venerdì 26 settembre 2014

i buoni maestri Ivo Lodi e Ottorino Savani - Carpi Mauro D'Orazi- dialetto carpigiano





Prima stesura 10-09-2014                                                    V12 del 03-10-2014
                                                                                   
I buoni maestri: Ivo Lodi e gli altri.
 di Mauro D’Orazi

Nella vita bisogna anche essere fortunati! Io questa fortuna l’ho avuta in modo splendido nel mio percorso scolastico, godendo dell’insegnamento di maestri e professori di grande valenza culturale e umana. Non potevo sperare e chiedere di più.
Sono cose che fai fatica a capire da giovane, preso da tante pulsioni, passioni e voglia di vita da costruire, ma che ti ritrovi come patrimonio inestimabile negli anni successivi. Una ricchezza che ti consente di affrontare al meglio la tua esistenza, usufruendo di un potenziale di conoscenze davvero di gran pregio.
I “buoni maestri”, dunque! Persone generose nell’insegnamento che hanno vissuto la loro missione con vocazione e impegno, donando agli studenti il meglio di loro stessi.
Ho avuto la fortuna di avere questa serie virtuosa di persone che mi hanno fatto crescere, realizzando questi versi di Dante, che da sempre mi hanno affascinato e attratto:

“Considerate la vostra semenza,
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”

Ecco il mio pregevole elenco personale: alle elementari i maestri Anna Maria Leporati e Ivo Lodi (e la direttrice Saffo Bocchi), alle medie i professori Giacomo Beltrami e Ione Pasquini (e la preside Wanda Bonizzi); infine al liceo i professori Bertina Benetti, Lando Degoli (sì! proprio quello del Lascia o raddoppia, un mezzo genio matematico e musicale, ma gretto umanamente), il grandissimo e amatissimo Ottorino Savani, il professore più amato di Carpi.
Da ciascuno di essi ho appreso cose bellissime e utili; la mia gratitudine nei loro confronti è sempre presente nei miei pensieri.
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Mi soffermerò in questa sede sul maestro Lodi; nacque a Carpi nel 1918 e ci ha lasciato nel 2007.
Il settimanale Voce di Carpi nel commemorarlo così ha scritto: Il 30 luglio se n'è andato Ivo Lodi. Aveva 89 anni ed era uno degli ultimi superstiti della gloriosa generazione di maestri elementari che ha retto i destini dell'istruzione pubblica a Carpi fra gli anni Cinquanta e Ottanta, quando la scuola elementare traeva giovamento anche da qualche apporto maschile. Prigioniero degli inglesi, durante l'ultimo conflitto; fu catturato a El Alamein nel 1942 e rimase prigioniero in Egitto; tornò in Italia solo nel 1946.
Univa la compostezza del docente rigoroso, severo e preparato all'ironia sagace e pungente del carpigiano Doc, attento e disincantato osservatore dei costumi e dei tic cittadini. Quando se ne vanno persone così, si perde tutti qualche cosa.”
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Col maestro Lodi c’era anche un’amicizia di famiglia di antica data; sua madre Carolina era grande amica di mia zia Valentina, quest’ultima la cara parente che mi aveva “tirato su” da bimbo, perché i miei genitori lavoravano entrambi.
Lodi viveva a Carpi in Via Andrea Costa 33; dopo la morte della madre, stava con due sorelle che gestivano un rinomato laboratorio di sartoria per signora nel loro appartamento al secondo piano; tutti e tre putti; per motivi vari, forse per amori finiti amaramente, forse per vocazione, avevano scelto di non sposarsi e di non avere figli.
Ivo era molto amante dei viaggi, della buona letteratura e della musica classica; condivideva queste passioni con il prof Ottorino Savani, il maestro Enzo Righi, l’ing Giuseppe Caffarra e il maestro di musica Silvestri. Commovente il suo impegno umano diretto nel seguire quotidianamente, fino all’epilogo, la terribile malattia distruttiva del suo grande amico Ottorino, anche lui non sposato e bisognoso di assistenza.
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Ivo Lodi fu il mio maestro alle Manfredo Fanti dalla seconda alle quinta elementare; MAI le chiamerò primarie! Sciagurato battezzo di mode pedagogico-nevrotiche che non comprendo.
Il primissimo approccio non fu dei migliori: nella verifica della nostre conoscenze, il primo giorno di scuola, scrissi l’8 con due cerchietti sovrapposti e non incrociando le linee; lui se ne accorse subito e mi riprese con decisione; io ci rimasi molto male, anche perché quel pomeriggio dovetti correttamente scrivere ben due pagine di quaderno con quella cifra.
Ma fu solo un momento passeggero e i rapporti con lui e il suo modo di insegnare furono davvero ottimi: io ero fra i tre migliori della classe con Lauro Zuffolini e Righi Giorgio. I componenti nostro terzetto erano sempre in competizione per arrivare al primo posto e superare gli altri due.
Il quarta ci fu un’elezione democratica a schede segrete per nominare il capoclasse; vinsi battendo i due avversari e mi insediai con una certa soddisfazione nell’ambita carica.

Le votazioni venivano espresse in “Bene”, “Benino”, “Sufficiente”, ecc… talora accompagnati da un più o un meno. Gli errori erano segnati con la matita rossa, quelli molto gravi con la matita blu.

I ricordi di quegli anni è vivo e tante immagini vi vengono alla mente.
Era bravo a insegnare, con una voce calda e chiara; durante le lezioni interpretava se stesso con misurata, ma concreta spinta. Si percepiva che aveva voglia di trasmetterci il suo sapere. Indimenticabile, mezz’ora prima della campanella, la lettura di un capitolo del libro Cuore di De Amicis. Io mi tuffavo dentro a questo mondo di tardo ‘800 o mi arrampicavo sull’albero della piccola vendetta lombarda.
E poi… quanto abbiamo disprezzato Franti per la sua crudeltà e amato Garrone per la sua generosità. Tutte cose oggi inammissibili in una scuola ipocrita del politicamente corretto a ogni costo.

Ci furono anche momenti tragici.
Quando mori Valentino (un bambino della nostra età, ma di un’altra classe, operato al cuore a Torino con esito infausto) andammo tutti al funerale, un pomeriggio in Viale De Amicis, guidati dal maestro che ci aveva spiegato il triste evento. Fu allora che ebbi il mio iniziale vero incontro con la morte, passando davanti alla bara aperta dello sfortunato coetaneo. C’è l’ho ancora davanti agli occhi. Avevo visto Mamma Nina, nel ’57 a quattro anni, ma non avevo capito bene.

Poi nell’ottobre del 1963, quando dagli altoparlanti presenti in ogni aula, di forma quadrata e di color marroncino installati durante il fascismo per diffondere concioni maschi e patriottici, si sentì la voce penetrante e nasale della direttrice Saffo che invitava i maestri a commentare la terribile strage della diga del Vajont. Per la prima volta vidi i giornali in classe, portati dal nostro maestro; pubblicavano in prima pagina le foto della devastazione. Ci fu chiesto di scrivere un tema su questi fatti e qualche mio compagno, in eccesso di commozione, scrisse pure digha con l’acca…

Quanto il maestro ci faceva fare i dettati, calcava oltremodo sulle doppie per farci capire meglio… “mammmmma”; successe che una mattina ci fosse da scrivere la difficile parola “soprattutto”; il maestro si sforzava oltremodo…  soprattttttttuttttttto. Io, saputello, all’ennesima declamazione, dissi forte: “Sì! Maestro… quattro T!”
Il risultato fu che qualcuno scrisse “soprattttutttto” e mi presi una sgridata per non essere stato zitto e aver condotti i compagni all’errore.

Rammento poi una bellissima dimostrazione del maestro sulla corrispondenza delle misure fra solidi e liquidi; sembrava impossibile che un decimetro cubo in ottone potesse contenere un chilo di acqua… eppure il peso che segnava la bilancia lo confermava. Lo avrei ricordato per tutta la vita.

L’esame di seconda, allora si faceva anche questo, lo superai alla grande, consegnando le quattro operazioni; primissimo con grande distacco da tutti e correttissimo nelle soluzioni.
Anche l’esame di quinta andò molto bene: solo 9 e 10. I risultati sarebbero però stati affissi solo i primi di luglio e io sarei stato al mare. Con mia madre andammo a trovare il maestro a casa sua per il commiato finale e per ringraziarlo complessivamente del suo lavoro dei quattro anni passati.
Messo a conoscenza della mia imminente assenza da Carpi, il maestro in un bigliettino scrisse i voti che avevo preso, li chiuse in una bustina e mi fece promettere che l’avrei aperta solo il giorno delle pagelle. Un impegno sofferto che però rispettai puntualmente, aprendo con ansia la bustina, assieme ai miei genitori, quanto era al mare. Ma ormai le scuole medie Alberto Pio mi aspettavano.
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Il maestro era solito seguire le carriere scolastiche e di lavoro dei suoi ex studenti; io di tanto in tanto lo andavo a trovare o ci fermavamo a parlare per strada.
Gli raccontavo le ultime novità e lui mi chiedeva di questo o di quello che erano nella mia classe.
Verso il 2000 la sua salute e quella della sorelle cominciò peggiorare; ogni volta che lo vedevo diventava sempre più piccolo, più gracile; il suo guardo tradiva una profonda tristezza. Lo vidi l’ultima volta davanti a Villa Richeldi con la sportina della spesa; era molto triste e sofferente. Aveva in tasca una busta con delle foto: erano quelle (poche) della nostra classe. “Le sto dividendo per darle ai miei ragazzi. Saranno spero un bel ricordo. Io ormai… “ E me le porse sorridendo con dolcezza e malinconia.
Non lo avrei più incontrato.
Grazie Maestro, per tutto quello che hai fatto per noi.
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Anna Maria Ori (Carpi) commenta: "Molto bello e molto giusto il tuo scritto sul maestro. Ho anch’io un bellissimo ricordo di lui, che conobbi quando ero in quinta elementare, perché teneva dei corsi di matematica insieme al maestro De Pietri (italiano) di preparazione all’esame di ammissione alla scuola media. Doveva essere il 1953. Inoltre le sue sorelle erano amiche di mia zia, quindi siamo sempre stati in contatto, lontano certo, ma importante.
Più tardi, quando ho cominciato a dedicarmi alla storia, ci siamo riavvicinati, e l’ho ammirato ancora di più, perché ho capito meglio quello che già mi aveva colpito da bambina: la sua cultura, il suo equilibrio, i multiformi interessi, venati da una tristezza (malinconia? – inadeguatezza? – forse la parola giusta è l’intraducibile Sehnsucht) che lui cercava di nascondere, ma che ormai era parte di lui. Una bella persona, da mettere tra quelle che non dimenticherò mai."
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Graziano Malagoli (Carpi) ricorda: "Il maestro Lodi, collega e grande amico di mio padre, è stato direi quasi parte della mia famiglia. Spesso veniva a trovarci o era nostro gradito ospite. Chiedeva sempre di noi tre ragazzi, di come andavamo a scuola (mio fratello Gianni è stato suo scolaro) e, in seguito, del lavoro che svolgevamo. Durante le sue visite raccontava dei suoi viaggi e ci mostrava le foto che immancabilmente scattava. Ci è stato sempre particolarmente vicino, al punto da sentirlo quasi come uno zio.
Sino ai primi anni ’50 per potere essere iscritti alla scuola media (c'era solo l'Alberto Pio) bisognava superare il fatidico “esame di ammissione”. A Carpi si erano formate coppie di maestri (uno per la parte letteraria e l’altro per la parte matematica) che davano ripetizioni finalizzate per agevolare gli scolari al superamento dell’esame e Lodi faceva coppia col maestro Mario Depietri, grande latinista; altre coppie erano Vascotto - Reggiani e Camurri - Righi). Manco a dirlo, quella di Lodi, era la coppia più ricercata dalle famiglie e i posti disponibili venivano presto esauriti.
Nel 2002 il Rotary di Carpi lo ha insignito di un riconoscimento che annualmente, da oltre trenta anni, viene consegnato ad un carpigiano particolarmente distintosi per la attività professionale svolta.
Del gruppo di maestri di cui Lodi faceva parte (oggi settembre 2014) uno solo è ancora vivo e vegeto: Enzo Righi, novantaduenne!

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