lunedì 13 gennaio 2014

La sèina dla pcarìa la cena della macellazione del maiale - dialetto carpigiano - di Mauro D'Orazi

La    sèina    dla  pcarìa 


di    Mauro    D’Orazi     
revisione del testo di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli
prima stesura del 22-10-2013                                                  V06 del 22-10-2013

Per motivi igienico sanitari, ma anche per il forte modificarsi dei costumi della nostra società, la pcarìa è stata via via abbandonata.
Adesso le grandi ditte sono delegate a questa operazione tutti i mesi dell’anno in base alle esigenze dei consumatori; un po’ come in lambrusco, che è in lavorazione tutto l’anno, grazie a moderni procedimenti e attrezzature.
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Preparazione insaccati

La festa che accompagna l’uccisione del maiale ha un retaggio ancestrale e il suo carattere perpetua i riti e gestualità, di cui non si conosce l’origine, ma che si ripetono fin dalla notte dei tempi, spesso inconsapevolmente, alimentando il fascino per l’antropologia e la ricerca delle nostre origini.

Preparazione insaccati

Ad esempio la cultura del lardo (in pezzi interi o pestato) e della sugna (nelle vesciche); questi alimenti che oggi ci fanno un po’ senso erano invece componenti energetici di primaria importanza per chi lavorava nei campi e per la creazione di difese naturali per il lungo inverno. Essi ci fanno capire il valore di investimento (capitale) di un animale che, per tale motivo, viveva il più possibile vicino alla casa del contadino, con funzione di spazzino ante litteram, in un’organizzazione economica rurale, dove non si buttava via niente e dove tutto veniva riciclato e riutilizzato.
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Al salsissi

È rimasta però l’abitudine di celebrare ugualmente questo rito in modo significativo, anche se ridotto, chiamando un sabato o una domenica di dicembre o di gennaio, talora a pranzo, ma più spesso a cena, parenti e amici per la sèina dla Pcarìa o, come si definisce con termine moderno, per “la maialata”.
Oggi in questi riti gastronomici compiaciutamente rievocatori si cerca di riproporre il menù tipico della cena che metteva fine alle complesse operazioni di macellazione del maiale e confezionamento delle sue carni; si cucinano piatti altrimenti introvabili, come il riso con la verza, il sanguinaccio, costine alla brace, i nervetti o altre parti del maiale di solito che è raro reperire in commercio. 
Si preparano lunghe tavolate alla buona con tovagliette di quasi dimenticata chèerta ṡaala carta gialla: sì ! proprio quella che, intrisa d’olio, la nonna o la mamma, ti metteva sulla testa dopo una bella zuccata per fèer gniir su ’na brugnòocla (o burgnòocla), per far venir su la botta.

  
Chèerta ṡaala e brugnòocla

E poi si parte, tutti assieme … in allegria, cercando di fermare il tempo …
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L’amico Mario Brani, ormai da tanti anni, organizza e in parte prepara personalmente nella sua casa di campagna a Limidi alla Pratazzola, una tradizionale sèina dla Pcarìa; del moderno termine “maialata” poi non vuole, e forse giustamente, nemmeno sentir parlare.
Per rendere dovutamente edotti gli ospiti della ormai rara ritualità a cui hanno il privilegio di prendere parte, Mario distribuisce un foglio con “le istruzioni per l’uso”.
Con un’audace azione sono riuscito ad avere copia di questi istruzioni riservate, che qui sotto riporto:
                                                                                         Limidi, 26 Gennaio 2013
La Pcarìa
La Pcarìa è consuetudine antica, secolare, presente in molte zone italiane.
Si esegue con cura particolare nella “bassa padana” delle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Cremona, Mantova e Ferrara.
Si tratta della macellazione del maiale e della sua trasformazione in gustosi insaccati per il consumo domestico.
In passato, in tempi parsimoniosi, la Pcarìa forniva tranquillità e garanzia alimentare per l’anno successivo. Eseguita rigorosamente nei mesi più freddi dell’anno, la Pcarìa, coinvolgeva tutta la famiglia patriarcale contadina.
Gli addetti all’operazione erano impegnati dall’alba al tramonto; alla fine della faticosa giornata, il lavoro di concludeva con una saporita cena.
Il Menù non variava MAI!
Nella società autarchica del passato la redóora usava i prodotti disponibili:
·       La verza, perché è l’unica verdura che nell’orto regge al gelo invernale.
·       Cipolla, carote e fagioli conservati.
·       Il riso, di ottima qualità, proveniente dalle risaie dislocate tra l’area carpigiana e i limitrofi comuni del mantovano.
·       Il formaggio parmigiano (in tempi passati genericamente il grana).
·       E naturalmente le parti di maiale che avanzavano o che venivano trattenute dalla lavorazione degli insaccati.
Con questi ingredienti la redóora, aiutata dalle nuore, preparava i vari piatti che, come è annuale consuetudine di questa casa, anche questa sera vengono rigorosamente ripetuti.
Buon appetito!
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L’arrosto di maiale cuoce a fuoco lento: còot e magnèe!

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Alcune fasi dla pcarìa

La pcarìa, ovvero macellazione del maiale, per tradizione si svolge prevalentemente da metà novembre a inizio gennaio. Consiste nel dividere e preparare le carni del maiale, ognuna secondo la propria specifica vocazione. È un’arte raffinata e basata su una solida esperienza: NON si può improvvisare!
Di seguito alcuni esempi ...

1       2
  1. Testa del maiale, dalla quale si ottiene la coppa di testa. Dopo debita cottura va condita con sale, pepe e miscele di aromi diversi dalla ricetta segreta e poi insaccata.
  2. Suddivisione pancetta e carne magra per la preparazione dell'impasto per i salami.

3       4
  1. Operazioni di legatura del salame e condimento dell'impasto con sale, pepe, aglio e vino.
  2. A destra la macchina per imbudellare, ossia insaccare, la carne nel budello.
5   6
  1. Salame legato e pronto per essere appeso.
  2. Tagliatura della cotenna, che poi verrà macinata e miscelata insieme a carni magre muscolose per la preparazione del cotechino, zampone o cappello da prete.

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  1. Salami appesi a la pèerdga per la stagionatura


Menu per pizzeria in dialetto carpigiano di Mauro D’Orazi

Menu      per     pizzeria     in   dialetto    carpigiano          di  Mauro D’Orazi


revisione di Graziano Malagoli

Prima stesura 30-8-2013                       v05 del 2-10-2013

Al nòostri pissi
Arlièeda cun i funnṡ frèssch e speck (persùtt tedèssch infumanèe)
Auricchio cun i funnṡ misst – strachìin e rucola
Bufala, pardaróo e tartufèeda (ma al pardaróol è il fungo campestre e non il porcino che non ha una definizione propria in dialetto)
Bragòun cun bergunṡóola, tòun e sigòlla (o sivòlla)
Bragòun impinìi - margheritta – valtellina
Bragòun silver a la marinèera – Vèecia Mòodna
Vuióoṡa, – Napoli cun al verduuri
Articiòoch cichìin (o articiuchìin o scarciuflèin) – cun ninṡóoli e salsisèin tedèssch
Siinch póorch – uliivi – wurstel (salsisèin tedèssch) e patachìini
Strìa òot stagiòun
Strìa véera stèmmegh, cun la pansètta
Sigòlla (sivòlla), pansètta e bergunṡóola
Persùtt còot e graana o furmàai (pramsàan non si dice in dialetto per dire formaggio. Per un carpṡàan, al furmàai, l è sóol al pramṡàan e arṡàan, tutt chi èeter i gh aan al nòmm).
Al nòoster Cristian cun la sò pissa maata da andèer ṡè d tèesta
Pissa cun persùtt cruud - òocio ragàas ch l’è la pissa dla ca
Persùtt cruud cun i pardaróo – quàater furmàai
Pissa indiavlèeda - quàater stagiòun
Al nòoster Fabio cun la só pissa romaana specièela
Fantapissa (Pissa in insònni) e rucola (insalatèina savuriida ??)
Fòola biàanca cun la rucola (insalatèina savuriida)
Friarielli – al simmi d réeva cun la sulsissa
Pizza tirata – pissa tirèeda, sutiila
Gnocchino – gnuchìin
Pizza alla marinara – pissa a la marinèera
Pizza cotta con forna a legna – pissa còota ind al fóoren a lèggna

Queste su sono frasi relative alle pizze che possono arricchire il menu

1)          mangia e taci - Maagna e tèeṡ
2)          mangia tu che mangio anch’io - maagna tè ch a maagn aanca mè
3)          non avere fretta - A nn avéer fuuga
4)          ci vuole della calma – a gh vóol dla chèelma
5)           cosa dici, cosa vuoi e cosa c'è ?- ’Sa dii t, ’sa vóo t, ’sa gh è, ’sa pèssch èt?
6)          se la pizza buona vuoi mangiare PORTALA A CA devi chiamare - se la pissa bòuna te vóo magnèer, “pòort la a ca” a t tòcca ciamèer
7)          a pagare e a morire c'è sempre tempo - a paghèer e murìir a gh è sèmmper tèimp
8)          se non vuoi aspettare chiama pure – S te n vóo aspetèer, ciàama primma, próova a telefonèer
9)          da noi mangiare e bere non manca Chè da nuèeter, da magnèer e da bèvver a n caala màai
10)       se c'è ritardo ci vuole pazienza – fatevene una ragione S a gh è da spetèer, a gh vóol pasinsia – fèev èn ‘na ragiòun
11)        per i miracoli non siamo attrezzati pèr i miiracol a n sèmm mìa ancòrra atresèe, Per i quée impusibbil, a n gh la fòmm mìa
12)       qui c’è tanta roba buona fatta in casa – chè a catèe taant lavóor bòun faat in ca
13)       pizza rotonde al metro e giganti – a gh òmm la pissa al méeter e gigàant
14)       paghi poco e mangi bene -Te spènnd pòoch e te maagn da re
15)       se la pizza la vuoi tagliata bisogna che me lo dici. - S te vóo la pissa taièeda, dimm èl primma, faa m un s-ciffel subìtt
16)       da noi abbiamo solo delle buone offerte/promozioni buone Da nuèeter a catèe sóol dal bòuni ucaṡiòun e di bòun préesi
17)       vuoi crepare? – vóo t cherpèer?
18)       la fame è un brutta bestia! – la faam l’è ’na brutta béestia!


* Traduzione e adattamento in dialetto di Mauro D’Orazi – 2013 – utilizzando la grafia del “Dizionario di carpigiano” 2011

Canàapa e basletta - naso e mento - dialetto carpigiano - di mauro d'orazi

Canàapa  e   basletta   BOZZAAAA

dal longobardo: NAPPA = Naso
in dialetto bresciano: canapa = naso grosso / napà = curiosare / napù = curiosone
La conquista longobarda, consolidatasi intorno al 680, ebbe un’enorme influenza politica nella suddivisione dell’Italia che solo il Risorgimento cancellerà e riunificherà. Dominando la penisola con un mosaico di "ducati" frammisti ad altre entità politiche, i Longobardi non costituirono mai uno stato unitario e ciò influenzò lo sviluppo e la diffusione della lingua che si distribuì come "a macchie di leopardo" nelle varie regioni italiane.

bèsla e basletta significano bazza, mento allungato e un po' arricciato, soprattutto se esso è pronunciato; a questo evidente attributo può fare pendant una bella canàpa, che è un bel nasone; tutti tratti facciali che non sfuggono di certo al lingui malègni (alle lingue maligne)

ch a n'apa da crèeder;
Canípa, Canapa ca n apia mai da piovèer.
canapa mai da piover .. si dice con sospetta assonanza quando passa una persona col naso grosso o lungo
nèes e basletta i fàan mujetta

sa la vdi? basèela!

"mò ch Fracanapa!" sempre quando si vede una persona con un naso imponente
"Facanapa fa la papa"
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Facanapa  o Fracanapa : maschera veneta come risposta dell'entroterra (verona ecc) al declino della Serenissima.
CARATTERE:parla velocemente e si muove con piroette.
COSTUME: pantaloni alla zuava, panciotto,marsina e un gran fiocco blu;calze bianche e scarpe marroni  e cappello a tre punte. MASCHERA:occhiali con un grande nasone.
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la più alta pagina musicale del ns maggior poeta dialettale
SCONFORTO

di Mario Stermieri

La prima vera ecco è quì che vièno
siamo già arènto al tempo della fóia
in mezzo ai prati si è già sgato il fieno
e vien su l’uva bella ch’la fa vóia,
ma nel mio cuoro ancor non vè giungiùto
il tiepido calor del sol d’aprilo,
perché la mante mia non m’à più vluto
e sofro, e… calo tutti i giorni un chilo!
Quando poi penso ai bacci che ci ò dato
in della ghigna fresca e pien d’ardire
mi sento commovùto e sconsolato
come se fossi arènto a partorire!
E quando penso a sì crudel disdetta
e che in del mondo non avrò più pace
blisga dagli occhi giù per la basletta
il pianto mio dal gran che m’indespiàce!

   * Mario Stermieri nacque a Carpi il 3 febbraio 1886. Date le modeste condizioni economiche in cui versava la famiglia, dovette ben presto interrompere gli studi e cercarsi un non facile lavoro, passando per molti impieghi (da ultimo, fu segretario del senatore Bertesi). Nel 1904, con alcuni amici fondò il giornale “In trâpla”, al quale collaborò con lo pseudonimo di “Pedânt”. In mezzo alle più tristi sventure (il fallimento del matrimonio, la morte prematura dell’adorata figlioletta, la tubercolosi…), seppe cantare con serenità il dolore e la gioia, nonché sorridere sulle umane debolezze in un modo tutto suo, che lo rese particolarmente caro ai carpigiani delle prime due generazioni del Novecento. Si spense nella nostra città il 25 maggio 1910.
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Infine l' arrotino tradotto esattamente diviene «el moletta»  e da Carlo Porta (Milano, 15 giugno 1775 – 5 gennaio 1821) : «... E in su quell la seggella del moletu, Che gotta giò tabacch su la basletta.
»)

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Mauro, e quand a pàsa una stangàuna molto alta, guardandola dietro gli stessi omastroni commentano, "vaca maciètTa che divertimèint èlt ch l a gh à"

  Quando uno ha il naso grosso, le donne pensano; se tànt al dà tànt.....
ma anche quando una donna ha il naso lungo - pronunciato ...

Fintaant can-a-capis, can-a-capis gninta, a n a capirà quèel.

  ?@primo a gh è na regola. AL Lètt al paressa. quel ch a gh vansa al va sopra la testa o còo di pèe :=)
Paolo Pasini
Ed chi gh à la basletta un pò troop " aggettante " a s dìis che  sa piov dimondi, al s pool anghèer !!!

        Marco Giovanardi ?...queel con il labbro inferiore sporgente ... "Dutoor .. quand a pioov a m'bagnn tutt al laber et sòta" .... Il Dottore che aveva sporgente quello superiore ... "eeh xa mninn frega a mè!!!"
              Angela Andreoli e quando sia naso che mento sono pronunciati..Nès e baslèta i fan mujèta :-))
Glauco Belmondi
sempre per chi ha una bella fracanappa...........as dà di be ches, mo as ved ank di be nes......... e a una donna che ha un "bel mento"........stla ved, besla.........

Cun al mel de schina bisgnarev laveres la facia cun al baslot a quater dii sota la baslèta.

Mauro D'Orazi La bèesla è il mento. al baslott era piccolo catino che il barbiere teneva sotto il mento del cliente (besla) quando gli faceva la barba. bèesla= baslott. I ricchi ne portavo una personale :=)

Francesco Bezzecchi
Canipa, canapa ch a n abia mai da piovèer

quando davano fuori i nasi ha preso quello più grosso

quando passa uno o una con il mento pronunciato, fra due braghèer che parlano fra di loro, si sente dire:
"Sa s in bèesla al tèimp !!"
"S te la vèed ... bèesla!" che vuol dire sia baciala, che basletta.

disegno di marco giovanardi

quand al laber èd sotta l è più foora                                                                                                                                                                                                                                                            a s giiva: "a le lò a gh pioov in ca!"

Il Kremlino di Mauro D'Orazi dialetto carpigiano

la presente versione è solo parziale  per avere quella completa mettetevi in contatto con me
 Prima stesura giugno 2011                                                     v214 del 07-09-2014

Il Kremlino

Luogo libertà
e di suprema carpigianità… cittadina
(cultura, politica, lingua, dialetto,
arti varie, speculazioni filosofiche, ecc…)

a cura di  Mauro D’Orazi





Revisione del testo e della grafia di Graziano Malagoli

Norme di trascrizione

Graziano Malagoli autore, assieme a Anna Maria Ori, del “Dizionario del dialetto carpigiano – 2011, ha curato il coordinamento complessivo del testo, la grafia delle frasi e delle parole in dialetto secondo le Norme di trascrizione, finalmente codificate, per la stesura del dizionario stesso.
Graziano Malagoli, Anna Maria Ori, Giliola Pivetti e Luisa Pivetti hanno contributo alla revisione del testo e della sintassi.

Le Norme di trascrizione adottate sono quelle di pag. XXII del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011” .

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                        martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                 méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                  bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                  bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                     vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                    ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sòol, siira
      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi
s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch

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Dedica e breve premessa

Questa breve ricerca non si sarebbe potuta realizzare senza il fondamentale contributo del fraterno amico Franco Bizzoccoli un personaggio carpigiano reale, ma che sembra uscito dall’epica e avventurosa fantasia di Hugo Pratt col suo Corto Maltese.

Un grande affetto fraterno mi legava a questa persona,
scomparsa il 14 luglio del 2014.
Troverete in fondo a questa ricerca alcune dense pagine a lui dedicate
in memoriam.

Mi accingo con un certo pudore e prudenza a indagare e riferire su questa tematica, considerata la caratura dei personaggi e tenuto conto del significato che essi hanno avuto per l’identità culturale della nostra città.
Mi sono avvalso di tutti i documenti e foto che ho trovato da tante fonti, spesso inaspettate; ho inserito tutto questo materiale in modo organico, rischiando anche qualche ripetizione o ridondanza, ma non ho voluto che si perdessero sfaccettature e sfumature. Cito la provenienza e gli autori degli articoli e dei vari scritti; per le foto non ho invece quasi mai fonti certe.
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Il Kremlino
luogo libertà e di suprema carpigianità… cittadina
(cultura, politica, lingua, dialetto, arti varie, speculazioni filosofiche, ecc…)
a cura di Mauro D’Orazi

Premessa necessaria: ad onta del nome, Kremlino, che richiama cupe e lugubri ombre moscovite - staliniste, a Carpi questo era un luogo di libertà, di libero pensiero, di approfondimento del sapere e della coscienza individuale.

Era un circolo informale, senza statuti o regole scritte, molto chiuso, unito, ma nello stesso tempo disunito, auto referenziale e di ispirazione spesso comunista. era soprannominato il Kremlino.
Le persone che aderivano si riunivano… pèr ragiunèer (pensare e discutere liberamente e in coscienza) all’ultimo piano del Castello dei Pio nello studio del pittore - scultore Renzo Baraldi e successivamente dai pittori Azio Bisi e Ivo Voltolini (detto il Prof o Ivòun) dagli anni ’30 fino agli ’80. Si ritengono, e certo non a torto, i depositari della carpigianità cittadina e di conseguenza del dialetto … cittadino, senza infiltrazioni delle parlate delle campagne o di paesi circostanti.

Erano e si sentivano un’élite culturale di matrice democratica. Ecco alcuni nomi: Darfo Dallay, Luigi Ferrari del Castello (Luigiòun dal Castèel), l’avv Poli, Ersilio Bagni, Rinaldo Pelliciari (Plicio), Renzo Baraldi, Lugli Gracco, Roberto Casarini, Umberto Severi, Eros Ongari (Mao), Turiddu Massari, Ottorino Savani, Bruno Losi (Raschìin), Marco Cucconi, ex pugnace e sanguigno comandante partigiano, chiamato anche "Melo dipinto" perché Azio Bisi lo ritrasse dormiente sotto un albero di mele, Ferruccio Bertolani (capostazione FFSS), Arialdo Neri (Direttore della Scuola di Musica), Dante Areta, i fratelli Auro e Guido Guidi, Tanino Sbrillanci, Alfonso Zirondoli (Medoro), Giovanni Righi, Raffaele Tamelli (di San Marino di Carpi), Carlo Brani, Giulio Beltrami (giovinetto e modello) e i suoi fratelli, Franco Bizzoccoli, il pittore carpigiano Giancarlo Medici, Gibertoni (detto Gibe), Mario Nora, ecc…  L’elenco è incompleto, ma sempre aggiornabile in base a ulteriori testimonianze, sempre gradite.

Ritratto di Darfo Dallay di Renzo Baraldi

Anni ’50 Una riunione del Kremlino in Castello nello studio di uno dei pittori del gruppo

Ecco qui sopra una rara foto del Kremlino e dei suoi frequentatori che possiamo datare attorno al 1948-49. L’immagine è stata gentilmente fornita da Luciana Nora, ex direttrice della sezione etnografica del Museo Carpi. Essa ritrae, non troppo nitidamente, assieme ai tanti, Mario, il padre di Luciana, Guido Guidi e, dietro la statua, Renzo Baraldi.

In particolare Azio Bisi fu un esponente di spicco, ma dissidente del Kremlino, soprattutto dopo il ritiro dalla scena pubblica di Raschìin (Bruno Losi), a causa della cocciutaggine, talvolta staliniana, dei membri del Kremlino (ciechi e acritici nei confronti dell'URSS). Dissidenza surrogata e sostenuta con ironia e battute da Nurèina, il padre di Luciana Nora, spirito mordace e veloce alla risposta che spesso metteva a tacere chi la vedeva in altro modo.
Azio Bisi ospitò nel suo studio nel Palazzo dei Pio per trent’anni il Kremlino, da dove a un certo punto venne sfrattato da una Giunta comunale un po’ avara a memoria storica. Iniziò a dipingere negli anni ’30.

In questa foto del 1975 ca di Alcide Boni vediamo il pittore carpigiano
 Azio Bisi, detto Bisarèin. Siamo in Contrèeda Bevdéer (Via Cesare Battisti)


Renzo Baraldi
nella biografia stilata dalla figlia Raffaella

Anni ’30 – Carpi - Renzo Baraldi con la-madre e le sorelle

Renzo Baraldi è nato a Carpi il 14 aprile 1911.
Le assai modeste condizioni economiche dei genitori Dirce e Oreste non gli consentirono di proseguire la scuola oltre le elementari.
Piccolo etologo per vocazione si allontanava nella campagna vicina ad osservare rospi, bisce e bestiole selvatiche di ogni specie che, quando riusciva a catturare si portava anche a casa, le tratteneva il tempo necessario per conoscerle meglio finché le liberava indenni.
Più tardi ma sempre bambino aiutava la madre che sperava di avviarlo al mestiere del sarto. Nell’adolescenza l’appassionato interesse per la natura si dilatò al mondo dell’arte. Si trovò allora molto spesso a parlare di arte con un gruppo di giovani amici carpigiani.
Giorgio Morandi e lo scultore Graziosi, emiliani anch’essi, erano il punto di riferimento su cui discutere, cosi avvenne che quasi per scommessa Baraldi modellò in creta un piccolo busto della sorellina.
Aveva 21 anni e questo evento segnò l’inizio di una vocazione che sarebbe durata per tutto il resto della sua affrettata esistenza segnata già in giovane età dalla malattia bronchiale che non lo avrebbe più abbandonato.
Quasi subito si dedicò al disegno e alla pittura dimostrando senza insegnamenti di sorta un indiscutibile talento, tanto che il professore Ersilio Bagni cultore d’arte, gli ottenne un posto presso la scuola di disegno e una borsa di studio presso l’istituto di Belle Arti di Reggio Emilia.
Nel 1934 il teatro comunale di Carpi ospitò la sua prima mostra di scultura.
Grazie al successo della mostra Baraldi fu presentato a Graziosi e a Carena e si trasferì a Firenze dove venne ammesso all’Accademia di Belle Arti. Era il 1935.
Il pittore Felice Carena con una modella
Nel frattempo a Carpi gli era stato assegnato uno spazio nella parte alta del Castello comunale dei Pio dove in tre stanzoni disadorni si riuniva con gli altri artisti e con amici carpigiani e dove si accendevano spesso anche discussioni politiche contro il regime fascista.
Nel 1937 partecipò alla mostra dei Previttoriali dell’arte alla galleria Marzocco di Firenze ottenendo il secondo premio per la scultura.
Nel 1943 conobbe e sposò Selene una ragazza che frequentava il liceo artistico.
Le ide politiche di Renzo Baraldi erano antitetiche a quelle del fascismo. Inoltre una certa imprudenza nel manifestare queste idee e alcune scritte sovversive apparse sui muri di Carpi, lo additarono all’attenzione dei fascisti locali che alla fine del 1943 lo misero in prigione per un breve periodo con l’accusa di cospirazione politica.
Una volta fuori dal carcere fu avvisato in tempo del rischio di essere fucilato dai tedeschi, riuscendo cosi a fuggire prima a Firenze dove nel frattempo gli era nata la figlia Raffaella e subito dopo a Poggibonsi dove si nascose in casa dell’amico pittore Silvano Bozzolini.

Renzo Baraldi con Nando Miselli - detto Namis – Ursus

Anni ’40 assieme a una graziosa signorina

Ritratto della figlia Raffaella con un gatto

Infine decise con mezzi di fortuna e affrontando disagi e rischi notevolissimi di trasferirsi al sud dell’Italia a quel tempo già in mano alle truppe inglesi. Miracolosamente raggiunse la Maiella in Abruzzo. Molti suoi disegni raccontano quel paesaggio grandioso e rude. Sono disegni bellissimi pervasi di bianco e di solitudine. Partì a piedi dalla Maiella con altri sette fuggiaschi e una guida. La destinazione era Bari già sede del comando inglese.

Paesaggio con albero – China

Arrivarono soltanto in due, gli altri che lungo la strada avevano preferito incamminarsi per un percorso diverso furono catturati e fucilati dai tedeschi.
Baraldi per due anni restò a Bari dove per incarico del comando alleato aprì una scuola di disegno per i militari che gli permise di guadagnarsi da vivere.
Renzo Baraldi tornò a Carpi nel giugno del 1945 e nel 1948 prese in affitto uno studio abitazione in piazza San Marco a Firenze.
Sappiamo con certezza che fra i suoi amici si possono annoverare Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Primo Conti, Ugo Capocchini, Pietro Annigoni e lo scultore Quinto Martini e, fra i più giovani Enzo Faraoni, Silvio Loffredo, Nino Tirinnanzi.
Faraoni lo ricordava vestito con enormi maglioni che indossava spesso anche nelle stagioni più calde.
Con Loffredo andava a disegnare gli alberi in fiore e a dipingere sulle rive dell’Arno.
Baraldi restò nell’intimo un solitario, orgogliosamente isolato nel suo lavoro, non fece mai parte di gruppi o movimenti. I suoi rapporti più spontanei erano con le persone umili e con i contadini che di lui subivano il fascino immediato.
Fu invitato e partecipò più volte al “PREMIO FIORINO”, alla Biennale di Padova, all’Internazionale di Carrara.
Divenne inoltre assistente alla cattedra di Figura e Ornato modellato al Liceo Artistico di Firenze il cui titolare era lo scultore Quinto Ghermandi.
Renzo Baraldi - Il Viticcio
Nel 1949 Renzo Baraldi scoprì e si innamorò dell’Isola d’Elba a quel tempo sconosciuta al turismo, incontaminata, selvaggia incantevole nei colori e nel paesaggio abbagliato di luce e di felicità: fu davvero l’Elba il suo breve paradiso in terra. Dove tornò ogni anno puntualmente fino al 1957.
Trascorreva l’estate in una vasta tenda da lui montata sulla spiaggia di Procchio, dipingendo, disegnando e respirando l’aria marina che sembrava giovare alla sua salute. Gli fu spesso compagno Silvano Bozzolini suo amico di sempre.
La tenda alle dune
In seguito altri artisti vennero all’Isola e si formò un folto gruppo che aveva come luogo di incontro di giorno e di notte proprio la tenda del Baraldi.
I pochi abitanti del paese tutte persone assai semplici vedevano queste riunioni con meraviglia e con timore e gli artisti apparivano loro diversi dai comuni mortali, incomprensibili, mirabili e insieme peccaminosi.
Dicevano ai loro figli più piccoli di non avvicinarsi alla tenda degli “Artisti” e lo dicevano a voce bassa allargando le narici come a cercare intorno un qualche odore di zolfo.
All’Elba conobbe anche ma senza particolare entusiasmo l’allora già famoso Giorgio De Chirico.
Durante l’inverno a Firenze Renzo Baraldi continuava a svolgere la sua attività di artista e di assistente del maestro Ghermandi, non trascurando di tornare a Carpi quante più volte poteva.

Molti amici del periodo bellico erano diventati facoltosi industriali nel settore della maglieria ed erano attenti estimatori delle sue opere che acquistavano per le loro collezioni.

1951 Autoritratto
Baraldi al lavoro

La Flora in lavorazione – modello in creta
Lo stesso comune di Carpi oltre alla fontana di Flora commissionata nel 1956 e originariamente collocata nella piazza Garibaldi aveva in precedenza acquistato molti suoi lavori e commissionato sculture e bassorilievi in memoria dei caduti della guerra e del lavoro.
Ai caduti, vittime del fascismo

Dal 1957 al 1959 espose in varie gallerie fra cui l’Accademia delle Arti e del Disegno in piazza San Marco a Firenze.
Fu questa in vita la sua ultima mostra. Già dal 1956 la sua salute era peggiorata fino al punto che in quell’anno scrisse da Carpi alla moglie: “Come farò a dipingere gli autunni e vivere in inverno?”.
Sempre più affaticato dalla malattia fu ricoverato all’ospedale di Poggiosecco a Firenze dove cessò di vivere all’età di 50 anni la mattina del 17 dicembre 1961.
Le poche sculture di piccola dimensione eseguite nel periodo della degenza raffigurano nudi di giovinetta con le braccia levate e le mani congiunte in un composto e forse supplice gesto di amore verso la vita.


Statuetta in bronzo di nudo femminile che richiama la Flora


Statuetta in bronzo raffigurante la figlia Raffaella
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Renzo Baraldi da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Renzo Baraldi (Carpi, 14 aprile 1911 – Firenze, 17 dicembre 1961) è stato un pittore e scultore italiano.
1955 Ritratto di Renzo Baraldi

Biografia
I suoi genitori, Dirce e Oreste, appartenevano al proletariato contadino da poco inurbato in paese. I suoi studi non proseguirono oltre le elementari, dovendo egli contribuire all'economia familiare fin da bambino.
Fin dalla sua infanzia fu appassionato osservatore della natura. Dal mondo della natura a quello dell'arte il passo fu spontaneo e Renzo si trovò quasi per istinto a modellare con la creta. Intorno ai vent'anni Renzo Baraldi fornì valide prove del suo talento creativo. Fu in quel tempo che ebbe la fortuna di imbattersi in un ricco mecenate di Carpi che lo incoraggiò a frequentare la Scuola d'Arte di Reggio Emilia, dove conobbe lo scultore Giovanni Vagnetti dal quale fu apprezzato e consigliato di trasferirsi all'Accademia di Belle Arti di Firenze (1933). Qui Baraldi, assistito dalla sua buona sorte, trovò come insegnanti il pittore Felice Carena e lo scultore Giuseppe Graziosi che in breve diventarono suoi amici e lo incoraggiarono a proseguire nel suo cammino.
Lavora con il gesso e la terracotta già dal 1932 e nel 1934 tiene una mostra di sculture nel Ridotto del Teatro Comunale di Carpi.
Enzo Faraoni, Silvio Loffredo, Quinto Martini e soprattutto Silvano Bozzolini furono i suoi compagni di percorso artistico in quel periodo. Ma la sua ricerca avveniva principalmente con pennelli e colori, nelle passeggiate solitarie nella campagna. La cultura ufficiale lo turbava e lo annoiava, e così erano rare le sue apparizioni alle Giubbe Rosse, in quel periodo crogiolo della cultura scapigliata fiorentina (1933-43).
Sono di quel periodo i suoi dipinti a olio che rivelano il suo interesse per l'impressionismo, espresso anche dal suo stile di vita bohémien. Nello stesso tempo la provincia lo chiamava e i suoi frequenti viaggi a Carpi servivano a rifornirlo di spunti e riflessioni. Lì, nella soffitta del Castello dei Pio, dove il Comune di Carpi gli aveva concesso tre stanze a uso atelièr, come studio, per i suoi meriti artistici, fervevano discussioni su arte e politica. Alla lunga la cosa venne alle orecchie dei fascisti locali, ai quali non piacquero le critiche al regime e i giudizi negativi su Mussolini.
Bozzetto per il S. Giovannino.
Durante quegli anni (1933-43) venne premiato per la scultura ai Littoriali della Cultura e dell'Arte, partecipò ad alcune mostre collettive e poté proseguire l'Accademia di Belle Arti con borse di studio. Inoltre avvenne in quel periodo l'incontro con Selene, sua compagna di corso e successivamente di vita.
Nel 1943, poco dopo la nascita della figlia Raffaella, durante una visita ai genitori a Carpi, fu avvertito che i tedeschi lo ricercavano per attività sovversive. Fuggì per non essere fucilato in una decimazione. La sua fuga lo portò ad attraversare tutta l'Italia fino a Bari liberata dagli alleati inglesi.
Erano partiti in otto tutti ricercati e lui arrivò a Bari da solo. Tutti gli altri erano stati catturati o uccisi durante il viaggio. La sua forte personalità di artista fece sì che nei due anni passati a Bari, dapprima come prigioniero politico e poi come uomo libero, fosse messo in contatto con le autorità militari inglesi per ritrarre alcune di esse. Fu un periodo fervido di creatività sia nella scultura che nella pittura: sono infatti di quegli anni (1943-1945) alcuni dei suoi lavori più intensi e maturi. Appena il territorio italiano fu liberato dagli alleati e la guerra finì Baraldi mise insieme quello che aveva dipinto (le sculture erano lavori su commissione) e spostandosi con mezzi di fortuna raggiunse la sua famiglia a Firenze.
Molte sculture e bassorilievi gli furono commissionati da Enti Pubblici per celebrare le vittime della guerra e del lavoro, e si possono ancora vedere nei piccoli paesi nei dintorni di Modena.
Nel 1949 Baraldi e l'amico Bozzolini sbarcarono all'isola d'Elba e da allora ogni estate vi fecero ritorno fondando una piccola ma rumorosa colonia di artisti che andarono a scompigliare la tranquillità del Golfo di Procchio: i pittori delle dune. Le sue tele di questo periodo sono luminose e piene di colore.
Contemporaneamente fu nominato assistente alla cattedra di scultura al Liceo artistico di Firenze, di cui era titolare lo scultore Corrado Vigni.
Purtroppo le sue condizioni di salute, mai eccellenti per l'asma che lo aveva tormentato tutta la vita, cominciarono a peggiorare sempre di più limitando la sua energia vitale e costringendolo infine a ricoverarsi nel sanatorio fiorentino di Poggiosecco dove rimase per tre anni fino alla sua morte.

1955 ca Baraldi sul suo Guzzino all’isola d’Elba

La Flora
Ecco i bozzetti della Flora e la delibera di Giunta del Comune che decideva sulla realizzazione della statua.
Ecco il fascicolo della delibera di Giunta del 1956 dove si decideva per la Flora

1956 foto montaggio dell’autore
1956 primo bozzetto della Flora di Renzo Baraldi

1956 Bozzetto della statua


Fine anni ‘50 - La Flora di Renzo Baraldi quando era ancora in Piazzetta
1960 ca – La Flora in Piazzetta svolge la sua funzione di fontana con acqua corrente a servizio del mercato scoperto che si svolgeva in quel luogo.
Notare la bici da pularóol sulla destra

Raffaella Baraldi soprannominata dal Kremlino... Ravanèel (rapanello) così ricorda il padre in una preziosa email che mi ha inviato:
“Livorno, 20-09-2013
Gent.mo Mauro D'Orazi,
                                   in questi giorni sto ripercorrendo la vita di mio padre Renzo e per qualche strano e meraviglioso fenomeno ecco arrivare tante notizie di lui, fra le quali le sue molto gradite e circostanziate.
Tutti i fatti e i nomi che lo riguardano stanno uscendo da una specie di baule polveroso nel quale erano rinchiusi da anni.
Lugli, Setti, Guidi, Beltrami, ecc… tutte persone che ho conosciuto da bambina, quando il mio nome da Raffaella era stato cambiato in Ravanèel, come da copione. Purtroppo non posso ricordare volti e discussioni data la mia età molto acerba.
Così è per me commovente rivedere i volti incuriositi dei carpigiani d'allora davanti alla statua e immaginare i commenti in dialetto:
"Mò l'è nuuda nèeda!" (ma è nuda nata).
Non credo di poter aggiungere niente a quanto da lei raccontato, solo le sorelle e il fratello di Renzo, purtroppo morti da poco, eccetto la minore Eva, potrebbero aggiungere aneddoti e storie avendole vissute insieme a lui.
Sto cercando di fare un sito internet dedicato a mio padre, affinché il suo nome non rimanga sconosciuto ai giovani carpigiani che passeranno davanti alla povera Flora rapita e posta in Piazzale Ramazzini.
Grazie e buon lavoro col dialetto.
              Ravanèel (Raffaella Baraldi) ”

           
Fine anni ’50 – Una bimba carpigiana (Casarini) gioca con l’acqua della fontana


Fine anni ‘50- La Flora di Renzo Baraldi in Piazzetta

1963 Mercato di piazza Garibaldi con la Flora di Renzo Baraldi

Metà anni ’70 - Il Rapimento di Flora,
perpetrato per ordine dell’allora Sindaco Werther Cigarini
Metà anni ‘70 - La nuova collocazione in Piazzale Ramazzini,
Lo scrittore e commediografo dialettale Vittorio Salati si diede molto da fare per ricollocarla in Piazzetta, con appelli e petizioni, ma inutilmente.
2014 Piazzale Ramazzini – come si presenta la statua oggi.
Senza acqua e in mezzo a un parcheggio.
Perché non la si torna a mettere in Piazzetta Garibaldi ?

2014 La Flora in Piazzale Ramazzini
Curiosità e “braghirismi” assolutamente NON confermati

Per la figura femminile della Flora, sembra che lo scultore si sia ispirato a una gran bella ragazza ospitata da Manna Nina, di nome Silana, della quale Baraldi si era fortemente invaghito. Silana rimase ospite da Manna Nina fino ai 18 anni, ma continuò a dare il suo contributo personale alla Casa della Divina Provvidenza, anche quando aveva figli suoi che hanno passato parecchio tempo in quel luogo. Silana aveva una grande venerazione per Mamma Nina.
In quegli anni il seno nudo era una cosa inimmaginabile e, considerando che era stata rappresentata una donna che esisteva realmente, non frutto dell'immaginazione, ci fu un certo scandalo quando statua venne esposta in Piazzetta.
La statua, per la sua, oggi, innocentissima nudità, pare che all'epoca ispirasse molti ragazzini inquieti provocando pensieri impuri, con conseguente perdita della vista.
Giulio Beltrami mi dice invece che la modella era stata la carpigiana Milvia Casarini, scomparsa nel 2014.
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La statua è poi stata soprannominata irrispettosamente dai carpigiani in vari modi:
Pomona, forse per i due seni tondi a pomo in evidenza o per la frutta in grembo;
Tetòuna per le tette fuori;
Merdòuna, perchè la se spaasa al cuul dedrée (romantico!).
La dònna in simma al cèeso per la sua posizione.
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A tale proposito nel numero unico satirico di natale “Al buuṡ dla ciavaduura” fu inserita una irriverente caricatura de La Flora, in atteggiamento inequivocabile.
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Dal giornalista di Carpi Fabrizio Stermieri mi giunge una testimonianza con un interessante elemento.
“Carpi, 30 giugno 2014
Ecco la foto di una statuetta in terracotta in mio possesso; mi pare che lo stile sia compatibile con la fontana e anche con la statua di Flora che c'è nel parco di San Nicolò. Tenendo conto delle dimensioni, che sono ridotte: l'oggetto nero ai suoi piedi per il confronto è sei centimetri e mezzo per quattro. Purtroppo la pessima idea di mio zio di passare, anni fa, sulla terracotta una mano di vernice bianca, ha reso più grossolani i lineamenti della fanciulla che in realtà erano meno marcati.”

Statuetta in terracotta pitturata, molto simile alla Flora

Un ritratto fotografico significativo

L’inquietante e affascinante ritratto (1956) del pittore carpigiano Renzo Baraldi

Sul retro di questo bel ritratto, la foto è appartenente alle ricche collezioni di Felice Marzi (Carpi +2013) e Romano Cavalletti (Carpi), troviamo questa nota, opportunamente corretta dalla figlia Raffaella Baraldi con la seguente email a me indirizzata:

“Livorno 6-10-2013
Gent Mauro D’Orazi,
ecco la corretta didascalia alla foto:

= Autoritratto dello scultore carpigiano Renzo Baraldi (Rensòun) 1956.
Fu per molti anni insegnante all’Accademia delle Belle Arti a Firenze, fu autore della fontana (La Flora) di Piazza Garibaldi a Carpi e di moltissime opere di scultura sparse per l’Italia e oltre. Fu anche prolifico di opere di pittura. Mori a 50 anni nel 1961 di T.B.C. .
Fu cremato e le sue ceneri riposano presso il cimitero di Trespiano a Firenze. Era simpaticissimo. =

                                                Cordiali saluti Raffaella” 

Cimitero di Trespiano - Firenze
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Sempre Raffella mi ha fatto pervenire questa lettera del 1959, diretta al Sindaco Bruno Losi, circa la diatriba sull’entità del compenso per la Flora.

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Scheda di Paola Borsari su Renzo Baraldi

Scheda di Paola Borsari (Carpi) dal suo libro - Insegnare l’Arte - dalla “Scuola di Disegno” (1840- 1967) al Centro Arti Figurative” di Carpi - .

Renzo Baraldi (Carpi, 1911- Firenze, 1961) Giunto ormai adulto alla Scuola Comunale di Disegno, grazie all'interessamento di un amico ed appassionato d'arte, Baraldi gode poi di una borsa di studio all'Istituto d'Arte di Reggio Emilia. L'interesse per la natura e per l'arte, coltivato fin dall'infanzia, trova sbocco dapprima nella plastica, di cui, nel 1934, egli è in grado di esporre i primi saggi al Ridotto del teatro, non trascurando la grafica. Per affinità, Baraldi si avvicina istintivamente a Morandi e Graziosi.
A Reggio, Baraldi conosce Giovanni Vagnetti, che lo introduce all'Accademia di Belle Arti di Firenze, ai corsi di Graziosi e Carena, di cui gli è concessa la frequenza gratuita per meriti (1935). Baraldi fa la spola fra Firenze (dove, tra l'altro, giunge secondo ai «Prelittoriali» tenutisi alla Galleria Marzocco) e Carpi, i suoi amici, lo studio concessogli nel Castello dal comune, che lo aiuta, finanziariamente, a mantenersi a Firenze.
Nel 1943, sposatosi e divenuto padre, finisce in prigione per aver manifestato troppo apertamente il suo dissenso nei confronti del Regime; liberato, egli si dà ad una rocambolesca fuga che lo porta al Comando Alleato di Bari, presso il quale apre una Scuola di Disegno per militari.
Finita la guerra, l'artista si stabilisce a Firenze, facendo l'assistente alla cattedra di Figura e Ornato Modellato del Liceo Artistico. Continua a lavorare alacremente, conosce e frequenta Soffici, Rosai, Annigoni ma ama tornare a Carpi, dove numerosi sono i suoi estimatori e collezionisti.
Da sempre, Baraldi dipinge all'aria aperta, nelle campagne intorno a Carpi come sulle rive dell'Arno e sulle spiagge dell'isola d'Elba, dove passa le estati dal 1949 al '57. Si vedano le assolate vedute della Risaia (1940; Firenze, coll. priv.), dei Meli in fiore (1950; Carpi, coll. priv.) e del Golfo di Procchio (1950; Carpi, coll. priv). La sua pittura, intensa, potente nel costruire masse colorate, spazia dalla natura morta (splendido, fra gli altri, il Vaso di girasoli, 1945; Firenze, coll. priv.), alla figura umana (Nudo di ragazza davanti allo specchio, 1956, Firenze, coll. priv), al ritratto. In quest'ultimo ambito, colpisce l'affettuoso e delicato Ritratto di Raffaella con bambola (1950; Firenze, coll. priv), mentre nella trasfigurata Testa di Medusa (1942; Firenze, coll. priv), i capelli della donna, bluastri, si protendono con la drammaticità, che qualcuno vuole autobiografica, di certe tormentate vedute di paesaggio (il carrubo, 1944; Firenze, coll. priv).
Si rivela, indubbia, l'enorme potenzialità grafica dell'artista, la stessa dei disegni con nudi quasi pontormeschi, degli scorci di paesi trattati sapientemente a china, di forte impatto visivo.
Nella scultura, Baraldi dimostra un approccio più mediato col reale, pregno della cultura classica, evidente ad esempio nel Lottatore (1935; Carpi, Museo Civico) ma tutt'altro che limitato da essa. Dopo i primi lavori in terracotta e gesso, l'artista si dedica a bronzi, prevalentemente figure femminili di fresca ed originale invenzione (Milvia, 1954, Firenze, coll. priv, Le tre grazie, 1956, Carpi, coll. priv.). Nel 1956, egli realizza per il Comune di Carpi, già proprietario di numerose pitture e sculture, la Fontana di Flora, in bronzo, collocata in Piazza Garibaldi (ora al centro di piazza B. Ramazzini).

Autoritratto di Renzo Baraldi (presso Museo Civico di Carpi)
Nei tardi anni '50, poco prima del peggioramento della sua malattia e del suo ricovero in ospedale (1959), Baraldi ha due importanti occasioni espositive, alla Galleria Cocchini di Livorno (1957) e all'Accademia delle Arti del Disegno in Piazza San Marco a Firenze, dove espone bronzi e disegni. Nel 1962, ad un anno dalla morte, la memoria dell'artista viene onorata al «Premio Fiorino» di Palazzo Strozzi, ospitando cinque sue sculture, mentre la Mostra Celebrativa carpigiana del 1963 è presentata da Pietro Annigoni.
Le opere di Baraldi si trovano in collezioni private e pubbliche, italiane e straniere, fra le quali la Galleria d'Arte Moderna di Firenze.

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Bibliografia essenziale
A. GARUTI, Carpi. Museo Civico "Giulio Ferrari". I dipinti, Bologna 1990, pp. 161 - 162. Renzo Baraldi. Itinerari, catalogo della mostra, a cura di P. GUERRIERI, Poggibonsi 1992.

1955 - Procchio – Isola d’Elba – ritratto del pittore
Ecco un interessante e ricco articolo di Gilberto Zacchè su Renzo Baraldi:
VOCE di Carpi del 12 settembre 2013

Baraldi pittore di dune, protagonista all'Elba
L'artista di Carpi ricordato nell'isola
di Gilberto Zacchè

Isola d'Elba - Nell'incantevole cornice del Grigolo, sede della Lega navale di Portoferraio, si è tenuto di recente un incontro dedicato al gruppo dei "pittori delle dune" che animò la località di Procchio negli anni Cinquanta, contribuendo al suo lancio turistico. Di fronte a un folto pubblico, attento e commosso, si sono alternati artisti, studiosi e famigliari che hanno portato significative e toccanti testimonianze su quel gruppo di artisti e su quella stagione irripetibile, con l'ausilio di suggestive immagini d'epoca e riproduzioni di opere. La serata è stata introdotta da Francesca Groppelli, ideatrice del ciclo "Non solo arte", promosso da ArteElba, e da un video realizzato da Angela Provenzali con materiali d'archivio inediti o poco noti. Fra i protagonisti di quella stagione, il carpigiano Renzo Baraldi, Beppe Lieto, Gonni (Iginio Gonich) e Ormanno Foraboschi, attivi, questi ultimi, anche in campo pubblicitario.
Questa esperienza professionale può aiutarci a comprendere come un gruppo di artisti bohèmien, che viveva in spiaggia, nelle tende o nelle baracche o addirittura in una barca spiaggiata, come Gonni, abbia concepito straordinarie operazioni di quello che oggi chiameremmo marketing territoriale, contribuendo al lancio di Procchio. Basti pensare al ristorante, ornato dai disegni degli artisti di passaggio in cambio di un piatto di spaghetti, e al "diario di bordo" dove i visitatori lasciavano commenti, pensieri ma, soprattutto, disegni. E fra gli artisti che hanno avuto contatti con il gruppo c'erano personaggi del calibro di De Chirico. Renzo Baraldi fu uno dei primi a scoprire Procchio e fu molto attivo nella promozione tra i concittadini (a Procchio ha sede una casa vacanze della cooperativa Cmb di Carpi e molti carpigiani hanno acquistato casa nel golfo). A Baraldi ha dedicato un pensiero Gianfranco Vanagolli, che ha fatto omaggio alla figlia Raffaella di un suo libro riportante un disegno di Renzo in copertina.
La signora Raffaella, da me incontrata nell'occasione, quando le ho riferito di aver lavorato nel castello di Carpi, proprio accanto ai locali occupati dallo studio dell'artista, ha cortesemente acconsentito a narrarmi le vicende biografiche del padre, che di seguito riassumo:
"Renzo Baraldi è nato a Carpi il 14 aprile 1911. Le assai modeste condizioni economiche dei genitori, Dirce e Oreste, non gli consentirono di proseguire la scuola oltre le elementari. Nell'adolescenza l'appassionato interesse per la natura si dilatò al mondo dell'arte. Si trovò allora molto spesso a parlare di arte con un gruppo di giovani amici carpigiani. Giorgio Morandi e lo scultore Graziosi erano i punti di riferimento sui quali discutere, così avvenne che quasi per scommessa Baraldi modellò in creta un piccolo busto della sorellina. Aveva 21 anni e questo evento segnò l'inizio di una vocazione che sarebbe durata per tutto il resto della sua affrettata esistenza segnata già in giovane età dalla malattia bronchiale che non lo avrebbe più abbandonato. Quasi subito si dedicò al disegno e alla pittura dimostrando senza insegnamenti di sorta un indiscutibile talento, tanto che il professor Ersilio Bagni, cultore d'arte, gli ottenne un posto presso la scuola di disegno e una borsa di studio presso l'istituto d'arte di Reggio Emilia. Nel 1934 il Teatro comunale di Carpi ospitò la sua prima mostra di scultura. Grazie al successo della mostra Baraldi fu presentato a Graziosi e a Carena e si trasferì a Firenze dove venne ammesso all'accademia di belle arti. Era il 1935. Nel frattempo a Carpi gli era stato assegnato uno spazio nella parte alta del castello comunale dei Pio dove in tre stanzoni disadorni si riuniva con gli altri artisti e con amici carpigiani e dove si accendevano spesso anche discussioni politiche contro il regime fascista. Nel 1937 partecipò alla mostra dei Previttoriali dell'arte alla galleria Marzocco di Firenze ottenendo il secondo premio per la scultura. Nel 1943 conobbe e sposò Selene, una ragazza che frequentava il liceo artistico. Le idee politiche di Renzo Baraldi erano antitetiche a quelle del fascismo. Inoltre una certa imprudenza nel manifestare queste idee e alcune scritte sovversive apparse sui muri di Carpi, lo additarono all'attenzione dei fascisti locali che, alla fine del 1943, lo misero in prigione per un breve periodo con l'accusa di cospirazione politica. Una volta fuori dal carcere venne avvisato in tempo del rischio di essere fucilato dai Tedeschi, riuscendo così a fuggire prima a Firenze e subito dopo a Poggibonsi dove si nascose in casa dell'amico pittore Silvano Bozzolini. Infine decise con mezzi di fortuna e affrontando disagi e rischi notevolissimi di trasferirsi nell'Italia del sud a quel tempo già in mano alle truppe alleate.
Miracolosamente raggiunse la Maiella in Abruzzo. Molti suoi disegni raccontano quel paesaggio grandioso e rude. Sono disegni bellissimi pervasi di bianco e di solitudine. Partì a piedi dalla Maiella con altre sette fuggiaschi e una guida. La destinazione era Bari già sede del comando inglese: arrivarono soltanto in due. Gli altri che lungo la strada avevano preferito incamminarsi per un percorso diverso furono catturati e fucilati dai Tedeschi. Baraldi restò per due anni a Bari dove, per incarico del comando alleato, apri una scuola di disegno per i militari che gli permise di guadagnarsi da vivere.
Tornò a Carpi nel giugno del 1945 e nel 1948 prese in affitto uno studio abitazione in piazza San Marco a Firenze. Sappiamo con certezza che fra i suoi amici si possono annoverare Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Primo Conti, Ugo Capocchini, Pietro Annigoni e lo scultore Quinto Martini e, fra i piu giovani, Enzo Faraoni, Silvio Loffredo, Nino Tirinnanzi. Faraoni lo ricordava vestito con enormi maglioni che indossava spesso anche nelle stagioni piu calde. Con Loffredo andava a disegnare gli alberi in fiore e a dipingere sulle rive dell'Arno. Baraldi restò nell'intimo un solitario, orgogliosamente isolato nel suo lavoro, non fece mai parte di gruppi o movimenti. I suoi rapporti più spontanei erano con le persone umili e con i contadini che di lui subivano il fascino immediato e che lo riempivano di piccoli doni mangerecci.
Fu invitato e partecipò più volte al "Premio Fiorino", alla Biennale di Padova, all'Internazionale di Carrara. Divenne inoltre assistente alla cattedra di figura e ornato modellato al liceo artistico di Firenze il cui titolare era lo scultore Quinto Ghermandi.
Nel 1949 Renzo Baraldi scoprì e si innamorò dell'Isola d'Elba a quel tempo sconosciuta al turismo, incontaminata, selvaggia, incantevole nei colori e nel paesaggio abbagliato di luce e di felicità, fu davvero l'Elba il suo breve paradiso in terra dove tornò ogni anno puntualmente fino al 1957. Trascorreva l'estate in una vasta tenda da lui montata sulla spiaggia di Procchio dipingendo disegnando e respirando l'aria marina che sembrava giovare alla sua salute. Gli fu spesso compagno Silvano Bozzolini suo amico di sempre. In seguito altri artisti vennero all'Isola e si formò un folto gruppo che aveva come luogo di incontro di giorno e di notte proprio la tenda del Baraldi. I pochi abitanti del paese, tutte persone assai semplici, vedevano queste riunioni con meraviglia e con timore: gli artisti apparivano loro diversi dai comuni mortali, incomprensibili, mirabili e insieme peccaminosi. Dicevano ai loro figli più piccoli di non avvicinarsi alla tenda del Baraldi che c'erano gli "Artisti" e lo dicevano a voce bassa allargando le narici come a cercare intorno un qualche odore di zolfo. All'Elba conobbe anche, ma senza particolare entusiasmo, l'allora già famoso Giorgio De Chirico.
Durante l'inverno, a Firenze, Renzo Baraldi continuava a svolgere la sua attività di artista e assistente del maestro Ghermandi, non trascurando di tornare a Carpi quante più volte poteva. Molti amici del periodo bellico erano diventati facoltosi industriali nel settore della maglieria ed erano attenti estimatori delle sue opere che acquistavano per le loro collezioni. Lo stesso Comune di Carpi oltre alla fontana di Flora commissionata nel 1956 e originariamente collocata nella piazza Garibaldi aveva in precedenza acquistato molti suoi lavori e commissionato sculture e bassorilievi in memoria dei caduti della guerra e del lavoro. Bruno Losi, il sindaco dell'epoca, era tra i suoi principali estimatori e, dopo avergli fatto visita a Procchio, non fu estraneo alla decisione della Cmb di realizzare la "colonia" estiva proprio in quella località. Dal 1957 al 1959 espose in varie gallerie fra cui l'Accademia delle Arti e del Disegno in piazza San Marco a Firenze.
Fu questa in vita la sua ultima mostra; già dal 1956 la sua salute era peggiorata fino al punto che in quell'anno scrisse da Carpi alla moglie "come farò a dipingere gli autunni e vivere in inverno?". Sempre più affaticato dalla malattia fu ricoverato all'ospedale di Poggio Secco a Firenze dove cessò di vivere a soli 50 anni la mattina del 17 dicembre 1961.
Le poche sculture di piccola dimensione eseguite nel periodo della degenza raffigurano nudi di giovinetta con le braccia levate e le mani congiunte in un composto e forse supplice gesto di amore verso la vita".
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Lo studio di Baraldi in Castello, sede dell’intelligentia carpigiana.
Guido Guidi a sn e Renzo Baraldi a dx.
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Gli ultimi tre giovani adepti di Luigiòun (fra il 1945 e 1948) furono Felice Marzi, Norberto Beltrami e Franco Bizzoccoli, costretti a sedere, sui gradini dell’entrata, silenti e intimiditi per ben tre anni, con il divieto di non oltrepassare il limite, previsto per gli apprendisti muti, del pronaos del Tempio (in camera caritatis). Solo dopo aver osservato questo lungo silenzio, degno di ben altri percorsi iniziatici, poterono essere ammessi a pieno titolo, prima nella Camera di Mezzo e poi nel sacro luogo del Cenacolo, a similitudine del lunga e lenta progressione della scuola pitagorica.
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Anche Fermo N.H. Grillenzoni, detto Mimo, recentemente scomparso, pur nella sua stranezza mentale, riconosceva l’importanza di questo luogo d’incontro e nel contempo del concetto culturale urbanistico di essere nati e vissuti dentro alla Mura. Anche dopo tanti anni, davanti ai componenti di quel gruppo di artisti, intellettuali e mormoratori, li salutava uno a uno con rispettosa deferenza: “Adìo, sgnóor Pliicio! Adìo, sgnóor Pliicio!” Finché non arrivava quella a cui negava il saluto … “Perchè tè t ii dla Cagnóola!” Perché tu sei della Cagnola, cioè di Via Sergio Manicardi, allora l’unica contrada fuori dal perimetro un tempo occupato dalla cinta muraria cittadina
Il Kremlino (termine coniato nel 1942 in un rapporto di polizia dopo un’irruzione nel Castello … “covo di antifascisti denominato Kremlino”) svolse poi anche il suo puntiglioso compito presso il gruppo di tavolini a ridosso del portico del bar Milano (oggi chiuso definitivamente), dove dopo pranzo e dopo cena si riunivano i Tamelli, gli Sbrillanci, i Plicio, ecc … ossia i compagni fedeli alla linea ex staliniana, anche per discutere e criticare aspramente i vari governi scudocrociati.
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Antonio Casarini (èd L’Uultma - Cuntrèeda Teranóova - Via Giordano Bruno) ricorda che Roberto Casarini era suo zio, fratello di suo padre; conosceva tutti gli amici dello zio che erano fra gli altri: Plicio, Gracco, Guidi, Bizzoccoli, Areta, ma soprattutto Bisi Azio. Antonio frequentò anche lui Bisi, il quale lo aveva soprannominato "Fóogh Saacher", perché appena dopo essere entrato nel suo studio di pittore, Antonio Casarini non riusciva a stare fermo e scappava quasi subito a casa sua per disegnare o dipingere. Anche oggi gli è sufficiente annusare il pungente e caratteristico odore dei colori a olio per rivivere quelle atmosfere.
Correva a casa, mentre gli altri amici restavano lì con Bisi a parlare d'arte e a guardarlo dipingere
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Riporto alcuni capitoletti di Gianfranco Imbeni che si trovano sul suo libro del 1982 Maldicenze, relativi al Kremlino. Imbeni si è avvalso anche dei ricordi di Franco Bizzoccoli.
IL «KREMLINO»
Il «Kremlino» (un gruppo di carpigiani che «se la contano» ogni santo giorno dell’anno oggi ai tavoli del caffè Milano) costituisce ciò che rimane di un «filòos» culturale antifascista che già intorno al 1938 progettava una rivolta contro il regime. Sede del comando doveva essere la villa Pallotti, individuata durante interminabili passeggiate lungo il viale della stazione. Davanti a quella villa sembra che a quei tempi il Lugli Gracco (noto come «Il Conte) abbia addirittura provato una antica pistola di origine garibaldina, che doveva poi servire alla bisogna. Ma le polveri erano vecchie e stanche e il colpo fece pluff. All’indomani dell’otto settembre due componenti il Kremlino (il Pellicciari e il Bisi) risultavano sulle liste nere della Repubblica di Salò, tanto che dovettero portarsi al confine svizzero (senza peraltro riuscire a espatriare). Ma il primo della lista dei condannati a morte era Renzo Baraldi, il noto pittore e scultore, comunista iscritto, il quale fuggì a Firenze, donde ritornò dopo il 25 aprile del ’45. Baraldi favoriva le comunicazioni e metteva a disposizione i locali a quel «filosso artistico». Esso deve il nome di «Kremlino» ad un certo Corbellini, delegato di polizia a Carpi alla fine degli anni ‘30. Chi amalgamò il gruppo a quell’epoca furono: un Gandolfi, studente, caduto poi nella campagna di Russia; Oscar Righi, anch’egli studente, comunista allievo di Marino Sacchi, il quale fu poi vice questore del C.L.N. e comandante dei vigili urbani di Modena; infine, Darfo Dallay, studente di medicina (come Sandro Cabassi), gravitante politicamente nell’area azionista, il quale nel 1936 tracciò la famosa scritta «Circolo dei Borghesi» davanti allo stadio, in cui si praticava lo sport del tennis, allora riservato a pochi privilegiati. Darfo Dallay fu impiccato dai fascisti a Mirandola e prima di morire chiese un pettine per ravviarsi i capelli per essere in ordine davanti a chi lo stava uccidendo.

Gianfranco Imbeni ricorda anche di quegli anni:
*L’intero palazzo dei Pio formava all’epoca un enorme falansterio intensamente popolato. Al suo ultimo piano, non lontano dalle inesplorate scartoffie degli archivi municipali, il Comune aveva ricavato degli alloggiamenti divisi da paratie di legno compensato, che ospitavano i “profughi romani”, soprattutto tanti bambini (molti altri erano stati accolti anche all’interno delle famiglie in città) in fuga da Roma, disastrata “città aperta”. Faceva parte di quella umanità un certo Luigi, un vetusto “professore” di misteriosa provenienza (un ex carcerato politico, sembra, munito di un provvisorio permesso di soggiorno) alto e dinoccolato, il quale si guadagnava da vivere impartendo lezioni, al prezzo di una “offerta libera”, su discipline le più disparate. Un coetaneo del sottoscritto compì l’iter liceale grazie anche alle “ripetizioni” di latino, disegno tecnico e artistico e di matematica, impartitegli proprio da colui che noi chiamavamo il Luigione del Castello, il quale, come gli antichi peripatetici, amava insegnare all’aperto, nell’incolto giardino comunale dietro il Teatro. “Educare – diceva mostrando un virgulto – significa estrarre, cioè aiutare l’alunno a tirare fuori quello che ha già dentro di sé, nel suo ancor vergine trasporto per la poesia, cioè verso la vita”.
1927 ca - Carpi - Cortile dell’Opera Pia Realina da sn Palmati Alcide
e lo scultore Renzo Baraldi a piedi scalzi
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Sul Kremlino ecco un passo tratto da "Il buon regime", il libro su Carpi negli anni Sessanta di un autore (Florio Magnanini) che non sarà mai tale, almeno finché tale “non” libro non sarà stato effettivamente pubblicato…

«... A completare il panorama non si può non menzionare il Kremlino, sorta di strano sodalizio politico culturale, con spiccata propensione alle mormorazioni, vicino, ma gelosamente autonomo dal Pci e legato soprattutto al culto di Bruno Losi. Nell’atelier del pittore Azio Bisi, graziosamente concesso per tre decenni dal Sindaco nei sottotetti del Castello dei Pio, si ritrovavano figure importanti dell’apparato comunale, come Almo Baraldi, capo ripartizione ai Tributi, e Gracco Lugli (ateo e anticlericale), impiegato nello stesso settore, entrambi molto al corrente delle situazioni patrimoniali dei carpigiani più abbienti e buoni conoscitori delle pieghe più intime dei criteri applicativi dell’imposta di famiglia. Non disdegnava qualche puntata nel Kremlino un essere assolutamente apolitico come Gianni Menotti (detto Gianulòun), commesso di farmacia, pittore e capostipite di un’intera generazione di bohèmien, spinto a quella frequentazione soprattutto da interessi artistici e dalla curiosità per la comédie humaine cittadina alla quale forniva il proprio sostanzioso apporto di informazioni. Non era neppure difficile vedere aggirarsi nella luce fioca dell’atelier di Bigi l’imprenditore Umberto Severi, appassionato di arte, un trascorso giovanile nelle file partigiane, ma poi protagonista di una delle più sorprendenti avventure commerciali e produttive legate all’abbigliamento. Ma l’uomo che meglio riassumeva in sé la natura del gruppo era Rinaldo Pellicciari, amico personale e un po’ suggeritore di Losi, direttore dell’Ente comunale di consumo, figura naturale di leader silenzioso e autorevole, uno che la Resistenza l’aveva vissuta in prima linea, diventando commissario politico della divisione Sap Carpi. Per quanto sotterraneamente critico e perfino irridente verso la dirigenza politica del Pci, il Kremlino (è rimasto negli annali il grido “Bruno, non ci lasciare!”, lanciato in Teatro da Gracco Lugli nei primi mesi del 1970, quando venne ufficialmente comunicata la non ricandidatura del Sindaco storico) era il canale d’ascolto privilegiato per Bruno Losi, leader di un partito espresso dalla campagna, per capire gli umori profondi di un ceto medio urbano per lo più legato alla concorrenza democristiana».

Luigiòun dal Castèel

Luigiòun dal Castèel Luigi - Pagliani - del Castello viveva in alcune stanze (concesse dal Podestà) nel Palazzo dei Pio a Carpi in mezzo a centinaia di libri. Era alto quasi due metri; un singolare personaggio che indossava sempre una papalina; era esperto conoscitore di Dante e delle discipline classiche. Leggeva e commentava ad alta voce i canti della Divina Commedia. Si dice che venisse da Asti, artigiano materassaio, colto, autodidatta, eclettico. Pare che uccise la moglie e, finita la detenzione, fu mandato in domicilio coatto a Carpi; ciò può essere verosimile, se consideriamo l’assegnazione di alcune stanze del Comune in Castello. Spesso sul suo capo arrivavano denunce per calunnie, perché di fronte a ingiustizie sociali, prendeva carta e penna accusare chi compiva tali atti contro la povera gente. Morì negli anni ’60.
Carlo Carlòun Bertani (Carpi) ricorda che c'era un signore che abitava in castello; si chiamava Luigi, detto Luigiòun. Era un erudito e da piccolo lo sentiva raccontare la storia di tutte le strade di Carpi, coi loro antichi nomi, e anche del Borgo Gioioso e del Borgo Noioso, luoghi rispettivamente davanti e dietro il castello dei Pio
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Lugli Gracco
da “Maldicenze” di Gianfranco Imbeni - 1982

Detto «Il Conte». Nato nella famiglia garibaldina dei Caṡòot. Ateo convinto. Responsabile di una famosa bacheca (1945) sotto il Portico Lungo intitolata al «Movimento per la laicità dello Stato». Pubblico accusatore in certi processi epurativi intentati contro ex fascisti. Abbonda l’aneddotica sulla sua infanzia per il suo odio verso gli animali, in particolare gatti e galline. Non ha mai fatto proprio il dovere di servire la patria: fu ospite di un forte militare a Verona in qualità di «quasi disertore». Uomo di coraggio o di casermaggio? Certamente, poeta (di un’unica composizione partorita in un campo di concentramento tedesco). Ottimo narratore di cose locali e storiografo delle famiglie di Carpi. Ha ereditato le fortune dei Lugli Caṡòot ma ai registri delle imposte risulta nullatenente. I maligni sostengono sia sempre aggiornato sulla rendita dei B.O.T.. (Ovviamente «Il Conte» mette a buon frutto la lunga esperienza di funzionario dell’ufficio tasse comunale insieme al ragionier Almo Baraldi: l’unico impiegato del palazzo provvisto di macchina da scrivere con caratteri cirillici). Celebre il suo racconto (a puntate) sull’esodo dal campo di concentramento in Turingia alla magione avìta. Uomo molto parsimonioso. Risulta essere ancora in possesso di diverse paia di calzini portati con sé dalla Germania. È conosciuto anche come nipote di Tugnulèina, un calzolaio che non ebbe mai vetri, ma cartapecora ai telai delle finestre: i ragazzacci dell’epoca vi infilavano la testa per chiedergli l’ora (Tugnulèina possedeva uno dei pochi orologi d’oro di Carpi).

 STUDIO D’ARTE
ROMANO PELLONI
 v. Trento e Trieste, 1
 41012 CARPI (MO)

CONRIBUTO di Romano Pelloni alla ricerca
su ”IL KREMLINO” a cura di Mauro D’Orazi

Carpi, 07-03-2014

Negli anni 1944-46 io andavo a scuola di “disegno” nello studio di IVO VOLTOLINI sopra al caffè di Felice, il padre del pittore che era in corso A. Pio in angolo con via M. Meloni.
Dovevo prepararmi per l’esame di ammissione al corso superiore dell’Istituto Belle Arti Venturi di Modena, perché avevo, come si diceva allora, “buone doti”. Esame che sostenni nell’autunno del 1946 con buon esito. Ovviamente interruppi il corso da Voltolini, ma rimasi legato al mio maestro per tutta la vita.
E’ dal 1948 che, assieme a Norberto Beltrami, frequentavo lo studio che in quegli anni Voltolini aprì in Castello al secondo piano dell’ala Estense, ove il sindaco Bruno Losi aveva dato come anche ad altri artisti; lo scultore Renzo Baraldi e il pittore Azio Bisi, artisti, ovviamente, “di sinistra”.
Della attività nello studio di Voltolini ho pochi ricordi: con una certa invidia vedevo che quegli artisti avevano sempre dei modelli per lo studio del nudo: per gli uomini vedevo “la bèela Nàaia” il quale nelle pause tra una posa e l’altra riposava prendendo il sole integrale ad una delle finestre del cortile (allora lo stile astratto non aveva ancora fatto scuola a Carpi e i soggetti degli artisti erano nature morte, paesaggi, ritratti e figure umane. Delle modelle invece vedevo solo gli esiti nelle opere degli artisti perché esse posavano nude solo alla sera, ma anche perché il buon Bisi accennava anche ad altro … e ci faceva notare un disfatto divano maculato a dovere, fra i sorrisi complici di me e di Norberto.
Dello studio di Voltolini ricordo il suo tormento nell’incollare alle finestre dei fogli di carta bianca perché la luce filtrasse diffusa su modelli ed opere, mentre il maestro ordinava all’allievo Norberto, figlio di Ercole Beltrami falegname, grandi piattaforme con perno centrale rotabile, per rimuovere i modelli già in posa nella ricerca della luce migliore.
Quando nel 1948 don Antonio Bellini, parroco di Santa Croce volle arredare l’abside della navata nord della parrocchiale per creare un piccolo Santuario alla Madonna dell’Aiuto che, si diceva, faceva miracoli, chiese a me chi poteva essere il pittore adatto a dipingere le pareti dell’abside. Subito pensai al mio maestro Voltolini, mentre l’altare, l’ancona e le balaustre in marmi policromi erano stati commissionati dal parroco alla scultrice Carmela Adani di Correggio.
Voltolini, non esperto di arte sacra e d’abitudine lento nell’esecuzione del lavoro, non volle dipingere direttamente sul muro, ma preferì dipingere a olio su tele, con telai curvi che fece fare a Norberto ormai il suo “falegname di fiducia”.

L’abside della navata nord della Chiesa di Santa Croce di Carpi
con le tele di Ivo Voltolini

Come soggetti furono scelti angeli musicanti che Voltolini dipinse nello spazioso studio del Castello e per modelle prendeva quelle della sera … Io andavo a vedere Voltolini lavorare e mi permettevo di dare qualche suggerimento per la iconografia ed essere certo che gli angeli risultassero tali e piacessero al sospettoso committente. In cuor mio speravo anche che questo “compromesso storico” tra il Kremlino e la Chiesa attenuasse i forti contrasti filosofici e politici di quegli anni, ma non fu così.
Un altro significativo ricordo mi riporta al 1953 quando a Carpi venne a parlare Padre Lombardi, chiamato “il microfono di Dio” per lanciare a Carpi il “Movimento per un mondo migliore (1)”.
Quando il battagliero predicatore parlò una sera dal sagrato del duomo una salva di fischi ed urla irridenti partirono dalle finestre del Kremlino tra lo scandalo dei tanti fedeli che riempivano la piazza.

Quando nel 1954 don Dante Sala mi chiamò a dipingere la chiesa del cimitero urbano di Carpi, il buon Renzo Baraldi, già affaticato dal male, volle salire sulle alte impalcature a veder l’avvio della grande parete raffigurante la Chiesa Trionfante. Ammirato per il mio coraggio e confessando che lui non avrebbe saputo da che parte iniziare, si complimentò, senza però, da vero maestro, mancare di suggerire qualche ritocco e questo mi incoraggiò molto.
      Romano Pelloni

1- E. Galavotti. da: “Storia della Chiesa di Carpi” 1° vol. Ed. Fondazione CRC 2006
Dalla seconda guerra mondiale al 2000. pagg. 228-229

N B: Tutte le date sono riprese dal volume : “Carpi, Guida storico artistica” ed Il Portico Carpi 1990.

Altri ricordi
Gian Franco Imbeni su VOCE di Carpi del 08 luglio 2004 in SottoVoce La Stanza del Sindaco (Bruno Losi) cita anche il Kremlino:
Nel lato a nord di un sussiegoso vestibolo (dove un caminetto settecentesco tra le due finestre faceva da altare al busto in bronzo di Sandro Cabassi martire della Resistenza) si apre l'arioso vano d'angolo del palazzo che dà sul corso. Là dentro elaborava i propri pensieri e azioni il borgomastro Bruno Losi Egli riceveva gente in continuazione e si affacciava spesso sull'uscio (tenendolo bene aperto per accomiatarsi in fretta dal visitatore) e sussurrava al cubicolario di turno le sue disposizioni: la rapidità del gesto e la stessa crocidante afasia del comando avevano l'effetto di trasmettere consolazione al postulante e nel contempo una più decisa spinta all'azione al sottoposto, anche quando quest'ultimo non avesse ben chiaro in quale concreta maniera avrebbe poi dovuto contenersi.
Quel tanto di teatralità che siffatti comportamenti sindacheschi contenevano, veniva naturalmente amplificato dalla voce popolare sulle furbizie un po' sulfuree del primo cittadino, estri satirici che talvolta si incupivano nel mugugno: "Poteva andarci peggio - commentavano ad esempio gli eresiarchi del Kremlino che sostava anche presso il caffè Milano, vicino alla sede del PCI - pensiamo a quanto maggior potere avrebbe quest'uomo se solo i suoi avessero deciso a suo tempo di farlo studiare!"…
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Il figlio di Mario Nora, Livio, ricorda fra i luoghi di incontro di una carpigianità autentica e consapevole anche la bottega dei f.lli Saetti (I fratelli Karamàzov (Братья Карамазовы) dall’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij; un efficace soprannome inventato dal cinico e caustico Gracco Lugli) dell’omonima drogheria di fronte al Municipio. Quelli citati erano i posti abituali di ritrovo, di questo gruppo di amici carpigiani, dove spesso la madre di Livio mandava il ragazzino a "recuperare" il padre. Ma anche il ritrovo domenicale estivo presso il Secchia all’osteria La Barchètta, dopo partite a bocce e carte, di fronte a un buon salame e una bottiglia di lambrusco, o quello serale alla trattoria a Lesignana erano posti di ritrovo abituali per incontri e lunghe discussioni, quasi una succursale del Kremlino.


 




1960 ca - Osteria a San Martino piccolo di Correggio - Pranzi estivi di carpigianità
Mario Nora, con gli amici Emidio Po e Guberti

In questa foto di Alcide Boni del 1975
vediamo Mario Nora e Antonio Copelli in piazza davanti al Castello.

In questa foto di Alcide Boni del 1975
vediamo Mario Nora e Sbrillanci in piazza
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Da VOCE di Carpi del 23 dicembre 2009

Oliviero Saetti: l'addio di uno dei padri della città.
Di Florio Magnanini

Era nato il 28 maggio 1914; all'età di 95 anni ci ha lasciati Oliviero Saetti, personalità molto nota, in città. Se n'è andato serenamente, passando dal sonno alla morte nella mattinata del 19 dicembre, colpito da un ictus cerebrale dal quale i medici del Ramazzini hanno tentato invano di rianimarlo. Le esequie, tenutesi il 21 dicembre, hanno visto il concorso di molta parte della Carpi che ancora ricorda.
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Se si potesse parlare anche di padri delle città, oltre che della patria, Oliviero Saetti, per quel che ha rappresentato per Carpi, sarebbe uno di loro. Per dire di un solido punto di riferimento dell'identità cittadina, prima di tutto in qualità di cultore delle memorie locali, del dialetto, delle tradizioni culturali (era socio del Pavarotti e del Filòss) ed enogastronomiche (lo chiamavano "lo Spiziale" e si deve a lui il bel libro "Le spezierie in Carpi" dove trasfuse tutto il sapere derivato da 55 anni di gestione della drogheria sotto il Portico del Grano che in città era indicata come "la bottega dei fratelli Karamazov"). In passato, tuttavia, Saetti era stato un protagonista attivo della vita pubblica. Era infatti l'ultimo membro ancora vivente del CLN di Carpi e aveva sempre rinnovato la tessera dell'Anpi: dei giorni della Liberazione e dell'arrivo degli Americani volle lasciare una testimonianza proprio a Voce del 24 aprile 2008, con uno scritto dal titolo "Quel 22 aprile in cui liberammo la città". Come esponente del Partito comunista italiano, poi, fu eletto Consigliere comunale per quattro legislature, dal 1946 al 1964, anni decisivi per la ricostruzione e lo sviluppo industriale della città. Per molti versi rappresentò un'eccezione nel PCI carpigiano, che non poteva certo vantare, fra i propri dirigenti, molte personalità che, come Saetti, provenissero dal mondo del commercio e dal ceto medio urbano, tradizionalmente più vicini al moderatismo democristiano e, durante il Ventennio, apertamente dalla parte del regime. Lui rappresentò l'eccezione, insieme a poche altre figure come Rinaldo Pelliciari detto Plicio, Azio Bisi, Bruno Ghelfi connotati anche con la definizione di "Kremlino". Si trattava di personalità di estrazione borghese, più liberali e azionisti che comunisti, molto legati durante la guerra a Darfo Dallay, impiccato dai nazisti, e molto ascoltati dal leader indiscusso del tempo, il sindaco Bruno Losi, nel difficile dialogo con la Carpi "entro le mura", più propensa a sentirsi assediata che liberata dalla Resistenza.
1983 – I tre fratelli Saetti: Giorgio, Lazzaro (Blond) e Oliviero (Livio)

Verbale del Consiglio Comunale di Carpi n 4 del 14-01-2010
Sono presenti in sala i parenti stretti dell’ex consigliere scomparso.
Il Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Taurasi dà lettura, con commozione, del seguente testo:
“Il 19 dicembre 2009 è scomparso a 95 anni Oliviero Saetti. Fece parte del primo Consiglio comunale nominato dal Comitato di Liberazione Nazionale e poi venne eletto nei successivi 4 mandati, rimanendo nel civico consesso dal 1945 al 1964. Era l’ultimo rappresentante vivente del primo Consiglio democratico del dopoguerra e ci pare doveroso ricordarlo in questa sede (alla presenza anche dei famigliari che ringrazio per la partecipazione). Vogliamo celebrare la sua memoria e con lui ricordare, nel momento in cui scompare l’ultimo testimone, un’intera generazione di donne e uomini che hanno posto le basi della nostra democrazia.
Rammento ancora con commozione l’intervento che svolse in occasione della seduta solenne del 50° del Consiglio comunale, tenuta al Teatro comunale nel maggio del 1996.
Parteciparono a quell’evento anche alcuni ex consiglieri presenti questa sera (il Sindaco Enrico Campedelli, gli assessori Simone Tosi e Lorena Borsari, il nipote di Saetti, Gianfranco). Insieme a un’altra figura storica del nostro civico consesso (il professor Pier Giuseppe Levoni, che sedette tra i banchi del Consiglio comunale per ben 30 anni), Oliviero Saetti fu invitato a raccontare i giorni della Liberazione e la sua lunga esperienza di consigliere.
Sono andato a ricercare in archivio proprio quell’intervento e rileggendolo ho avvertito l’emozione del testimone diretto che racconta i momenti salienti della liberazione della città.
Bisognava ricominciare dopo i lutti e i sacrifici della guerra. Affrontare la ricostruzione e costruire la democrazia. Negli occhi di quei giovani, che hanno vissuto gli anni più bui della nostra storia, non mancava la fiducia e la speranza nel futuro. La comunità intera fu in grado di unirsi, pur nelle contrapposizioni politiche anche aspre, per fare l’interesse collettivo. Ho ripensato di nuovo oggi a quella generazione, vedendo scorrere le immagini apocalittiche che ci arrivano da Haiti, dove tutto sembra finito e solo la speranza ti permette di guardare avanti. La stessa speranza dei soccorritori, che scavano tra le macerie alla ricerca di qualche sopravvissuto.
Quella speranza apparteneva anche alla generazione che oggi ricordiamo e che partecipò, come la definì lo stesso Saetti nel suo intervento, a quella straordinaria “primavera sorridente” del 1945.
Oltre che consigliere Saetti era stato anche Vice Presidente di Commissione Distrettuale per le Imposte Dirette e per le Imposte Indirette sugli Affari, incarico per il quale ricevette nel 1972 la Medaglia di bronzo al merito della pubblica finanza. Una persona laboriosa, un tratto tipico di questa città, che amava il suo lavoro di commerciante e vi si dedicava con passione. Era sposato e aveva due figlie: Lia, prematuramente scomparsa, e Donella, alla quale ho espresso in occasione del triste evento le condoglianze dell’intero Consiglio comunale. Pur avendo molti impegni di lavoro e famigliari, non trascurava mai i ‘riti civili’ legati alla storia della nostra città, rispettato ed autorevole cultore della sua memoria e della sua identità. Non dell’identità di una sola parte, ma dell’identità culturale dell’intera comunità, Saetti era un premuroso custode delle memorie locali, del dialetto e delle tradizioni culturali della comunità.
Era soprannominato ‘al drughèer ’, per il negozio di fronte al Municipio che gestiva insieme al fratello Giorgio. Li chiamavano i “fratelli Karamazov”, non per accostarli ai personaggi del romanzo di Dostoevskij, quanto per richiamare da un lato il loro legame con la storia comunista e la Russia, dall’altro per evocare uno stile ottocentesco e distinto che li caratterizzava.
In realtà Saetti era un comunista atipico, vista la sua estrazione sociale borghese più che operaia e la sua attività che lo conduceva ad avere rapporti con tutta la comunità.
Me lo immagino ogni mattina alzare la saracinesca del suo negozio sotto il Portico del Grano e lanciare uno sguardo nostalgico verso Palazzo Scacchetti. Da uomo arguto qual era, magari oggi, guardandosi intorno e vedendo una città trasformata dal punto di vista urbanistico e sociale e un mondo completamente diverso da quello del suo Secolo, il Novecento, forse avrebbe commentato, col dialetto che amava: “Si m l ìssen dìit, a n gh avrèev mai cherdù!” (Se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto!). E poi avrebbe aggiunto, da sincero democratico e da uomo che sa vivere il suo tempo: “Mò, forse l’é giùssta acsè !” (Ma forse è giusto così!).
Quando penso a Saetti, penso a uno dei protagonisti della storia migliore della nostra città, una persona che si è dedicata con passione civile all’attività politica e che poi è tornata completamente al suo lavoro di commerciante e ai suoi affetti famigliari. Così come i quattrocento consiglieri che si sono succeduti tra questi banchi nel lungo dopoguerra. Ecco perché ricordare l’ultimo rappresentante del primo Consiglio è come ricordarli tutti. Ed ecco perché scomparso Saetti non scomparirà il suo ricordo, che continuerà a rimanere vivo tra i suoi familiari e tra chi l’ha conosciuto. E non si cancellerà la memoria di quella straordinaria generazione, che vogliamo ricordare con questo minuto di silenzio.”
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Viene osservato un minuto di silenzio; tutti i presenti sono in piedi.
Al termine si alza un applauso spontaneo e caloroso.
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Tutti gli interventi vengono conservati agli atti mediante registrazione magnetica a cura della segreteria comunale a disposizione dei singoli consiglieri e degli aventi titolo.

Letto, approvato e sottoscritto.
      Il Presidente                                          Il V. Segretario Generale
       (Taurasi)                                                         (Canulli)
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Pelliciari Rinaldo
da “Maldicenze” di Gianfranco Imbeni - 1982
Detto «Plicio». Intelligenza viva ma un po’ pigra e lillona. Fece il liceo senza libri, provvisto unicamente di matita e di un foglio per appunti. Entra subito nel Kremlino e ne diventa la «spugna» più autorevole. Tanto da godere delle esplicite simpatie di Luigi del Castello (ripetitore di tutte le discipline, compreso il disegno) per l’acume politico e l’amore per l’arte, testimoniatogli anche dal defunto «Erba», alias Ersilio Bagni, pittore, padre di quella Genesia Bagni che fu l’unico, autentico Ragioniere Capo del Comune di Carpi nel dopoguerra. Le testimonianze di stima verso «Plicio» furono ben ripagate. Pellicciari fu nelle Brigate «Aristide» con il nome di battaglia di «Rino» al fianco di Bruno Losi, di cui divenne poi il segretario (e forse il «Mazzarino»). Suo è il famoso «Diario delle Brigate Aristide», che ha costituito la fonte delle numerose pubblicazioni (talvolta orripilanti) sulla resistenza nella nostra zona.
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Alfredo Chiossi (archivista storico del Comune di Carpi) ricorda Rinaldo Pelliciari, detto Plicio, come uomo di grande spessore. Mi segnala in particolare che Gli Stati Uniti gli concessero la Bronze Star Medal al valore per la preziosa e coraggiosa attività di comandante partigiano nella guerra contro tedeschi e fascisti.
Bronze Star Medal

Fine aprile 1945 - Giorni di Liberazione a Modena.
Partendo da dx 2° Plicio Pelliciari, 3° Borsari e 4° Omar Bisi
Piazza di Carpi il 23 aprile 1945, il giorno dopo la Liberazione.
Un camion di partigiani trainato da fune; Plicio Pelliciari, col cappello, appoggiato al parapetto del camion (sotto il cerchietto chiaro).
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Mauro D’Orazi: “Pure io ho un ricordo indelebile di Plicio Pelliciari, anche se ho parlato con lui solo un paio di volte…
In un incontro occasionale alla fine degli amnni ’70, mi apostrofò: “Aah … t ii al fióol dla Piina!”, annuendo con fare un po’ sornione.
Ma io non colsi cosa sottintendesse questa frase, apparentemente così semplice; finché non sono arrivato a unire le varie tesserine del mosaico e capire quanto quest’uomo ha influito sui destini della mia famiglia e indirettamente anche sui miei.
Ebbene… il padre di Plicio era un convinto fascista negli anni ’20 ed era amico intimo di mio nonno Giuseppe Bertolazzi, che fu assessore nella prima giunta comunale fascista.
Giuseppe e i suoi fratelli erano dei possidenti e imprenditori, ma dopo la crisi del ’29 e la Quota 90, uno a uno, trascinandosi a vicenda nel baratro, andarono in rovina e vendettero tutto. Giuseppe morì del ’36, mia nonna Olimpia Compagnoni nel ’38, penso entrambi fondamentalmente di crepacuore per i disastri familiari; restarono, giovinetti, orfani e privi di mezzi, mia madre Giuseppina e suo fratello maggiore Paolo.
Entrambi si ammalarono gravemente di TBC e il mio sfortunato zio morì nel luglio del ’44 a soli 21 anni.
Mia madre si salvò miracolosamente dalla terribile malattia e recuperò lentamente la salute, ma subito dopo la guerra si trovava povera, convalescente e sola, con l’unico appoggio della zia materna Valentina Compagnoni.
Proprio a questo punto entrò in gioco Plicio, uomo d’azione, ma saggio e lungimirante; egli, vedendo una situazione così grave e precaria, con qualche parola ben spesa presso il Sindaco Bruno Losi, di cui era fidato e ascoltato consigliere, alla fine degli anni ’40, fece in modo che mia madre fosse assunta in Comune all’ufficio annonaria, nella quota riservata ai… reduci di guerra, assicurandole così un avvenire dignitoso.
Come non essergli grati?
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Carpi – L’8 maggio 1945 si svolge in Piazza la cerimonia di consegna alle autorità alleate da parte delle formazioni partigiane di “quasi” tutte le armi.

Estate 1945 - Carpi - Il Sindaco della Liberazione Bruno Losi
 parla dal balcone del Municipio
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Sulla figura di Darfo Dallay, Franco Bizzoccoli si è soffermato in un capitolo del Libro annuale Carpi di Ieri “A gh n è pèr tutt” edizioni Il Portico uscito nel dicembre 2013.

Ecco il capitolo che Franco ha illustrato, con intensa e profonda commozione, davanti a 200 invitati, l’8 dicembre 2013 nella sala parrocchiale di Cibeno durante la presentazione della pubblicazione. Quasi alla fine del racconto, al momento della citazione del “pettine”, Franco si è profondamente commosso, ha dovuto interrompere la narrazione e, spossato, si è seduto in lacrime, di fronte a una assemblea ammutolita e partecipe.
Rimpiango amaramente di non aver avuto l’ispirazione e l’accortezza di registrare in voce quello che sarebbe stato il suo ultimo e così denso intervento pubblico.

Darfo Dallay:
ritratto di un amico, maestro e “compagno”

Ho conosciuto Darfo Dallay personalmente e ho provato il desiderio di parlarvi di lui, anche nei suoi aspetti meno noti, non sono uno storico, bensì un carpigiano attento che ricorda. Darfo Dallay nacque a Carpi l'11 gennaio 1916, la famiglia era composta dal padre Silverio, dalla madre Maria Arletti, dal fratello Danilo, minore di un anno, e dalla sorella Darma, minore di tre anni. Abitavano in Corso Alberto Pio, sostenuti dall'attività del padre, commerciante al minuto di tessuti.
Prima di parlare direttamente dell'attività politica di Darfo Dallay, è necessario accennare all'ambiente culturale e sociale in cui maturò il suo pensiero e la sua formazione politica. Un'importante influenza esercitò su di lui un certo Luigi (detto Luigòun dal Castèel) che arriva a Carpi e vi si insedia proveniente da Asti, artigiano materassaio, colto, eclettico, conoscitore della Divina Commedia che legge e commenta ai giovani che lo ascoltano. Pagliani abita come inquilino in castello e Darfo è studente di medicina ed è avido di ogni informazione e di ogni fermento culturale. Lui stesso introdurrà poi molti giovani al pensiero azionista, all'arte figurativa, alla cultura e alle discipline umanistiche, acquistandosi un merito quantomeno di carattere regionale. Una seconda influente figura fu quella di Renzo Baraldi, studente all'Università di Firenze, artista, che aveva ottenuto dal Podestà dell'epoca una stanza nel castello di Carpi per produrre le sue opere e incontrarsi con altri intellettuali.


Questa stessa stanza fu il seme di quello che poi venne definito "il Kremlino", luogo di incontro e sviluppo di idee di progresso e di resistenza al fascismo degli intellettuali carpigiani. Qui si riuniva un gruppo periodicamente per ragionare di politica e di argomenti sociali, tra questi Azio Bisi, Umberto Severi, Azio Bussetti, Rinaldo Pelliciari, divenuto poi commissario delle brigate Aristide, e altri azionisti che, già a partire dall'8 settembre 1943, costituiranno poi una rete di collegamento tra Carpi e la Romagna. Tra questi Ferruccio Parri e altri clandestini come Giuliano Benassi.

Azio Bisi racconta che di questa rete di collegamento faceva parte anche Bruno Losi, venuto a Carpi in bicicletta da Limidi, con le famose mollette nei risvolti dei pantaloni per non sporcarli e in testa un cappello di paglia. Lasciato ad aspettare in strada perché non riconosciuto, finalmente avviene questo scambio di battute tra due antifascisti: "Lei è il pittore?" "Sì!" "lo sono il compagno di Limidi". Di questo ci informano anche Gracco Lugli e Eros Valentini (cugino della staffetta Lea Valentini). Nel 1937 troviamo il giovane Darfo, ventunenne controcorrente che possiamo definire "antitutto" e specialmente antifascista, antietica, cultura e morale corrente, a cercare di mascherare i suoi incontri politici, culturali e artistici sotto forma di bagni di sole e di passione per la fotografia al Collettore di San Marino, nudista per convinzione e per distogliere l'attenzione dei gerarchi dall'attività vera che stava compiendo. Nel 1938 Darfo procura un incontro a Rio Saliceto tra forze politiche diverse: sono presenti liberali,... azionisti e comunisti; tra questi ultimi anche Germano Nicolini, il futuro sindaco di Correggio del dopo Liberazione. Il pretesto è quello di una festa da ballo, nonostante nessuno di loro sapesse ballare. Il gruppo decide di manifestare la propria ostilità alla guerra d'Africa che si trascinava in Etiopia con dure repressioni della resistenza locale, attraverso canti notturni, scritte sui muri e al Circolo Tennis di Carpi (da loro denominato il "Circolo dei borghesi"). Viene deciso inoltre un piano di sovversione locale, con comando a Villa Pallotti, lungo il viale della stazione. Del gruppo facevano parte il futuro avvocato Coccapani, Baraldi, Oscar Righi, Rinaldo Pelliciari (futuro nome di battaglia "Rino"), Pantaleoni, Gandolfi e Roberto Casarini. Nel 1939, mentre in Spagna perdurava la guerra civile, Darfo riceve frammenti di informazioni da quel fronte, tra queste anche documenti su Federico Garcia Lorca.

Il giovane azionista ha appena 23 anni però già si sparge la voce persino negli ambienti universitari della sua attività, ed è particolarmente esposto. Nel 1940, in seguito all'entrata in guerra dell'Italia, Darfo riesce a padroneggiare politicamente il suo gruppo e a organizzare una cellula antifascista che ha collegamenti con il Partito d'Azione. Ideologicamente, lui e il suo gruppo sono maturi per organizzare un seppur piccolo e povero comitato rivoluzionario armato. Le armi sono di garibaldina memoria e tutte procurate individualmente. Del gruppo fanno parte ancora: Pelliciari, Bisi, Roberto Casarini, Tandino Sbrillanci, Eros Ongari detto Mao (già allora si sapeva chi era Mao Tse-Tung), Ferruccio Bertolani detto Mongia, dal corridore Mongiano, e Gracco Lugli
lo arrivo a conoscere Darfo in questo periodo perché con un gruppo di amici frequentiamo l'anticamera del Kremlino, una specie di purgatorio prima di meritarci il cenacolo degli dei, il paradiso, una stanza riservata a noi poco più che bambini, quasi una iniziazione; con me ci sono Balòota, Biida, Béeca, Gavéela, Felice Marzi. Lo scultore Baraldi nella stanza principale sta dipingendo una tela, il Giudizio Universale, e il modello è proprio Darfo Dallay. In quelle occasioni conosco anche Pagliani ed Ersilio Bagni, mentori del Kremlino, così un rapporto di polizia definisce quella sede di cultura e di incontri. Mi avvicino dunque a Darfo Dallay abitando entrambi in centro storico, ma specialmente per il grande fascino che proveniva da lui. Con lui sognavo ad occhi aperti, leggevo nelle sue parole la vergogna delle guerre fasciste, quella d'Africa e specialmente la guerra civile spagnola. Mi parlava del Museo degli Uffizi, mi raccontava dei suoi amici, del federalista risorgimentale Cattaneo, di Costantino Nigra, di Carlo Pisacane, di Gaetano Bresci e Bakunin, l'apostolo anarchico.

Ma ormai siamo in piena guerra, l'attività si fa pregnante e le comunicazioni si intensificano, specialmente con la Lombardia: si intensificano soprattutto gli epistolari con Ferruccio Parri e Enrico Serra. Tra il 25 Luglio e l'8 Settembre '43 il gruppo di Darfo, alloggiato nel castello di Carpi, tenta di mimetizzare la propria notorietà antifascista, ma un manifesto già indicava la loro attività di antifascisti sovversivi. Dal 1943 cominciano le azioni di resistenza: la sua abitazione è in via Giulio Rovighi, sul lato est. Di fronte abita la famiglia Albertini; di questa fa parte anche la signora Tina Albertini che testimonia un'intensa attività di produzione di manifesti, di approvvigionamento di armi e di deposito di materiale.

Gli amici, tra questi Umberto Severi, decidono che sarebbe meglio per lui andare in montagna, ma Darfo non accetta. Accetta tuttavia di stare appartato in casa. Io faccio commissioni per lui e la staffetta tra lui e la sua fidanzata; mentre lui deve star chiuso in casa mi recita Garcia Lorca, la famosa "Alle cinque della sera", e Don Chisciotte, il “caballero errante”. Conosco anche, in queste occasioni la sopraccitata Tina Albertini, sua amica politica, depositaria di tutto il materiale pericoloso di Darfo, per esempio fogli di congedo forniti dal Severi. Il fratello di Tina, generale Ettore Albertini, in tempi recenti una sera alla falegnameria Beltrami mi raccontò che il contatto di Darfo per le notizie spagnole era uno studente universitario di Rio Saliceto che aveva militato nelle brigate internazionali. I legami con il partigiano Sandro Cabassi derivavano dalla fidanzata dello stesso Sandro, amica di Darfo e di Giuliano Benassi, partigiana e guerrigliera.

Dopo il 1943 quando la destinazione del campo di Fossoli diventa di concentramento, una delle attività del gruppo del Castello é quella, notevolmente pericolosa, di introdurre dei seghetti di metallo nei carri ferroviari degli ebrei diretti in Germania per segare le sbarre dei vagoni piombati. Seghetti che venivano forniti dalla ferramenta dell'antifascista Lino Calliumi. In questo periodo la corrispondenza con Enrico Serra è caldeggiata da una lettera di Ferruccio Parri che invia a Carpi lo stesso Serra per cercare di liberare il milanese Leopoldo Gasparotto dal campo di concentramento di Fossoli. L'azione fu pensata e progettata ma non attuata; questo esito negativo fu causa di grande dolore per Darfo Dallay, a maggior ragione poiché Gasparotto venne fucilato poi in via Grilli.

I tempi sono sempre più problematici per la presenza di Darfo in Carpi, tanto che gli amici partigiani “Rino” e Carlo Brani detto "Gitrì" decidono che è indispensabile per lui un trasferimento in montagna. Ancora una volta Darfo non accetta. Nel 1945 finalmente Darfo accetta di andare in montagna, mentre però sta raggiungendo l'appennino con Roberto Casarini (detto Bob) viene fermato dalle Brigate Nere, forse a Sassuolo. Durante l'identificazione dei due, scatta la curiosità di un ufficiale, poiché sulla carta d'identità di Darfo non c'è il suo nome, bensì quello del poeta, politico, massone risorgimentale Costantino Nigra. La carta è ovviamente artefatta e per giunta in modo palesemente provocatorio, secondo il modello romantico di Darfo, antesignano di una tipologia eroica sullo stile di Che Guevara.

Viene immediatamente arrestato e portato in carcere, successivamente è dato sapere che fu anche torturato. Infine fu impiccato con altri in un viale di Mirandola, il 22 febbraio 1945. Un nostro concittadino, militante nelle brigate nere, presente all'impiccagione riferisce gli ultimi momenti di Darfo. Gli venne chiesto quale fosse il suo ultimo desiderio e Darfo, mettendosi da solo il cappio al collo, rispose: "Mi metto la cravatta e prestatemi un pettine, perché davanti a voi, Brigate Nere, voglio morire pettinato".


Mirandola – Viale 5 Martiri – il luogo dove fu ucciso Darfo Dallay
“Costantino Nigra” - Brigate Matteotti -

Il ricordino del caduto

Con la morte di Darfo perde forza tutto il gruppo e questo nucleo di resistenza, marcatamente azionista, si dirige verso le varie anime resistenziali successive. A Darfo Dallay fu conferita poi dall'Università degli Studi di Modena la laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia per onorare la sua memoria di caduto per la patria.
Il diploma di laurea honoris causa, che l’Università di Modena assegnò a Darfo Dallay, studente in medicina, il 26 novembre 1950.

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A Carpi, appena finita la guerra, al martire fu dedicato il viale della Stazione, oggi viale Darfo Dallay.
1950 ca – il viale Darfo Dallay con porta Barriera

1956 ca - Il Viale della Stazione dedicato a Darfo Dallay;
porta Barriera è stata abbattuta.

Franco Bizzoccoli
Devo con grande dolore integrare questa ricerca con il ricordo di Franco Bizzoccoli, l’ultimo sopravvissuto del Kremlino… quello vero del Castello.
Inserisco la parte più significativa dello splendido articolo di Florio Magnanini del 1979, che apparve su Tribuna di Carpi nel 1979; segue un mio ricordo, che è servito da base per tutti gli articoli dei quotidiani locali in occasione della sua scomparsa e commemorazione.

RITRATTO DI UN EROE MANCATO.
di Florio Magnanini – La Tribuna di Carpi – 1979

Pochi carpigiani hanno vissuto come Franco Bizzoccoli. Intendiamoci: pochi che poi abbiano deciso, nonostante l’invidiabile varietà dei percorsi compiuti, di restare così pervicacemente carpigiani. A tutti noi sarà occorso in fatti, dopo le impressioni e le possibilità assaporate nel corso di un lungo viaggio, di provare almeno per un istante un senso come di mortificazione per un ritorno che ci ricollocava nel solito scenario della vita cittadina.
A Franco Bizzoccoli questo non è mai successo. Condannato da un inesorabile dato anagrafico a vedersi solo sfiorato dall’ultima avventura collettiva vissuta a Carpi, la Resistenza, Franco Bizzoccoli ne ha però assimilato quel che gli è subito parso essenziale: il culto dell’eroe sempre ribelle. Non l’eroe astratto, asettico e un po’ furbesco di un’epica contadina trapiantata negli anni del regime, dell’occupazione nazista e della ricostruzione. Il culto, coltivato per questo o quel personaggio della storia cittadina recente, Franco Bizzoccoli ha finito per applicarlo a se stesso.
Per questo, si trovasse nel fango delle risaie d’Indocina, sulla tolda di una nave sferzata dal vento, alle prese con oscure trame cospirative contro dittature militari o in eleganti salotti romani, il suo pensiero correva incessantemente al solo luogo, alla sola situazione che a quelle vicende vissute avrebbe potuto apporre il sigillo dell’avventura e dell’eroismo. Il momento era quello del ritorno, il luogo la piazza (Bar Milano, ultima estrema sede del Kremlino sfrattato dal Castello, il tardo pomeriggio della bella stagione), la situazione quella, inebriante, del racconto. Non sempre, tuttavia, è dato sostenere ai livelli alti dell’avventura, del rischio e dell’eroismo ribelle una vita che, per l’avanzare degli anni e il consolidarsi delle pigrizie, va rinchiudendosi nel cerchio delle abitudini della provincia. Soprattutto quando si è sotto gli occhi delle stesse persone, giorno dopo giorno, e non è più possibile giovarsi delle provvidenziali assenze che generano il racconto.
Franco Bizzoccoli, sublimato nell’avventura uno spirito imprenditoriale che, applicato al «dralon», lo avrebbe condotto lontano, ha finito da tempo per «acquietarsi» nel pubblico impiego.
Per la verità, «acquietarsi» non è espressione da usarsi con Franco Bizzoccoli. Anche in quella che si ritiene
comunemente la più incolore delle professioni, lui ha trovato il modo di coltivare la sua divorante inquietudine, mai rassegnandosi all’ufficio e sempre prediligendo la divisa, la contravvenzione, l’ ispezione, il comando: in una parola, tutto il brivido e la vertigine che dal pubblico impiego si possono spremere.
È stato così che, a poco a poco, Franco Bizzoccoli ha scoperto il grande surrogato dell’avventura: il Potere. Alle cospirazioni ha sostituito l’attenta cura l’allevamento e l’attenta osservazione di tutti i ribellismi nostrani, dai marx-leninisti, ai radicali, ecc…
I racconti sono diventate sonore interviste, saggi storici di unica fonte, sonore invettive da orfano di eroi, contro i NON eroi del governo locale…

Ricordo di Franco
di Mauro D’Orazi – 14 Luglio 2014

Questo fraterno ricordo riguarda Franco Bizzoccoli, Il MARINAIO, Al marinèer, un personaggio carpigiano reale, ma che sembravava uscito dall’epica e avventurosa fantasia di Hugo Pratt. A lui, nel maggio del 2014, ho dedicato il mio secondo libro La Ruscaróola èd Chèerp DUE; questo perché per me Franco rapprensenta il “genius loci” di Carpi.
Passare il suo esame sul dialetto e le tradizioni della nostra città era FONDAMENTALE e lui non si è mai tirato indietro, controllando, correggendo e suggerendo. Dovevo superare la sua sospettosa diffidenza, dovuta ai limiti della mia discendenza carpigiana solo al 50%. Mi ha raccontato un’infinità di storie dal nonno fabbro e massone (che gli fece quasi da padre, essendo rimasto orfano presto), che lo educò alla libertà e al libero pensiero, ai sui tanti viaggi da marinaio in tutto il mondo; dal palombaro sminatore di porti, alla Legione Straniera; dal canale di Panama al signor Fish carpigiano in Africa, alla lotta contro la bieca dittatura greca, alla frequentazione dei migliori registi e attori italiani degli anni 70- 80, al gioco d’azzardo al fumo di ogni tipo di tabacco, causa principale della sua scomparsa.
Lo spirito anarchico irriducibile, la sua strenua opposizione alle ingiustizie, al perbenismo del potere e alle menzogne istituzionali lo hanno sempre caratterizzato. Era ciò che si dice a Carpi un arvèers, un rovescio. Socialista, Radicale, capace, come minacciosamente spesso minacciava, di influenzare il voto e l’opinione èd sesèint culatèin èd Chèerp (di seisento gay di Carpi).
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Una vita densa e avventurosa che me lo ha fatto considerare a buona ragione il nostro “Corto Maltese” carpigiano.
  
Corto Maltese
Il suo narrarre affabulante ci ha sempre affascinato con storie di mare, di viaggi in paesi lontani, di incontri strabilianti, di missioni speciali in Indocina, nei mari del Mediterraneo e in Africa.
Facendo roteare a mezz’altezza il suo indice sinistro, ornato con orgoglio dell’anello massonico del nonno (con la squadra e compasso) raccontava, descriveva, pennellava situazioni e personaggi, rievocava, illustrava, ecc… con una ricchezza di particolari che sembrava di essere lì, mentre succedevano le cose, mentra la prua della petroliera tagliava l’oceano atlantico.
Non c’era posto che il nostro marinaio non avesse visitato.
Non c’era persona famosa che non avesse incrociato.
Non c’era cosa o storia che non sapesse sulla nostra città.
E in effetti di Carpi e dei carpigiani al saviiva tutt:
                                vitta, mòort e miraacol.
Mi ha sempre dato il suo appassionato contributo sulle vicende carpigiane, descrivendo luci e ombre dei vari personaggi, anche i particolari che NON si potevano scrivere.
Mi ha regalo, a me più giovane, nato dopo la guerra, le storie e lo spirito intimo di una “vecchia” città che ormai non c’è quasi più, ma sulla quale è appoggiata la realtà d’oggi, anche se in pochi riescono o possono ricordarlo.
A lui è dedicato anche un modo di dire, quasi una laurea honoris causa meritata sul campo:
A l à ditt Bisàochel!”
(Lo ha detto Bizzoccoli!)
Nel senso che, quanto riferito su una certa faccenda o individuo, era certo la verità e … “e più non dimandare!”, citando Dante.
Anche perché LUI c’era… c’era di sicuro, o, se non c’era, si trovava comunque molto vicino!
Non era un uomo perfetto, anzi… aveva mille difetti e diecimila debolezze.
Il caustico Mauro Prandi lo chiamava Frank Monozoccolo, perché “l’altro”… lo aveva perso a concia.
Ma aveva centomila qualità e un milione di pregi; cose, queste ultime, che compensavano abbondantemente il bilancio del suo essere, della positività di uomo di libero persiero e azione che intende lasciare un mondo almeno un po’ migliore di come lo aveva trovato.
Una moglie, due figlie, una madre che ha amato tantissimo; un cagnone, la Tata, mastino napoletano, che era una di famiglia.
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Ci ha lasciato il 14 luglio 2014, il giorno della Presa della Bastiglia, un evento storico di riscatto dell’uomo a cui teneva moltissimo. Liberté, Egalité, Fraternité (Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) era il trinomio, il motto sacro della Rivoluzione Francese, ma anche il suo.
Nella sua ultima, tragica e dolorosa notte, la frase che ha ripetuto cento volte con insistenza, come estremo lascito ai sui familiari, è stata: “Un solo pensiero mi ha guidato: LA LIBERTÀ!
 Carpi, 14-7-2014 Mauro D’Orazi che si onora di essere stato suo amico.
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La lapide della Presa di Roma alla “tirannide papale”


In questa foto si vedono Bizzoccoli, il vescovo Tinti, il sindaco Campedelli e don Ivo, il 20 settembre 2010 (140° anniversario della Breccia di Porta Pia), mentre di fronte alla lapide in Piazza discutono sulla “tirannide papale”, parole incise sulla lapide stessa. L’incontro di conciliazione fu organizzato dall’allora Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Taurasi.
Puntualmente ogni XX settembre (Presa di Roma al Papato), Bizzoccoli faceva mettere una corona sulla lapide in Piazza, posta sul Torrione degli spagnoli, a nome del “Circolo del Libero Pensiero Giordano Bruno” di Carpi; un’incombenza, un dovere morale, un’appuntamento fisso che aveva ereditato dal compianto avv Guido Borelli 30° g. GOI.

15 luglio 2014 - ore 16,35 Franco Bizzoccoli passa per l'ultima volta nella sua Piazza e davanti alla lapide del 20 settembre 2014 – Presa di Roma
Foto Federico Massari
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da VOCE di Carpi
14 luglio 2014 – All'età di 84 anni Franco Bizzoccoli, Il Marinaio, si è spento nelle prime ore di questa mattina, all'ospedale Ramazzini dove era stato ricoverato per un aggravamento delle condizioni di salute. Figura notissima in città, vigile in pensione, Bizzoccoli aveva alle spalle un'esistenza avventurosa, vissuta come marinaio della marina mercantile e come combattente nella Legione straniera tra Indocina e Africa, prima di stabilirsi definitivamente nella propria città d'origine. Spirito libero e anarchico militante, fra i fondatori del circolo del Libero Pensiero, aveva stretto numerose amicizie negli ambienti romani del cinema, a partire dal regista Giuliano Montaldo e dall'attore Gian Maria Volonté, arrivando a recitare in due film dello stesso Montaldo – "L'Agnese va a morire” del 1976 con Ingrid Thulin e "Il giocattolo”, del 1979, insieme a Nino Manfredi – e "Maledetti vi amerò” di Marco Tullio Giordana, del 1980. Da militante, ebbe un ruolo nel sostegno e nella liberazione di Alexis Panagoulis, l'ufficiale greco imprigionato e torturato dai colonnelli dopo il colpo di stato del 1966. In città era divenuto un simbolo della carpigianità, un custode della memoria, uno degli ultimi testimoni della vita al campo di concentramento di Fossoli dove aveva lavorato da garzone di muratore, oltre a rappresentare un riferimento contro ogni forma di sopruso e un pungolo costante per i poteri locali.
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Messaggio di addio di Giulio Beltrami all’amico Franco nel corso della cerimonia funebre del 15-07-2015 presso la chiesa del cimitero (con messa con ben sei sacerdoti e due suore!!!!!)

1990 ca Giulio Beltrami e Franco Bizzoccoli
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Dopo la toccante testimonianza su Dallay e il ricordo dell’amico Bizzoccoli, arrivo alla conclusione.
Il capitolo del Kremlino oggi è chiuso!

L’anagrafe, il tempo inesorabile e la ristrutturazione del Castello porranno fine a queste esperienze di denso spessore culturale, interessanti e intense, ma che non ebbero la capacità di lasciare degli eredi diretti riconoscibili o autorevoli.
I superstiti del Kremlino si trasferirono in piazza al bar Milano. Ma era un’altra cosa…
Oggi, ma ormai da tempo, anche gli stessi bar della Piazza di Carpi non hanno più alcuna caratterizzazione politica. Il PCI o i suoi successori vendettero il bar Milano circa vent’anni fa a privati.
Ma dal 2009 non esiste nemmeno più il bar… dei comunisti.
Al suo posto c’è una libreria… bè… insomma… poteva anche andare peggio con una rivendita di articoli di produzione orientale a basso prezzo!

                        Col cuore
                                   Mauro D’Orazi