. Chiedeva sempre di noi tre ragazzi, di come andavamo a scuola (mio fratello Gianni è stato suo scolaro) e, in seguito, del lavoro che svolgevamo. Durante le sue visite raccontava dei suoi viaggi e ci mostrava le foto che immancabilmente scattava. Ci è stato sempre particolarmente vicino, al punto da sentirlo quasi come uno zio.
Sino ai primi anni ’50 per potere essere iscritti alla scuola media (c'era solo l'Alberto Pio) bisognava superare il fatidico “esame di ammissione”. A Carpi si erano formate coppie di maestri (uno per la parte letteraria e l’altro per la parte matematica) che davano ripetizioni finalizzate per agevolare gli scolari al superamento dell’esame e Lodi faceva coppia col maestro Mario Depietri, grande latinista; altre coppie erano Vascotto - Reggiani e Camurri - Righi). Manco a dirlo, quella di Lodi, era la coppia più ricercata dalle famiglie e i posti disponibili venivano presto esauriti.
Nel 2002 il Rotary di Carpi lo ha insignito di un riconoscimento che annualmente, da oltre trenta anni, viene consegnato ad un carpigiano particolarmente distintosi per la attività professionale svolta.
Del gruppo di maestri di cui Lodi faceva parte (oggi settembre 2014) uno solo è ancora vivo e vegeto: Enzo Righi, novantaduenne!

venerdì 5 settembre 2014

Dialetto carpigiano - l'importanza degli accenti - Mauro D'Orazi



Esempio  di grafia del dizionario di dialetto carpigiano Ori – Malagoli
Tavola esplicativa di Mauro D’Orazi “ad usum”  di duur èd comprendòoni   - 17-8-2014
Tòrr = torre
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cb/Eglise_santa_Maria_in_Castello-Carpi.jpg/220px-Eglise_santa_Maria_in_Castello-Carpi.jpg
Tòor = toro
http://www.magazzinodellecarni.it/home/images/stories/toro/Toro5.jpg
Tóor = prendere

due di coppe con briscola denari - dialetto carpigiano _ Il senso dell'inutile nel dialetto di Carpi - di Mauro D'Orazi


Il due di coppe con briscola denari
- Il senso dell'inutile nel dialetto di Carpi - di Mauro D'Orazi*

settimanale VOCE di Carpi del 07 agosto 2014

Una persona inutile viene indicata generalmente con il termine bòun da gnìint, ma si può dire anche gnìinta. Curiosamente, per opposto a causa di un gioco di parole, spesso una persona del genere è anche un capàas ed tutt. Quindi un buon da niente capace, però, di tutto. Questa frase è usata soprattutto per indicare una persona cattiva o un delinquente, cioè inutile o dannoso per la società. Altre definizioni con significato similare sono bòun da ràader (buono da grattugiare come il parmigiano) e bòun da méeder (buono da mietere): queste ultime espressioni non vanno intese nel senso di farsi grattugiare o mietere (anche se molti le recepiscono così), ma piuttosto nel senso di essere capaci solo di subire azioni passive che non richiedono troppa intelligenza. Di una persona che conta poco o niente si dice che al vèel cóome al duu d còpp cun brìsscola denèer (o denèera) ovvero, vale come il due di coppe, carta notoriamente senza valore, quando c'è briscola denari, cosa che la rende ancora più inutile. Siamo nello stesso contesto di Al còunta cóome al duu a ṡughèer a masèin: conta come il due a giocare a mazzino, dove queste carte vengono tolte da subito dal gioco. Oppure si può anche dire che al còunta cóome un fiòoch in sìma a 'na brèta (conta come un fiocco sopra un berretto, cioè ha solo un valore decorativo o di facciata): locuzione che si può usare anche riferita a una cosa, o a una situazione, inutile. Un sinonimo di persona priva di valore è anche s-ciòop scarèegh (fucile scarico), o per tornare alle carte, 'na flìnnga (uno scartino), oppure 'na bòocia pèersa nel gioco del biliardo o delle bocce, forse anche in una partita di calcio. *** Se qualcuno ha un valore gerarchico molto basso, o infimo, lo si chiama sottcaldéera (sottocaldaia): il sottocaldaia era il largo piatto che stava sotto i bruciatori delle caldaie di una volta e che serviva a raccogliere la cenere. C'è gente che con falsa autocommiserazione, mista a cattiveria, invidia e malevola sopportazione di essere poco considerata (o meglio... giustamente reputata per quel poco che vale) si compiace di definirsi sottcaldéera... Ebbene... È vero! Lo sono certissimamente! Un altro termine per indicare una persona di scarso rilievo è fióol d famìa (figlio di famiglia, cioè piccolo, come un bambino), espressione questa che indica qualcuno con scarso o nullo potere decisionale. Anche fióola dla sèerva, oppure fióola dla schifóosa (figlia della serva o della schifosa), dla bidèela, dla Maria Rusnèinta e dal pòover Sottbèesmel rientrano nel significato del non contare nulla, al pari di durmìir da pée (o èd còo di pée, da còo pée vale a dire dormire da piedi, dalla parte inversa). *** Quest'ultima locuzione trae origine dall'uso e dalla necessità, un tempo assai frequente nelle famiglie numerose, di dividere il letto con più persone. Non c'era un normale posto per tutti e in particolare i più piccoli venivano arrangiati con la testa in fondo al letto per dormire, là dove normalmente trovano posto i piedi. Erano disposti in modo alternato, l'uno con la testa in corrispondenza dei piedi dell'altro, allo scopo di economizzare lo spazio. Tale positura, presentava non pochi inconvenienti per coloro i quali si trovavano, per così dire "da piedi" e cioè con il capo dalla parte opposta alla testiera del letto. I tapini, non fruendo dell'appoggio della medesima, finivano con il naso sulle estremità del vicino. Se, com'era probabile, a costui puzzavano esageratamente, oppure soffriva di flatulenze intestinali, i "da pée" ne potevano anche riportare traumi psico-fisici incancellabili per il resto della loro esistenza. Da questo costume è nata la convinzione che il dormire da piedi sia indice di scarsa perspicacia e ha dato luogo alla creazione del modo di dire: A lèet, a lèet a vóoi andèer, A letto, a letto voglio andare, tutt i Saant a vóoi ciamèer, tutti i Santi voglio chiamare, trii da còo e trii da pée, tre di sopra e tre da piedi, tutt i Saant i iin mée fradée. tutti i santi sono miei fratelli. Un bagàai, un lavóor, un giabanèin sono termini che in carpigiano possono significare cento cose; talora indicano, sentito il contesto della situazione e della frase, cose o situazioni di assoluta pochezza o mancanza di valore. Il bellissimo detto al còunta blisga e pò caasca (conta come scivola e poi cadi) denota un valore nullo di una certa azione che non garantisce nessuna stabilità. Quando si è in una situazione che non va, o meglio che è gestita male da qualcuno (ad esempio nel lavoro), si dice che a sòmm in maan a gniint (o gniinta), siamo in mano a niente. Oppure che a sòmm in maan a nisùun (siamo in mano a nessuno). *** Di analogo significato, ma di derivazione addirittura bimillenaria è la frase a sòmm in maan a Bacùss (siamo in mano a "Baccuzzo"). Per una situazione importante ci si trova putroppo nelle mani di una persona totalmente inaffidabile e certamente non sobria. Ma chi è questo Bacùss? Io non ho dubbi: non è altro che il dio Bacco, la divinità pagana delle libagioni e dei culti misterici dionisiaci greci e romani. Un'altra espressione tipica è a sòmm in simma a la còvva èd 'na léevra (siamo sopra la coda di una lepre), che indica lo stare in una situazione assolutamente precaria, ma anche il trovarsi in una situazione disastrosa o inutile. Con lo stesso significato della precedente, a sòmm tachèe a 'na tralèeda (siamo attaccati ad una ragnatela). A sòmm in 'na cartoliina o in un franchbòll (siamo in uno spazio ristretto) sta a significare siamo spacciati, finiti. La frase ha una tragica derivazione che era la comunicazione che arrivava alle famiglie per i caduti nella Prima guerra mondiale *** Un'azione inutile e senza degno riscontro, ci viene indicata con la frase l è cóome dèer un cunfèet a 'n èesen! È come dare un confetto a un asino; animale dalle tante qualità, ma che certo non è in grado di apprezzare adeguatamente il delicato dono alimentare. Analogo senso rivestono le seguentie espressioni: l è cóome dèer un sucarèin a 'n èesen (uno zuccherino). Fèer 'na puntuura in 'na gaamba d lèggn. Fèer 'na papèina in 'na gaamba d lèggn. Mètter un siròot in 'na gamba èd lèggn. Al còunta cóome l'aaqua èd mèelva. *** A una persona che tende, senza gli adeguati titoli, ad... "allargarsi" (espressione romanesca), si usa dire: Stà schiss, Stai rannicchiato, vóola baas vola basso e schiiva i saas. e schiva i sassi. Una frase carpigiana pronunciata da una persona indebitata e indigente nei confronti dei suoi creditori: Gniint a gh iiva e gniinta a gh ò Niente avevo e niente ho A pagaarò, quàand a gh n avrò Pagherò, quando ne avrò Restando alle insolvenze, quando uno, dopo un lavoro fatto, viene ricompensato con poco o nulla non può che constatare I m aan lasèe (miss) cun un saas in maan. Mi hanno lasciato (o messo) con un sasso in mano. Quando a uno viene lasciata da sbrigare una incresciosa incombenza, ecco l'espressione I m aan lasèe cun 'na brèesa in maan o cun la pàaina ind al cuul, ovvero mi hanno lasciato con una brace in mano o una paglia nel sedere. Quando poi uno è stato raggirato o sconfitto con fin troppa facilità può consolarsi riflettendo: I m aan ciavèe cun duu stècch (mi hanno fregato con due stecchi). E a completare il panorama dell'inutilità, ci sono poi delle compagnie poco autorevoli: la Cumpagnìa dla Bèela Ciòopa e la Cumpagnìa dal Fiil d Fèer Rusnèint o dal Filfaròun. Le compagnie della Bella Chioppa, del Fil di Ferro arrugginito e del Filoferrone: come dire, confraternite del tempo perso e di ben poco rilievo. *dalla ricerca "Tóor èggh misùra: prendere misura nel dialetto di Carpi e dintorni", con supervisione alla grafìa dialettale di Graziano Malagoli