prima stesura 17 gen 2010
V 316 del 08-02-2015
La néev
(La néeva) - La neve
di Mauro D’Orazi
Gentile revisione di
Graziano Malagoli e di Giliola Pivetti
COME SI LEGGE IL
DIALETTO CARPIGIANO
Norme di
trascrizione e lettura del dialetto
Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano -
2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli
Tabella per facilitare
la lettura
a a
come in italiano vacca
aa pronuncia
allungata laat,
scaat, caana
è e aperta
(come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e
aperta e prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e
chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e
chiusa e prolungata véeder,
créedit, pée
i i come in
italiano bissa,
dì
ii i
prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o
aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o
aperta e prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u
come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u
prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c
dolce (come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c
dolce e intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c
dura (come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g
dolce (come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g
dolce e intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g
dura (come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s
sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s
sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma,
s-ciòoch
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Pubblicata parzialmente su Voce di Carpi n
5 del 4-2-2010 e n 6 del 9-2-2012 e su 9Ninestreet n 3 del 28-2-2013.
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La néev
(La néeva) - La neve
di Mauro D'Orazi
2012 - La Piazza di Carpi innevata
Premessa: la parola “neve” in dialetto si dice la
néev, ma io ho sempre sentito anche la variante la néeva. Probabilmente
“dentro alle mura” si usa la prima, mentre nel dialetto arioso, in particolare
nelle frazioni a nord di Carpi, la seconda versione.
Il nuovo Dizionario di Dialetto Carpigiano di
Malagoli e Ori sceglie solo il primo termine.
Mentre per il verbo “nevicare”, sempre il dizionario
stavolta accredita due possibilità: anvèer e nvèer.
Come al solito nessun dramma, nessuna lesa maestà!
Vale sempre l’avvertenza aurea che in campo dialettale è bene che ognuno usi la
sua versione familiare e la sua tradizione culturale: sono gli unici parametri
che contano davvero.
**=M=**
1926 – In questa bellissima foto di
Becchi è raffigurato, dopo una forte nevicata, l’angolo fra via Mazzini e via
Matteotti - dietro il giardino pubblico.
1970 – Panorama di Carpi sotto la
neve - in fondo San Nicolò
La puiàana da néev
La società moderna e nevrotica non tollera la neve,
che intralcia i normali impegni quotidiani. Ma contro le forze della natura
bisogna inchinarsi e fèer s èn ’na
ragiòun (farsene una ragione). Quàand
a néeva, a néeva, a n gh è né Crisst, né Madònni ch a tèggna. Si provvede
alla parte grossa della pulizia con la puiàana, una volta trascinata da
cavalli, oggi da potenti mezzi meccanici.
Il termine prende ovviamente
origine da "poiana" che è
un uccello rapace, considerato uno spazzino, perché si nutre di carogne e in
più ha una postura alare simile alla benna degli automezzi di soccorso e
pulizia delle strade (cioè a V) che,
in casi di nevicate forti, si monta davanti. Da questo fatto lo spartineve, nel
tempo, è diventato la puiàana.
Se in dla nòot a gh vìin dla buriàana, mòola la pèela e dróova
la puiàana! Se nella notte viene della buriana, lascia la
pala (che sarà ormai insufficiente) e adopera la poiana da neve.
In queste due splendide immagini del 1947 nei pressi
di Carpi si vede una puiàana trainata
da ben nove cavalli; alcuni bambini e adulti sono seduti sopra l’attrezzo per
dare efficacia gravitazionale allo spostamento della neve.
La neve fa parlare la gente
Alla gente piace parlare della neve
In ogni caso la caduta della neve è da sempre un
argomento di grande conversazione, un evento che costringe a cambiare le
abitudini quotidiane e fa sentire strane sensazioni: A m sèint la néev ṡò pèr la schiina. A gh ò di faat ṡgriṡóor! (Mi
sento la neve giù per la schiena. Ho dei tali brividi!).
Puntualmente il nostro dialetto registra questo
fenomeno meteorologico come al solito in modo ampio, saggio e arguto
La neve sarà anche bella, ma provoca un bel po' di
inconvenienti e mia madre dice sempre, con infastidita rassegnazione: A pèer ch la m vèggna tutta in tèesta =
sembra che mi venga tutta in testa.
Immancabilmente, al cadere dei primi fiocchi,
qualcuno in famiglia o nel condominio dirà:"Óo .. a gh è da fèer la ròtta!"(c’è da fare la rotta!)
Ma qualcuno prontamente risponderà con doppi sensi
ironici:
"A nn avéer
pasiòun, i gnaràan pò chi ragàas èd Lùi"o "chi ragàas d Agòsst".
(Stai tranquillo, verranno poi i ragazzi delle
famiglie dei Lugli o degli Agosti).
Naturalmente però con riferimento ai mesi estivi,
quando la neve si sarà già sciolta da un bel po'.
Ma ecco varie frasi che tutti abbiamo sentito.
Quando la luce del giorno ha uno strano grigiore e
c’è una luminosità particolare, chi è più sensibile dirà: “ Chè a gh è ’n’aaria da néev!” (c’è
un’aria da neve).
Quàand la néev la caasca
èd còo da la fóoia a viin ’n invèeren ch al fa vóoia = Quando la neve cade dalla foglia
viene un inverno che fa voglia; o con maggior precisione quando comincia a
nevicare molto presto, con ancora le foglie sulle piante, si prospetta un
inverno bello tosto.
**=M=**
La néev la fiòoca quando cade, ma può prendere varie definizioni a seconda della sua natura e
consistenza.
La néev la sfalisstra quando scende a fiocchi lucenti e abbondanti, la sfarlòoca quando cade a fiocchi molto
radi e piccoli, la ṡgièevra (o la ṡgiàavra)
quando invece cade come acqua semisolida o, se preferite, già semiliquida,
solo un po’ ghiacciata; probabilmente questa rara parola deriva dal francese givre = brina, galaverna. A viin ṡò di straas èd néev, quando c’è
neve di grana grossa. Mentre il termine la sputanèṡṡa è riferito non alla neve,
ma a una pioggerellina fine fine e nebulizzata che sembra che non bagni, ma
invece ... La cosiddetta pioggia a frega-villano; infatti si dice che ..."l’è l'aaqua fiina ch la baagna al vilàan".
La néev la s a arvùia, quando comincia a turbinare … la mulinèela, la mulèina, la mèina.
Sa néeva fòort, a
sèech, cun di bée stràas gròos... la néev la fa parèeda. Se nevica forte, a secco senza
pioggia, con dei bei fiocchi che sembrano degli stracci, allora di può dire che
la neve fa parata.
Franco Bizzoccoli mi ricorda che quàand la néev la se ṡmarèina (la neve
se ne va), lascia sulla strada una fanghiglia marroncina, frammista a neve
mezza sciolta, sale e sporcizia varia. Questa poltiglia prende il nome di paciaréina ... e se per caso poi
ghiaccia sono guai seri per chi ci cammina sopra e per la circolazione.
La néev patòoca è la neve disfatta, marcia, in
disfacimento.
Il problema è che tutti, cominciando dal Galvani, si
è sempre tradotto patòoch in appoggio
ad un altro aggettivo, cioè con: completamente, completo, apertamente, verace,
evidente. Non si riesce a capire come da questo gruppo di significati (derivati
dal lat. patefacio = aperto, evidente) si sia poi arrivati a marcio, melmoso e
simili.
Giorgio Rinaldi, studioso modenese dei nostri
dialetti, ci suggerisce questa possibile origine e derivazione:
“Il fenomeno, presente in tutte le lingue, si chiama
"slittamento semantico", in parole povere patòoch nel venire usato
per consuetudine unitamente a marcio, più che ad altre parole, in molte zone
dell'Italia settentrionale, ne ha assorbito il valore. Come ancor oggi, ad es.
a Trieste, "Triestìn patòco"
significa Triestino evidente, verace, oppure nel Frignano si usa ancora surd patòoch, sordo completo, da noi
invece (ma anche in tante altre parti) patòoch
ha assunto il significato di marcio, anche da solo, anche come sostantivo. Una
cosa del genere accadde in italiano con la parola CATTIVO. Questo termine un
tempo significava prigioniero, ma a forza di essere usato nell'espressione captivus diaboli (= prigioniero del
diavolo) ha assunto il significato di diabolico, poi di malvagio, soppiantando
"diavolo". Dal lat. captivus (= prigioniero) sono però rimasti in
italiano i termini cattività, cattura, catturare ecc.
È
provabilissimo che patòoch derivi da patefacio, ma qui bisogna notare
un'altra cosa interessantissima: patefacio
significa anche aprire, sia in senso metaforico, cioè mostrare alla vista,
all'intendimento, ma anche aprire in senso materiale, cioè aprire/aprirsi di un
frutto, perché eccessivamente maturo.
La prof Anna Maria Ori a sua volta si dichiara
d’accordo su tutta la linea, che appare assolutamente logica e credibile.
Probabilmente, per patòoch, non
c’entra patefacio (dov’è finita la
seconda parte del composto?), ma solo la radice *pat-, che è una radice
indoeuropea (se si dice ancora così). Essa indica estensione apertura
visibilità, quindi propende per l’ipotesi prospettata alla fine del parere di
Rinaldi, in assenza di documentazione scritta che illustri le modalità del
percorso semantico, cioè “così maturo che si spacca da solo, che mostra il suo
interno…”
Lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani aggiunge, per
averlo sentito dire da un amica di Montebelluna, il termine patòoch può forse derivare forse dalla
parlata veneziana, ovvero da "patoco"; una contrazione tipicamente
veneta di "toco par toco"
(tocco per tocco), ossia sdrucito, cucito alla buona, mal messo in arnese, così
come da noi si dice patòoch di un
caco troppo maturo, molle e fessurato nel tegumento che ne racchiude la polpa.
Per non dire poi del termine "pataaca",
all'emiliana, la cui fessura lascia intravedere il tabernacolo e la polpa di un
frutto celestiale, che … il sapor non sa chi non lo prova ...
2012 - Carpi - Neve sull’autostrada
A22
**=M=**
Una piccola sezione di detti può essere dedicata
alla caduta della neve e in particolare alla quantità del candido precipitato.
È gnuu un cuul d néev = una bella e abbondante nevicata
che quasi raggiunge il culetto di coloro che commentano.
Con lo stesso significato: A n è gnuu un castìigh! = Ne è venuta un castigo di Dio. E
considerata la qualità del mittente, l’entità della precipitazione è stata
certamente molto abbondante.
La viin ṡò sutiila
sutiila ch a n in viin un cuul! Viene giù sottile sottile che ne cadrà fino all’altezza
del culo.
Altra bella frase è .. "A gh in viin 'na gaamba". Era ovviamente è riferita alla neve,
ma si adatta anche a situazioni che volgono pesantemente al peggio, come per
certi film western o di gangster, dove l’inizio della scena madre, prelude a
caterve di morti ammazzati.
Accanto alle note frasi sopra riportate, per meglio
significare una consistente nevicata, venivano simpaticamente citati, in
discorsi familiari, nomi di persone reali, molto alte e con gambe molto lunghe.
Ecco alcuni esempi che mi sono stati riferiti.
A Chèerp si poteva dire … "A n è gnuu un cuul èd Sandro Cavasòun!"
… certamente si trattava di un signore molto alto, dotato di gambe di dimensioni
ragguardevoli.
A Campgaiàan (Campogalliano) … " A gh in viin un cuul èd Redighiéeri!"...
con riferimento a tale Egidio Redighieri (tutt'ora in vita), una persona di
rilevante statura.
Mentre a Limmid
(o Limmed in pronuncia locale) e a Buderiòun si usava un'altezza più
contenuta, ma con riferimento a un "oggetto" probabilmente di ben
consistenti e massicce dimensioni … "A
gh in viin un cuul dla Tereṡiina !" èd sicùur la srà stèeda un
dunlòun d éelta statura.
Ecco le misure della neve viste simpaticamente
dal pittore di Correggio Giulio Taparelli
Per curiosità e per un interessante raffronto metto
gli analoghi modi di dire usati in Canton Ticino: quante cose in comune abbiamo
…
**=M=**
Può succedere che subito dopo una nevicata venga
subito il sole e allora qualche vecchio saggio non potrà che ripetere questa
frase: “Dòop la néev a viin al sóol, dòop la mèerda a vinn l’udóor!
Dopo la neve viene il sole, dopo la merda viene l’odore!”. Incontestabile!
2011 - Periferia di Carpi con sole
e neve - Foto di Marco Giovanardi
Quando la neve ghiacciava i ragazzi trovavano il
modo di divertirsi con lunghe scivolate sul ghiaccio. Questo gioco prendeva il
nome di lingaata o di bliṡṡga, a seconda della zone di Carpi.
Da un rapido sondaggio, risulta che in Piazzetta, in via Nova, in Via De
Amicis, in via Aldrovandi, in Viale Nicolò Biondo, a Cibeno si usava il primo
termine, a Budrione, a Gargallo, a Fòosa
Nóova il secondo.
Un posto molto adatto per questa specialità era la
Piazzetta. Infatti all'esterno del portico a est, allora c’era un percorso pari
in cemento e sotto passa il canale di Carpi; ciò portava alla sovrastante
formazione di una consistente e duratura lastra di ghiaccio.
I ragazzi con più inventiva buttavano di nascosto di
sera dei secchi di acqua nei posti su tale striscia col fondo ben livella, per
avere, la mattina, una pista da scivolo fantastica; si trovano in venti o
trenta per prendere la rincorsa e fare la scivolata bisognava mettersi in fila.
Chi aveva gli scarponi chiodati veniva escluso per non rovinare la pista.
Bisognava stare attenti, perché a s
ciapèeva dal bèeli culèedi pèr tèera (era facile cadere pesantemente sul
sedere).
Carlo Lodi invece ricorda che a Buderiòun, indù a gh éera la Valtrèina (Valterina), quàand i ragàas i andèeven a scóola, i s
fermèeven al Budghìin (Botteghino) a
fèer la blèṡṡga (mìa bliṡṡga).
Quasi tutti i ragazzi si dedicavano poi alla
costruzione di pupàas èd néev.
Anche al ṡbalèedi
d néev sono sempre state un gioco molto apprezzato fra i ragazzi, che si
affrontavano senza risparmio fra gli amici o fra bande avversario; qualcuno, un
po' più criminale, metteva anche un sasso all'interno della neve schiacciata
per appesantire il proiettile ghiacciato.
A metà del secolo scorso era poi molto in voga una
prova, quasi olimpionica, di abilità e di forza dei ragazzi: si trattava di
colpire con palle di neve il quadrante (rotondo) dell'orologio del castello in
Piazza. Si prendeva la rincorsa dal Voltone della Catena e poi si lanciava con
tutta la forza possibile. Il paff
contro la lontana parete sanciva il tiro vittorioso, che lasciava un'evidente
traccia sul quadrante. Solo i ragazzi più forti riuscivano nell'impresa. Un
inconveniente era l'eventuale passaggio di un vigile, pertanto veniva messa
un'apposita vedetta per segnalare con maggior anticipo possibile la visita non
gradita.
1896 - Fratelli Lumière - Battaglia
a palle di neve
**=M=**
Molto simpatica è la frase: Bliṡṡga e po’ caasca che in senso letterale significa scivola e poi
cadi, ma il cui vero senso è nel definire una cosa, una vicenda, un’azione e
fin anche una persona la cui affidabilità, autorità, punto di riferimento, di
protezione, di sicurezza sono assolutamente inesistenti. Al còunta bliṡṡga e po’ caasca.
Interessante è anche l’uso di bliṡṡga per indicare una cosa che è diventata … leggermente di più
di una misura intera e precisa. Déeṡ dè e
bliṡṡga … significa dieci giorni e qualche ora in più o addirittura un
giorno o due; un’eccedenza che,
scivolosa per sua natura, non è meglio definibile, ma che sarà ben presente in
un certo contesto.
**=M=**
Ecco un commuovente ricordo di Marco Giovanardi, che
unisce alla spalatura una dimensione mistico - spirituale:
Catèeres a la matèina
prèesti a fèer la ròtta, ind al silèinsi atutìi da la néev. L è belissim, al t
distènnd i nèerev e al t mètt in pèeṡ còn tè stèss!!! Mò a póol sucéeder èd sintìir
tirèer dal brisscoli dimònndi culuriidi a tutta caana e a l improvìiṡ a se ṡmòunta
tutt l incàant. Un mècco, ’n imbambìi, èd fiàanch a mè, ...ch l iiva ṡbadilèe
un bèel pòo pèr liberèer la sò màachina ... a la fiin al s è adèe che l’aaVto
puliida la nn éera briiṡa la sùa !!!
1 febbraio 2012 - il carpigiano Marco
Giovanardi alla pala
**=M=**
Per evitare che la neve ghiacci incóo a s dróova al sèel (oggi si usa il sale) che è efficace fino
a 4 gradi sotto zero; ma questa pratica rovina le strade, il fondo delle auto e
può portare a seccare le piante.
Una volta si usava invece il lòcch (la pula del riso) oppure la bulla (la segatura); questi materiali di risulta avevano il
vantaggio di essere a buon mercato e di non rovinare nulla. Infaati al sèel al custèeva dimònndi. Quàanti vòolti a iò sintìi diir
in ca mìa: “Raang èt mò ragasóol, acsé te impèer ’sa còssta al sèel!”
**=M=**
Al nevòun dal veintnóov
1929 - il famoso “nevone” a Carpi a
lato del Torrione degli Spagnoli
La nevicata del 1929 e la relativa ondata di freddo
hanno rappresentano un evento meteorologico di particolare rilevanza ed
eccezionalità storica per dimensioni del fenomeno che colpì il continente
europeo e l'Italia nell'inverno di quell'anno. In casa mia ne ho sempre sentito
parlare come di un avvenimento davvero eccezionale anche per Carpi
Nel mese di febbraio di quell'anno un'ondata
straordinaria di freddo investì buona parte dell'Europa e dell'Italia,
coprendola di neve e gelo con un'intensità tale da essere definita la
"nevicata del secolo". Si determinò l'evento nevoso più marcato e
pesante di quei tempi e fu paragonabile solo all'ondata di freddo del 1956, ed
i successivi fenomeni dell'inverno 1985 (fui testimone dei 17 gradi sottozero sotto
il Portico del Grano e dei Golf diesel che non partivano), sebbene non meno
rilevanti, non ne eguagliarono comunque l'estensione temporale e geografica.
Il gelo, protrattosi per tutto il mese di gennaio
1929, ebbe il proprio picco nella prima metà di febbraio quando in tutta Europa
si registrarono copiose nevicate. L'origine dell'ondata di gelo, mancando dati
certi relativi agli studi meteorologici del tempo, è da ricercarsi nella
formazione di un nucleo di aria fredda, originatasi nell'est Europa e decorrente
verso ovest. In particolare fu dovuta alla concomitanza di diverse
perturbazioni di importante rilevanza, quali un inverno particolarmente rigido
con una prima rilevante ondata di gelo nei primi giorni di febbraio cui ne
seguì una seconda, molto più intensa: un anticiclone proveniente dall'Est
europeo portò con sé nuclei di aria gelida a cui contemporaneamente si aggiunse
un versante di aria fredda proveniente dal nord Europa attraverso il canale del
Rodano generando un nucleo di bassa pressione stabile sull'Italia.
1929 - al nevòun in viale Carducci con vista del campanile della Sagra.
Vista dalla “fontanina
dell'americano”
Il 12 febbraio 1929 i minimi barici si portarono sul
Tirreno Centrale, ed iniziò il maltempo diffuso, e nevicate forti e diffuse su
tutto il centro nord italiano, con venti forti da nord est e temperature di
parecchi gradi sotto lo zero.
Il giorno 13 Febbraio il manto nevoso assunse
altezze di tutto rispetto: 80 cm a Parma, 60 cm a Ferrara, 50 cm a Ravenna, 70
cm ad Ancona ed Udine, ma anche 40 cm a Pistoia, 30-40 cm a Firenze, Livorno,
Lucca.
Le temperature si abbassarono a livelli bassissimi:
Torino registrò -7°C, Genova -9°C, Livorno -4°C, ed Ancona -6°C. Dal tardo
pomeriggio iniziò anche la neve su Roma.
Il maltempo si attenuò poi il 15 Febbraio, quando,
tuttavia, le temperature scesero fino al livello di -15,6°C a Trieste, -15°C a
Milano Brera, -15,5°C a Torino, -25°C a Ravenna, -27°C ad Anzola, in Emilia.
È da annotare come il grande freddo del 1929 abbia
interessato quasi tutto febbraio, ma il culmine fu raggiunto proprio nei giorni
tra l'11 ed il 15 di quel terribile mese.
In Italia il freddo e
la nevicata si protrassero per ben cinque giorni consecutivi, dall'11 al 14
febbraio, depositando al suolo quantità ingenti di neve e naturalmente anche
Carpi fu interessata pesantemente.
1973 - Una scena di Amarcord di Federico Fellini
Il terribile evento meteo del ‘29 è stato ampiamente
citato nel celebre film del 1973 Amarcord
di Federico Fellini, dove viene evocato come l aan dla néeva gròosa
(l'anno della neve grossa). Famosa è anche la frase che si sente pronunciare nel
film quando un personaggio, dopo avere osservato con occhio da grande esperto i
primi fiocchi e averli tastati con le dita, sentenziò: “Mocchè … Questo è acquaticcio! Non
attacca miica ...” …
In effetti èd néev … a n è pò gnuu un
cuul e paasa (ne venne poi un culo).
L’esperto di neve del film di
Fellini pronuncia la sua celebre sentenza:
“Mocchè …
Questo è acquaticcio! Non attacca mica ...” poi
nevicò per cinque giorni.
In tanti ricordano ancora, anche se l’anagrafe si fa
di anno in anno sempre più inesorabile, questa famosa nevicata del ’29, per
averla vissuta o sentita raccontare mille volte in famiglia o dalle persone più
anziane.
La voglio anche io ricordare con questa foto
simbolica di un anziano carpigiano in berretta e tabarro, circondato dalla neve
e con due foto inedite di familiari del nostro concittadino ing Giorgio Iotti
1929 Anziano in Piazza col tabarro
Nelle due foto che seguono siamo già nel marzo del
’29 e, anche dalle facce delle persone, il peggio sembra essere passato; i cavaiòun d néev (cumuli di neve) sono
ancora ben visibili alle spalle delle persone, ma la situazione sta migliorando
e i carpigiani non disdegnano di farsi fotografare assieme ai resti
dell’imponente fenomeno meteorologico.
Marzo del 1929 - Postumi dal nevòun
La prozia Alma di Giorgio Iotti in
Piazza con degli amici fra i cavaiòun d
néev.
**=M=**
Per molti decenni del secolo la rimozione della
scomoda coltre bianca veniva fatta da persone, braccianti assunti a giornata o
a ore dal Comune di Carpi. A loro spettava il compito faticoso di spalare a
braccia le strade e i punti più importanti della nostra città.
Il candidato, scelto da un ruvido ed esperto capo
operaio municipale, doveva obbligatoriamente presentarsi munito di pala
personale per poter sperare di essere assunto.
Non sempre ciò era possibile, perché la povertà
delle persone era tale che, le condizioni economiche davvero miserevoli non
permetteva loro nemmeno la proprietà di una pala.
Così ... poveretti ... si arrangiavano come potevano
spesso andando in prestito dell'attrezzo o presentandosi con attrezzi non
troppo adeguati.
Nell'immediato dopo guerra uno si presentò con un
attrezzo di dimensioni un po' troppo contenute e il capo operaio per chiamarlo
così lo apostrofò:" Vò, cun cal cucèer, gnii mò chè!
(Voi, con quel cucchiaio, favorite di venire qui!)"
**
Nell'inverno del 1946 fischiavano la tormenta di
neve, il freddo, la miseria e la fame ... a gh éera pòoch da stèer aléegher pr i
puvrètt!
Spalatori di una volta
Zeno
Bertani, detto Gambòun,
persona onesta, mite, correttissima e non certo uno scansafatiche, si era
presentato ed era stato preso, assieme a una squadra di altri braccianti.
Dovevano provvedere per la spalatura della neve, partendo dalla stazione dei
treni e procedere fin verso la piazza.
Zeno Gambòun se ne stava però fermo ...
assolutamente immobile appoggiato alla pala, sotto la pensilina, con un freddo
micidiale.
Dopo un po' al capurèel, per scuoterlo da suo
stato, gli disse: "S a pruvèe a móovr èv un pòo, a v scaldarìi!(se
provate a muovervi poco, vi potrete scaldare!"
Gambòun allora gli rispose sconsolato: "Sè a m móov…! Mò dòop a m viin faam!
E s a maagn ia, ch a n gh ò gniinta? (Sì mi muovo! Ma dopo mi viene fame!
E allora cosa mangio che non ho niente da mettere sotto i denti!)"
Che tempi !!!
**==M==**
Spalatrice moderna; possibile che
nessuno le possa dare una mano?
**==M==**
Renato
Corsi (attore
dialettale carpigiano) ci regala questi ricordi:
“Negli anni ’50 anche l’inverno per me
era un periodo bellissimo di giochi e di avventure.
Allora venivano delle nevicate nemmeno
paragonabili a quelle oggi, che sembrano delle spolveratine di zucchero a velo
sulle brioche.
Ecco oggi in via
Molinari (già via San Giacomo) la Ca èd
la Bòocia. Èd sicùur l è dèinter a gh e stèeva soquàant quintée èd ragazóol ...
sèmmper in guèera cun quì dla Cagnóola.
Noi ragazzi della Cagnóola (oggi la zona di
via Manicardi) eravamo sempre in lite con i ragazzi dla Ca èd la Bòocia,
distante poche centinaia di metri, andando verso il centro di Carpi.
La cosiddetta Casa della Boccia, in via
Molinari / San Giacomo, si trova subito di fianco al Molino Verrini; deve la
sua denominazione denominata al fatto di avere, anche oggi, sul vertice del
tetto a quattro acque una pigna ben augurante in cemento.
Dopo una bella nevicata noi ragazzi della
Cagnóola,
che in tono emulatorio ci eravamo chiamati niente meno che “i ragazzi
della via Paal”, costruivamo con tutta l’energia e la fantasia possibili, una
specie di fortino con la neve caduta.
Facevamo rotolare la neve su se stessa in
modo da ottenere una specie di cilindroni con i quali via via costruivamo un
muro. Esso era dotato anche di appositi spioncini per controllare il nemico ed
evitare di essere colpiti dal sbalèedi (i tiri con le palle di neve) avversarie.
Lo scambio di proiettili era fitto e
costante, solo che noi rendevamo più potenti le nostre palle, mettendo al loro
interno un sasso.
Qualcuno si faceva anche male, ma non era
niente di grave.
Devo dire che è stato un periodo
bellissimo e indimenticabile della mia vita.”
**==M==**
Ecco poi alcuni modi di dire e proverbi
Anni fa c’erano delle stagioni più ordinate e
costanti e per i primi di novembre si poteva dire: pèr i
mòort, la néev ind l òort
(Per i morti la neve nell’orto). Mò al dè d incóo a n s capìss più gniinta. Ma al
giorno d’oggi non si capisce più niente.
Laasa ch a néeva. Lascia pur che nevichi, nel senso
lascia pure che le cose vadano come devono andare.
Quàand a s giira cun
la néev (quando si
gira con la neve) bisogna stare attenti a quella sugli alberi: uscito di casa …
la m à impìi al cupètt ... un gusst!!
(mi ha riempito il coppetto con sommo compiacimento).
La fumaana la maagna
la néev = la
nebbia mangia la neve; nel senso che con la nebbia di solito la temperatura va
sopra zero.
Néev ch la s féerma
in simma a la piàanta, la n in ciàama ancòrra taanta (neve che si ferma sopra la
pianta, ne chiama ancora tanta). Non c’è pezza: nevicherà ancora.
Chi la fa sòtt a la
néev, al sóol al la descuàacia (chi la fa sotto la neve, presto il sole la scoprirà), nel
senso che una mala azione anche fatta di nascosto verrà presto scoperta.
Di analogo significato … Chi la fa sòtt a la néev, un dè la s truvarà, cioè chi compie atti
riprovevoli prima o poi verrà scoperto, letteralmente chi la fa sotto la neve,
un giorno la si ritroverà e non potrà farla franca.
A caghèer sòtt a la
néev, la se scuàacia!
Le bugie, prima o poi, saltano fuori e si scoprono miseramente!
A fa taante bèin la
néev al graan, che a un vèec’ al só pastràan (fa tanto bene la neve al grano, così come alla
persona anziana il suo mantello da inverno. Sempre per sottolineare che la neve
protegge il grano che deve crescere, abbiamo: sòtt a l’aaqua … faam, sòtt a la néev … paan (sotto l’acqua fame,
sotto la neve pane).
Sempre con lo stesso significato: Aan da néev, aan da sgnóor (un anno con
molta neve in campagna, sarà un anno da signori con molta produzione). Ancora: In ṡnèer, tèera biàanca la fa bòun paan,
tèera néegra gnaanch un graan. In gennaio la terra innevata farà del buon
pane, la terra nera neanche un chicco.
Néev a fervèer, fèesta in granèer. - Neve in febbraio, festa in
granaio.
La néev in simma ai bròoch la ciàama
di èeter fiòoch. La
neve sui rami chiama degli altri fiocchi.
Dal
reggiano: quàand la néev la s féerma in
cavaasa, a n in déev gniir ’n’èetra badilaasa! Quando la neve si ferma sui
rami, quando cominciano ad assottigliarsi, ne deve venire ancora una bella
sbadilata.
A
Limidi … simile : quàand la néev la s féerma
in simma al cavàas a n in viin ancòrra di badilàas.
La néev marsulèina la
duura da la siira a la matèina - la neve marzolina dura dalla sera alla mattina. È anche
un ammonimento a sfruttare al meglio i brevi momenti favorevoli della vita.
Quàand la néev la viin
arṡaana, a n in viin pèr 'na stmaana - Quando la neve viene dal reggiano, ne viene per una
settimana. Si parla di neve "arṡaana"
quando la perturbazione che la porta viene da ovest
di Carpi o Modena.
Al crèss cóome la
néev al sóol:
cresce come la neve al sole. Si dice di chi non vuole diventar grande e assumersi
le sue responsabilità; oppure di una cosa che può solo diventare via via meno
importante o perdere consistenza.
Fin da bambino ho poi sempre
sentito parlare della famosa “anvèeda dal veintnóov” (nevicata del
1929, anno del “nevone”) ne cadde,
per cinque giorni di seguito, una quantità davvero impressionate; e di ciò ne
sono testimonianza i tanti ricordi della gente e in particolare le
straordinarie foto della nostra bella piazza “piina d cavaiòun d néev” (piena di cumoli di neve).
A néeva ròss!! = Nevica rosso - per dire di una
cosa straordinaria o assolutamente inaspettata o incredibile. Nel caso invece
di un fatto che non potrà MAI verificarsi, si potrà dire: “Farai (o succederà)
la tal cosa” - “Sèee! Quàand a néeva
ròss!”
Di persona poco scaltra si diceva: L è un ucaròun da néev!
Laasa ch a pióova, laasa
ch a néeva .... su Piròun ch andòmm a la féera!! Lascia che piova, lascia che
nevichi … Su mio caro Pierone che andiamo alla fiera. Il significato della
frase sottende alle più intriganti allusioni, ma … quando c'è da andare, c'è da
andare !!
In ṡnèer, tèera biàanca
dà bòun paan, tèera néegra gnaanch un graan. In gennaio, terra bianca dà del buon pane, terra
nera neanche un grano; quando non nevica.
Quàand la néev la caasca
èd còo da la fóoia, a viin ’n invèeren ch al fa vóoia. Inverno pesante e duro … dunque.
Dla néev insimma a la
fóoia, te n t in chèev briiṡa la vóoia. - Della neve sopra la foglia, non te ne cavi la voglia.
Avéer pisèe in più d ’na
néev. Aver
pisciato in più di una neve, ciò avere molta esperienza di vita.
La prìmma néev la pòorta
alegrìa, la secònnda la pòorta fastiddi, e la tèersa la pòorta a tirèer dègl’òostii. La prima neve porta allegria, la
seconda fastidio e terza fa imprecare.
Dòop la néev a viin
al sóol e dòop la mèerda a viin l udóor. Dopo la neve viene il sole e dopo la merda viene l’odore.
Fatale e ineluttabile.
**
Al ṡmaròoch (lo smarocco) dopo una intensa
nevicata, può accadere che appaia il sole e si alzi la temperatura e la neve si
sciolga velocemente. Penso che il termine derivi da scirocco e/o da vento del
Marocco, quindi indichi aria più calda. La frase si usa anche in senso figurato
quando un fitto affollamento di persone, si dilegua in velocità.
Quando
c’è lo smarocco … a pissa al grònndi
(sgocciolano le gronde).
Quando c'è la neve e il ghiaccio per terra, si
coglie l'occasione per dire scherzosamente: “Al còunta bliṡṡga o pò caasca” (conta scivola e poi cade). Questo
per indicare una cosa, una situazione o una persona che non contano nulla.
Persone che non possono essere considerate dei punti fermi (in senso concreto o
figurato) di appoggio.
Noi ometti, chissà per quale motivo di struttura
psicofisica maschile, non riusciamo a trovare le cose, anche quando sono con
evidenza davanti ai nostri occhi, così spesso mi capitava di chiedere a mia
madre: "Indù ée l …un sèert lavóor ?"
La risposta, immancabile era: "Indù a
n gh è néeva! Dio t missa d ’n imbambìi!" (Dove è un certa cosa? –
Dove non c’è neve! Tontolone!”)
Di sapore antico è "magnèer la néev cun la saaba" o "cun un portogàal" = mangiare la neve con la saba e con
il sugo di una arancia. Erano delle granite primordiali, ma con un fascino e un
gusto quasi da fiaba. Erano prelibatezze rarissime e straordinarie per chi non
aveva nulla o quasi. Sono cose del passato, ma sono rimaste indelebili nei
ricordi da bambini dei nostri nonni o genitori. Oggi irripetibili, anche solo
per lo smog che sporca subito la neve. A questo proposito mi piace ricordare il
commuovente film del 1984 di Florestano Vancini: "La neve nel
bicchiere", tratto da un romanzo del 1957 di Nerino Rossi che narra le
memorie di tre generazioni di contadini della Bassa ferrarese su un arco di
mezzo secolo (nel film dal 1898 al 1927) nel passare da “scariolanti” a
mezzadri e, infine, conquistato un po' di benessere, a inurbati. Una pellicola
che fa pendant a “Novecento” di Bertolucci e “L'albero degli zoccoli” di Emanno
Olmi che trattano lo stesso tema sulla dura vita contadina dell’inizio del
‘900.
La parola portogàal non deriva dal paese
lusitano / iberico, ma dal greco. Nella letteratura del XIX secolo a volte
l'arancia viene chiamata portogallo. In greco l'arancio si chiama
"πορτοκάλι" (pronuncia: portocâli); in rumeno "portocală",
ancora oggi in arabo la parola usata per parlare delle arance è برتقال,
burtuqāl, che ha soppiantato del tutto la parola persiana نارنج, nāranğ
– che letteralmente significa "(frutto) favorito degli elefanti" – da
cui deriva "arancia" (e "naranja", in spagnolo). Non si
deve però dimenticare che in arabo il burtuqāl indica l'arancia dolce,
mentre nāranğ (d'origine persiana) indica l'arancia amara.
2012 - La Piazza di Carpi
Bisogna poi notare che di solito vediamo abbondanti
nevicate nei cosiddetti “dè dla Mèerla”
(giorni della Merla), 29, 30 e 31 di gennaio, che sono secondo tradizione i più
freddi dell'anno. La leggenda narra che molto tempo fa, quando i merli erano
bianchi, accadde che una merla, per ingannare gennaio che regolarmente la
maltrattava con il freddo e il cattivo tempo, decise di restare nascosta con
tutta la famiglia. Uscì solo l'ultimo del mese, che allora durava 28 giorni,
deridendo gennaio per essere riuscita a sottrarsi alla sua gelida morsa.
Gennaio, infuriato, chiese a febbraio 3 giorni in prestito e scatenò una
tempesta di neve e gelo, costringendo l'incauta merla a ripararsi dentro un
camino diventando da allora, più cauta e con le piume nere.
**=M=**
Primo Saltini, originario di Limidi, ci regala
questa intensa e delicata immagine poetica:
La néev l’è bèela,
biàanca,
piina d candóor, cóome
un ragasóol.
Ma al dè dòop la caambia,
la dvèinta brutta,
néegra,
infanghèeda,
cóome ’n òmm piin d raabia.
**=M=**
Anche Tiziano Depietri, in arte cantoria
detto Pace, nel febbraio del 2012, dopo quindici giorni di neve e gelo, ha
avuto un comprensibile e simpatico sfogo in versi. Come uno degli addetti del
Comune nelle squadre di pulizia delle strade dalla la neve era proprio sotto
stress e ha trovato sollievo e giovamento alle sue ambasce, rifugiandosi in uno
dei suoi tipici prodotti in versi.
La néeva
La néeva la caasca, la s pòogia, l’aumèinta e la spaaca i
maròun!
La crèss in simma ai traas, in simma ai marciapée, in simma
ai còpp.
Sè …al paan sòtta la néeva,
ma nisùun a fèer la ròtta e ch a s léeva.
Tutt i ciàamen, i teléefonen, i iin tutt spaṡmèe,
ma vigliàach ch i staaghen in ca … al chèeld … cuacèe.
I iin tutt fóora disprèe, i pèeren tutt maat.
La néeva la spaaca i maròun!
Éṡiilo srèe, scóoli srèedi, traam, buss,
tréeno, aeroplàan féerem … tutt giasèe,
a va sóol, sòtt tèera, la metropolitaana;
la néeva la spaaca i maròun!
Graata cun la puiàana e daa gh dal sèel:
’na vòolta, dóo vòolti, trée vòolti;
la néeva la spaaca i maròun!
A n va màai bèin gniinta, a n s eggh ciàapa màai:
mè a farèvv …, mè a diggh …, a biṡgnarèvv …;
la néeva la spaaca i maròun!
A gh è frèdd !!! Pèr fòorsa, a sòmm in invèeren!
A gh è al strèedi giasèedi !!! Óo a sòmm in invèeren!
Óo!! Nisùun è pasèe cun la puiàana !!!
Cun al sèel, cun al badìil, la raaspa, la pèela, la vaanga
…
La néeva la spaaca i maròun!
Prèesti, pèr furtunna, a gnarà aanch a pióover,
mò aanch l’aaqua la spacarà i maròun!
A vdrii ch a pasarà tutt, tèimp bée e tèimp brutt:
al mamòun, al ferdóor, la raabia, al giàas, l’aaqua … l infèeren
...
La néeva la spaaca i maròun!
A gnarà aanch agòsst, se Dio vrà,
mò stèe sicùur, a n gh iidi pasiòun …
aanch al chèeld al spaacarà i maròun!!!!
(Revisione
a cura di Mauro D’Orazi)
**=M=**
In chiusura altri proverbi in dialetto e in italiano
con santi e giorni sempre sulla neve: ce n’è per tutti gusti! Se si dovesse dar
retta alla saggezza popolare, saremmo quasi sempre sotto la coltre bianca.
· Per i Santi (1 novembre) la neve è
per i campi.
· Per i Morti (2 novembre) la neve
negli orti.
· A Modena: San Martèin la néev in vàta ai spèin, s la n gh è, la gh è ṡvèin.
San Martino (11 novembre) la neve sugli spini (rami spogli), se non c’è
arriverà presto.
· Pèr San Martèin la néev ind i camèin. Per San Martino la neve nei camini.
· Pèr Sant Umubòun o néev o tèimp bòun – per Sant’Omobomo (13 novembre) o nevica o fa tempo
buono.
· A San Frediano (18 novembre) la
neve al monte e al piano.
· San Colombano (21 novembre) con la
neve in mano.
· Per Santa Catirèina o ch a néeva, o ch a brèina - per Santa Caterina (25 novembre)
o che nevica o che brina.
· Per Santa Caterina (25 novembre) la
neve si avvicina.
· A San Saturnino (29 novembre) la
neve sul camino.
· A Sant'Andrea (30 novembre) la neve
è per la via.
· Sant'Andrea (30 novembre) porta o
neve o bufera.
· La neve decembrina, per tre mesi ci
rovina.
· Per San Crispino (5 Dicembre), la
neve sullo spino.
· San Niculò (6 dicembre) al caga la néev in cò! (Finale Emilia)
· Senza neve a Sant'Ambrogio (7
Dicembre), l'inverno sarà mogio.
· Per Santa Lucia (13 Dicembre), la
neve è per la via.
· La neve che cade prima di Natale,
mette i denti.
· Se c'è neve per Natale (25
dicembre), molto sole a carnevale.
· La neve prima di Natale è madre,
dopo è matrigna.
· A San Silvestro (31 dicembre) la
neve alla finestra.
· Per Sant'Adriano (9 gennaio) neve
ai monti e al piano.
· San Mauro mercant ed néev - San
Mauro (15 gennaio) mercante di neve.
· Sant Antòoni
(17 gennaio) da la bèerba biàanca, s a n
pióov, la néev la n maanca - Per Sant’Antonio dalla barba bianca, se non
piove, la neve non manca. Si può chiudere il detto con … Vóo t ch a t la s-ciffla o vóo t ch a t la caanta? Vuoi che te la
fischi o vuoi che te la canti?
· Sant Antòoni (17
gennaio) da la bèerba biàanca, faa m catèer
quèll ch a m maanca.
· Sant Antòoni (17
gennaio) da la bèerba biàanca, s a n gh l
à … al s la fa.
· Sant Antòoni (17
gennaio) da la bèerba biàanca, davaanti e
dedrée al n in vóol ’na gaamba.
· Sant Antòoni
(17 gennaio) pòorta la néev, San Zemiàan
(31 gennaio) al la tóorna a purtèer.
· Sant Antòoni (17
gennaio) da la graan ferduura,
San Lurèins da la graan caluura, uun e l èeter pòoch al duura.
· Sant Antòoni da la néeva,
ch al la pòorta ch al la fréega,
ch al la mètta in un cavàagn,
ch al la sparaamia pèr stèetr’aan.
· Fèer un Sant Antòoni (17 gennaio) - scivolare sulla neve ghiacciata.
· Oh! Sant Antòoni (17 gennaio) biàanch dal céel, fa
durmìir al furmèint sòtta la néev"! - Lo diceva il nonno di Maurizia
Besutti guardando beato il campo di grano innevato
· San Bastiàan da la néev in maan o al póorta la néev
in maan - Per S. Sebastiano (20 gennaio) la neve è certa.
· Per San Sebastiano (20 gennaio) la
neve cade piano piano.
· San Ṡemiàan (31
gennaio) da la bèerba biàanca, s a n
néeva, pòoch a gh maanca. - San Geminiano dalla barba bianca, se non
nevica, poco ci manca.
· San Ṡemiàan (31
gennaio), la néev in maan. San
Geminiano, la neve in mano.
· Pèr la Candlòora, o ch a néeva, o ch a pióova, o ch a sòuna la sigaróola – Per la Candelora (2 febbraio) o
che nevica, o che piove o che tira vento.
· Per la santa Candelora, neve, neve,
neve ancora.
· Per la Santa Candelora, o la neve,
o la bora.
· Se nevica per la Candelòora, sette
volte la neve svòola.
· Candelora (2 febbraio) in foglia,
Pasqua in neve.
· La Sirióola (2 febbraio): Se al sóol al bàat in d'la candlèina o ch a
néeva o ch a pióov o ch bàat la pascià(l)èina (fanghiglia).
· A San Bièeṡ la néev la gh pièeṡ. A San Biagio (3 febbraio) la neve piace.
Un altro giorno dell'anno dove è
molto probabile che nevichi.
·
San Biàs pulì, inveran finì! (Finale Emilia).
· Santa Pulonia (9 febbraio) è
l'ultima mercante di neve.
· Per San Flaviano (17 febbraio) la
neve dai monti scenda al piano.
· San Mattia (24 febbraio) la neve o
per strada o per la via. Cioè la neve se ne va.
·
A
San Giuseppe (31 marzo) falegname, neve e panni.
**=M=**
Chiudiamo davvero con una filastrocca:
**=M=**
2012 - Carpi - Sagrato del duomo
**=M=**
In occasione della nevicata Carpi del 6 febbraio
2014 ho saccheggiato Orazio.
Vides, ut alta stet
nive candidum
Cimone nec iam sustineant
onus
Silvae laborantes,
geluque
Flumina constiterint
acuto.
Laggiù si staglia il Cimone, vedi?,
con candido manto di neve.
Stremati, faticano i rami a reggere il peso.
Per il gelo tagliente, fiumi e ruscelli si sono
rappresi.
**
Aggiungo che:
Aggiungo che:
Ad impossibilia nemo
tenetur!
Alle cose impossibili nessuno è tenuto!
Quindi stè a ca! Cun
'na paìna ind al cuul!
Stè cuacè bèin a
móod!
L è inverèen. A
néeva!
S a n néeva adèesa?
Quaand dèev anvèer? In agòsst?
**
Efficaci azioni del Comune in caso
di forte nevicata
Quando
nevica, fatto intollerabile per la nostra attuale società carpigiana, i nostri
ne(r)vosi cittadini sono sempre e comunque insoddisfatti, vorrebbero che in 5, ma
massimo massimo 10 minuti, la loro strada fosse pulita e che la neve spostata
da la puiàana non fosse lasciata in
cumulo davanti alla propria casa; dovendo proprio scegliere… meglio quella del
vicino.
Ecco
che, per rispondere a tali imprescindibili esigenze, il piano neve del Comune è
stato aggiornato con alcune operazioni significative:
1)
i
mezzi comunali i tachèen a fèer la ròtta,
primma ch a néeva (i mezzi comunali cominciano a far la rotta prima che
nevichi); intanto ci si mette avanti;
2)
addirittura
pò si tachèen in agòsst i càaten aanch
pòoca giinta e pòochi aVto (possono addirittura cominciare in agosto, così
trovano per strada meno gente e meno auto) ;
3)
apèeina a néeva, a s inviia subìit
per strèeda soquàanti squèedri èd ragàas cun dl òoc’ per via chi ciapèen al
falisstri primma chi caschèen per tèera; e caso mai, sa gh
rèesta dal tèimp, i polèen dèer al stràas o la pèela èd daino al màachini
parchegièedi (appena nevica, si mandano subito per strada varie squadre di
ragazzi, ragazzi dotati d’occhio, perché devono prendere al volo i fiocchi di
neve prima che tocchino terra; se resta del tempo possono passare lo straccio o
la pelle di daino per asciugare le auto parcheggiate);
4)
al squèedri comunèeli i gh aan pò
aanch ‘na dotaSione di “fòon” pèr supièer dla aria chèelda e sughèer la néeva,
mò al problèema è chi gh aan al fìil tròop cuurt (le squadre comunali sono poi anche
dotate di phon per soffiare aria calda e asciugare la neve, ma c’è il problema
del filo troppo corto);
5)
quaand a gìira al puiàani la nòot (profonda), davanti i gh pogièen di stramàas pèr a n fèer dal
casèin, per via che la giinta la dorèmm (quando di notte
girano le poiane, davanti viene appoggiato un materasso usato per evitare di
fare confusione);
6)
infine
però l’antica saggezza suggerisce da secoli che è meglio aspettare i ragass èd Lui e d Agòsst (i ragazzi delle
famiglie di Lugli e degli Agosti) per purtèer
via tutta la néeva!
Talora
qualche incontentabile maligno arriva a ipotizzare che la neve spostata sia
addirittura quella caduta e dimenticata dall’anno precedente! Questo però mi
sembra impossibile, in quanto di certo l’ordine di rimozione sarebbe arrivato
con più solerzia! Almeno prima della collocazione delle luminarie natalizie
delle successive feste di fine anno!
**
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