Gusti e odori dei cibi in dialetto
di Mauro D’Orazi
La
casistica dei cattivi gusti, sgradevoli odori e spiacevoli consistenze è
piuttosto vasta e articolata; in passato non c’erano i nostri spaziosi e
indispensabili frigoriferi che ornano ogni cucina d’oggi.
il recente libro di Mauro D’Orazi
ancora una volta primo assoluto
nelle vendite per molte settimane nelle librerie e nelle edicole
Il
dialetto naturalmente ha colto in pieno questo sensazioni, spesso sgradevoli al
palato o al naso; così troviamo tante parole e modi dire molto caratteristici,
spesso ironici e divertenti. Dal mio libro La Ruscaròola èd
Chèerp Tre ecco alcuni esempi
fra i più significativi.
Nel
dopo guerra non di rado alcuni salumieri carpigiani tenevano anche prodotti non
di gran qualità che potevano essere venduti a prezzi contenuti.
La
miseria era diffusa e la gente si adattava, anche se, dopo il forzato acquisto,
non mancavano di certo pesanti critiche e prese in giro per bottegaio.
Ad
esempio il grana (il parmigiano non c’era allora, o quanto meno non si
distingueva, ma nacque per fortuna di lì a poco) al psiiva avéer al furmighìin, o la
furmiiga, o al scapèin, o al
psìigh (il pizzico) quando assumeva l'odore pungente sul tipo
dell'acido formico, o sapere di disgustose pedule puzzolenti, o prendere una
punta di acido
**
Al
tempo era noto in particolare un bottegaio ch al gh iiva un persùtt cun al scaldèin (o
al
caldèin), cioè che aveva preso un colpo di caldo e le sue qualità
organolettiche erano irrimediabilmente degenerate.
Con
la consueta ironia corrosiva carpigiana, il gestore fu soprannominato “Il Musichiere”, traendo il nome da una
nota trasmissione televisiva del tempo, ma soprattutto perché in dialetto,
quando una cosa o una persona emana un cattivo odore, si dice che... suona.
Sempre
con lo stesso significato, c’era anche chi chiedeva: “Daa m dóo fètti èd sonòoro!
(Dammi due fette di... sonoro)”
Capitava
anche che d'inverno qualche amico entrasse in bottega e vedendo il prosciutto
fallato sull'affettatrice, avvicinasse le mani... sfregandole. "Sèint
mò ècch caldèin ch a gh è chè dèinter!" (Senti che bel caldino che
c'è qui dentro!)
Interessante
a tale proposito notare che anche a Bologna usano un'espressione simile,
chiamandolo "parsótt con la chèlda".
Qualche
altro maligno insinuava anche che al persùtt al girìss da pèr lò,
spostandosi con mezzi autonomi dal retro bottega fin sul bancone di vendita.
Ci
sono poi anche alcune interessanti disamine sulla patologia dei prosciutti.
"Gh èe
t al mèel dal persùtt?" si dice a chi lascia la porta aperta,
perché il prosciutto da stagionare richiede aria fresca.
Avéer al mèel dal persùtt, male del prosciutto. È un detto scherzoso per indicare
quella malattia che, sotto le armi quando c’era la naia, faceva ottenere una
lunga licenza alla recluta in cambio di un prosciutto al maresciallo.
Coréeger un persùtt significa accudire alla stagionatura di un
prosciutto, ma anche cercare di salvarne almeno una parte, togliendo dal un
prosciutto “malato” il pezzo andèe da mèel.
**
Un
altro fetido cibo avariato è l óov unndeṡ o ènndeṡ; questa strana
e misteriosa parola indica infatti uovo marcio.
Essa
sta a significare... indice o endice, cioè l'uovo che la reṡdóora
di campagna collocava in posti predeterminati, per... indicare... alla
gallina il posto dove abitualmente doveva deporre con sicurezza le uova.
Esso
poteva essere di legno e allora non c'era problema, ma non di rado era vero.
Poiché non si buttava via niente, spesso era un uovo difettoso, da cui non
sarebbe mai nato un pulcino. Veniva utilizzato per un tempo indefinito.
Ciò
faceva sì che l'uovo, se già non lo era, si guastasse e in caso di rottura
emanasse il noto fetore, detto appunto di... uova marce.
C'è
però chi si divertiva a interpretare scherzosamente la parola e ad abbinarla
per puro gioco verbale al numero undici, col quale però non c’entra nulla,
assolutamente nulla, se non per curiosa assonanza.
Accadde
che durante la seconda guerra mondiale, la madre di un soldato mandasse un
pacco di alimentari al figlio lontano. Un salàam di quelli fatti in casa, un
bensòun, un pèer d calsètt per sostituire le classiche pezze, qualche
altra cosetta e infine dieci uova sode.
Il
figlio ricevette il pacco poco più di un mese dopo, si affrettò a ringraziare
la madre premurosa elencando con ordine il contenuto del pacco per assicurare
che nulla fosse stato sottratto. Citando le uova alle fine dell'elenco precisò
che le dieci uova erano diventate unndeṡ o... dòddeṡ, perché nel
trasporto qualcuna di esse era andata a male.
Ma
passiamo in rassegna nel nostro simpatico dialetto i vari gusti, puzze e odori,
consistenze sospette, quasi sempre riferiti a cibi o bevande:
·
al gh à al scapèin e al sà èd furmiiga! o al sà
èd furmighìin...
o al
psìigh; di questi interessanti termini si è già trattato poco sopra;
·
al sà èd machìin; simile ai precedenti: odore e sapore di rancido; al
persùtt (o al furmàai) l à ciapèe al machìin - il prosciutto (o il
formaggio) ha preso odore di rancido; machìin indica pure un cattivo odore
di indumenti ammuffiti, mal conservati in luoghi umidi e malsani;
·
al sà d caldùss o d scaldèin, sapore avariato e sgradevole di carni o salumi mal conservati;
rancido;
·
al buttèer al gh à al rumghèin , quando
prende di rancido (nel bolognese);
·
l è scalmìi, quando un alimento sa odore di muffa; cal furmàai chè al sà èd scalmìi... questo formaggio sa di vecchio;
·
al gh à al luméedegh o lumaadegh,
sapore di mucido, ammuffito o stantio;
·
al sà d cagnùss, odore molto pungente e sgradevole simile alla puzza del pelo del cane
bagnato; lo si può sentite in cibi mal conservati, in piatti, pentole bicchieri
lavati male e asciugati peggio;
·
a gh è 'na pèesta ch la s arghiggna, c’è un odore che fa corrucciare
il viso;
·
l è staladìi o staradìi , stantio, rinsecchito; un termine
che si usa in prevalenza per il pane vecchio e i biscotto, anche in versione
con la “e” fonetica di supporto: estaladìi o estaradìi;
·
al sà d aràans, sa di rancido; fatto rilevante per il nostro dialetto è che nell’uso
moderno… aràans indica il frutto dell’arancia, che invece aveva l’antico
nome di portogàal, oggi quasi in disuso; ransuum, ransumèeri,
quantità di grassi che si sono irranciditi (termini scherzosi);
·
l a ciapèe al fòort, un cibo, ad esempio formaggi o carni, sta cambiando
sapore e il suo gusto diventa… deciso, al limite del mangiabile; il vino quando
comincia a inacidire in aceto;
·
al pussa d caiòun… irrimediabile, né con frequenti lavaggi, né occultabile
con pregiate essenze;
·
al pussa cóome ’n unndeṡ, come un uovo marcio;
·
l è mèers pòoder o pòddegh,
al femminile l'è mèersa pòddga... marcio completamente; anche l è
faat, l è maduur;
·
l è mèers patòoch... marcio fradicio si dice ad esempio di un frutto, ma
anche di una persona dalla morale corrotta;
·
l è mèers in pée... è marcio in piedi, molto marcio;
·
l è ṡmulèddegh... si riferisce a un cibo viscido, di
consistenza molliccia, “mollicosa”; si può riferire a persona sfuggente o
ambigua;
·
l è ṡguìtter... ‘na mnèsstra ṡguìttra... cibo scivoloso, una minestra
poco consistente; ad esempio delle tagliatelle condite male o poco e con troppa
acqua dovuta a una insufficiente scolatura o a un ragù eccessivamente liquido;
·
l è dsèvved o sèvved...
è insipido; lo si può riferire anche a persona di poco intelletto con scarso
sale in zucca;
·
al ne sa né èd mé mè èd tè (né èd chi l à faat)!, non sa né di me, né di te (né di
chi l’ha fatto); espressione che si usa dopo aver messo in bocca un cibo che
non sa di nulla; può essere riferito a tutte le cose
mediocri,senza lode e senza infamia;
·
l è salèe,
salato; “mò chi t à salèe?” ecco una frase ironica rivolta a chi si
comporta in modo sciocco, alludendo al rito battesimo che prevede l’uso di
qualche granello di sale nella bocca del neonato;
·
c'è
anche del pane che, invecchiando, diventa tiròun, oppure al contrario sèech
e sèech rabìi;
·
l è scaalis significa che un alimento è stopposo o fibroso; si usa per un
rapanello non fragrante… un ravanèel scaalis;
·
l è scudrèggn sta per coriaceo, tiglioso, cotennoso, legnoso, fibroso; un pòmm
scudrèggn è una mela coriacea, al pari della sua buccia; la parola dovrebbe
derivare dal latino cutis;
·
al fa spadìir… che fa allappare, allegare i
denti o la bocca; dà alla bocca la sensazione dei frutti aspri o acerbi, che
legano... figurato: la n gh à mìa spadìi in bòcca! persona che parla, esterna ciò
che pensa (anche di maleducato e sgradevole) con estrema libertà di linguaggio,
senza porsi dei timori reverenziali;
·
L è avròdegh. Parola arcaica, certamente
interessante, non carpigiana, ma del dialetto delle montagne bolognesi,
significhebbe aspro, acerbo, ad esempio di frutta;
·
la pèer un sedròun! sembra un cetriolo! così si definice, con espressione
disgustata, una cocomera senza zucchero e dal sapore cattivo; da notare che
cocomera e cetriolo appartengono alla stessa famiglia vegetale;
·
d’inverno
un buon brodino caldo... l umillia al stòmmegh, cioè ben
predispone lo stomaco;
·
al sa èd strinèe! sa di strinato! quando un cibo è cotto male e
bruciacchiato
·
la pèer ‘na sóola! sembra una suola! quando una bistecca è particolarmente
dura dopo la cottura;
·
l è tachìss, è attaccaticcio, “taccolento”, appiccicoso; è una caratteristica di un
bòun sampòun o anche di un cudghìin; il macinato che compone
queste prelibatezze modenesi, quando è buono, evidenzia questa caratteristica
di collosità;
·
l è mulṡèin, è morbido, soffice, liscio;
·
la farèina la muccia palóor (pallore) quando è
troppo vecchia;
- l è tgniss, è tenace, coriaceo,
resistente; può essere riferito a cibi di non agevole masticazione o anche
a vini dal gusto “duro”.
Grande Mauro , il dialetto Carpugiano del suo articolo mi ricorda molto il dialetto parmense , anche se e'nel cuore del modenese ,bravissimo
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