I buoni
maestri: Ivo Lodi e gli altri.
di Mauro D’Orazi
Nella vita bisogna anche essere fortunati! Io questa
fortuna l’ho avuta in modo splendido nel mio percorso scolastico, godendo
dell’insegnamento di maestri e professori di grande valenza culturale e umana.
Non potevo sperare e chiedere di più.
Sono cose che fai fatica a capire da giovane, preso da
tante pulsioni, passioni e voglia di vita da costruire, ma che ti ritrovi come
patrimonio inestimabile negli anni successivi. Una ricchezza che ti consente di
affrontare al meglio la tua esistenza, usufruendo di un potenziale di
conoscenze davvero di gran pregio.
I “buoni maestri”, dunque! Persone generose nell’insegnamento
che hanno vissuto la loro missione con vocazione e impegno, donando agli
studenti il meglio di loro stessi.
Ho avuto la fortuna di avere questa serie virtuosa di
persone che mi hanno fatto crescere, realizzando questi versi di Dante, che da
sempre mi hanno affascinato e attratto:
“Considerate la vostra semenza,
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”
Ecco il mio pregevole elenco
personale: alle elementari i maestri Anna Maria Leporati e Ivo Lodi (e la
direttrice Saffo Bocchi), alle medie i professori Giacomo Beltrami e Ione
Pasquini (e la preside Wanda Bonizzi); infine al liceo i professori Bertina
Benetti, Lando Degoli (sì! proprio quello del Lascia o raddoppia, un mezzo
genio matematico e musicale, ma gretto umanamente), il grandissimo e amatissimo
Ottorino Savani, il professore più amato di Carpi.
Da ciascuno di essi ho appreso
cose bellissime e utili; la mia gratitudine nei loro confronti è sempre
presente nei miei pensieri.
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Mi soffermerò in questa sede sul
maestro Lodi; nacque a Carpi nel 1918 e ci ha lasciato nel 2007.
Il settimanale Voce di Carpi
nel commemorarlo così ha scritto: ”Il 30 luglio se n'è andato Ivo Lodi. Aveva 89 anni ed era
uno degli ultimi superstiti della gloriosa generazione di maestri elementari
che ha retto i destini dell'istruzione pubblica a Carpi fra gli anni Cinquanta
e Ottanta, quando la scuola elementare traeva giovamento anche da qualche
apporto maschile. Prigioniero degli inglesi, durante l'ultimo conflitto; fu
catturato a El Alamein nel 1942 e rimase prigioniero in Egitto; tornò in Italia
solo nel 1946.
Univa la
compostezza del docente rigoroso, severo e preparato all'ironia sagace e
pungente del carpigiano Doc, attento e disincantato osservatore dei costumi e
dei tic cittadini. Quando se ne vanno persone così, si perde tutti qualche
cosa.”
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Lodi viveva a Carpi in Via Andrea Costa 33;
dopo la morte della madre, stava con due sorelle che gestivano un rinomato
laboratorio di sartoria per signora nel loro appartamento al secondo piano;
tutti e tre putti; per motivi vari,
forse per amori finiti amaramente, forse per vocazione, avevano scelto di non
sposarsi e di non avere figli.
Ivo era molto amante dei viaggi, della buona
letteratura e della musica classica; condivideva queste passioni con il prof
Ottorino Savani, il maestro Enzo Righi, l’ing Giuseppe Caffarra e il maestro di
musica Silvestri. Commovente il suo impegno umano diretto nel seguire
quotidianamente, fino all’epilogo, la terribile malattia distruttiva del suo
grande amico Ottorino, anche lui non sposato e bisognoso di assistenza.
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Ivo Lodi fu il mio maestro alle Manfredo Fanti
dalla seconda alle quinta elementare; MAI le chiamerò primarie! Sciagurato
battezzo di mode pedagogico-nevrotiche che non comprendo.
Il primissimo approccio non fu dei migliori: nella
verifica della nostre conoscenze, il primo giorno di scuola, scrissi l’8 con
due cerchietti sovrapposti e non incrociando le linee; lui se ne accorse subito
e mi riprese con decisione; io ci rimasi molto male, anche perché quel
pomeriggio dovetti correttamente scrivere ben due pagine di quaderno con quella
cifra.
Ma fu solo un momento passeggero e i rapporti
con lui e il suo modo di insegnare furono davvero ottimi: io ero fra i tre
migliori della classe con Lauro Zuffolini e Righi Giorgio. I componenti nostro
terzetto erano sempre in competizione per arrivare al primo posto e superare
gli altri due.
Il quarta ci fu un’elezione democratica a
schede segrete per nominare il capoclasse; vinsi battendo i due avversari e mi
insediai con una certa soddisfazione nell’ambita carica.
Le votazioni venivano espresse in “Bene”,
“Benino”, “Sufficiente”, ecc… talora accompagnati da un più o un meno. Gli
errori erano segnati con la matita rossa, quelli molto gravi con la matita blu.
I ricordi di quegli anni è vivo e tante
immagini vi vengono alla mente.
Era bravo a insegnare, con una voce calda e
chiara; durante le lezioni interpretava se stesso con misurata, ma concreta
spinta. Si percepiva che aveva voglia di trasmetterci il suo sapere. Indimenticabile,
mezz’ora prima della campanella, la lettura di un capitolo del libro Cuore di
De Amicis. Io mi tuffavo dentro a questo mondo di tardo ‘800 o mi arrampicavo
sull’albero della piccola vendetta lombarda.
E poi… quanto abbiamo disprezzato Franti per la
sua crudeltà e amato Garrone per la sua generosità. Tutte cose oggi
inammissibili in una scuola ipocrita del politicamente corretto a ogni costo.
Ci furono anche momenti tragici.
Quando mori Valentino (un bambino della nostra
età, ma di un’altra classe, operato al cuore a Torino con esito infausto)
andammo tutti al funerale, un pomeriggio in Viale De Amicis, guidati dal maestro
che ci aveva spiegato il triste evento. Fu allora che ebbi il mio iniziale vero
incontro con la morte, passando davanti alla bara aperta dello sfortunato
coetaneo. C’è l’ho ancora davanti agli occhi. Avevo visto Mamma Nina, nel ’57 a
quattro anni, ma non avevo capito bene.
Poi nell’ottobre del 1963, quando dagli
altoparlanti presenti in ogni aula, di forma quadrata e di color marroncino
installati durante il fascismo per diffondere concioni maschi e patriottici, si
sentì la voce penetrante e nasale della direttrice Saffo che invitava i maestri
a commentare la terribile strage della diga del Vajont. Per la prima volta vidi
i giornali in classe, portati dal nostro maestro; pubblicavano in prima pagina
le foto della devastazione. Ci fu chiesto di scrivere un tema su questi fatti e
qualche mio compagno, in eccesso di commozione, scrisse pure digha con l’acca…
Quanto il maestro ci faceva fare i dettati,
calcava oltremodo sulle doppie per farci capire meglio… “mammmmma”; successe che una mattina ci fosse da scrivere la
difficile parola “soprattutto”; il maestro si sforzava oltremodo… soprattttttttuttttttto. Io, saputello, all’ennesima
declamazione, dissi forte: “Sì! Maestro… quattro T!”
Il risultato fu che qualcuno scrisse
“soprattttutttto” e mi presi una sgridata per non essere stato zitto e aver
condotti i compagni all’errore.
Rammento poi una bellissima dimostrazione del
maestro sulla corrispondenza delle misure fra solidi e liquidi; sembrava
impossibile che un decimetro cubo in ottone potesse contenere un chilo di
acqua… eppure il peso che segnava la bilancia lo confermava. Lo avrei ricordato
per tutta la vita.
L’esame di seconda, allora si faceva anche
questo, lo superai alla grande, consegnando le quattro operazioni; primissimo con
grande distacco da tutti e correttissimo nelle soluzioni.
Anche l’esame di quinta andò molto bene: solo 9
e 10. I risultati sarebbero però stati affissi solo i primi di luglio e io
sarei stato al mare. Con mia madre andammo a trovare il maestro a casa sua per
il commiato finale e per ringraziarlo complessivamente del suo lavoro dei
quattro anni passati.
Messo a conoscenza della mia imminente assenza
da Carpi, il maestro in un bigliettino scrisse i voti che avevo preso, li
chiuse in una bustina e mi fece promettere che l’avrei aperta solo il giorno
delle pagelle. Un impegno sofferto che però rispettai puntualmente, aprendo con
ansia la bustina, assieme ai miei genitori, quanto era al mare. Ma ormai le
scuole medie Alberto Pio mi aspettavano.
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Il maestro era solito seguire le carriere
scolastiche e di lavoro dei suoi ex studenti; io di tanto in tanto lo andavo a
trovare o ci fermavamo a parlare per strada.
Gli raccontavo le ultime novità e lui mi
chiedeva di questo o di quello che erano nella mia classe.
Verso
il 2000 la sua salute e quella della sorelle cominciò peggiorare; ogni volta
che lo vedevo diventava sempre più piccolo, più gracile; il suo guardo tradiva
una profonda tristezza. Lo vidi l’ultima volta davanti a Villa Richeldi con la
sportina della spesa; era molto triste e sofferente. Aveva in tasca una busta
con delle foto: erano quelle (poche) della nostra classe. “Le sto dividendo per
darle ai miei ragazzi. Saranno spero un bel ricordo. Io ormai… “ E me le porse
sorridendo con dolcezza e malinconia.
Non lo avrei più incontrato.
Grazie Maestro, per tutto quello che hai fatto
per noi.
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Anna Maria
Ori (Carpi)
commenta: "Molto bello e molto giusto il tuo scritto sul maestro. Ho
anch’io un bellissimo ricordo di lui, che conobbi quando ero in quinta
elementare, perché teneva dei corsi di matematica insieme al maestro De Pietri
(italiano) di preparazione all’esame di ammissione alla scuola media. Doveva
essere il 1953. Inoltre le sue sorelle erano amiche di mia zia, quindi siamo
sempre stati in contatto, lontano certo, ma importante.
Più tardi, quando ho cominciato a dedicarmi
alla storia, ci siamo riavvicinati, e l’ho ammirato ancora di più, perché ho
capito meglio quello che già mi aveva colpito da bambina: la sua cultura, il
suo equilibrio, i multiformi interessi, venati da una tristezza (malinconia? –
inadeguatezza? – forse la parola giusta è l’intraducibile Sehnsucht) che lui
cercava di nascondere, ma che ormai era parte di lui. Una bella persona, da
mettere tra quelle che non dimenticherò mai."
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Graziano
Malagoli
(Carpi) ricorda: "Il maestro Lodi, collega e grande amico di mio padre, è
stato direi quasi parte della mia famiglia. Spesso veniva a trovarci o era
nostro gradito ospite. Chiedeva sempre di noi tre ragazzi, di come andavamo a
scuola (mio fratello Gianni è stato suo scolaro) e, in seguito, del lavoro che
svolgevamo. Durante le sue visite raccontava dei suoi viaggi e ci mostrava le
foto che immancabilmente scattava. Ci è stato sempre particolarmente vicino, al
punto da sentirlo quasi come uno zio.
Sino ai primi anni ’50 per potere essere
iscritti alla scuola media (c'era solo l'Alberto Pio) bisognava superare il
fatidico “esame di ammissione”. A Carpi si erano formate coppie di maestri (uno
per la parte letteraria e l’altro per la parte matematica) che davano ripetizioni
finalizzate per agevolare gli scolari al superamento dell’esame e Lodi faceva
coppia col maestro Mario Depietri, grande latinista; altre coppie erano
Vascotto - Reggiani e Camurri - Righi). Manco a dirlo, quella di Lodi, era la
coppia più ricercata dalle famiglie e i posti disponibili venivano presto
esauriti.
Nel 2002 il Rotary di Carpi lo ha insignito di
un riconoscimento che annualmente, da oltre trenta anni, viene consegnato ad un
carpigiano particolarmente distintosi per la attività professionale svolta.
Del gruppo di maestri di cui Lodi faceva parte (oggi settembre 2014) uno solo è ancora vivo
e vegeto: Enzo Righi, novantaduenne!
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