la presente versione è solo parziale per avere quella completa mettetevi in contatto con me
Prima stesura giugno 2011 v214 del 07-09-2014
Il Kremlino
Luogo libertà
e di
suprema carpigianità… cittadina
(cultura,
politica, lingua, dialetto,
arti
varie, speculazioni filosofiche, ecc…)
a cura
di Mauro
D’Orazi
Revisione del testo e
della grafia di Graziano Malagoli
Norme di trascrizione
Graziano
Malagoli autore, assieme a Anna Maria Ori, del “Dizionario del dialetto
carpigiano – 2011, ha
curato il coordinamento complessivo del testo, la grafia delle frasi e delle
parole in dialetto secondo le Norme di trascrizione, finalmente codificate, per
la stesura del dizionario stesso.
Graziano
Malagoli, Anna Maria Ori, Giliola Pivetti e Luisa Pivetti hanno contributo alla
revisione del testo e della sintassi.
Le Norme di trascrizione adottate sono
quelle di pag. XXII del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011” .
Tabella per facilitare
la lettura
a a
come in italiano vacca
aa pronuncia
allungata laat,
scaat, caana
è e
aperta (come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e
aperta e prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e
chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e
chiusa e prolungata véeder,
créedit, pée
i i
come in italiano bissa,
dì
ii i
prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o
aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o
aperta e prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o
chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o
chiusa e prolungata vóolpa,
casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u
come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u
prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c
dolce (come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c
dolce e intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c
dura (come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g
dolce (come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g
dolce e intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g
dura (come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s
sorda (come in suono) sèmmper,
sòol, siira
ṡ s
sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma,
s-ciòoch
**-**
Dedica
e breve premessa
Questa breve ricerca non si sarebbe potuta realizzare senza il
fondamentale contributo del fraterno amico Franco
Bizzoccoli un
personaggio carpigiano reale, ma che sembra uscito dall’epica e avventurosa
fantasia di Hugo Pratt col suo Corto Maltese.
Un grande affetto fraterno
mi legava a questa persona,
scomparsa il 14 luglio del
2014.
Troverete in fondo a
questa ricerca alcune dense pagine a lui dedicate
in memoriam.
Mi accingo con un certo pudore e
prudenza a indagare e riferire su questa tematica, considerata la caratura dei
personaggi e tenuto conto del significato che essi hanno avuto per l’identità
culturale della nostra città.
Mi sono avvalso di tutti i documenti e
foto che ho trovato da tante fonti, spesso inaspettate; ho inserito tutto questo
materiale in modo organico, rischiando anche qualche ripetizione o ridondanza,
ma non ho voluto che si perdessero sfaccettature e sfumature. Cito la
provenienza e gli autori degli articoli e dei vari scritti; per le foto non ho
invece quasi mai fonti certe.
***
Il Kremlino
luogo libertà e di suprema carpigianità… cittadina
luogo libertà e di suprema carpigianità… cittadina
(cultura, politica, lingua, dialetto,
arti varie, speculazioni filosofiche, ecc…)
a cura
di Mauro D’Orazi
Premessa necessaria: ad onta
del nome, Kremlino, che richiama cupe e lugubri ombre moscovite - staliniste, a
Carpi questo era un luogo di libertà, di libero pensiero, di approfondimento
del sapere e della coscienza individuale.
Era un circolo informale, senza statuti o regole scritte, molto
chiuso, unito, ma nello stesso tempo disunito, auto referenziale e di
ispirazione spesso comunista. era soprannominato il Kremlino.
Le persone che aderivano si riunivano… pèr ragiunèer (pensare e
discutere liberamente e in coscienza) all’ultimo piano del Castello dei Pio
nello studio del pittore - scultore Renzo Baraldi e successivamente dai pittori
Azio Bisi e Ivo Voltolini (detto il Prof o Ivòun) dagli anni ’30 fino agli ’80.
Si ritengono, e certo non a torto, i depositari della carpigianità cittadina e
di conseguenza del dialetto … cittadino, senza infiltrazioni delle parlate
delle campagne o di paesi circostanti.
Erano e si sentivano un’élite culturale di matrice democratica. Ecco
alcuni nomi: Darfo Dallay, Luigi Ferrari del Castello (Luigiòun dal Castèel),
l’avv Poli, Ersilio Bagni, Rinaldo Pelliciari (Plicio), Renzo Baraldi, Lugli
Gracco, Roberto Casarini, Umberto Severi, Eros Ongari (Mao), Turiddu Massari,
Ottorino Savani, Bruno Losi (Raschìin),
Marco Cucconi, ex pugnace e sanguigno
comandante partigiano, chiamato anche "Melo dipinto" perché Azio Bisi
lo ritrasse dormiente sotto un albero di mele, Ferruccio Bertolani (capostazione FFSS), Arialdo Neri
(Direttore della Scuola di Musica), Dante Areta, i fratelli Auro e Guido Guidi, Tanino Sbrillanci, Alfonso Zirondoli (Medoro),
Giovanni Righi, Raffaele Tamelli (di San Marino di Carpi), Carlo Brani, Giulio
Beltrami (giovinetto e modello) e i suoi fratelli, Franco Bizzoccoli, il
pittore carpigiano Giancarlo Medici, Gibertoni (detto Gibe), Mario Nora, ecc… L’elenco è incompleto, ma sempre aggiornabile
in base a ulteriori testimonianze, sempre gradite.
Ritratto di Darfo Dallay di Renzo
Baraldi
…
Anni ’50 Una riunione
del Kremlino in Castello nello studio di uno dei pittori del gruppo
Ecco qui sopra una rara foto del Kremlino e dei suoi
frequentatori che possiamo datare attorno al 1948-49. L’immagine è stata
gentilmente fornita da Luciana Nora, ex direttrice della sezione etnografica
del Museo Carpi. Essa ritrae, non troppo nitidamente, assieme ai tanti, Mario,
il padre di Luciana, Guido Guidi e, dietro la statua, Renzo Baraldi.
In particolare Azio Bisi fu un esponente di spicco, ma dissidente
del Kremlino, soprattutto dopo il ritiro dalla scena pubblica di Raschìin
(Bruno Losi), a causa della cocciutaggine, talvolta staliniana, dei membri del
Kremlino (ciechi e acritici nei confronti dell'URSS). Dissidenza surrogata e
sostenuta con ironia e battute da Nurèina, il padre di Luciana Nora,
spirito mordace e veloce alla risposta che spesso metteva a tacere chi la
vedeva in altro modo.
Azio Bisi ospitò nel suo studio nel Palazzo dei Pio per trent’anni
il Kremlino, da dove a un certo punto venne sfrattato da una Giunta comunale un
po’ avara a memoria storica. Iniziò a dipingere negli anni ’30.
In questa foto del 1975 ca di Alcide
Boni vediamo il pittore carpigiano
Azio
Bisi, detto Bisarèin. Siamo in Contrèeda Bevdéer (Via Cesare Battisti)
Renzo Baraldi
nella biografia
stilata dalla figlia Raffaella
Anni ’30 – Carpi - Renzo Baraldi con la-madre e le
sorelle
Renzo
Baraldi è nato a Carpi il 14 aprile 1911.
Le
assai modeste condizioni economiche dei genitori Dirce e Oreste non gli
consentirono di proseguire la scuola oltre le elementari.
Piccolo
etologo per vocazione si allontanava nella campagna vicina ad osservare rospi,
bisce e bestiole selvatiche di ogni specie che, quando riusciva a catturare si
portava anche a casa, le tratteneva il tempo necessario per conoscerle meglio
finché le liberava indenni.
Più
tardi ma sempre bambino aiutava la madre che sperava di avviarlo al mestiere
del sarto. Nell’adolescenza l’appassionato interesse per la natura si dilatò al
mondo dell’arte. Si trovò allora molto spesso a parlare di arte con un gruppo
di giovani amici carpigiani.
Giorgio
Morandi e lo scultore Graziosi, emiliani anch’essi, erano il punto di riferimento
su cui discutere, cosi avvenne che quasi per scommessa Baraldi modellò in creta
un piccolo busto della sorellina.
Aveva
21 anni e questo evento segnò l’inizio di una vocazione che sarebbe durata per
tutto il resto della sua affrettata esistenza segnata già in giovane età dalla
malattia bronchiale che non lo avrebbe più abbandonato.
Quasi
subito si dedicò al disegno e alla pittura dimostrando senza insegnamenti di
sorta un indiscutibile talento, tanto che il professore Ersilio Bagni cultore
d’arte, gli ottenne un posto presso la scuola di disegno e una borsa di studio
presso l’istituto di Belle Arti di Reggio Emilia.
Nel
1934 il teatro comunale di Carpi ospitò la sua prima mostra di scultura.
Grazie
al successo della mostra Baraldi fu presentato a Graziosi e a Carena e si
trasferì a Firenze dove venne ammesso all’Accademia di Belle Arti. Era il 1935.
Il pittore Felice Carena con una modella
Nel
frattempo a Carpi gli era stato assegnato uno spazio nella parte alta del
Castello comunale dei Pio dove in tre stanzoni disadorni si riuniva con gli
altri artisti e con amici carpigiani e dove si accendevano spesso anche
discussioni politiche contro il regime fascista.
Nel
1937 partecipò alla mostra dei Previttoriali dell’arte alla galleria Marzocco
di Firenze ottenendo il secondo premio per la scultura.
Nel
1943 conobbe e sposò Selene una ragazza che frequentava il liceo artistico.
Le
ide politiche di Renzo Baraldi erano antitetiche a quelle del fascismo. Inoltre
una certa imprudenza nel manifestare queste idee e alcune scritte sovversive
apparse sui muri di Carpi, lo additarono all’attenzione dei fascisti locali che
alla fine del 1943 lo misero in prigione per un breve periodo con l’accusa di
cospirazione politica.
Una
volta fuori dal carcere fu avvisato in tempo del rischio di essere fucilato dai
tedeschi, riuscendo cosi a fuggire prima a Firenze dove nel frattempo gli era
nata la figlia Raffaella e subito dopo a Poggibonsi dove si nascose in casa
dell’amico pittore Silvano Bozzolini.
Renzo Baraldi con Nando Miselli - detto Namis – Ursus
Anni ’40 assieme a una graziosa signorina
Ritratto della figlia Raffaella con un gatto
Infine
decise con mezzi di fortuna e affrontando disagi e rischi notevolissimi di
trasferirsi al sud dell’Italia a quel tempo già in mano alle truppe inglesi. Miracolosamente
raggiunse la Maiella in Abruzzo. Molti suoi disegni raccontano quel paesaggio
grandioso e rude. Sono disegni bellissimi pervasi di bianco e di solitudine. Partì
a piedi dalla Maiella con altri sette fuggiaschi e una guida. La destinazione era
Bari già sede del comando inglese.
Paesaggio con albero – China
Arrivarono
soltanto in due, gli altri che lungo la strada avevano preferito incamminarsi
per un percorso diverso furono catturati e fucilati dai tedeschi.
Baraldi
per due anni restò a Bari dove per incarico del comando alleato aprì una scuola
di disegno per i militari che gli permise di guadagnarsi da vivere.
Renzo
Baraldi tornò a Carpi nel giugno del 1945 e nel 1948 prese in affitto uno
studio abitazione in piazza San Marco a Firenze.
Sappiamo
con certezza che fra i suoi amici si possono annoverare Ardengo Soffici, Ottone
Rosai, Primo Conti, Ugo Capocchini, Pietro Annigoni e lo scultore Quinto
Martini e, fra i più giovani Enzo Faraoni, Silvio Loffredo, Nino Tirinnanzi.
Faraoni
lo ricordava vestito con enormi maglioni che indossava spesso anche nelle
stagioni più calde.
Con
Loffredo andava a disegnare gli alberi in fiore e a dipingere sulle rive
dell’Arno.
Baraldi
restò nell’intimo un solitario, orgogliosamente isolato nel suo lavoro, non
fece mai parte di gruppi o movimenti. I suoi rapporti più spontanei erano con
le persone umili e con i contadini che di lui subivano il fascino immediato.
Fu
invitato e partecipò più volte al “PREMIO FIORINO”, alla Biennale di Padova,
all’Internazionale di Carrara.
Divenne
inoltre assistente alla cattedra di Figura e Ornato modellato al Liceo
Artistico di Firenze il cui titolare era lo scultore Quinto Ghermandi.
Renzo Baraldi - Il Viticcio
Nel
1949 Renzo Baraldi scoprì e si innamorò dell’Isola d’Elba a quel tempo
sconosciuta al turismo, incontaminata, selvaggia incantevole nei colori e nel
paesaggio abbagliato di luce e di felicità: fu davvero l’Elba il suo breve
paradiso in terra. Dove tornò ogni anno puntualmente fino al 1957.
Trascorreva
l’estate in una vasta tenda da lui montata sulla spiaggia di Procchio,
dipingendo, disegnando e respirando l’aria marina che sembrava giovare alla sua
salute. Gli fu spesso compagno Silvano Bozzolini suo amico di sempre.
La tenda alle dune
In
seguito altri artisti vennero all’Isola e si formò un folto gruppo che aveva
come luogo di incontro di giorno e di notte proprio la tenda del Baraldi.
I
pochi abitanti del paese tutte persone assai semplici vedevano queste riunioni
con meraviglia e con timore e gli artisti apparivano loro diversi dai comuni
mortali, incomprensibili, mirabili e insieme peccaminosi.
Dicevano
ai loro figli più piccoli di non avvicinarsi alla tenda degli “Artisti” e lo
dicevano a voce bassa allargando le narici come a cercare intorno un qualche
odore di zolfo.
All’Elba
conobbe anche ma senza particolare entusiasmo l’allora già famoso Giorgio De
Chirico.
Durante
l’inverno a Firenze Renzo Baraldi continuava a svolgere la sua attività di
artista e di assistente del maestro Ghermandi, non trascurando di tornare a
Carpi quante più volte poteva.
Molti
amici del periodo bellico erano diventati facoltosi industriali nel settore
della maglieria ed erano attenti estimatori delle sue opere che acquistavano
per le loro collezioni.
1951 Autoritratto
Baraldi al lavoro
La Flora in lavorazione – modello in creta
Lo
stesso comune di Carpi oltre alla fontana di Flora commissionata nel 1956 e
originariamente collocata nella piazza Garibaldi aveva in precedenza acquistato
molti suoi lavori e commissionato sculture e bassorilievi in memoria dei caduti
della guerra e del lavoro.
Ai caduti, vittime del fascismo
Dal
1957 al 1959 espose in varie gallerie fra cui l’Accademia delle Arti e del
Disegno in piazza San Marco a Firenze.
Fu
questa in vita la sua ultima mostra. Già dal 1956 la sua salute era peggiorata
fino al punto che in quell’anno scrisse da Carpi alla moglie: “Come farò a
dipingere gli autunni e vivere in inverno?”.
Sempre
più affaticato dalla malattia fu ricoverato all’ospedale di Poggiosecco a
Firenze dove cessò di vivere all’età di 50 anni la mattina del 17 dicembre
1961.
Le
poche sculture di piccola dimensione eseguite nel periodo della degenza
raffigurano nudi di giovinetta con le braccia levate e le mani congiunte in un
composto e forse supplice gesto di amore verso la vita.
Statuetta in bronzo di nudo femminile che richiama la Flora
Statuetta in bronzo raffigurante la figlia Raffaella
**
Renzo Baraldi da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Renzo
Baraldi (Carpi, 14 aprile 1911 – Firenze, 17 dicembre 1961) è stato un pittore
e scultore italiano.
1955 Ritratto di Renzo Baraldi
Biografia
I
suoi genitori, Dirce e Oreste, appartenevano al proletariato contadino da poco
inurbato in paese. I suoi studi non proseguirono oltre le elementari, dovendo
egli contribuire all'economia familiare fin da bambino.
Fin
dalla sua infanzia fu appassionato osservatore della natura. Dal mondo della
natura a quello dell'arte il passo fu spontaneo e Renzo si trovò quasi per
istinto a modellare con la creta. Intorno ai vent'anni Renzo Baraldi fornì
valide prove del suo talento creativo. Fu in quel tempo che ebbe la fortuna di
imbattersi in un ricco mecenate di Carpi che lo incoraggiò a frequentare la
Scuola d'Arte di Reggio Emilia, dove conobbe lo scultore Giovanni Vagnetti dal
quale fu apprezzato e consigliato di trasferirsi all'Accademia di Belle Arti di
Firenze (1933). Qui Baraldi, assistito dalla sua buona sorte, trovò come
insegnanti il pittore Felice Carena e lo scultore Giuseppe Graziosi che in
breve diventarono suoi amici e lo incoraggiarono a proseguire nel suo cammino.
Lavora con il gesso e la terracotta già dal 1932 e nel 1934 tiene una mostra di sculture nel Ridotto del Teatro Comunale di Carpi.
Lavora con il gesso e la terracotta già dal 1932 e nel 1934 tiene una mostra di sculture nel Ridotto del Teatro Comunale di Carpi.
Enzo
Faraoni, Silvio Loffredo, Quinto Martini e soprattutto Silvano Bozzolini furono
i suoi compagni di percorso artistico in quel periodo. Ma la sua ricerca
avveniva principalmente con pennelli e colori, nelle passeggiate solitarie
nella campagna. La cultura ufficiale lo turbava e lo annoiava, e così erano
rare le sue apparizioni alle Giubbe Rosse, in quel periodo crogiolo della
cultura scapigliata fiorentina (1933-43).
Sono
di quel periodo i suoi dipinti a olio che rivelano il suo interesse per
l'impressionismo, espresso anche dal suo stile di vita bohémien. Nello stesso
tempo la provincia lo chiamava e i suoi frequenti viaggi a Carpi servivano a
rifornirlo di spunti e riflessioni. Lì, nella soffitta del Castello dei Pio,
dove il Comune di Carpi gli aveva concesso tre stanze a uso atelièr, come
studio, per i suoi meriti artistici, fervevano discussioni su arte e politica.
Alla lunga la cosa venne alle orecchie dei fascisti locali, ai quali non
piacquero le critiche al regime e i giudizi negativi su Mussolini.
Bozzetto per il S. Giovannino.
Durante
quegli anni (1933-43) venne premiato per la scultura ai Littoriali della
Cultura e dell'Arte, partecipò ad alcune mostre collettive e poté proseguire
l'Accademia di Belle Arti con borse di studio. Inoltre avvenne in quel periodo
l'incontro con Selene, sua compagna di corso e successivamente di vita.
Nel
1943, poco dopo la nascita della figlia Raffaella, durante una visita ai
genitori a Carpi, fu avvertito che i tedeschi lo ricercavano per attività
sovversive. Fuggì per non essere fucilato in una decimazione. La sua fuga lo
portò ad attraversare tutta l'Italia fino a Bari liberata dagli alleati
inglesi.
Erano
partiti in otto tutti ricercati e lui arrivò a Bari da solo. Tutti gli altri
erano stati catturati o uccisi durante il viaggio. La sua forte personalità di
artista fece sì che nei due anni passati a Bari, dapprima come prigioniero
politico e poi come uomo libero, fosse messo in contatto con le autorità
militari inglesi per ritrarre alcune di esse. Fu un periodo fervido di
creatività sia nella scultura che nella pittura: sono infatti di quegli anni
(1943-1945) alcuni dei suoi lavori più intensi e maturi. Appena il territorio
italiano fu liberato dagli alleati e la guerra finì Baraldi mise insieme quello
che aveva dipinto (le sculture erano lavori su commissione) e spostandosi con
mezzi di fortuna raggiunse la sua famiglia a Firenze.
Molte
sculture e bassorilievi gli furono commissionati da Enti Pubblici per celebrare
le vittime della guerra e del lavoro, e si possono ancora vedere nei piccoli
paesi nei dintorni di Modena.
Nel
1949 Baraldi e l'amico Bozzolini sbarcarono all'isola d'Elba e da allora ogni
estate vi fecero ritorno fondando una piccola ma rumorosa colonia di artisti
che andarono a scompigliare la tranquillità del Golfo di Procchio: i pittori
delle dune. Le sue tele di questo periodo sono luminose e piene di colore.
Contemporaneamente
fu nominato assistente alla cattedra di scultura al Liceo artistico di Firenze,
di cui era titolare lo scultore Corrado Vigni.
Purtroppo
le sue condizioni di salute, mai eccellenti per l'asma che lo aveva tormentato
tutta la vita, cominciarono a peggiorare sempre di più limitando la sua energia
vitale e costringendolo infine a ricoverarsi nel sanatorio fiorentino di
Poggiosecco dove rimase per tre anni fino alla sua morte.
1955 ca Baraldi sul suo Guzzino
all’isola d’Elba
La
Flora
Ecco
i bozzetti della Flora e la delibera di Giunta del Comune che decideva sulla
realizzazione della statua.
Ecco il fascicolo della delibera di Giunta del 1956
dove si decideva per la Flora
1956 foto montaggio dell’autore
1956 primo bozzetto della Flora di Renzo Baraldi
1956 Bozzetto della statua
Fine anni ‘50 - La
Flora di Renzo Baraldi quando era ancora in Piazzetta
1960 ca – La Flora in Piazzetta svolge la sua funzione
di fontana con acqua corrente a servizio del mercato scoperto che si svolgeva
in quel luogo.
Notare la bici da pularóol sulla destra
Notare la bici da pularóol sulla destra
Raffaella Baraldi soprannominata dal Kremlino... Ravanèel
(rapanello) così ricorda il padre in una preziosa email che mi ha inviato:
“Livorno, 20-09-2013
Gent.mo Mauro D'Orazi,
in questi giorni sto ripercorrendo la vita di
mio padre Renzo e per qualche strano e meraviglioso fenomeno ecco arrivare
tante notizie di lui, fra le quali le sue molto gradite e circostanziate.
Tutti i fatti e i nomi che lo riguardano stanno uscendo da una
specie di baule polveroso nel quale erano rinchiusi da anni.
Lugli, Setti, Guidi, Beltrami, ecc… tutte persone che ho conosciuto
da bambina, quando il mio nome da Raffaella era stato cambiato in Ravanèel,
come da copione. Purtroppo non posso ricordare volti e discussioni data la mia
età molto acerba.
Così è per me commovente rivedere i volti incuriositi dei
carpigiani d'allora davanti alla statua e immaginare i commenti in dialetto:
"Mò l'è nuuda nèeda!" (ma è nuda nata).
Non credo di poter aggiungere niente a quanto da lei raccontato,
solo le sorelle e il fratello di Renzo, purtroppo morti da poco, eccetto la
minore Eva, potrebbero aggiungere aneddoti e storie avendole vissute insieme a
lui.
Sto cercando di fare un sito internet dedicato a mio padre,
affinché il suo nome non rimanga sconosciuto ai giovani carpigiani che
passeranno davanti alla povera Flora rapita e posta in Piazzale Ramazzini.
Grazie e buon lavoro col dialetto.
Ravanèel (Raffaella Baraldi) ”
Fine anni ’50 – Una
bimba carpigiana (Casarini) gioca con l’acqua della fontana
Fine anni ‘50- La Flora di Renzo Baraldi in
Piazzetta
1963 Mercato di piazza Garibaldi con la Flora di
Renzo Baraldi
Metà anni ’70 - Il Rapimento di Flora,
perpetrato per ordine dell’allora Sindaco Werther Cigarini
Metà anni ‘70 - La nuova collocazione in Piazzale
Ramazzini,
Lo scrittore e commediografo dialettale Vittorio
Salati si diede molto da fare per ricollocarla in Piazzetta, con appelli e
petizioni, ma inutilmente.
2014 Piazzale Ramazzini – come si presenta la statua
oggi.
Senza acqua e in mezzo a un parcheggio.
Perché non la si torna a mettere in Piazzetta
Garibaldi ?
2014 La Flora in Piazzale Ramazzini
Curiosità e “braghirismi” assolutamente NON confermati
Curiosità e “braghirismi” assolutamente NON confermati
Per la figura femminile della Flora, sembra che lo scultore si
sia ispirato a una gran bella ragazza ospitata da Manna Nina, di nome Silana,
della quale Baraldi si era fortemente invaghito. Silana rimase ospite da Manna
Nina fino ai 18 anni, ma continuò a dare il suo contributo personale alla Casa
della Divina Provvidenza, anche quando aveva figli suoi che hanno passato
parecchio tempo in quel luogo. Silana aveva una grande venerazione per Mamma
Nina.
In quegli anni il seno nudo era una cosa inimmaginabile e,
considerando che era stata rappresentata una donna che esisteva realmente, non
frutto dell'immaginazione, ci fu un certo scandalo quando statua venne esposta
in Piazzetta.
La statua, per la sua, oggi, innocentissima nudità, pare che
all'epoca ispirasse molti ragazzini inquieti provocando pensieri impuri, con
conseguente perdita della vista.
Giulio Beltrami mi dice invece che la modella era stata la
carpigiana Milvia Casarini, scomparsa nel 2014.
**
La statua è poi stata soprannominata irrispettosamente dai
carpigiani in vari modi:
Pomona, forse per i due seni tondi a pomo in
evidenza o per la frutta in grembo;
Tetòuna per le tette fuori;
Merdòuna, perchè la se spaasa al
cuul dedrée (romantico!).
La dònna in simma al cèeso per la sua posizione.
**
A tale proposito nel numero unico satirico di natale “Al buuṡ
dla ciavaduura” fu inserita una irriverente caricatura de La Flora, in
atteggiamento inequivocabile.
**
Dal giornalista di Carpi Fabrizio Stermieri mi giunge una testimonianza con un
interessante elemento.
“Carpi, 30 giugno 2014
Ecco la foto di una statuetta in terracotta in mio possesso; mi
pare che lo stile sia compatibile con la fontana e anche con la statua di Flora
che c'è nel parco di San Nicolò. Tenendo conto delle dimensioni, che sono
ridotte: l'oggetto nero ai suoi piedi per il confronto è sei centimetri e mezzo
per quattro. Purtroppo la pessima idea di mio zio di passare, anni fa, sulla
terracotta una mano di vernice bianca, ha reso più grossolani i lineamenti della
fanciulla che in realtà erano meno marcati.”
Statuetta in terracotta pitturata, molto simile alla
Flora
Un
ritratto fotografico significativo
L’inquietante e
affascinante ritratto (1956) del pittore carpigiano Renzo Baraldi
Sul retro di questo bel ritratto, la foto è appartenente alle
ricche collezioni di Felice Marzi (Carpi +2013) e Romano Cavalletti (Carpi),
troviamo questa nota, opportunamente corretta dalla figlia Raffaella Baraldi
con la seguente email a me indirizzata:
“Livorno 6-10-2013
Gent Mauro D’Orazi,
ecco la corretta didascalia alla foto:
= Autoritratto dello scultore carpigiano Renzo Baraldi (Rensòun) 1956.
Fu per molti anni insegnante all’Accademia delle Belle Arti a
Firenze, fu autore della fontana (La Flora) di Piazza Garibaldi a Carpi e di
moltissime opere di scultura sparse per l’Italia e oltre. Fu anche prolifico di
opere di pittura. Mori a 50 anni nel 1961 di T.B.C. .
Fu cremato e le sue ceneri riposano presso il cimitero di
Trespiano a Firenze. Era simpaticissimo. =
Cordiali saluti Raffaella”
Cimitero di Trespiano - Firenze
**
Sempre Raffella mi ha fatto pervenire
questa lettera del 1959, diretta al Sindaco Bruno Losi, circa la diatriba
sull’entità del compenso per la Flora.
**
Scheda
di Paola Borsari su Renzo Baraldi
Scheda
di Paola Borsari (Carpi) dal suo libro - Insegnare l’Arte - dalla
“Scuola di Disegno” (1840- 1967) al Centro Arti Figurative” di Carpi - .
Renzo Baraldi (Carpi, 1911- Firenze, 1961) Giunto ormai adulto
alla Scuola Comunale di Disegno, grazie all'interessamento di un amico ed
appassionato d'arte, Baraldi gode poi di una borsa di studio all'Istituto
d'Arte di Reggio Emilia. L'interesse per la natura e per l'arte, coltivato fin
dall'infanzia, trova sbocco dapprima nella plastica, di cui, nel 1934, egli è
in grado di esporre i primi saggi al Ridotto del teatro, non trascurando la
grafica. Per affinità, Baraldi si avvicina istintivamente a Morandi e Graziosi.
A
Reggio, Baraldi conosce Giovanni Vagnetti, che lo introduce all'Accademia di
Belle Arti di Firenze, ai corsi di Graziosi e Carena, di cui gli è concessa la
frequenza gratuita per meriti (1935). Baraldi fa la spola fra Firenze (dove,
tra l'altro, giunge secondo ai «Prelittoriali» tenutisi alla Galleria Marzocco)
e Carpi, i suoi amici, lo studio concessogli nel Castello dal comune, che lo
aiuta, finanziariamente, a mantenersi a Firenze.
Nel
1943, sposatosi e divenuto padre, finisce in prigione per aver manifestato
troppo apertamente il suo dissenso nei confronti del Regime; liberato, egli si
dà ad una rocambolesca fuga che lo porta al Comando Alleato di Bari, presso il
quale apre una Scuola di Disegno per militari.
Finita
la guerra, l'artista si stabilisce a Firenze, facendo l'assistente alla
cattedra di Figura e Ornato Modellato del Liceo Artistico. Continua a lavorare
alacremente, conosce e frequenta Soffici, Rosai, Annigoni ma ama tornare a
Carpi, dove numerosi sono i suoi estimatori e collezionisti.
Da
sempre, Baraldi dipinge all'aria aperta, nelle campagne intorno a Carpi come
sulle rive dell'Arno e sulle spiagge dell'isola d'Elba, dove passa le estati
dal 1949 al '57. Si vedano le assolate vedute della Risaia (1940; Firenze,
coll. priv.), dei Meli in fiore (1950; Carpi, coll. priv.) e del Golfo di
Procchio (1950; Carpi, coll. priv). La sua pittura, intensa, potente nel
costruire masse colorate, spazia dalla natura morta (splendido, fra gli altri,
il Vaso di girasoli, 1945; Firenze, coll. priv.), alla figura umana (Nudo di
ragazza davanti allo specchio, 1956, Firenze, coll. priv), al ritratto. In
quest'ultimo ambito, colpisce l'affettuoso e delicato Ritratto di Raffaella con
bambola (1950; Firenze, coll. priv), mentre nella trasfigurata Testa di Medusa
(1942; Firenze, coll. priv), i capelli della donna, bluastri, si protendono con
la drammaticità, che qualcuno vuole autobiografica, di certe tormentate vedute
di paesaggio (il carrubo, 1944; Firenze, coll. priv).
Si
rivela, indubbia, l'enorme potenzialità grafica dell'artista, la stessa dei
disegni con nudi quasi pontormeschi, degli scorci di paesi trattati
sapientemente a china, di forte impatto visivo.
Nella
scultura, Baraldi dimostra un approccio più mediato col reale, pregno della
cultura classica, evidente ad esempio nel Lottatore (1935; Carpi, Museo Civico)
ma tutt'altro che limitato da essa. Dopo i primi lavori in terracotta e gesso,
l'artista si dedica a bronzi, prevalentemente figure femminili di fresca ed
originale invenzione (Milvia, 1954, Firenze, coll. priv, Le tre grazie, 1956,
Carpi, coll. priv.). Nel 1956, egli realizza per il Comune di Carpi, già
proprietario di numerose pitture e sculture, la Fontana di Flora, in bronzo, collocata
in Piazza Garibaldi (ora al centro di piazza B. Ramazzini).
Autoritratto di Renzo Baraldi (presso Museo Civico
di Carpi)
Nei
tardi anni '50, poco prima del peggioramento della sua malattia e del suo
ricovero in ospedale (1959), Baraldi ha due importanti occasioni espositive,
alla Galleria Cocchini di Livorno (1957) e all'Accademia delle Arti del Disegno
in Piazza San Marco a Firenze, dove espone bronzi e disegni. Nel 1962, ad un
anno dalla morte, la memoria dell'artista viene onorata al «Premio Fiorino» di
Palazzo Strozzi, ospitando cinque sue sculture, mentre la Mostra Celebrativa
carpigiana del 1963 è presentata da Pietro Annigoni.
Le
opere di Baraldi si trovano in collezioni private e pubbliche, italiane e
straniere, fra le quali la Galleria d'Arte Moderna di Firenze.
**
Bibliografia essenziale
A. GARUTI, Carpi. Museo Civico
"Giulio Ferrari". I dipinti, Bologna 1990, pp. 161 - 162. Renzo Baraldi.
Itinerari, catalogo della mostra, a cura di P. GUERRIERI, Poggibonsi 1992.
1955 - Procchio – Isola d’Elba – ritratto del pittore
Ecco un interessante e ricco articolo di Gilberto Zacchè su Renzo Baraldi:
VOCE di Carpi del 12 settembre 2013
Baraldi
pittore di dune, protagonista all'Elba
L'artista
di Carpi ricordato nell'isola
di Gilberto Zacchè
Isola d'Elba - Nell'incantevole cornice del Grigolo, sede della
Lega navale di Portoferraio, si è tenuto di recente un incontro dedicato al
gruppo dei "pittori delle dune" che animò la località di Procchio
negli anni Cinquanta, contribuendo al suo lancio turistico. Di fronte a un
folto pubblico, attento e commosso, si sono alternati artisti, studiosi e
famigliari che hanno portato significative e toccanti testimonianze su quel
gruppo di artisti e su quella stagione irripetibile, con l'ausilio di suggestive
immagini d'epoca e riproduzioni di opere. La serata è stata introdotta da
Francesca Groppelli, ideatrice del ciclo "Non solo arte", promosso da
ArteElba, e da un video realizzato da Angela Provenzali con materiali
d'archivio inediti o poco noti. Fra i protagonisti di quella stagione, il
carpigiano Renzo Baraldi, Beppe Lieto, Gonni (Iginio Gonich) e Ormanno
Foraboschi, attivi, questi ultimi, anche in campo pubblicitario.
Questa esperienza professionale può aiutarci a comprendere come
un gruppo di artisti bohèmien, che viveva in spiaggia, nelle tende o nelle
baracche o addirittura in una barca spiaggiata, come Gonni, abbia concepito
straordinarie operazioni di quello che oggi chiameremmo marketing territoriale,
contribuendo al lancio di Procchio. Basti pensare al ristorante, ornato dai
disegni degli artisti di passaggio in cambio di un piatto di spaghetti, e al
"diario di bordo" dove i visitatori lasciavano commenti, pensieri ma,
soprattutto, disegni. E fra gli artisti che hanno avuto contatti con il gruppo
c'erano personaggi del calibro di De Chirico. Renzo Baraldi fu uno dei primi a
scoprire Procchio e fu molto attivo nella promozione tra i concittadini (a
Procchio ha sede una casa vacanze della cooperativa Cmb di Carpi e molti
carpigiani hanno acquistato casa nel golfo). A Baraldi ha dedicato un pensiero
Gianfranco Vanagolli, che ha fatto omaggio alla figlia Raffaella di un suo
libro riportante un disegno di Renzo in copertina.
La signora Raffaella, da me incontrata nell'occasione, quando le
ho riferito di aver lavorato nel castello di Carpi, proprio accanto ai locali
occupati dallo studio dell'artista, ha cortesemente acconsentito a narrarmi le
vicende biografiche del padre, che di seguito riassumo:
"Renzo Baraldi è nato a Carpi il 14 aprile 1911. Le assai
modeste condizioni economiche dei genitori, Dirce e Oreste, non gli
consentirono di proseguire la scuola oltre le elementari. Nell'adolescenza
l'appassionato interesse per la natura si dilatò al mondo dell'arte. Si trovò
allora molto spesso a parlare di arte con un gruppo di giovani amici
carpigiani. Giorgio Morandi e lo scultore Graziosi erano i punti di riferimento
sui quali discutere, così avvenne che quasi per scommessa Baraldi modellò in
creta un piccolo busto della sorellina. Aveva 21 anni e questo evento segnò
l'inizio di una vocazione che sarebbe durata per tutto il resto della sua
affrettata esistenza segnata già in giovane età dalla malattia bronchiale che
non lo avrebbe più abbandonato. Quasi subito si dedicò al disegno e alla
pittura dimostrando senza insegnamenti di sorta un indiscutibile talento, tanto
che il professor Ersilio Bagni, cultore d'arte, gli ottenne un posto presso la
scuola di disegno e una borsa di studio presso l'istituto d'arte di Reggio
Emilia. Nel 1934 il Teatro comunale di Carpi ospitò la sua prima mostra di
scultura. Grazie al successo della mostra Baraldi fu presentato a Graziosi e a
Carena e si trasferì a Firenze dove venne ammesso all'accademia di belle arti.
Era il 1935. Nel frattempo a Carpi gli era stato assegnato uno spazio nella
parte alta del castello comunale dei Pio dove in tre stanzoni disadorni si
riuniva con gli altri artisti e con amici carpigiani e dove si accendevano
spesso anche discussioni politiche contro il regime fascista. Nel 1937
partecipò alla mostra dei Previttoriali dell'arte alla galleria Marzocco di
Firenze ottenendo il secondo premio per la scultura. Nel 1943 conobbe e sposò
Selene, una ragazza che frequentava il liceo artistico. Le idee politiche di
Renzo Baraldi erano antitetiche a quelle del fascismo. Inoltre una certa
imprudenza nel manifestare queste idee e alcune scritte sovversive apparse sui
muri di Carpi, lo additarono all'attenzione dei fascisti locali che, alla fine
del 1943, lo misero in prigione per un breve periodo con l'accusa di cospirazione
politica. Una volta fuori dal carcere venne avvisato in tempo del rischio di
essere fucilato dai Tedeschi, riuscendo così a fuggire prima a Firenze e subito
dopo a Poggibonsi dove si nascose in casa dell'amico pittore Silvano Bozzolini.
Infine decise con mezzi di fortuna e affrontando disagi e rischi notevolissimi
di trasferirsi nell'Italia del sud a quel tempo già in mano alle truppe
alleate.
Miracolosamente raggiunse la Maiella in Abruzzo. Molti suoi
disegni raccontano quel paesaggio grandioso e rude. Sono disegni bellissimi
pervasi di bianco e di solitudine. Partì a piedi dalla Maiella con altre sette
fuggiaschi e una guida. La destinazione era Bari già sede del comando inglese:
arrivarono soltanto in due. Gli altri che lungo la strada avevano preferito
incamminarsi per un percorso diverso furono catturati e fucilati dai Tedeschi.
Baraldi restò per due anni a Bari dove, per incarico del comando alleato, apri
una scuola di disegno per i militari che gli permise di guadagnarsi da vivere.
Tornò a Carpi nel giugno del 1945 e nel 1948 prese in affitto
uno studio abitazione in piazza San Marco a Firenze. Sappiamo con certezza che
fra i suoi amici si possono annoverare Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Primo
Conti, Ugo Capocchini, Pietro Annigoni e lo scultore Quinto Martini e, fra i
piu giovani, Enzo Faraoni, Silvio Loffredo, Nino Tirinnanzi. Faraoni lo
ricordava vestito con enormi maglioni che indossava spesso anche nelle stagioni
piu calde. Con Loffredo andava a disegnare gli alberi in fiore e a dipingere
sulle rive dell'Arno. Baraldi restò nell'intimo un solitario, orgogliosamente
isolato nel suo lavoro, non fece mai parte di gruppi o movimenti. I suoi
rapporti più spontanei erano con le persone umili e con i contadini che di lui
subivano il fascino immediato e che lo riempivano di piccoli doni mangerecci.
Fu invitato e partecipò più volte al "Premio Fiorino",
alla Biennale di Padova, all'Internazionale di Carrara. Divenne inoltre
assistente alla cattedra di figura e ornato modellato al liceo artistico di
Firenze il cui titolare era lo scultore Quinto Ghermandi.
Nel 1949 Renzo Baraldi scoprì e si innamorò dell'Isola d'Elba a
quel tempo sconosciuta al turismo, incontaminata, selvaggia, incantevole nei
colori e nel paesaggio abbagliato di luce e di felicità, fu davvero l'Elba il
suo breve paradiso in terra dove tornò ogni anno puntualmente fino al 1957.
Trascorreva l'estate in una vasta tenda da lui montata sulla spiaggia di
Procchio dipingendo disegnando e respirando l'aria marina che sembrava giovare alla
sua salute. Gli fu spesso compagno Silvano Bozzolini suo amico di sempre. In
seguito altri artisti vennero all'Isola e si formò un folto gruppo che aveva
come luogo di incontro di giorno e di notte proprio la tenda del Baraldi. I
pochi abitanti del paese, tutte persone assai semplici, vedevano queste
riunioni con meraviglia e con timore: gli artisti apparivano loro diversi dai
comuni mortali, incomprensibili, mirabili e insieme peccaminosi. Dicevano ai
loro figli più piccoli di non avvicinarsi alla tenda del Baraldi che c'erano
gli "Artisti" e lo dicevano a voce bassa allargando le narici come a
cercare intorno un qualche odore di zolfo. All'Elba conobbe anche, ma senza
particolare entusiasmo, l'allora già famoso Giorgio De Chirico.
Durante l'inverno, a Firenze, Renzo Baraldi continuava a
svolgere la sua attività di artista e assistente del maestro Ghermandi, non
trascurando di tornare a Carpi quante più volte poteva. Molti amici del periodo
bellico erano diventati facoltosi industriali nel settore della maglieria ed
erano attenti estimatori delle sue opere che acquistavano per le loro
collezioni. Lo stesso Comune di Carpi oltre alla fontana di Flora commissionata
nel 1956 e originariamente collocata nella piazza Garibaldi aveva in precedenza
acquistato molti suoi lavori e commissionato sculture e bassorilievi in memoria
dei caduti della guerra e del lavoro. Bruno Losi, il sindaco dell'epoca, era
tra i suoi principali estimatori e, dopo avergli fatto visita a Procchio, non
fu estraneo alla decisione della Cmb di realizzare la "colonia"
estiva proprio in quella località. Dal 1957 al 1959 espose in varie gallerie
fra cui l'Accademia delle Arti e del Disegno in piazza San Marco a Firenze.
Fu questa in vita la sua ultima mostra; già dal 1956 la sua
salute era peggiorata fino al punto che in quell'anno scrisse da Carpi alla
moglie "come farò a dipingere gli autunni e vivere in inverno?".
Sempre più affaticato dalla malattia fu ricoverato all'ospedale di Poggio Secco
a Firenze dove cessò di vivere a soli 50 anni la mattina del 17 dicembre 1961.
Le poche sculture di piccola dimensione eseguite nel periodo
della degenza raffigurano nudi di giovinetta con le braccia levate e le mani
congiunte in un composto e forse supplice gesto di amore verso la vita".
**
Lo studio di Baraldi
in Castello, sede dell’intelligentia
carpigiana.
Guido Guidi a sn e
Renzo Baraldi a dx.
**
Gli ultimi tre giovani adepti di Luigiòun (fra il 1945 e 1948)
furono Felice Marzi, Norberto Beltrami e Franco Bizzoccoli, costretti a sedere,
sui gradini dell’entrata, silenti e intimiditi per ben tre anni, con il divieto
di non oltrepassare il limite, previsto per gli apprendisti muti, del pronaos del Tempio (in camera caritatis). Solo dopo aver osservato questo lungo
silenzio, degno di ben altri percorsi iniziatici, poterono essere ammessi a
pieno titolo, prima nella Camera di Mezzo e poi nel sacro luogo del Cenacolo, a
similitudine del lunga e lenta progressione della scuola pitagorica.
**
Anche Fermo N.H. Grillenzoni, detto Mimo, recentemente scomparso,
pur nella sua stranezza mentale, riconosceva l’importanza di questo luogo
d’incontro e nel contempo del concetto culturale urbanistico di essere nati e
vissuti dentro alla Mura. Anche dopo tanti anni, davanti ai componenti di quel
gruppo di artisti, intellettuali e mormoratori, li salutava uno a uno con
rispettosa deferenza: “Adìo, sgnóor Pliicio! Adìo, sgnóor Pliicio!”
Finché non arrivava quella a cui negava il saluto … “Perchè tè t ii dla Cagnóola!”
Perché tu sei della Cagnola, cioè di Via Sergio Manicardi, allora l’unica
contrada fuori dal perimetro un tempo occupato dalla cinta muraria cittadina
Il Kremlino (termine coniato nel 1942 in un rapporto di
polizia dopo un’irruzione nel Castello … “covo di antifascisti denominato
Kremlino”) svolse poi anche il suo puntiglioso compito presso il gruppo di tavolini a ridosso del
portico del bar Milano (oggi chiuso definitivamente), dove dopo pranzo e
dopo cena si riunivano i Tamelli, gli Sbrillanci, i Plicio, ecc … ossia i
compagni fedeli alla linea ex staliniana, anche per discutere e criticare
aspramente i vari governi scudocrociati.
**
Antonio
Casarini (èd L’Uultma - Cuntrèeda Teranóova - Via Giordano
Bruno) ricorda che Roberto Casarini era suo zio, fratello di suo padre; conosceva
tutti gli amici dello zio che erano fra gli altri: Plicio, Gracco, Guidi, Bizzoccoli,
Areta, ma soprattutto Bisi Azio. Antonio frequentò anche lui Bisi, il quale lo
aveva soprannominato "Fóogh Saacher", perché appena
dopo essere entrato nel suo studio di pittore, Antonio Casarini non riusciva a
stare fermo e scappava quasi subito a casa sua per disegnare o dipingere. Anche
oggi gli è sufficiente annusare il pungente e caratteristico odore dei colori a
olio per rivivere quelle atmosfere.
Correva
a casa, mentre gli altri amici restavano lì con Bisi a parlare d'arte e a
guardarlo dipingere
**
Riporto
alcuni capitoletti di Gianfranco Imbeni che si trovano sul suo libro del 1982
Maldicenze, relativi al Kremlino. Imbeni si è avvalso anche dei ricordi di
Franco Bizzoccoli.
IL «KREMLINO»
Il
«Kremlino» (un gruppo di carpigiani che «se la contano» ogni santo giorno
dell’anno oggi ai tavoli del caffè Milano) costituisce ciò che rimane di un «filòos» culturale antifascista che già
intorno al 1938 progettava una rivolta contro il regime. Sede del comando
doveva essere la villa Pallotti, individuata durante interminabili passeggiate
lungo il viale della stazione. Davanti a quella villa sembra che a quei tempi
il Lugli Gracco (noto come «Il Conte) abbia addirittura provato una antica
pistola di origine garibaldina, che doveva poi servire alla bisogna. Ma le
polveri erano vecchie e stanche e il colpo fece pluff. All’indomani dell’otto
settembre due componenti il Kremlino (il Pellicciari e il Bisi) risultavano
sulle liste nere della Repubblica di Salò, tanto che dovettero portarsi al
confine svizzero (senza peraltro riuscire a espatriare). Ma il primo della
lista dei condannati a morte era Renzo Baraldi, il noto pittore e scultore,
comunista iscritto, il quale fuggì a Firenze, donde ritornò dopo il 25 aprile
del ’45. Baraldi favoriva le comunicazioni e metteva a disposizione i locali a
quel «filosso artistico». Esso deve il nome di «Kremlino» ad un certo
Corbellini, delegato di polizia a Carpi alla fine degli anni ‘30. Chi amalgamò
il gruppo a quell’epoca furono: un Gandolfi, studente, caduto poi nella
campagna di Russia; Oscar Righi, anch’egli studente, comunista allievo di
Marino Sacchi, il quale fu poi vice questore del C.L.N. e comandante dei vigili
urbani di Modena; infine, Darfo Dallay, studente di medicina (come Sandro
Cabassi), gravitante politicamente nell’area azionista, il quale nel 1936 tracciò
la famosa scritta «Circolo dei Borghesi» davanti allo stadio, in cui si
praticava lo sport del tennis, allora riservato a pochi privilegiati. Darfo Dallay
fu impiccato dai fascisti a Mirandola e prima di morire chiese un pettine per
ravviarsi i capelli per essere in ordine davanti a chi lo stava uccidendo.
Gianfranco Imbeni ricorda anche di quegli anni:
*L’intero palazzo dei Pio formava all’epoca un enorme
falansterio intensamente popolato. Al suo ultimo piano, non lontano dalle
inesplorate scartoffie degli archivi municipali, il Comune aveva ricavato degli
alloggiamenti divisi da paratie di legno compensato, che ospitavano i “profughi
romani”, soprattutto tanti bambini (molti altri erano stati accolti anche
all’interno delle famiglie in città) in fuga da Roma, disastrata “città
aperta”. Faceva parte di quella umanità un certo Luigi, un vetusto “professore”
di misteriosa provenienza (un ex carcerato politico, sembra, munito di un
provvisorio permesso di soggiorno) alto e dinoccolato, il quale si guadagnava
da vivere impartendo lezioni, al prezzo di una “offerta libera”, su discipline
le più disparate. Un coetaneo del sottoscritto compì l’iter liceale grazie
anche alle “ripetizioni” di latino, disegno tecnico e artistico e di
matematica, impartitegli proprio da colui che noi chiamavamo il Luigione del
Castello, il quale, come gli antichi peripatetici, amava insegnare all’aperto,
nell’incolto giardino comunale dietro il Teatro. “Educare – diceva mostrando un
virgulto – significa estrarre, cioè aiutare l’alunno a tirare fuori quello che
ha già dentro di sé, nel suo ancor vergine trasporto per la poesia, cioè verso
la vita”.
1927 ca - Carpi - Cortile dell’Opera
Pia Realina da sn Palmati Alcide
e lo scultore Renzo Baraldi a piedi
scalzi
**=M=**
Sul
Kremlino ecco un passo tratto da "Il
buon regime", il libro su Carpi negli anni Sessanta di un autore (Florio
Magnanini) che non sarà mai tale, almeno finché tale “non” libro non sarà stato
effettivamente pubblicato…
«...
A completare il panorama non si può non menzionare il Kremlino, sorta di strano
sodalizio politico culturale, con spiccata propensione alle mormorazioni,
vicino, ma gelosamente autonomo dal Pci e legato soprattutto al culto di Bruno
Losi. Nell’atelier del pittore Azio
Bisi, graziosamente concesso per tre decenni dal Sindaco nei sottotetti del
Castello dei Pio, si ritrovavano figure importanti dell’apparato comunale, come
Almo Baraldi, capo ripartizione ai Tributi, e Gracco Lugli (ateo e
anticlericale), impiegato nello stesso settore, entrambi molto al corrente
delle situazioni patrimoniali dei carpigiani più abbienti e buoni conoscitori
delle pieghe più intime dei criteri applicativi dell’imposta di famiglia. Non
disdegnava qualche puntata nel Kremlino un essere assolutamente apolitico come
Gianni Menotti (detto Gianulòun), commesso di farmacia, pittore e capostipite
di un’intera generazione di bohèmien, spinto a quella
frequentazione soprattutto da interessi artistici e dalla curiosità per
la comédie humaine cittadina alla quale forniva il proprio
sostanzioso apporto di informazioni. Non era neppure difficile vedere aggirarsi
nella luce fioca dell’atelier di Bigi
l’imprenditore Umberto Severi, appassionato di arte, un trascorso giovanile
nelle file partigiane, ma poi protagonista di una delle più sorprendenti
avventure commerciali e produttive legate all’abbigliamento. Ma l’uomo che
meglio riassumeva in sé la natura del gruppo era Rinaldo Pellicciari, amico
personale e un po’ suggeritore di Losi, direttore dell’Ente comunale di
consumo, figura naturale di leader silenzioso e autorevole, uno che la
Resistenza l’aveva vissuta in prima linea, diventando commissario politico
della divisione Sap Carpi. Per quanto sotterraneamente critico e perfino
irridente verso la dirigenza politica del Pci, il Kremlino (è rimasto negli
annali il grido “Bruno, non ci lasciare!”, lanciato in Teatro da Gracco Lugli
nei primi mesi del 1970, quando venne ufficialmente comunicata la non
ricandidatura del Sindaco storico) era il canale d’ascolto privilegiato per
Bruno Losi, leader di un partito espresso dalla campagna, per capire gli umori
profondi di un ceto medio urbano per lo più legato alla concorrenza
democristiana».
Luigiòun dal Castèel
Luigiòun
dal Castèel
Carlo Carlòun Bertani (Carpi)
ricorda che c'era un signore che abitava in castello; si chiamava Luigi, detto Luigiòun. Era un erudito e da piccolo lo
sentiva raccontare la storia di tutte le strade di Carpi, coi loro antichi
nomi, e anche del Borgo Gioioso e del Borgo Noioso, luoghi rispettivamente
davanti e dietro il castello dei Pio
**
Lugli Gracco
da “Maldicenze” di Gianfranco Imbeni - 1982
Detto
«Il Conte». Nato nella famiglia garibaldina dei Caṡòot. Ateo convinto. Responsabile di una famosa bacheca (1945)
sotto il Portico Lungo intitolata al «Movimento per la laicità dello Stato».
Pubblico accusatore in certi processi epurativi intentati contro ex fascisti.
Abbonda l’aneddotica sulla sua infanzia per il suo odio verso gli animali, in
particolare gatti e galline. Non ha mai fatto proprio il dovere di servire la
patria: fu ospite di un forte militare a Verona in qualità di «quasi
disertore». Uomo di coraggio o di casermaggio? Certamente, poeta (di un’unica
composizione partorita in un campo di concentramento tedesco). Ottimo narratore
di cose locali e storiografo delle famiglie di Carpi. Ha ereditato le fortune
dei Lugli Caṡòot ma ai registri delle
imposte risulta nullatenente. I maligni sostengono sia sempre aggiornato sulla
rendita dei B.O.T.. (Ovviamente «Il Conte» mette a buon frutto la lunga
esperienza di funzionario dell’ufficio tasse comunale insieme al ragionier Almo
Baraldi: l’unico impiegato del palazzo provvisto di macchina da scrivere con
caratteri cirillici). Celebre il suo racconto (a puntate) sull’esodo dal campo
di concentramento in Turingia alla magione avìta. Uomo molto parsimonioso. Risulta
essere ancora in possesso di diverse paia di calzini portati con sé dalla
Germania. È conosciuto anche come nipote di Tugnulèina,
un calzolaio che non ebbe mai vetri, ma cartapecora ai telai delle finestre: i
ragazzacci dell’epoca vi infilavano la testa per chiedergli l’ora (Tugnulèina possedeva uno dei pochi
orologi d’oro di Carpi).
STUDIO D’ARTE
ROMANO PELLONI
v. Trento e Trieste,
1
41012 CARPI (MO)
CONRIBUTO di Romano
Pelloni alla ricerca
su ”IL KREMLINO” a
cura di Mauro D’Orazi
Carpi, 07-03-2014
Negli
anni 1944-46 io andavo a scuola di “disegno” nello studio di IVO VOLTOLINI
sopra al caffè di Felice, il padre del pittore che era in corso A. Pio in
angolo con via M. Meloni.
Dovevo
prepararmi per l’esame di ammissione al corso superiore dell’Istituto Belle
Arti Venturi di Modena, perché avevo, come si diceva allora, “buone doti”.
Esame che sostenni nell’autunno del 1946 con buon esito. Ovviamente interruppi
il corso da Voltolini, ma rimasi legato al mio maestro per tutta la vita.
E’
dal 1948 che, assieme a Norberto Beltrami, frequentavo lo studio che in quegli
anni Voltolini aprì in Castello al secondo piano dell’ala Estense, ove il
sindaco Bruno Losi aveva dato come anche ad altri artisti; lo scultore Renzo
Baraldi e il pittore Azio Bisi, artisti, ovviamente, “di sinistra”.
Della
attività nello studio di Voltolini ho pochi ricordi: con una certa invidia
vedevo che quegli artisti avevano sempre dei modelli per lo studio del nudo:
per gli uomini vedevo “la bèela Nàaia” il
quale nelle pause tra una posa e l’altra riposava prendendo il sole integrale
ad una delle finestre del cortile (allora lo stile astratto non aveva ancora
fatto scuola a Carpi e i soggetti degli artisti erano nature morte, paesaggi,
ritratti e figure umane. Delle modelle invece vedevo solo gli esiti nelle opere
degli artisti perché esse posavano nude solo alla sera, ma anche perché il buon
Bisi accennava anche ad altro … e ci faceva notare un disfatto divano maculato
a dovere, fra i sorrisi complici di me e di Norberto.
Dello
studio di Voltolini ricordo il suo tormento nell’incollare alle finestre dei
fogli di carta bianca perché la luce filtrasse diffusa su modelli ed opere,
mentre il maestro ordinava all’allievo Norberto, figlio di Ercole Beltrami
falegname, grandi piattaforme con perno centrale rotabile, per rimuovere i
modelli già in posa nella ricerca della luce migliore.
Quando
nel 1948 don Antonio Bellini, parroco di Santa Croce volle arredare l’abside
della navata nord della parrocchiale per creare un piccolo Santuario alla
Madonna dell’Aiuto che, si diceva, faceva miracoli, chiese a me chi poteva
essere il pittore adatto a dipingere le pareti dell’abside. Subito pensai al
mio maestro Voltolini, mentre l’altare, l’ancona e le balaustre in marmi
policromi erano stati commissionati dal parroco alla scultrice Carmela Adani di
Correggio.
Voltolini,
non esperto di arte sacra e d’abitudine lento nell’esecuzione del lavoro, non
volle dipingere direttamente sul muro, ma preferì dipingere a olio su tele, con
telai curvi che fece fare a Norberto ormai il suo “falegname di fiducia”.
L’abside della navata nord della Chiesa di Santa
Croce di Carpi
con le tele di Ivo Voltolini
Come
soggetti furono scelti angeli musicanti che Voltolini dipinse nello spazioso
studio del Castello e per modelle prendeva quelle della sera … Io andavo a
vedere Voltolini lavorare e mi permettevo di dare qualche suggerimento per la
iconografia ed essere certo che gli angeli risultassero tali e piacessero al
sospettoso committente. In cuor mio speravo anche che questo “compromesso storico”
tra il Kremlino e la Chiesa attenuasse i forti contrasti filosofici e politici
di quegli anni, ma non fu così.
Un
altro significativo ricordo mi riporta al 1953 quando a Carpi venne a parlare
Padre Lombardi, chiamato “il microfono di Dio” per lanciare a Carpi il
“Movimento per un mondo migliore (1)”.
Quando
il battagliero predicatore parlò una sera dal sagrato del duomo una salva di
fischi ed urla irridenti partirono dalle finestre del Kremlino tra lo scandalo
dei tanti fedeli che riempivano la piazza.
Quando
nel 1954 don Dante Sala mi chiamò a dipingere la chiesa del cimitero urbano di
Carpi, il buon Renzo Baraldi, già affaticato dal male, volle salire sulle alte
impalcature a veder l’avvio della grande parete raffigurante la Chiesa
Trionfante. Ammirato per il mio coraggio e confessando che lui non avrebbe
saputo da che parte iniziare, si complimentò, senza però, da vero maestro,
mancare di suggerire qualche ritocco e questo mi incoraggiò molto.
Romano
Pelloni
1-
E. Galavotti. da: “Storia della Chiesa di Carpi” 1° vol. Ed. Fondazione CRC
2006
Dalla seconda guerra mondiale al 2000.
pagg. 228-229
N
B: Tutte le date sono riprese dal volume : “Carpi, Guida storico artistica” ed
Il Portico Carpi 1990.
Altri ricordi
Gian
Franco Imbeni su VOCE di Carpi del 08 luglio 2004 in SottoVoce La Stanza del Sindaco (Bruno Losi)
cita anche il Kremlino:
…
Nel lato a nord di un sussiegoso vestibolo (dove un caminetto
settecentesco tra le due finestre faceva da altare al busto in bronzo di Sandro
Cabassi martire della Resistenza) si apre l'arioso vano d'angolo del palazzo
che dà sul corso. Là dentro elaborava i propri pensieri e azioni il borgomastro
Bruno Losi Egli riceveva gente in continuazione e si affacciava spesso
sull'uscio (tenendolo bene aperto per accomiatarsi in fretta dal visitatore) e
sussurrava al cubicolario di turno le sue disposizioni: la rapidità del gesto e
la stessa crocidante afasia del comando avevano l'effetto di trasmettere
consolazione al postulante e nel contempo una più decisa spinta all'azione al
sottoposto, anche quando quest'ultimo non avesse ben chiaro in quale concreta
maniera avrebbe poi dovuto contenersi.
Quel tanto di teatralità che siffatti comportamenti sindacheschi
contenevano, veniva naturalmente amplificato dalla voce popolare sulle furbizie
un po' sulfuree del primo cittadino, estri satirici che talvolta si incupivano
nel mugugno: "Poteva andarci peggio - commentavano ad esempio gli
eresiarchi del Kremlino che sostava anche presso il caffè Milano, vicino alla
sede del PCI - pensiamo a quanto maggior potere avrebbe quest'uomo se solo i
suoi avessero deciso a suo tempo di farlo studiare!"…
**
Il
figlio di Mario Nora, Livio, ricorda fra i luoghi di incontro di una
carpigianità autentica e consapevole anche la bottega dei f.lli Saetti (I fratelli Karamàzov
(Братья Карамазовы) dall’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij; un
efficace soprannome inventato dal cinico e caustico Gracco Lugli) dell’omonima
drogheria di fronte al Municipio. Quelli citati erano i posti abituali di
ritrovo, di questo gruppo di amici carpigiani, dove spesso la madre di Livio
mandava il ragazzino a "recuperare" il padre. Ma anche il ritrovo
domenicale estivo presso il Secchia all’osteria La Barchètta, dopo partite
a bocce e carte, di fronte a un buon salame e una bottiglia di lambrusco, o
quello serale alla trattoria a Lesignana erano posti di ritrovo abituali per
incontri e lunghe discussioni, quasi una succursale del Kremlino.
1960 ca - Osteria a San Martino piccolo
di Correggio - Pranzi estivi di carpigianità
Mario Nora, con gli amici Emidio Po
e Guberti
In questa foto di Alcide Boni del
1975
vediamo Mario Nora e Antonio Copelli
in piazza davanti al Castello.
In questa foto di Alcide Boni del
1975
vediamo Mario Nora e Sbrillanci in
piazza
**
Da VOCE di Carpi del 23 dicembre
2009
Oliviero
Saetti: l'addio di uno dei padri della città.
Di Florio Magnanini
Era nato il 28 maggio 1914; all'età di 95 anni ci ha lasciati
Oliviero Saetti, personalità molto nota, in città. Se n'è andato serenamente,
passando dal sonno alla morte nella mattinata del 19 dicembre, colpito da un
ictus cerebrale dal quale i medici del Ramazzini hanno tentato invano di
rianimarlo. Le esequie, tenutesi il 21 dicembre, hanno visto il concorso di
molta parte della Carpi che ancora ricorda.
***
Se si potesse parlare anche di padri delle città, oltre che
della patria, Oliviero Saetti, per quel che ha rappresentato per Carpi, sarebbe
uno di loro. Per dire di un solido punto di riferimento dell'identità
cittadina, prima di tutto in qualità di cultore delle memorie locali, del
dialetto, delle tradizioni culturali (era socio del Pavarotti e del Filòss) ed
enogastronomiche (lo chiamavano "lo Spiziale" e si deve a lui il bel
libro "Le spezierie in Carpi" dove trasfuse tutto il sapere derivato
da 55 anni di gestione della drogheria sotto il Portico del Grano che in città
era indicata come "la bottega dei fratelli Karamazov"). In passato,
tuttavia, Saetti era stato un protagonista attivo della vita pubblica. Era
infatti l'ultimo membro ancora vivente del CLN di Carpi e aveva sempre
rinnovato la tessera dell'Anpi: dei giorni della Liberazione e dell'arrivo
degli Americani volle lasciare una testimonianza proprio a Voce del 24 aprile
2008, con uno scritto dal titolo "Quel 22 aprile in cui liberammo la
città". Come esponente del Partito comunista italiano, poi, fu eletto
Consigliere comunale per quattro legislature, dal 1946 al 1964, anni decisivi
per la ricostruzione e lo sviluppo industriale della città. Per molti versi
rappresentò un'eccezione nel PCI carpigiano, che non poteva certo vantare, fra
i propri dirigenti, molte personalità che, come Saetti, provenissero dal mondo
del commercio e dal ceto medio urbano, tradizionalmente più vicini al
moderatismo democristiano e, durante il Ventennio, apertamente dalla parte del
regime. Lui rappresentò l'eccezione, insieme a poche altre figure come Rinaldo
Pelliciari detto Plicio, Azio Bisi, Bruno Ghelfi connotati anche con la
definizione di "Kremlino". Si trattava di personalità di estrazione
borghese, più liberali e azionisti che comunisti, molto legati durante la
guerra a Darfo Dallay, impiccato dai nazisti, e molto ascoltati dal leader
indiscusso del tempo, il sindaco Bruno Losi, nel difficile dialogo con la Carpi
"entro le mura", più propensa a sentirsi assediata che liberata dalla
Resistenza.
1983 – I tre fratelli Saetti: Giorgio, Lazzaro (Blond)
e Oliviero (Livio)
Verbale del Consiglio Comunale di
Carpi n 4 del 14-01-2010
Sono presenti in sala i parenti stretti dell’ex
consigliere scomparso.
Il
Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Taurasi dà lettura, con commozione,
del seguente testo:
“Il
19 dicembre 2009 è scomparso a 95 anni Oliviero Saetti. Fece parte del primo
Consiglio comunale nominato dal Comitato di Liberazione Nazionale e poi venne
eletto nei successivi 4 mandati, rimanendo nel civico consesso dal 1945 al
1964. Era l’ultimo rappresentante vivente del primo Consiglio democratico del
dopoguerra e ci pare doveroso ricordarlo in questa sede (alla presenza anche
dei famigliari che ringrazio per la partecipazione). Vogliamo celebrare la sua
memoria e con lui ricordare, nel momento in cui scompare l’ultimo testimone,
un’intera generazione di donne e uomini che hanno posto le basi della nostra
democrazia.
Rammento
ancora con commozione l’intervento che svolse in occasione della seduta solenne
del 50° del Consiglio comunale, tenuta al Teatro comunale nel maggio del 1996.
Parteciparono
a quell’evento anche alcuni ex consiglieri presenti questa sera (il Sindaco
Enrico Campedelli, gli assessori Simone Tosi e Lorena Borsari, il nipote di
Saetti, Gianfranco). Insieme a un’altra figura storica del nostro civico
consesso (il professor Pier Giuseppe Levoni, che sedette tra i banchi del
Consiglio comunale per ben 30 anni), Oliviero Saetti fu invitato a raccontare i
giorni della Liberazione e la sua lunga esperienza di consigliere.
Sono
andato a ricercare in archivio proprio quell’intervento e rileggendolo ho
avvertito l’emozione del testimone diretto che racconta i momenti salienti
della liberazione della città.
Bisognava
ricominciare dopo i lutti e i sacrifici della guerra. Affrontare la
ricostruzione e costruire la democrazia. Negli occhi di quei giovani, che hanno
vissuto gli anni più bui della nostra storia, non mancava la fiducia e la
speranza nel futuro. La comunità intera fu in grado di unirsi, pur nelle
contrapposizioni politiche anche aspre, per fare l’interesse collettivo. Ho
ripensato di nuovo oggi a quella generazione, vedendo scorrere le immagini
apocalittiche che ci arrivano da Haiti, dove tutto sembra finito e solo la
speranza ti permette di guardare avanti. La stessa speranza dei soccorritori,
che scavano tra le macerie alla ricerca di qualche sopravvissuto.
Quella
speranza apparteneva anche alla generazione che oggi ricordiamo e che partecipò,
come la definì lo stesso Saetti nel suo intervento, a quella straordinaria
“primavera sorridente” del 1945.
Oltre
che consigliere Saetti era stato anche Vice Presidente di Commissione
Distrettuale per le Imposte Dirette e per le Imposte Indirette sugli Affari,
incarico per il quale ricevette nel 1972 la Medaglia di bronzo al merito della pubblica
finanza. Una persona laboriosa, un tratto tipico di questa città, che amava il
suo lavoro di commerciante e vi si dedicava con passione. Era sposato e aveva
due figlie: Lia, prematuramente scomparsa, e Donella, alla quale ho espresso in
occasione del triste evento le condoglianze dell’intero Consiglio comunale. Pur
avendo molti impegni di lavoro e famigliari, non trascurava mai i ‘riti civili’
legati alla storia della nostra città, rispettato ed autorevole cultore della
sua memoria e della sua identità. Non dell’identità di una sola parte, ma
dell’identità culturale dell’intera comunità, Saetti era un premuroso custode
delle memorie locali, del dialetto e delle tradizioni culturali della comunità.
Era
soprannominato ‘al drughèer ’, per il negozio di fronte al Municipio che
gestiva insieme al fratello Giorgio. Li chiamavano i “fratelli Karamazov”, non per accostarli ai personaggi del romanzo
di Dostoevskij, quanto per richiamare da un lato il loro legame con la storia
comunista e la Russia,
dall’altro per evocare uno stile ottocentesco e distinto che li caratterizzava.
In realtà Saetti era un
comunista atipico, vista la sua estrazione sociale borghese più che operaia e
la sua attività che lo conduceva ad avere rapporti con tutta la comunità.
Me
lo immagino ogni mattina alzare la saracinesca del suo negozio sotto il Portico
del Grano e lanciare uno sguardo nostalgico verso Palazzo Scacchetti. Da uomo
arguto qual era, magari oggi, guardandosi intorno e vedendo una città
trasformata dal punto di vista urbanistico e sociale e un mondo completamente
diverso da quello del suo Secolo, il Novecento, forse avrebbe commentato, col
dialetto che amava: “Si m l ìssen dìit, a n gh avrèev mai cherdù!”
(Se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto!). E poi avrebbe aggiunto,
da sincero democratico e da uomo che sa vivere il suo tempo: “Mò, forse
l’é giùssta acsè !” (Ma forse è giusto così!).
Quando
penso a Saetti, penso a uno dei protagonisti della storia migliore della nostra
città, una persona che si è dedicata con passione civile all’attività politica
e che poi è tornata completamente al suo lavoro di commerciante e ai suoi
affetti famigliari. Così come i quattrocento consiglieri che si sono succeduti
tra questi banchi nel lungo dopoguerra. Ecco perché ricordare l’ultimo
rappresentante del primo Consiglio è come ricordarli tutti. Ed ecco perché
scomparso Saetti non scomparirà il suo ricordo, che continuerà a rimanere vivo tra
i suoi familiari e tra chi l’ha conosciuto. E non si cancellerà la memoria di
quella straordinaria generazione, che vogliamo ricordare con questo minuto di
silenzio.”
**
Viene
osservato un minuto di silenzio; tutti i presenti sono in piedi.
Al
termine si alza un applauso spontaneo e caloroso.
**
Tutti
gli interventi vengono conservati agli atti mediante registrazione magnetica a
cura della segreteria comunale a disposizione dei singoli consiglieri e degli
aventi titolo.
Letto,
approvato e sottoscritto.
Il Presidente Il V. Segretario Generale
(Taurasi)
(Canulli)
***
Pelliciari Rinaldo
da “Maldicenze” di Gianfranco Imbeni - 1982
Detto
«Plicio». Intelligenza viva ma un po’ pigra e lillona. Fece il liceo senza
libri, provvisto unicamente di matita e di un foglio per appunti. Entra subito
nel Kremlino e ne diventa la «spugna» più autorevole. Tanto da godere delle
esplicite simpatie di Luigi del Castello (ripetitore di tutte le discipline,
compreso il disegno) per l’acume politico e l’amore per l’arte, testimoniatogli
anche dal defunto «Erba», alias Ersilio Bagni, pittore, padre di quella Genesia
Bagni che fu l’unico, autentico Ragioniere Capo del Comune di Carpi nel
dopoguerra. Le testimonianze di stima verso «Plicio» furono ben ripagate.
Pellicciari fu nelle Brigate «Aristide» con il nome di battaglia di «Rino» al
fianco di Bruno Losi, di cui divenne poi il segretario (e forse il
«Mazzarino»). Suo è il famoso «Diario delle Brigate Aristide», che ha
costituito la fonte delle numerose pubblicazioni (talvolta orripilanti) sulla
resistenza nella nostra zona.
**
Alfredo Chiossi (archivista storico del Comune di
Carpi) ricorda Rinaldo Pelliciari,
detto Plicio, come uomo di grande
spessore. Mi segnala in particolare che Gli Stati Uniti gli concessero la Bronze Star Medal al valore per la
preziosa e coraggiosa attività di comandante partigiano nella guerra contro
tedeschi e fascisti.
Bronze Star Medal
Fine aprile 1945 - Giorni di
Liberazione a Modena.
Partendo da dx 2° Plicio
Pelliciari, 3° Borsari e 4° Omar Bisi
Piazza di Carpi il 23 aprile 1945,
il giorno dopo la Liberazione.
Un camion di partigiani trainato da
fune; Plicio Pelliciari, col cappello, appoggiato al parapetto del camion (sotto il
cerchietto chiaro).
**
Mauro D’Orazi: “Pure io ho un ricordo indelebile
di Plicio Pelliciari, anche se ho parlato con lui solo un paio di volte…
In un incontro occasionale alla fine degli amnni ’70, mi
apostrofò: “Aah … t ii al fióol dla Piina!”, annuendo con fare un po’
sornione.
Ma io non colsi cosa sottintendesse questa frase,
apparentemente così semplice; finché non sono arrivato a unire le varie
tesserine del mosaico e capire quanto quest’uomo ha influito sui destini della
mia famiglia e indirettamente anche sui miei.
Ebbene… il padre di Plicio era un convinto fascista negli
anni ’20 ed era amico intimo di mio nonno Giuseppe Bertolazzi, che fu assessore
nella prima giunta comunale fascista.
Giuseppe e i suoi fratelli erano dei possidenti e
imprenditori, ma dopo la crisi del ’29 e la Quota 90, uno a uno, trascinandosi
a vicenda nel baratro, andarono in rovina e vendettero tutto. Giuseppe morì del
’36, mia nonna Olimpia Compagnoni nel ’38, penso entrambi fondamentalmente di
crepacuore per i disastri familiari; restarono, giovinetti, orfani e privi di
mezzi, mia madre Giuseppina e suo fratello maggiore Paolo.
Entrambi si ammalarono gravemente di TBC e il mio sfortunato zio
morì nel luglio del ’44 a soli 21 anni.
Mia madre si salvò miracolosamente dalla terribile malattia e
recuperò lentamente la salute, ma subito dopo la guerra si trovava povera,
convalescente e sola, con l’unico appoggio della zia materna Valentina Compagnoni.
Proprio a questo punto entrò in gioco Plicio, uomo d’azione,
ma saggio e lungimirante; egli, vedendo una situazione così grave e precaria,
con qualche parola ben spesa presso il Sindaco Bruno Losi, di cui era fidato e ascoltato
consigliere, alla fine degli anni ’40, fece in modo che mia madre fosse assunta
in Comune all’ufficio annonaria, nella quota riservata ai… reduci di
guerra, assicurandole così un avvenire dignitoso.
Come non essergli grati?
**00**
Carpi – L’8 maggio 1945 si svolge
in Piazza la cerimonia di consegna alle autorità alleate da parte delle
formazioni partigiane di “quasi” tutte le armi.
Estate 1945 - Carpi - Il Sindaco della Liberazione
Bruno Losi
parla dal
balcone del Municipio
**0**
Sulla figura di Darfo Dallay, Franco Bizzoccoli si è soffermato in un capitolo del Libro annuale Carpi di Ieri “A gh n è pèr tutt” edizioni Il Portico uscito nel dicembre 2013.
Sulla figura di Darfo Dallay, Franco Bizzoccoli si è soffermato in un capitolo del Libro annuale Carpi di Ieri “A gh n è pèr tutt” edizioni Il Portico uscito nel dicembre 2013.
Ecco il capitolo che Franco ha illustrato,
con intensa e profonda commozione, davanti a 200 invitati, l’8 dicembre 2013 nella
sala parrocchiale di Cibeno durante la presentazione della pubblicazione. Quasi
alla fine del racconto, al momento della citazione del “pettine”, Franco si è
profondamente commosso, ha dovuto interrompere la narrazione e, spossato, si è
seduto in lacrime, di fronte a una assemblea ammutolita e partecipe.
Rimpiango amaramente di non aver avuto
l’ispirazione e l’accortezza di registrare in voce quello che sarebbe stato il
suo ultimo e così denso intervento pubblico.
Darfo Dallay:
ritratto
di un amico, maestro e “compagno”
Ho conosciuto Darfo Dallay personalmente e ho
provato il desiderio di parlarvi di lui, anche nei suoi aspetti meno noti, non
sono uno storico, bensì un carpigiano attento che ricorda. Darfo Dallay nacque
a Carpi l'11 gennaio 1916, la famiglia era composta dal padre Silverio, dalla
madre Maria Arletti, dal fratello Danilo, minore di un anno, e dalla sorella
Darma, minore di tre anni. Abitavano in Corso Alberto Pio, sostenuti
dall'attività del padre, commerciante al minuto di tessuti.
Prima
di parlare direttamente dell'attività politica di Darfo Dallay, è necessario
accennare all'ambiente culturale e sociale in cui maturò il suo pensiero e la
sua formazione politica. Un'importante influenza esercitò su di lui un certo
Luigi (detto Luigòun dal Castèel) che arriva a Carpi e vi si insedia
proveniente da Asti, artigiano materassaio, colto, eclettico, conoscitore della
Divina Commedia che legge e commenta ai giovani che lo ascoltano. Pagliani
abita come inquilino in castello e Darfo è studente di medicina ed è avido di
ogni informazione e di ogni fermento culturale. Lui stesso introdurrà poi molti
giovani al pensiero azionista, all'arte figurativa, alla cultura e alle
discipline umanistiche, acquistandosi un merito quantomeno di carattere
regionale. Una seconda influente figura fu quella di Renzo Baraldi, studente
all'Università di Firenze, artista, che aveva ottenuto dal Podestà dell'epoca
una stanza nel castello di Carpi per produrre le sue opere e incontrarsi con
altri intellettuali.
Questa
stessa stanza fu il seme di quello che poi venne definito "il
Kremlino", luogo di incontro e sviluppo di idee di progresso e di
resistenza al fascismo degli intellettuali carpigiani. Qui si riuniva un gruppo
periodicamente per ragionare di politica e di argomenti sociali, tra questi
Azio Bisi, Umberto Severi, Azio Bussetti, Rinaldo Pelliciari, divenuto poi
commissario delle brigate Aristide, e altri azionisti che, già a partire dall'8
settembre 1943, costituiranno poi una rete di collegamento tra Carpi e la
Romagna. Tra questi Ferruccio Parri e altri clandestini come Giuliano Benassi.
Azio
Bisi racconta che di questa rete di collegamento faceva parte anche Bruno Losi,
venuto a Carpi in bicicletta da Limidi, con le famose mollette nei risvolti dei
pantaloni per non sporcarli e in testa un cappello di paglia. Lasciato ad
aspettare in strada perché non riconosciuto, finalmente avviene questo scambio
di battute tra due antifascisti: "Lei è il pittore?" "Sì!"
"lo sono il compagno di Limidi". Di questo ci informano anche Gracco
Lugli e Eros Valentini (cugino della staffetta Lea Valentini). Nel 1937
troviamo il giovane Darfo, ventunenne controcorrente che possiamo definire
"antitutto" e specialmente antifascista, antietica, cultura e morale
corrente, a cercare di mascherare i suoi incontri politici, culturali e
artistici sotto forma di bagni di sole e di passione per la fotografia al
Collettore di San Marino, nudista per convinzione e per distogliere
l'attenzione dei gerarchi dall'attività vera che stava compiendo. Nel 1938
Darfo procura un incontro a Rio Saliceto tra forze politiche diverse: sono
presenti liberali,... azionisti e comunisti; tra questi ultimi anche Germano
Nicolini, il futuro sindaco di Correggio del dopo Liberazione. Il pretesto è
quello di una festa da ballo, nonostante nessuno di loro sapesse ballare. Il
gruppo decide di manifestare la propria ostilità alla guerra d'Africa che si
trascinava in Etiopia con dure repressioni della resistenza locale, attraverso
canti notturni, scritte sui muri e al Circolo Tennis di Carpi (da loro
denominato il "Circolo dei borghesi"). Viene deciso inoltre un piano
di sovversione locale, con comando a Villa Pallotti, lungo il viale della stazione.
Del gruppo facevano parte il futuro avvocato Coccapani, Baraldi, Oscar Righi,
Rinaldo Pelliciari (futuro nome di battaglia "Rino"), Pantaleoni,
Gandolfi e Roberto Casarini. Nel 1939, mentre in Spagna perdurava la guerra
civile, Darfo riceve frammenti di informazioni da quel fronte, tra queste anche
documenti su Federico Garcia Lorca.
Il
giovane azionista ha appena 23 anni però già si sparge la voce persino negli
ambienti universitari della sua attività, ed è particolarmente esposto. Nel 1940, in seguito all'entrata
in guerra dell'Italia, Darfo riesce a padroneggiare politicamente il suo gruppo
e a organizzare una cellula antifascista che ha collegamenti con il Partito
d'Azione. Ideologicamente, lui e il suo gruppo sono maturi per organizzare un
seppur piccolo e povero comitato rivoluzionario armato. Le armi sono di
garibaldina memoria e tutte procurate individualmente. Del gruppo fanno parte
ancora: Pelliciari, Bisi, Roberto Casarini, Tandino Sbrillanci, Eros Ongari
detto Mao (già allora si sapeva chi era Mao Tse-Tung), Ferruccio Bertolani
detto Mongia, dal corridore Mongiano, e Gracco Lugli
lo
arrivo a conoscere Darfo in questo periodo perché con un gruppo di amici
frequentiamo l'anticamera del Kremlino, una specie di purgatorio prima di
meritarci il cenacolo degli dei, il paradiso, una stanza riservata a noi poco
più che bambini, quasi una iniziazione; con me ci sono Balòota, Biida, Béeca, Gavéela, Felice Marzi. Lo scultore Baraldi
nella stanza principale sta dipingendo una tela, il Giudizio Universale, e il
modello è proprio Darfo Dallay. In quelle occasioni conosco anche Pagliani ed
Ersilio Bagni, mentori del Kremlino, così un rapporto di polizia definisce
quella sede di cultura e di incontri. Mi avvicino dunque a Darfo Dallay
abitando entrambi in centro storico, ma specialmente per il grande fascino che
proveniva da lui. Con lui sognavo ad occhi aperti, leggevo nelle sue parole la
vergogna delle guerre fasciste, quella d'Africa e specialmente la guerra civile
spagnola. Mi parlava del Museo degli Uffizi, mi raccontava dei suoi amici, del
federalista risorgimentale Cattaneo, di Costantino Nigra, di Carlo Pisacane, di
Gaetano Bresci e Bakunin, l'apostolo anarchico.
Ma
ormai siamo in piena guerra, l'attività si fa pregnante e le comunicazioni si
intensificano, specialmente con la Lombardia: si intensificano soprattutto gli
epistolari con Ferruccio Parri e Enrico Serra. Tra il 25 Luglio e l'8 Settembre
'43 il gruppo di Darfo, alloggiato nel castello di Carpi, tenta di mimetizzare
la propria notorietà antifascista, ma un manifesto già indicava la loro
attività di antifascisti sovversivi. Dal 1943 cominciano le azioni di
resistenza: la sua abitazione è in via Giulio Rovighi, sul lato est. Di fronte
abita la famiglia Albertini; di questa fa parte anche la signora Tina Albertini
che testimonia un'intensa attività di produzione di manifesti, di
approvvigionamento di armi e di deposito di materiale.
Gli
amici, tra questi Umberto Severi, decidono che sarebbe meglio per lui andare in
montagna, ma Darfo non accetta. Accetta tuttavia di stare appartato in casa. Io
faccio commissioni per lui e la staffetta tra lui e la sua fidanzata; mentre
lui deve star chiuso in casa mi recita Garcia Lorca, la famosa "Alle
cinque della sera", e Don Chisciotte, il “caballero errante”. Conosco anche,
in queste occasioni la sopraccitata Tina Albertini, sua amica politica,
depositaria di tutto il materiale pericoloso di Darfo, per esempio fogli di
congedo forniti dal Severi. Il fratello di Tina, generale Ettore Albertini, in
tempi recenti una sera alla falegnameria Beltrami mi raccontò che il contatto
di Darfo per le notizie spagnole era uno studente universitario di Rio Saliceto
che aveva militato nelle brigate internazionali. I legami con il partigiano
Sandro Cabassi derivavano dalla fidanzata dello stesso Sandro, amica di Darfo e
di Giuliano Benassi, partigiana e guerrigliera.
Dopo
il 1943 quando la destinazione del campo di Fossoli diventa di concentramento,
una delle attività del gruppo del Castello é quella, notevolmente pericolosa,
di introdurre dei seghetti di metallo nei carri ferroviari degli ebrei diretti
in Germania per segare le sbarre dei vagoni piombati. Seghetti che venivano
forniti dalla ferramenta dell'antifascista Lino Calliumi. In questo periodo la
corrispondenza con Enrico Serra è caldeggiata da una lettera di Ferruccio Parri
che invia a Carpi lo stesso Serra per cercare di liberare il milanese Leopoldo
Gasparotto dal campo di concentramento di Fossoli. L'azione fu pensata e
progettata ma non attuata; questo esito negativo fu causa di grande dolore per
Darfo Dallay, a maggior ragione poiché Gasparotto venne fucilato poi in via
Grilli.
I
tempi sono sempre più problematici per la presenza di Darfo in Carpi, tanto che
gli amici partigiani “Rino” e Carlo Brani detto "Gitrì" decidono che
è indispensabile per lui un trasferimento in montagna. Ancora una volta Darfo
non accetta. Nel 1945 finalmente Darfo accetta di andare in montagna, mentre
però sta raggiungendo l'appennino con Roberto Casarini (detto Bob) viene
fermato dalle Brigate Nere, forse a Sassuolo. Durante l'identificazione dei
due, scatta la curiosità di un ufficiale, poiché sulla carta d'identità di
Darfo non c'è il suo nome, bensì quello del poeta, politico, massone
risorgimentale Costantino Nigra. La carta è ovviamente artefatta e per giunta
in modo palesemente provocatorio, secondo il modello romantico di Darfo,
antesignano di una tipologia eroica sullo stile di Che Guevara.
Viene
immediatamente arrestato e portato in carcere, successivamente è dato sapere
che fu anche torturato. Infine fu impiccato con altri in un viale di Mirandola,
il 22 febbraio 1945. Un nostro concittadino, militante nelle brigate nere,
presente all'impiccagione riferisce gli ultimi momenti di Darfo. Gli venne
chiesto quale fosse il suo ultimo desiderio
e Darfo, mettendosi da solo il cappio al collo, rispose: "Mi metto la
cravatta e prestatemi un pettine, perché davanti a voi, Brigate Nere, voglio
morire pettinato".
Mirandola – Viale 5 Martiri – il luogo dove fu
ucciso Darfo Dallay
“Costantino Nigra” - Brigate Matteotti -
Il ricordino del caduto
Con
la morte di Darfo perde forza tutto il gruppo e questo nucleo di resistenza,
marcatamente azionista, si dirige verso le varie anime resistenziali
successive. A Darfo Dallay fu conferita poi dall'Università degli Studi di
Modena la laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia per onorare la sua
memoria di caduto per la patria.
Il diploma di laurea honoris causa, che l’Università
di Modena assegnò a Darfo Dallay, studente in medicina, il 26 novembre 1950.
***
A
Carpi, appena finita la guerra, al martire fu dedicato il viale della Stazione,
oggi viale Darfo Dallay.
1950 ca – il viale Darfo Dallay con porta Barriera
1956 ca - Il Viale della Stazione dedicato a Darfo
Dallay;
porta Barriera è stata abbattuta.
Franco Bizzoccoli
Devo
con grande dolore integrare questa ricerca con il ricordo di Franco
Bizzoccoli, l’ultimo sopravvissuto
del Kremlino… quello vero del Castello.
Inserisco
la parte più significativa dello splendido articolo di Florio Magnanini del
1979, che apparve su Tribuna di Carpi nel 1979; segue un mio ricordo, che è
servito da base per tutti gli articoli dei quotidiani locali in occasione della
sua scomparsa e commemorazione.
RITRATTO DI UN EROE
MANCATO.
di Florio Magnanini – La Tribuna di Carpi – 1979
Pochi
carpigiani hanno vissuto come Franco Bizzoccoli. Intendiamoci: pochi che poi
abbiano deciso, nonostante l’invidiabile varietà dei percorsi compiuti, di
restare così pervicacemente carpigiani. A tutti noi sarà occorso in fatti, dopo
le impressioni e le possibilità assaporate nel corso di un lungo viaggio, di
provare almeno per un istante un senso come di mortificazione per un ritorno
che ci ricollocava nel solito scenario della vita cittadina.
A
Franco Bizzoccoli questo non è mai successo. Condannato da un inesorabile dato
anagrafico a vedersi solo sfiorato dall’ultima avventura collettiva vissuta a
Carpi, la Resistenza, Franco Bizzoccoli ne ha però assimilato quel che gli è
subito parso essenziale: il culto dell’eroe sempre ribelle. Non l’eroe
astratto, asettico e un po’ furbesco di un’epica contadina trapiantata negli
anni del regime, dell’occupazione nazista e della ricostruzione. Il culto,
coltivato per questo o quel personaggio della storia cittadina recente, Franco
Bizzoccoli ha finito per applicarlo a se stesso.
Per
questo, si trovasse nel fango delle risaie d’Indocina, sulla tolda di una nave
sferzata dal vento, alle prese con oscure trame cospirative contro dittature
militari o in eleganti salotti romani, il suo pensiero correva incessantemente
al solo luogo, alla sola situazione che a quelle vicende vissute avrebbe potuto
apporre il sigillo dell’avventura e dell’eroismo. Il momento era quello del
ritorno, il luogo la piazza (Bar Milano, ultima estrema sede del Kremlino sfrattato
dal Castello, il tardo pomeriggio della bella stagione), la situazione quella,
inebriante, del racconto. Non sempre, tuttavia, è dato sostenere ai livelli
alti dell’avventura, del rischio e dell’eroismo ribelle una vita che, per
l’avanzare degli anni e il consolidarsi delle pigrizie, va rinchiudendosi nel
cerchio delle abitudini della provincia. Soprattutto quando si è sotto gli
occhi delle stesse persone, giorno dopo giorno, e non è più possibile giovarsi
delle provvidenziali assenze che generano il racconto.
Franco
Bizzoccoli, sublimato nell’avventura uno spirito imprenditoriale che, applicato
al «dralon», lo avrebbe condotto lontano, ha finito da tempo per «acquietarsi»
nel pubblico impiego.
Per
la verità, «acquietarsi» non è espressione da usarsi con Franco Bizzoccoli.
Anche in quella che si ritiene
comunemente
la più incolore delle professioni, lui ha trovato il modo di coltivare la sua
divorante inquietudine, mai rassegnandosi all’ufficio e sempre prediligendo la
divisa, la contravvenzione, l’ ispezione, il comando: in una parola, tutto il
brivido e la vertigine che dal pubblico impiego si possono spremere.
È
stato così che, a poco a poco, Franco Bizzoccoli ha scoperto il grande
surrogato dell’avventura: il Potere. Alle cospirazioni ha sostituito l’attenta
cura l’allevamento e l’attenta osservazione di tutti i ribellismi nostrani, dai
marx-leninisti, ai radicali, ecc…
I
racconti sono diventate sonore interviste, saggi storici di unica fonte, sonore
invettive da orfano di eroi, contro i NON eroi del governo locale…
Ricordo
di Franco
di Mauro D’Orazi – 14 Luglio 2014
Questo fraterno ricordo riguarda Franco Bizzoccoli, Il MARINAIO, Al marinèer, un personaggio carpigiano
reale, ma che sembravava uscito dall’epica e avventurosa fantasia di Hugo Pratt.
A lui, nel maggio del 2014, ho dedicato il mio secondo libro La Ruscaróola èd Chèerp DUE; questo
perché per me Franco rapprensenta il “genius loci” di Carpi.
Passare il suo esame sul dialetto e
le tradizioni della nostra città era FONDAMENTALE e lui non si è mai tirato
indietro, controllando, correggendo e suggerendo. Dovevo superare la sua
sospettosa diffidenza, dovuta ai limiti della mia discendenza carpigiana solo
al 50%. Mi ha raccontato un’infinità di storie dal nonno fabbro e massone (che
gli fece quasi da padre, essendo rimasto orfano presto), che lo educò alla
libertà e al libero pensiero, ai sui tanti viaggi da marinaio in tutto il
mondo; dal palombaro sminatore di porti, alla Legione Straniera; dal canale di
Panama al signor Fish carpigiano in Africa, alla lotta contro la bieca
dittatura greca, alla frequentazione dei migliori registi e attori italiani
degli anni 70- 80, al gioco d’azzardo al fumo di ogni tipo di tabacco, causa
principale della sua scomparsa.
Lo spirito anarchico irriducibile, la
sua strenua opposizione alle ingiustizie, al perbenismo del potere e alle
menzogne istituzionali lo hanno sempre caratterizzato. Era ciò che si dice a
Carpi un arvèers, un rovescio. Socialista, Radicale, capace, come
minacciosamente spesso minacciava, di influenzare il voto e l’opinione èd sesèint culatèin èd Chèerp (di
seisento gay di Carpi).
**
Una vita densa e avventurosa che me
lo ha fatto considerare a buona ragione il nostro “Corto Maltese” carpigiano.
Corto Maltese
Il suo narrarre affabulante ci ha
sempre affascinato con storie di mare, di viaggi in paesi lontani, di incontri
strabilianti, di missioni speciali in Indocina, nei mari del Mediterraneo e in
Africa.
Facendo roteare a mezz’altezza il
suo indice sinistro, ornato con orgoglio dell’anello massonico del nonno (con
la squadra e compasso) raccontava, descriveva, pennellava situazioni e
personaggi, rievocava, illustrava, ecc… con una ricchezza di particolari che
sembrava di essere lì, mentre succedevano le cose, mentra la prua della
petroliera tagliava l’oceano atlantico.
Non c’era posto che il nostro
marinaio non avesse visitato.
Non c’era persona famosa che non
avesse incrociato.
Non c’era cosa o storia che non
sapesse sulla nostra città.
E in effetti di Carpi e dei
carpigiani al saviiva tutt:
vitta, mòort e
miraacol.
Mi ha sempre dato il suo
appassionato contributo sulle vicende carpigiane, descrivendo luci e ombre dei
vari personaggi, anche i particolari che NON si potevano scrivere.
Mi ha regalo, a me più giovane,
nato dopo la guerra, le storie e lo spirito intimo di una “vecchia” città che
ormai non c’è quasi più, ma sulla quale è appoggiata la realtà d’oggi, anche se
in pochi riescono o possono ricordarlo.
A lui è dedicato anche un modo di
dire, quasi una laurea honoris causa
meritata sul campo:
“A l à ditt Bisàochel!”
(Lo ha detto Bizzoccoli!)
Nel senso che, quanto riferito su
una certa faccenda o individuo, era certo la verità e … “e più non dimandare!”, citando Dante.
Anche perché LUI c’era… c’era di
sicuro, o, se non c’era, si trovava comunque molto vicino!
Non era un uomo perfetto, anzi…
aveva mille difetti e diecimila debolezze.
Il caustico Mauro Prandi lo
chiamava Frank Monozoccolo, perché “l’altro”… lo aveva perso a concia.
Ma aveva centomila qualità e un
milione di pregi; cose, queste ultime, che compensavano abbondantemente il
bilancio del suo essere, della positività di uomo di libero persiero e azione
che intende lasciare un mondo almeno un po’ migliore di come lo aveva trovato.
Una moglie, due figlie, una madre
che ha amato tantissimo; un cagnone, la Tata, mastino napoletano, che era una
di famiglia.
**
Ci ha lasciato il 14 luglio 2014,
il giorno della Presa della Bastiglia, un evento storico di riscatto dell’uomo
a cui teneva moltissimo. Liberté, Egalité, Fraternité (Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) era il
trinomio, il motto sacro della Rivoluzione Francese, ma anche il suo.
Nella sua ultima, tragica e
dolorosa notte, la frase che ha ripetuto cento volte con insistenza, come
estremo lascito ai sui familiari, è stata: “Un solo pensiero mi ha guidato:
LA LIBERTÀ!”
Carpi, 14-7-2014
Mauro D’Orazi che si onora di essere stato suo amico.
**
La lapide della Presa di Roma alla
“tirannide papale”
In
questa foto si vedono Bizzoccoli, il vescovo Tinti, il sindaco Campedelli e don
Ivo, il 20 settembre 2010 (140° anniversario della Breccia di Porta Pia), mentre
di fronte alla lapide in Piazza discutono sulla “tirannide papale”, parole
incise sulla lapide stessa. L’incontro di conciliazione fu organizzato
dall’allora Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Taurasi.
Puntualmente ogni XX settembre
(Presa di Roma al Papato), Bizzoccoli faceva mettere una corona sulla lapide in
Piazza, posta sul Torrione degli spagnoli, a nome del “Circolo del Libero
Pensiero Giordano Bruno” di Carpi; un’incombenza, un dovere morale,
un’appuntamento fisso che aveva ereditato dal compianto avv Guido Borelli 30°
g. GOI.
15 luglio 2014 - ore 16,35
Franco Bizzoccoli passa per l'ultima volta nella sua Piazza e davanti alla lapide
del 20 settembre 2014 – Presa di Roma
Foto Federico Massari
**
da VOCE di Carpi
14 luglio 2014 – All'età di 84 anni Franco
Bizzoccoli, Il Marinaio, si è spento nelle prime ore di questa mattina,
all'ospedale Ramazzini dove era stato ricoverato per un aggravamento delle
condizioni di salute. Figura notissima in città, vigile in pensione, Bizzoccoli
aveva alle spalle un'esistenza avventurosa, vissuta come marinaio della marina
mercantile e come combattente nella Legione straniera tra Indocina e Africa,
prima di stabilirsi definitivamente nella propria città d'origine. Spirito
libero e anarchico militante, fra i fondatori del circolo del Libero Pensiero,
aveva stretto numerose amicizie negli ambienti romani del cinema, a partire dal
regista Giuliano Montaldo e dall'attore Gian Maria Volonté, arrivando a
recitare in due film dello stesso Montaldo – "L'Agnese va a morire” del
1976 con Ingrid Thulin e "Il giocattolo”, del 1979, insieme a Nino
Manfredi – e "Maledetti vi amerò” di Marco Tullio Giordana, del 1980. Da
militante, ebbe un ruolo nel sostegno e nella liberazione di Alexis Panagoulis,
l'ufficiale greco imprigionato e torturato dai colonnelli dopo il colpo di
stato del 1966. In
città era divenuto un simbolo della carpigianità, un custode della memoria, uno
degli ultimi testimoni della vita al campo di concentramento di Fossoli dove
aveva lavorato da garzone di muratore, oltre a rappresentare un riferimento
contro ogni forma di sopruso e un pungolo costante per i poteri locali.
**
Messaggio di addio di Giulio Beltrami
all’amico Franco nel corso della cerimonia funebre del 15-07-2015 presso la
chiesa del cimitero (con messa con ben sei sacerdoti e due suore!!!!!)
1990 ca Giulio Beltrami e Franco Bizzoccoli
**
Dopo la toccante testimonianza su Dallay e il ricordo dell’amico
Bizzoccoli, arrivo alla conclusione.
Il capitolo del Kremlino oggi è chiuso!
L’anagrafe, il tempo inesorabile e la ristrutturazione del
Castello porranno fine a queste esperienze di denso spessore culturale,
interessanti e intense, ma che non ebbero la capacità di lasciare degli eredi diretti
riconoscibili o autorevoli.
I superstiti del Kremlino si trasferirono in piazza al bar
Milano. Ma era un’altra cosa…
Oggi, ma ormai da tempo, anche gli stessi bar della Piazza di
Carpi non hanno più alcuna caratterizzazione politica. Il PCI o i suoi
successori vendettero il bar Milano circa vent’anni fa a privati.
Ma dal 2009 non esiste nemmeno più il bar… dei comunisti.
Al suo posto c’è una libreria… bè… insomma… poteva anche andare
peggio con una rivendita di articoli di produzione orientale a basso prezzo!
Col
cuore
Mauro
D’Orazi
Nessun commento:
Posta un commento
grazie