mercoledì 24 agosto 2022

Daje! - modi dire in romanesco e dialetto carpigiano di Mauro D'Orazi

 

Daje!

 È un po’ di tempo che in tv, sui social, nel parlato, ecc … sentiamo l’espressione in romanesco … daje! Essa ha travalicato i confini regionali e si è diffusa in gran parte del territorio nazionale.

Ma che significa daje? Questa esclamazione ha tanti diversi significati, accentuati dal particolare tono della voce:

1) ha un valore esortativo nel sostenere qualcuno a fare, a concludere bene una certa cosa, una impresa almeno abbastanza difficile o complessa.

Un ragazzo sta correndo una maratona, un ciclista è impegnato in una dura salita, uno studente sta studiando per dare un difficile esame.

Con un sentito … daje! si infonde forza e coraggio e si cerca di essere loro vicine

2) Di fronte a ripetuti avvenimenti negativi, a disgrazie e impicci che non danno tregua alla persona colpita, con un sospiro, questo potrà lamentarsi con un rassegnato … dajè!  Proprio nel senso ci farsi forza a sopportare l’ennesima sventura.

Citando un noto film: “Potrebbe andare peggio! Potrebbe piovere!” Nella scena successiva: acqua a catinelle! E a quel punto sarebbe stata perfetta la pronuncia da parte di uno degli attori di un bel … daje!

3) Ed - daje!

Rafforzato dal prefisso ed- questa parola assume un triplice significato.

a. “Evvai”, da accompagnare un ”caxxo” per enfatizzare.

b. “Ti prego!”.

c. “Ho detto di no!”

4) Esortativo per fare fretta

Sbrigati!

“Sono le 8 a quest’ora dovresti già essere a scuola, daje!

5) Affermativo, confermativo di appoggio a una idea

“Ordiniamo la pizza stasera?”. “Daje!

6) Ari - daje!

Per un’azione che si ripete. “Aridaje! quel tipo continua a chiamarti.”

7) Daje! Daje!

Serve per liquidare l’interlocutore molesto o noioso.

8) Di chiusura

Tu e i tuoi colleghi avete finalmente messo la parola fine al progetto su cui lavoravate da tempo. “Daje ragazzi!”

9) Daje de

Qualsiasi cosa manchi al tuo piatto, aggiungilo. La pasta ti sembra insipida? Daje de sale!

10) Mostrare educazione

Quando due mani stanno per agguantare la stessa cosa da mangiare, la cavalleria è d’obbligo. Daje (vai, fra’!).

11) Esprimere contrarietà

Verso qualcuno che si è mostrato maleducato, senza rispetto per la compagnia … ed-daje però!

***

Ma che c’entra tutto ciò col dialetto carpigiano? C’entra, c’entra, perché anche da noi esistono modi di dire con identici significati, ma con la significativa differenza che le esclamazioni sono molteplici e non solo una; il dialetto carpigiano è molto ricco e i modi di dire si differenziano quasi sempre con i vari e diversi significati. Ecco per numero le varie corrispondenze.

1)     Quando c’è da esortare, si pronuncerà un bel … dàai mò!

2)     Ma di fronte all’ennesimo impedimento o altro fatto negativo da sopportare, ci si potrà lamentare sbuffando con un sobrio, ma interiormente intenso … dàai puur!

3)     Su! Suuu!

4)     Sul fare fretta nei confronti di persone lente, il dialetto carpigiano è molto molto ricco. Eccone alcune:

Dàai ch a s viin siira adòos!

A che óora a t ciàam ia?

Mò ii t ancòrra lè?

’Csa fèmm ia ’na brisscola?

Fòmm ia un ròogit?

Des-ciùll èt! A n stèer mìa lè a sinquantèer! Una frase di primo acchito assai misteriosa e che solo chi è dentro al dialetto può bene capire e interpretare. Ecco la traduzione: Svegliati! Non stare lì a gingillarti e a perdere tempo! Non indugiare vieppiù!

Ancora: des-ciùurl èt, dèṡṡd èt, scaant èt, descàant èt, s-ciòold èt, des-ciòold èt, deṡgumbìi èt, deṡmèerd èt, despèggn èt, deṡgàagn èt, deṡbròoi èt, despultìi èt, destàach èt da la rumèela, ṡgaag’ èt, móov èt, invii èt, tóo 'na deciṡiòun, viin ṡò dal piir! Ancora: ṡmiinc’ èt (dal ferrarese sminziàr = iniziare), ṡbimmbl èt, ṡmóomi èt, ṡbròoi èt, dessàapl èt, viin a unna, viin a còo, andòmm ia o stòmm ia, gramlòmm ia o fòmm ia paan? Andiamo o stiamo? Facciamo il pane o stiamo lì a perder tempo a impastare lentamente con la gramola?

Viin èt, o gniiv èt? Stèet, o stèevet? Vieni o venivi? Stai, o stavi? Alóora! ... Vèet o n' vèet? Allora! ... Vai o vieni?

5)     Partèmm ia? Dàai mò!

6)     Bè mò … ancòrra!

7)     Dàai mò ch andòmm! Ch l’è óora (tè tèeṡ)!

8)     Òooh là, aanch quèssta l’è faata!

9)     Daagh mò! Ṡuntèegh! …

10)   Tóola tè!

11)   Óoh umòun! Laasa lè! A n s fa mìa acsè!

domenica 6 ottobre 2019

La balèina da s-cioop Le palline di piombo da fucile - dialetto di Carpi -carpigiano - di Mauro D'Orazi


2019                                  
2019                                    V07 del 07-10-2019
La balèina da s-ciòop
di Mauro D’Orazi
La balèina da s-ciòop la troviamo nelle cartucce da cacciatore; quando la cartuccia esplode i pallini si aprono a rosa per colpire più facilmente e con più provabilità il bersaglio.
Ma l’altro giorno mi è capitato di dover pulire un‘ampolla di vetro trasparente per olio da tavola. Ho provato con vari metodi, senza risultati soddisfacenti.
Poi improvvisamente un salto in un lontano passato e mi sono ricordato di mia zia Valentina, che viveva con noi; quando doveva pulire una bottiglia di vetro che aveva contenuto l’olio, cercava, nel ripiano più basso dei poveri mobili di cucina, accanto al pgnatèin d òoli già druvèe, sciaguratamente tenuto per essere ri-fritto per l’ennesima volta, uno scatolotto di metallo pieno di palline di piombo.

Era la balèina da s-ciòop! Essa veniva introdotta con un imbuto nella bottiglia; il rumore metallico ovattato del piombo faceva suonare il vetro in un modo molto caratteristico; veniva poi aggiunto un po’ di sapone reso liquido.
Mia zia squassava con energia la bottiglia, che via via riacquistava lucentezza interna. Compiuta l’opera di detergenza, le palline venivano rovesciate in un colino, sciacquate sotto l’acqua e riposte nello scatolotto.
La bottiglia, come nuova, veniva risciacquata più volte e riposta a cuul a su ad asciugarsi.
Bel ricordo! Ma sono passati da più di 60 anni! Aiutooo!

In dialetto si gioca poi spesso con le parole, con le uguaglianze e le assonanze. Anche con la balèina escono delle cose divertenti.
Infatti la balèina significa sia l’assieme dei pallini da caccia, ma anche il grande cetaceo dei mari, se appena appena silenziamo per scherzo una “i”.
L è antiigh cóome la balèina da s-ciòop, è antiquato come le palline da schioppo.
Al gh la cavarà, mò al gh à da spudèer la balèina!  Riuscirà a saltar fuori da una certa situazione difficile, ma dovrà sputare i pallini di piombo da cui è stato colpito e ferito.

Sparèer a balèina fiina, sparare a piombini piccoli in modo che sia più facile colpire il bersaglio, essendo maggiori le sfere che si proiettavano dopo lo scoppio della cartuccia. La rosa dei pallini fini è molto ampia va bene per stornelle e passerine. Attenzione però! Il colpo che eventualmente andrà a segno sarà ovviamente mono micidiale. La curiosa frase era usata da alcuni ragazzi che andando a ballare, guardavano al sodo e tentavano con tutte… belle e brutte.

Un balèin è sia la singola sferetta di piombo, ma anche il pallino nel gioco delle bocce o anche del biliardo. Il detto o bòocia o balèin (let. o palla o pallino) serve per dire "o la va o la spacca", tentare ad ogni modo.
Le frasi tgniir in maan al balèin o tgniir balèin significano regolare e controllare il gioco, la partita… cioè monopolizzare l’attenzione in importanti episodi della propria vita, oppure, per le persone tenacemente logorroiche, non concedere mai la parola agli altri; in quest’ultimo caso: l iiva tòolt in maan al balèin e a nn l mulèeva più!  Prese in mano il pallino e non lo mollava più
Andèer a balèin, avvicinarsi al pallino con le altre bocce per fare punto o anche andare direttamente allo scopo, al cuore del problema. Tutt i gh àan i sóo balèin, ognuno ha le proprie fissazioni.

Ma al balèin è poi anche uno stato di alterazione etilica, evidente, ma non eccessiva.
Deriva simpaticamente dal diminutivo di baala, ubriacatura.
L à ciapèe un bèel balèin! Ha preso una bella balla.
Ancora più irresistibile è la frase che, con ironica simpatia, definisce una fase successiva a una forte bevuta di alcool; in questo caso si mischiano i significati: L à ciapèe un balèin sòtta l’èela! Ha preso un pallino, “un ballino” sotto un’ala!

Continuando, la baala è una palla, ma anche una quantità di materiale avvolto insieme, ‘na baala de straas, èd fèin, èd pàaia, èd laana… una balla di stracci, di fieni, di paglia o di lana.

‘Na baala è poi anche una bugia, una grossa fandonia e balissta è chi ne racconta notoriamente. S l è véera l'è 'na graan baala… sarà ma non ci credo.
Il grande Pierangelo Bertoli cantava: “♫ ♪ ♫ I m aan ditt ch l è ‘na baala, chi m aan cuntèe ‘na baala, mò mè la mè baala a la ciàap cun al vèin! ♫ ♪ ♫

Andèer a baala… andare molto forte in auto o il moto, con la velocità di una palla di fucile.

Dèer la baala a un quelchiduun, frastornare, lasciare a bocca aperta o, nel calcio, dribblare più volte l'avversario.

Al baali sono i gioielli maschili. Fèer girèer al baali, ròumper al baali, rompere i coglioni. Tuchèeres al baali, toccarsi i testicoli per uno scongiuro. Tóores dal baali, togliersi di torno. Gratèeres al baal, non avere niente da fare. Ṡbaatres al baal, infischiarsene.

Un balòun è un pallone da calcio, mentre un balòun infièe è una persona boriosa, sussiegosa, piena di sé.

Circa poi al nòoster graana… ‘na fóorma imbalunèeda indica un parmigiano difettoso, che si è gonfiato nella stagionatura.

lunedì 22 luglio 2019

i Bif - I Cof - I ghiaccioli - dialetto carpigiano - di Mauro D'Orazi - Carpi - Modena


Stesura iniziale giugno 2011                                   Versione V 08 del 23-07-2019       
I BIF
I ghiaccioli

di Mauro D’Orazi

Presso il Parco delle Rimembranze, posto davanti all’Ospedale Civile di Carpi c’era negli anni ‘60 la barachiina - chiosco di tale Aves, detto Ṡbargìnna. Essa era posta all’ingresso del Parco, entrando da est verso ovest. Lì si andavano a prendere i ghiaccioli Indianino della Ditta BIF di Cavriago (RE).

Ghiaccioli dell’Indianino
Il prodotto, nato nel 1960, prese in tutta l’Emilia il nome dei produttori. Con i bastoncini ciucciati dei bif si costruivano delle zattere, che si cercava di far navigare nella vasca a esse del Parco. Se uno era fortunato sullo stecchino di legno trovava la scritta “BIS” (raddoppio); ciò faceva vincere un altro ghiacciolo gratis. Tale colpo di fortuna era molto ambito in mezzo alla compagnia.
I gusti, coloratissimi grazie a speciali sostanze chimiche contenute negli sciroppi di base, erano più o meno i seguenti: Limone (bianco), Menta (verde), Cedro (giallo), Amarena (viola), Arancia (arancio), Tamarindo (marrone scuro), Lampone (rosso), Coca (marrone medio) e Anice (azzurrino - grigio). 
Il termine bif è tuttora comunemente usato ed è l’acronimo dei 3 soci che lo producevano nelle nostre zone: ”Braglia - Iori - Fornaciari”.
A Bologna per analoghi motivi il ghiacciolo si chiama anche COF dal nome della ditta "Cavazzoni Orlando e Fratelli" che aveva sede in quella città.

Ecco una nota ufficiale sui BIF:
Il BIF


L’invenzione del ghiacciolo risale ai primi anni del XX secolo, precisamente nel 1905, e si deve a una scoperta casuale da parte di Frank Epperson (un bambino undicenne californiano), che in una notte gelata aveva lasciato sul davanzale della finestra un bicchiere di acqua e soda con dentro il bastoncino che aveva usato per mescolarle. Il giorno dopo, Frank riuscì a liberare il blocco di ghiaccio formatosi facendo scorrere acqua calda sul bicchiere, e prese a mangiare il primo “ghiacciolo” usando il bastoncino come manico.
In Italia, i ghiaccioli sono giunti nel secondo dopoguerra, portati dagli americani insieme ad altri dolci di produzione industriale analoghi come i coni gelato
Già negli anni ’20 nel centro storico di Reggio Emilia c’era una ditta, dei fratelli Olivi, che gestiva una latteria che produceva latte di alta qualità, destinato al Parmigiano-Reggiano. Nel dopoguerra la latteria si è poi trasformata in gelateria e ha preso il nome di “Bottega della panna”. Il latte veniva mescolato al ghiaccio tritato, alle uova e al burro per creare il gelato classico fatto a mano.
Negli anni successivi poi, Gogliardo Olivi e suo fratello Enzo, hanno recepito le nuove tecnologie di produzione di gelato su stecco e di semilavorati del latte (tra cui la panna montata) provenienti dagli Stati Uniti e hanno così gettato le basi per la futura produzione del gelato industriale.

Nel 1960, grazie all’iniziativa dei fratelli Olivi affiancati da altri soci, è nata la società BIF per la produzione di ghiaccioli e nel 1962 è stata istituita la prima azienda “Gelati Indian” dalla cui denominazione deriva dal marchio Indianino. Il ghiacciolo Indianino ha accompagnato tante generazioni di bambini nei caldi pomeriggi estivi.
L’idea di accostarlo propriamente al mondo ludico e frizzante dell’infanzia è nata per opera di Gogliardo Olivi, che ha deciso di riprodurre sulla confezione dei ghiaccioli l’immagine dei nipotini travestiti da indiani e ha così sostituito il logo storico dell’Indian.

Infine i ghiaccioli, in quasi tutte le provincie dell’Emilia, della Romagna e nord Marche, sono chiamati BIF dall’acronimo dalle iniziali dei cognomi dei tre soci proprietari della ditta. Inoltre, BIF era anche la sigla del procedimento di produzione di quei ghiaccioli (Banded Iron Formation) che consisteva nel soffiare acqua e sciroppo su uno stecco di legno in ambiente a -20 gradi, procedimento poi universalmente usato. 


domenica 30 dicembre 2018

Ragasol - Bambino - in dialetto carpigiano - Mauro D'Orazi Carpi - Modena


Prima stesura 07-12-2018                                            v08 del 09-12-2018

Attorno alla parola “Ragasóol” in dialetto carpigiano

di Mauro D’Orazi
Mi è capitato spesso nei miei scritti e nelle mie ricerche di usare spesso la parola ragasóol (plurale ragasóo).
In dialetto carpigiano (ma non solo) significa, più che ragazzo, un bambino in età preadolescenziale. Si trova naturalmente anche al femminile… ragasóola (plurale ragasóoli).
La traduzione letterale in italiano sarebbe “ragazzuolo” (o “ragazzino”) un diminutivo con sfumature vezzeggiative. Al contrario in dialetto bisogna invece notare che ragasóol non è più un diminutivo, ma nome vero e proprio nella sua completezza e autonomia.
In dialetto si usa anche putèin (invariato al plurale), letteralmente “puttino”, che individua neonati e bambini molto piccoli. L’uso di questa parola può creare imbarazzo o ilarità nella sua comprensione in persone di lontane regioni italiane.
Quando al ragasóol o la ragasóola sono in crescita e già si intravedono le caratteristiche dell’adulto, il dialetto usa le graziose espressioni… L è già ’n umètt! L’ è già ‘na dunlèina!
Raggiunta e superata l’adolescenza verranno usati i termini di ṡuvnòot (ṡuvnòota) e ragàas (ragaasa).
La dolente esclamazione che si sente usare in famiglia con un sospiro: “Ooh! I mè ragàas!” Sta a significare che qualcuno, i figli in particolare, hanno espresso esigenze e pretese non possono essere realizzate, quasi sempre per motivi economici o di tempo.
Molto affettuoso e poi l’uso di ragasóo o di ragàas che si usa per gli amici di sempre, quando ci si incontra per qualche occasione: “Cum a stèe ragàas?  Come state cari amici? Oppure come dice qualche signora ottantenne: “Incó a i ò tòolt un cafè a la Tassa d’Oro cun al mè ragasóola!”  Oggi ho preso un caffè alla Tazza d’Oro (noto bar del centro di Carpi) con le mie amiche coetanee!
C’è poi al ragasóol èd butèega, ragazzo di bottega, cioè il garzone. Parola quest’ultima che se confrontata col francese “garçon”, cioè “ragazzo” ci riporta al tema di partenza.

Ecco alcuni modi di dire e frasi di uso comune:
I ragasóo i crèssen a la véelta a ca d chi èeter! I bambini crescono in fretta quando non li si ha sott’occhio (in casa degli altri).
I ragasóoi diien quèll ch i saan e i maagnen quèll ch i gh àan. I bambini sono semplici e genuini, dicono quello che sanno e mangiano quello che hanno.
A parìi di ragasóo dl aṡiilo! Sembrate dei bambini dell’asilo! Di fronte a polemiche futili.
Quàand al ragasóol al se stuffa d sighèer, al dòorem. Quando il bambino si stanca di piangere., dorme.
I ragasóo i s divertissen a fèer di bèech. I bambini si divertono a fare i becchi e le smorfie con la bocca.
Cla ragasóola lè l èd ’na bravitù, ch a n te diggh. Quella bambina è di una bravura, che io non ti dico.
I iin i ragasóo chi spòorchen la ca! Sono i bambini che sporcano la casa, cioè non riescono a mantenere segreti di famiglia. casa).
Ragasóo, a n fèe di mìa arlièer la nòona! Bambini non fate arrabbiare la nonna!
Al n l’à mìa spuèeda, mò al s è ciamèe al ragasóol. Non l’ha sposata, ma ha riconosciuto il figlio e gli ha dato il proprio cognome
L è un ughlèin da ragasóo! É un lavoro, una cosa… semplice.
Ch a crèppa l'avarissia! A magnòmm ’n óov in trii, la balòota al ragasóol e al cèer al dòmm al caan: che crepi l'avarizia! Mangiamo un uovo in tre, diamo il tuorlo al bambino e l'albume al cane.
Tóor un ragasóol in spaala o in grèmmbia. Prendere un bimbo in braccio o in grembo.
Mèttr in stecca un ragasóol. Antica pratica superata di immobilizzare con stecche ortopediche le gambe di un bimbo piccolo per cercare di contenere durante la crescita problemi alle articolazioni.
La moglie al marito: “Tóo tèegh al ragasóol e va indu t vóo!” Prendi con te il bambino e vai dove vuoi!
Mò Dio! Che bèel ragasóol! Ma che bel bambino! Quando lo si incontra con la madre.
L è un ragasóol staagn. É un bambino ben cresciuto con muscolatura soda e robusta.
L è un teòor èd ragasóol! È un tesoro di bambino!
L è un ragasóol viiv!  È un bambino sano e vivace!
Mò ch demòoni d ragasóol! Ma che ragazzino vivace e birichino!
L è uun ragasóol chersùu in fuuga. É un bambino cresciuto in fretta, alto, ma gracile.
I ragasóo d ’na vòolta i éeren più ṡgalvìi d quìi d incóo. I ragazzi di una volta erano più svelti di quelli di oggi.

Ultime note:
aggiungo che tutte le parole sopra ricordate hanno anche in dialetto un gran numero di diminutivi, accrescitivi e derivazioni; ecco alcuni esempi:ragasèin, ragasulèin, ragasèel, ragasètt, ragasulèet, ragasòot, ragas(t)òun, ragastàas;
ci sono poi dei sinonimi di ragasóol, che possono essere bagaiètt, monghèer, monèelo, ecc…