venerdì 4 gennaio 2013

La neve La néev di Mauro D’Orazi dialetto carpigiano Carpi Modena




prima stesura 17 gen 2010                                                 V 316 del 08-02-2015
La néev
(La néeva) -  La neve

di Mauro D’Orazi




Gentile revisione di Graziano Malagoli e di Giliola Pivetti





COME SI LEGGE IL DIALETTO CARPIGIANO
Norme di trascrizione e lettura del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                          martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                 méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                  bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                  bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                     vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                    ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sóol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch

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Pubblicata parzialmente su Voce di Carpi n 5 del 4-2-2010 e n 6 del 9-2-2012 e su 9Ninestreet n 3 del 28-2-2013.
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La néev
(La néeva) -  La neve

di Mauro D'Orazi

2012 - La Piazza di Carpi innevata

Premessa: la parola “neve” in dialetto si dice la néev, ma io ho sempre sentito anche la variante la néeva. Probabilmente “dentro alle mura” si usa la prima, mentre nel dialetto arioso, in particolare nelle frazioni a nord di Carpi, la seconda versione.
Il nuovo Dizionario di Dialetto Carpigiano di Malagoli e Ori sceglie solo il primo termine.
Mentre per il verbo “nevicare”, sempre il dizionario stavolta accredita due possibilità: anvèer e nvèer.
Come al solito nessun dramma, nessuna lesa maestà! Vale sempre l’avvertenza aurea che in campo dialettale è bene che ognuno usi la sua versione familiare e la sua tradizione culturale: sono gli unici parametri che contano davvero.
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1926 – In questa bellissima foto di Becchi è raffigurato, dopo una forte nevicata, l’angolo fra via Mazzini e via Matteotti - dietro il giardino pubblico.

1970 – Panorama di Carpi sotto la neve - in fondo San Nicolò



La puiàana da néev

La società moderna e nevrotica non tollera la neve, che intralcia i normali impegni quotidiani. Ma contro le forze della natura bisogna inchinarsi e fèer s èn ’na ragiòun (farsene una ragione). Quàand a néeva, a néeva, a n gh è né Crisst, né Madònni ch a tèggna. Si provvede alla parte grossa della pulizia con la puiàana, una volta trascinata da cavalli, oggi da potenti mezzi meccanici.
Il termine prende ovviamente origine da "poiana" che è un uccello rapace, considerato uno spazzino, perché si nutre di carogne e in più ha una postura alare simile alla benna degli automezzi di soccorso e pulizia delle strade (cioè a V) che, in casi di nevicate forti, si monta davanti. Da questo fatto lo spartineve, nel tempo, è diventato la puiàana.

La poiana: attrezzo agricolo simile ad una ruspa,
trainata dai animali da tiro o dal trattore.

Se in dla nòot a gh vìin dla buriàana, mòola la pèela e dróova la puiàana! Se nella notte viene della buriana, lascia la pala (che sarà ormai insufficiente) e adopera la poiana da neve.

In queste due splendide immagini del 1947 nei pressi di Carpi si vede una puiàana trainata da ben nove cavalli; alcuni bambini e adulti sono seduti sopra l’attrezzo per dare efficacia gravitazionale allo spostamento della neve.


La neve fa parlare la gente
Alla gente piace parlare della neve

In ogni caso la caduta della neve è da sempre un argomento di grande conversazione, un evento che costringe a cambiare le abitudini quotidiane e fa sentire strane sensazioni: A m sèint la néev ṡò pèr la schiina. A gh ò di faat ṡgriṡóor! (Mi sento la neve giù per la schiena. Ho dei tali brividi!).
Puntualmente il nostro dialetto registra questo fenomeno meteorologico come al solito in modo ampio, saggio e arguto
La neve sarà anche bella, ma provoca un bel po' di inconvenienti e mia madre dice sempre, con infastidita rassegnazione: A pèer ch la m vèggna tutta in tèesta = sembra che mi venga tutta in testa.
Immancabilmente, al cadere dei primi fiocchi, qualcuno in famiglia o nel condominio dirà:"Óo .. a gh è da fèer la ròtta!"(c’è da fare la rotta!)
Ma qualcuno prontamente risponderà con doppi sensi ironici:
"A nn avéer pasiòun, i gnaràan pò chi ragàas èd Lùi"o "chi ragàas d Agòsst".
(Stai tranquillo, verranno poi i ragazzi delle famiglie dei Lugli o degli Agosti).
Naturalmente però con riferimento ai mesi estivi, quando la neve si sarà già sciolta da un bel po'.
Ma ecco varie frasi che tutti abbiamo sentito.
Quando la luce del giorno ha uno strano grigiore e c’è una luminosità particolare, chi è più sensibile dirà: “ Chè a gh è ’n’aaria da néev!” (c’è un’aria da neve).
Quàand la néev la caasca èd còo da la fóoia a viin ’n invèeren ch al fa vóoia = Quando la neve cade dalla foglia viene un inverno che fa voglia; o con maggior precisione quando comincia a nevicare molto presto, con ancora le foglie sulle piante, si prospetta un inverno bello tosto.
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La néev la fiòoca quando cade, ma può prendere varie definizioni a seconda della sua natura e consistenza.
La néev la sfalisstra quando scende a fiocchi lucenti e abbondanti, la sfarlòoca quando cade a fiocchi molto radi e piccoli, la ṡgièevra (o la ṡgiàavra) quando invece cade come acqua semisolida o, se preferite, già semiliquida, solo un po’ ghiacciata; probabilmente questa rara parola deriva dal francese givre = brina, galaverna. A viin ṡò di straas èd néev, quando c’è neve di grana grossa. Mentre il termine la sputanèṡṡa è riferito non alla neve, ma a una pioggerellina fine fine e nebulizzata che sembra che non bagni, ma invece ... La cosiddetta pioggia a frega-villano; infatti si dice che ..."l’è l'aaqua fiina ch la baagna al vilàan".
La néev la s a arvùia, quando comincia a turbinare … la mulinèela, la mulèina, la mèina.
Sa néeva fòort, a sèech, cun di bée stràas gròos... la néev la fa parèeda. Se nevica forte, a secco senza pioggia, con dei bei fiocchi che sembrano degli stracci, allora di può dire che la neve fa parata.

Franco Bizzoccoli mi ricorda che quàand la néev la se ṡmarèina (la neve se ne va), lascia sulla strada una fanghiglia marroncina, frammista a neve mezza sciolta, sale e sporcizia varia. Questa poltiglia prende il nome di paciaréina ... e se per caso poi ghiaccia sono guai seri per chi ci cammina sopra e per la circolazione.
La néev patòoca è la neve disfatta, marcia, in disfacimento.
Il problema è che tutti, cominciando dal Galvani, si è sempre tradotto patòoch in appoggio ad un altro aggettivo, cioè con: completamente, completo, apertamente, verace, evidente. Non si riesce a capire come da questo gruppo di significati (derivati dal lat. patefacio = aperto, evidente) si sia poi arrivati a marcio, melmoso e simili.
Giorgio Rinaldi, studioso modenese dei nostri dialetti, ci suggerisce questa possibile origine e derivazione:
“Il fenomeno, presente in tutte le lingue, si chiama "slittamento semantico", in parole povere patòoch nel venire usato per consuetudine unitamente a marcio, più che ad altre parole, in molte zone dell'Italia settentrionale, ne ha assorbito il valore. Come ancor oggi, ad es. a Trieste, "Triestìn patòco" significa Triestino evidente, verace, oppure nel Frignano si usa ancora surd patòoch, sordo completo, da noi invece (ma anche in tante altre parti) patòoch ha assunto il significato di marcio, anche da solo, anche come sostantivo. Una cosa del genere accadde in italiano con la parola CATTIVO. Questo termine un tempo significava prigioniero, ma a forza di essere usato nell'espressione captivus diaboli (= prigioniero del diavolo) ha assunto il significato di diabolico, poi di malvagio, soppiantando "diavolo". Dal lat. captivus (= prigioniero) sono però rimasti in italiano i termini cattività, cattura, catturare ecc.
 È provabilissimo che patòoch derivi da patefacio, ma qui bisogna notare un'altra cosa interessantissima: patefacio significa anche aprire, sia in senso metaforico, cioè mostrare alla vista, all'intendimento, ma anche aprire in senso materiale, cioè aprire/aprirsi di un frutto, perché eccessivamente maturo.
La prof Anna Maria Ori a sua volta si dichiara d’accordo su tutta la linea, che appare assolutamente logica e credibile. Probabilmente, per patòoch, non c’entra patefacio (dov’è finita la seconda parte del composto?), ma solo la radice *pat-, che è una radice indoeuropea (se si dice ancora così). Essa indica estensione apertura visibilità, quindi propende per l’ipotesi prospettata alla fine del parere di Rinaldi, in assenza di documentazione scritta che illustri le modalità del percorso semantico, cioè “così maturo che si spacca da solo, che mostra il suo interno…”

Lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani aggiunge, per averlo sentito dire da un amica di Montebelluna, il termine patòoch può forse derivare forse dalla parlata veneziana, ovvero da "patoco"; una contrazione tipicamente veneta di "toco par toco" (tocco per tocco), ossia sdrucito, cucito alla buona, mal messo in arnese, così come da noi si dice patòoch di un caco troppo maturo, molle e fessurato nel tegumento che ne racchiude la polpa. Per non dire poi del termine "pataaca", all'emiliana, la cui fessura lascia intravedere il tabernacolo e la polpa di un frutto celestiale, che … il sapor non sa chi non lo prova ...

2012 - Carpi - Neve sull’autostrada A22
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Una piccola sezione di detti può essere dedicata alla caduta della neve e in particolare alla quantità del candido precipitato.
È gnuu un cuul d néev = una bella e abbondante nevicata che quasi raggiunge il culetto di coloro che commentano.
Con lo stesso significato: A n è gnuu un castìigh! = Ne è venuta un castigo di Dio. E considerata la qualità del mittente, l’entità della precipitazione è stata certamente molto abbondante.
La viin ṡò sutiila sutiila ch a n in viin un cuul! Viene giù sottile sottile che ne cadrà fino all’altezza del culo.
Altra bella frase è .. "A gh in viin 'na gaamba". Era ovviamente è riferita alla neve, ma si adatta anche a situazioni che volgono pesantemente al peggio, come per certi film western o di gangster, dove l’inizio della scena madre, prelude a caterve di morti ammazzati.
Accanto alle note frasi sopra riportate, per meglio significare una consistente nevicata, venivano simpaticamente citati, in discorsi familiari, nomi di persone reali, molto alte e con gambe molto lunghe.
Ecco alcuni esempi che mi sono stati riferiti.
A Chèerp si poteva dire … "A n è gnuu un cuul èd Sandro Cavasòun!" … certamente si trattava di un signore molto alto, dotato di gambe di dimensioni ragguardevoli.
A Campgaiàan (Campogalliano) … " A gh in viin un cuul èd Redighiéeri!"... con riferimento a tale Egidio Redighieri (tutt'ora in vita), una persona di rilevante statura.
Mentre a Limmid (o Limmed in pronuncia locale) e a Buderiòun si usava un'altezza più contenuta, ma con riferimento a un "oggetto" probabilmente di ben consistenti e massicce dimensioni … "A gh in viin un cuul dla Tereṡiina !" èd sicùur la srà stèeda un dunlòun d éelta statura.

Ecco le misure della neve viste simpaticamente
dal pittore di Correggio Giulio Taparelli

Per curiosità e per un interessante raffronto metto gli analoghi modi di dire usati in Canton Ticino: quante cose in comune abbiamo …

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Può succedere che subito dopo una nevicata venga subito il sole e allora qualche vecchio saggio non potrà che ripetere questa frase: “Dòop la néev a viin al sóol, dòop la mèerda a vinn l’udóor! Dopo la neve viene il sole, dopo la merda viene l’odore!”. Incontestabile!
2011 - Periferia di Carpi con sole e neve - Foto di Marco Giovanardi

Quando la neve ghiacciava i ragazzi trovavano il modo di divertirsi con lunghe scivolate sul ghiaccio. Questo gioco prendeva il nome di lingaata o di bliṡṡga, a seconda della zone di Carpi. Da un rapido sondaggio, risulta che in Piazzetta, in via Nova, in Via De Amicis, in via Aldrovandi, in Viale Nicolò Biondo, a Cibeno si usava il primo termine, a Budrione, a Gargallo, a Fòosa Nóova il secondo.
Un posto molto adatto per questa specialità era la Piazzetta. Infatti all'esterno del portico a est, allora c’era un percorso pari in cemento e sotto passa il canale di Carpi; ciò portava alla sovrastante formazione di una consistente e duratura lastra di ghiaccio.
I ragazzi con più inventiva buttavano di nascosto di sera dei secchi di acqua nei posti su tale striscia col fondo ben livella, per avere, la mattina, una pista da scivolo fantastica; si trovano in venti o trenta per prendere la rincorsa e fare la scivolata bisognava mettersi in fila. Chi aveva gli scarponi chiodati veniva escluso per non rovinare la pista. Bisognava stare attenti, perché a s ciapèeva dal bèeli culèedi pèr tèera (era facile cadere pesantemente sul sedere).

Carlo Lodi invece ricorda che a Buderiòun, indù a gh éera la Valtrèina (Valterina), quàand i ragàas i andèeven a scóola, i s fermèeven al Budghìin (Botteghino) a fèer la blèṡṡga (mìa bliṡṡga).
Quasi tutti i ragazzi si dedicavano poi alla costruzione di pupàas èd néev.

Anche al ṡbalèedi d néev sono sempre state un gioco molto apprezzato fra i ragazzi, che si affrontavano senza risparmio fra gli amici o fra bande avversario; qualcuno, un po' più criminale, metteva anche un sasso all'interno della neve schiacciata per appesantire il proiettile ghiacciato.
A metà del secolo scorso era poi molto in voga una prova, quasi olimpionica, di abilità e di forza dei ragazzi: si trattava di colpire con palle di neve il quadrante (rotondo) dell'orologio del castello in Piazza. Si prendeva la rincorsa dal Voltone della Catena e poi si lanciava con tutta la forza possibile. Il paff contro la lontana parete sanciva il tiro vittorioso, che lasciava un'evidente traccia sul quadrante. Solo i ragazzi più forti riuscivano nell'impresa. Un inconveniente era l'eventuale passaggio di un vigile, pertanto veniva messa un'apposita vedetta per segnalare con maggior anticipo possibile la visita non gradita.

1896 - Fratelli Lumière - Battaglia a palle di neve

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Molto simpatica è la frase: Bliṡṡga e po’ caasca che in senso letterale significa scivola e poi cadi, ma il cui vero senso è nel definire una cosa, una vicenda, un’azione e fin anche una persona la cui affidabilità, autorità, punto di riferimento, di protezione, di sicurezza sono assolutamente inesistenti. Al còunta bliṡṡga e po’ caasca.
Interessante è anche l’uso di bliṡṡga per indicare una cosa che è diventata … leggermente di più di una misura intera e precisa. Déeṡ dè e bliṡṡga … significa dieci giorni e qualche ora in più o addirittura un giorno o due; un’eccedenza che, scivolosa per sua natura, non è meglio definibile, ma che sarà ben presente in un certo contesto.
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Ecco un commuovente ricordo di Marco Giovanardi, che unisce alla spalatura una dimensione mistico - spirituale:
Catèeres a la matèina prèesti a fèer la ròtta, ind al silèinsi atutìi da la néev. L è belissim, al t distènnd i nèerev e al t mètt in pèeṡ còn tè stèss!!! Mò a póol sucéeder èd sintìir tirèer dal brisscoli dimònndi culuriidi a tutta caana e a l improvìiṡ a se ṡmòunta tutt l incàant. Un mècco, ’n imbambìi, èd fiàanch a mè, ...ch l iiva ṡbadilèe un bèel pòo pèr liberèer la sò màachina ... a la fiin al s è adèe che l’aaVto puliida la nn éera briiṡa la sùa !!!

1 febbraio 2012 - il carpigiano Marco Giovanardi alla pala

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Per evitare che la neve ghiacci incóo a s dróova al sèel (oggi si usa il sale) che è efficace fino a 4 gradi sotto zero; ma questa pratica rovina le strade, il fondo delle auto e può portare a seccare le piante.
Una volta si usava invece il lòcch (la pula del riso) oppure la bulla (la segatura); questi materiali di risulta avevano il vantaggio di essere a buon mercato e di non rovinare nulla. Infaati al sèel al custèeva dimònndi. Quàanti vòolti a iò sintìi diir in ca mìa: “Raang èt mò ragasóol, acsé te impèer ’sa còssta al sèel!”
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Al nevòun dal veintnóov

1929 - il famoso “nevone” a Carpi a lato del Torrione degli Spagnoli

La nevicata del 1929 e la relativa ondata di freddo hanno rappresentano un evento meteorologico di particolare rilevanza ed eccezionalità storica per dimensioni del fenomeno che colpì il continente europeo e l'Italia nell'inverno di quell'anno. In casa mia ne ho sempre sentito parlare come di un avvenimento davvero eccezionale anche per Carpi
Nel mese di febbraio di quell'anno un'ondata straordinaria di freddo investì buona parte dell'Europa e dell'Italia, coprendola di neve e gelo con un'intensità tale da essere definita la "nevicata del secolo". Si determinò l'evento nevoso più marcato e pesante di quei tempi e fu paragonabile solo all'ondata di freddo del 1956, ed i successivi fenomeni dell'inverno 1985 (fui testimone dei 17 gradi sottozero sotto il Portico del Grano e dei Golf diesel che non partivano), sebbene non meno rilevanti, non ne eguagliarono comunque l'estensione temporale e geografica.
Il gelo, protrattosi per tutto il mese di gennaio 1929, ebbe il proprio picco nella prima metà di febbraio quando in tutta Europa si registrarono copiose nevicate. L'origine dell'ondata di gelo, mancando dati certi relativi agli studi meteorologici del tempo, è da ricercarsi nella formazione di un nucleo di aria fredda, originatasi nell'est Europa e decorrente verso ovest. In particolare fu dovuta alla concomitanza di diverse perturbazioni di importante rilevanza, quali un inverno particolarmente rigido con una prima rilevante ondata di gelo nei primi giorni di febbraio cui ne seguì una seconda, molto più intensa: un anticiclone proveniente dall'Est europeo portò con sé nuclei di aria gelida a cui contemporaneamente si aggiunse un versante di aria fredda proveniente dal nord Europa attraverso il canale del Rodano generando un nucleo di bassa pressione stabile sull'Italia.
1929 - al nevòun in viale Carducci con vista del campanile della Sagra.
Vista dalla “fontanina dell'americano”
Il 12 febbraio 1929 i minimi barici si portarono sul Tirreno Centrale, ed iniziò il maltempo diffuso, e nevicate forti e diffuse su tutto il centro nord italiano, con venti forti da nord est e temperature di parecchi gradi sotto lo zero.
Il giorno 13 Febbraio il manto nevoso assunse altezze di tutto rispetto: 80 cm a Parma, 60 cm a Ferrara, 50 cm a Ravenna, 70 cm ad Ancona ed Udine, ma anche 40 cm a Pistoia, 30-40 cm a Firenze, Livorno, Lucca.
Le temperature si abbassarono a livelli bassissimi: Torino registrò -7°C, Genova -9°C, Livorno -4°C, ed Ancona -6°C. Dal tardo pomeriggio iniziò anche la neve su Roma.
Il maltempo si attenuò poi il 15 Febbraio, quando, tuttavia, le temperature scesero fino al livello di -15,6°C a Trieste, -15°C a Milano Brera, -15,5°C a Torino, -25°C a Ravenna, -27°C ad Anzola, in Emilia.
È da annotare come il grande freddo del 1929 abbia interessato quasi tutto febbraio, ma il culmine fu raggiunto proprio nei giorni tra l'11 ed il 15 di quel terribile mese.
In Italia il freddo e la nevicata si protrassero per ben cinque giorni consecutivi, dall'11 al 14 febbraio, depositando al suolo quantità ingenti di neve e naturalmente anche Carpi fu interessata pesantemente.

1973 - Una scena di Amarcord di Federico Fellini

Il terribile evento meteo del ‘29 è stato ampiamente citato nel celebre film del 1973 Amarcord di Federico Fellini, dove viene evocato come l aan dla néeva gròosa (l'anno della neve grossa). Famosa è anche la frase che si sente pronunciare nel film quando un personaggio, dopo avere osservato con occhio da grande esperto i primi fiocchi e averli tastati con le dita, sentenziò: Mocchè Questo è acquaticcio! Non attacca miica ...” … In effetti èd néev … a n è pò gnuu un cuul e paasa (ne venne poi un culo).

L’esperto di neve del film di Fellini pronuncia la sua celebre sentenza:
Mocchè Questo è acquaticcio! Non attacca mica ...” poi nevicò per cinque giorni.

In tanti ricordano ancora, anche se l’anagrafe si fa di anno in anno sempre più inesorabile, questa famosa nevicata del ’29, per averla vissuta o sentita raccontare mille volte in famiglia o dalle persone più anziane.
La voglio anche io ricordare con questa foto simbolica di un anziano carpigiano in berretta e tabarro, circondato dalla neve e con due foto inedite di familiari del nostro concittadino ing Giorgio Iotti

1929 Anziano in Piazza col tabarro





Nelle due foto che seguono siamo già nel marzo del ’29 e, anche dalle facce delle persone, il peggio sembra essere passato; i cavaiòun d néev (cumuli di neve) sono ancora ben visibili alle spalle delle persone, ma la situazione sta migliorando e i carpigiani non disdegnano di farsi fotografare assieme ai resti dell’imponente fenomeno meteorologico.


Marzo del 1929 - Postumi dal nevòun
La prozia Alma di Giorgio Iotti in Piazza con degli amici fra i cavaiòun d néev.

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Per molti decenni del secolo la rimozione della scomoda coltre bianca veniva fatta da persone, braccianti assunti a giornata o a ore dal Comune di Carpi. A loro spettava il compito faticoso di spalare a braccia le strade e i punti più importanti della nostra città.
Il candidato, scelto da un ruvido ed esperto capo operaio municipale, doveva obbligatoriamente presentarsi munito di pala personale per poter sperare di essere assunto.

     

Non sempre ciò era possibile, perché la povertà delle persone era tale che, le condizioni economiche davvero miserevoli non permetteva loro nemmeno la proprietà di una pala.
Così ... poveretti ... si arrangiavano come potevano spesso andando in prestito dell'attrezzo o presentandosi con attrezzi non troppo adeguati.
Nell'immediato dopo guerra uno si presentò con un attrezzo di dimensioni un po' troppo contenute e il capo operaio per chiamarlo così lo apostrofò:" Vò, cun cal cucèer, gnii mò chè! (Voi, con quel cucchiaio, favorite di venire qui!)"
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Nell'inverno del 1946 fischiavano la tormenta di neve, il freddo, la miseria e la fame ... a gh éera pòoch da stèer aléegher pr i puvrètt!

Spalatori di una volta

Zeno Bertani, detto Gambòun, persona onesta, mite, correttissima e non certo uno scansafatiche, si era presentato ed era stato preso, assieme a una squadra di altri braccianti. Dovevano provvedere per la spalatura della neve, partendo dalla stazione dei treni e procedere fin verso la piazza.
Zeno Gambòun se ne stava però fermo ... assolutamente immobile appoggiato alla pala, sotto la pensilina, con un freddo micidiale.
Dopo un po' al capurèel, per scuoterlo da suo stato, gli disse: "S a pruvèe a móovr èv un pòo, a v scaldarìi!(se provate a muovervi poco, vi potrete scaldare!"
Gambòun allora gli rispose sconsolato: "Sè a m móov…! Mò dòop a m viin faam! E s a maagn ia, ch a n gh ò gniinta? (Sì mi muovo! Ma dopo mi viene fame! E allora cosa mangio che non ho niente da mettere sotto i denti!)"
Che tempi !!!
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Spalatrice moderna; possibile che nessuno le possa dare una mano?
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Renato Corsi (attore dialettale carpigiano) ci regala questi ricordi:
“Negli anni ’50 anche l’inverno per me era un periodo bellissimo di giochi e di avventure.
Allora venivano delle nevicate nemmeno paragonabili a quelle oggi, che sembrano delle spolveratine di zucchero a velo sulle brioche.
 
Ecco oggi in via Molinari (già via San Giacomo) la Ca èd la Bòocia. Èd sicùur l è dèinter a gh e stèeva soquàant quintée èd ragazóol ... sèmmper in guèera cun quì dla Cagnóola.
                                                                                                   
Noi ragazzi della Cagnóola (oggi la zona di via Manicardi) eravamo sempre in lite con i ragazzi dla Ca èd la Bòocia, distante poche centinaia di metri, andando verso il centro di Carpi.
La cosiddetta Casa della Boccia, in via Molinari / San Giacomo, si trova subito di fianco al Molino Verrini; deve la sua denominazione denominata al fatto di avere, anche oggi, sul vertice del tetto a quattro acque una pigna ben augurante in cemento.
Dopo una bella nevicata noi ragazzi della Cagnóola, che in tono emulatorio ci eravamo chiamati niente meno che “i ragazzi della via Paal”, costruivamo con tutta l’energia e la fantasia possibili, una specie di fortino con la neve caduta.
Facevamo rotolare la neve su se stessa in modo da ottenere una specie di cilindroni con i quali via via costruivamo un muro. Esso era dotato anche di appositi spioncini per controllare il nemico ed evitare di essere colpiti dal sbalèedi  (i tiri con le palle di neve) avversarie.
Lo scambio di proiettili era fitto e costante, solo che noi rendevamo più potenti le nostre palle, mettendo al loro interno un sasso.
Qualcuno si faceva anche male, ma non era niente di grave.
Devo dire che è stato un periodo bellissimo e indimenticabile della mia vita.”

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Ecco poi alcuni modi di dire e proverbi

Anni fa c’erano delle stagioni più ordinate e costanti e per i primi di novembre si poteva dire: pèr i mòort, la néev ind l òort (Per i morti la neve nell’orto). Mò al dè d incóo a n s capìss più gniinta. Ma al giorno d’oggi non si capisce più niente.
Laasa ch a néeva. Lascia pur che nevichi, nel senso lascia pure che le cose vadano come devono andare.
Quàand a s giira cun la néev (quando si gira con la neve) bisogna stare attenti a quella sugli alberi: uscito di casa … la m à impìi al cupètt ... un gusst!! (mi ha riempito il coppetto con sommo compiacimento).
La fumaana la maagna la néev = la nebbia mangia la neve; nel senso che con la nebbia di solito la temperatura va sopra zero.
Néev ch la s féerma in simma a la piàanta, la n in ciàama ancòrra taanta (neve che si ferma sopra la pianta, ne chiama ancora tanta). Non c’è pezza: nevicherà ancora.
Chi la fa sòtt a la néev, al sóol al la descuàacia (chi la fa sotto la neve, presto il sole la scoprirà), nel senso che una mala azione anche fatta di nascosto verrà presto scoperta.
Di analogo significato … Chi la fa sòtt a la néev, un dè la s truvarà, cioè chi compie atti riprovevoli prima o poi verrà scoperto, letteralmente chi la fa sotto la neve, un giorno la si ritroverà e non potrà farla franca.
A caghèer sòtt a la néev, la se scuàacia! Le bugie, prima o poi, saltano fuori e si scoprono miseramente!
A fa taante bèin la néev al graan, che a un vèec’ al só pastràan (fa tanto bene la neve al grano, così come alla persona anziana il suo mantello da inverno. Sempre per sottolineare che la neve protegge il grano che deve crescere, abbiamo: sòtt a l’aaqua … faam, sòtt a la néev … paan (sotto l’acqua fame, sotto la neve pane).
Sempre con lo stesso significato: Aan da néev, aan da sgnóor (un anno con molta neve in campagna, sarà un anno da signori con molta produzione). Ancora: In ṡnèer, tèera biàanca la fa bòun paan, tèera néegra gnaanch un graan. In gennaio la terra innevata farà del buon pane, la terra nera neanche un chicco.
Néev a fervèer, fèesta in granèer. - Neve in febbraio, festa in granaio.
La néev in simma ai bròoch la ciàama di èeter fiòoch. La neve sui rami chiama degli altri fiocchi.
Dal reggiano: quàand la néev la s féerma in cavaasa, a n in déev gniir ’n’èetra badilaasa! Quando la neve si ferma sui rami, quando cominciano ad assottigliarsi, ne deve venire ancora una bella sbadilata.
A Limidi … simile : quàand la néev la s féerma in simma al cavàas a n in viin ancòrra di badilàas.
La néev marsulèina la duura da la siira a la matèina - la neve marzolina dura dalla sera alla mattina. È anche un ammonimento a sfruttare al meglio i brevi momenti favorevoli della vita.
Quàand la néev la viin arṡaana, a n in viin pèr 'na stmaana - Quando la neve viene dal reggiano, ne viene per una settimana. Si parla di neve "arṡaana" quando la perturbazione che la porta viene da ovest di Carpi o Modena.
Al crèss cóome la néev al sóol: cresce come la neve al sole. Si dice di chi non vuole diventar grande e assumersi le sue responsabilità; oppure di una cosa che può solo diventare via via meno importante o perdere consistenza.
Fin da bambino ho poi sempre sentito parlare della famosa “anvèeda dal veintnóov” (nevicata del 1929, anno del “nevone”) ne cadde, per cinque giorni di seguito, una quantità davvero impressionate; e di ciò ne sono testimonianza i tanti ricordi della gente e in particolare le straordinarie foto della nostra bella piazza “piina d cavaiòun d néev” (piena di cumoli di neve).
A néeva ròss!! = Nevica rosso - per dire di una cosa straordinaria o assolutamente inaspettata o incredibile. Nel caso invece di un fatto che non potrà MAI verificarsi, si potrà dire: “Farai (o succederà) la tal cosa” - “Sèee! Quàand a néeva ròss!
Di persona poco scaltra si diceva: L è un ucaròun da néev!
Laasa ch a pióova, laasa ch a néeva .... su Piròun ch andòmm a la féera!! Lascia che piova, lascia che nevichi … Su mio caro Pierone che andiamo alla fiera. Il significato della frase sottende alle più intriganti allusioni, ma … quando c'è da andare, c'è da andare !!
In ṡnèer, tèera biàanca dà bòun paan, tèera néegra gnaanch un graan. In gennaio, terra bianca dà del buon pane, terra nera neanche un grano; quando non nevica.
Quàand la néev la caasca èd còo da la fóoia, a viin ’n invèeren ch al fa vóoia. Inverno pesante e duro … dunque.
Dla néev insimma a la fóoia, te n t in chèev briiṡa la vóoia. - Della neve sopra la foglia, non te ne cavi la voglia.
Avéer pisèe in più d ’na néev. Aver pisciato in più di una neve, ciò avere molta esperienza di vita.
La prìmma néev la pòorta alegrìa, la secònnda la pòorta fastiddi, e la tèersa la pòorta a tirèer dègl’òostii. La prima neve porta allegria, la seconda fastidio e terza fa imprecare.
Dòop la néev a viin al sóol e dòop la mèerda a viin l udóor. Dopo la neve viene il sole e dopo la merda viene l’odore. Fatale e ineluttabile.
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Al ṡmaròoch (lo smarocco) dopo una intensa nevicata, può accadere che appaia il sole e si alzi la temperatura e la neve si sciolga velocemente. Penso che il termine derivi da scirocco e/o da vento del Marocco, quindi indichi aria più calda. La frase si usa anche in senso figurato quando un fitto affollamento di persone, si dilegua in velocità.
Quando c’è lo smarocco … a pissa al grònndi (sgocciolano le gronde).
Quando c'è la neve e il ghiaccio per terra, si coglie l'occasione per dire scherzosamente: “Al còunta bliṡṡga o pò caasca” (conta scivola e poi cade). Questo per indicare una cosa, una situazione o una persona che non contano nulla. Persone che non possono essere considerate dei punti fermi (in senso concreto o figurato) di appoggio.
Noi ometti, chissà per quale motivo di struttura psicofisica maschile, non riusciamo a trovare le cose, anche quando sono con evidenza davanti ai nostri occhi, così spesso mi capitava di chiedere a mia madre: "Indù ée l …un sèert lavóor ?" La risposta, immancabile era: "Indù a n gh è néeva! Dio t missa d ’n imbambìi!" (Dove è un certa cosa? – Dove non c’è neve! Tontolone!”)
Di sapore antico è "magnèer la néev cun la saaba" o "cun un portogàal" = mangiare la neve con la saba e con il sugo di una arancia. Erano delle granite primordiali, ma con un fascino e un gusto quasi da fiaba. Erano prelibatezze rarissime e straordinarie per chi non aveva nulla o quasi. Sono cose del passato, ma sono rimaste indelebili nei ricordi da bambini dei nostri nonni o genitori. Oggi irripetibili, anche solo per lo smog che sporca subito la neve. A questo proposito mi piace ricordare il commuovente film del 1984 di Florestano Vancini: "La neve nel bicchiere", tratto da un romanzo del 1957 di Nerino Rossi che narra le memorie di tre generazioni di contadini della Bassa ferrarese su un arco di mezzo secolo (nel film dal 1898 al 1927) nel passare da “scariolanti” a mezzadri e, infine, conquistato un po' di benessere, a inurbati. Una pellicola che fa pendant a “Novecento” di Bertolucci e “L'albero degli zoccoli” di Emanno Olmi che trattano lo stesso tema sulla dura vita contadina dell’inizio del ‘900.
La parola portogàal non deriva dal paese lusitano / iberico, ma dal greco. Nella letteratura del XIX secolo a volte l'arancia viene chiamata portogallo. In greco l'arancio si chiama "πορτοκάλι" (pronuncia: portocâli); in rumeno "portocală", ancora oggi in arabo la parola usata per parlare delle arance è برتقال, burtuqāl, che ha soppiantato del tutto la parola persiana نارنج, nāranğ – che letteralmente significa "(frutto) favorito degli elefanti" – da cui deriva "arancia" (e "naranja", in spagnolo). Non si deve però dimenticare che in arabo il burtuqāl indica l'arancia dolce, mentre nāranğ (d'origine persiana) indica l'arancia amara.
2012 - La Piazza di Carpi

Bisogna poi notare che di solito vediamo abbondanti nevicate nei cosiddetti “dè dla Mèerla” (giorni della Merla), 29, 30 e 31 di gennaio, che sono secondo tradizione i più freddi dell'anno. La leggenda narra che molto tempo fa, quando i merli erano bianchi, accadde che una merla, per ingannare gennaio che regolarmente la maltrattava con il freddo e il cattivo tempo, decise di restare nascosta con tutta la famiglia. Uscì solo l'ultimo del mese, che allora durava 28 giorni, deridendo gennaio per essere riuscita a sottrarsi alla sua gelida morsa. Gennaio, infuriato, chiese a febbraio 3 giorni in prestito e scatenò una tempesta di neve e gelo, costringendo l'incauta merla a ripararsi dentro un camino diventando da allora, più cauta e con le piume nere.
**=M=**
Primo Saltini, originario di Limidi, ci regala questa intensa e delicata immagine poetica:
La néev l’è bèela,
biàanca,
piina d candóor, cóome un ragasóol.
Ma al dè dòop la caambia,
la dvèinta brutta,
néegra,
infanghèeda,
cóome ’n òmm piin d raabia.
**=M=**
Anche Tiziano Depietri, in arte cantoria detto Pace, nel febbraio del 2012, dopo quindici giorni di neve e gelo, ha avuto un comprensibile e simpatico sfogo in versi. Come uno degli addetti del Comune nelle squadre di pulizia delle strade dalla la neve era proprio sotto stress e ha trovato sollievo e giovamento alle sue ambasce, rifugiandosi in uno dei suoi tipici prodotti in versi.

La néeva


La néeva la caasca, la s pòogia, l’aumèinta e la spaaca i maròun!
La crèss in simma ai traas, in simma ai marciapée, in simma ai còpp.
Sè …al paan sòtta la néeva,
ma nisùun a fèer la ròtta e ch a s léeva.
Tutt i ciàamen, i teléefonen, i iin tutt spaṡmèe,
ma vigliàach ch i staaghen in ca … al chèeld … cuacèe.
I iin tutt fóora disprèe, i pèeren tutt maat.
La néeva la spaaca i maròun!
Éṡiilo srèe, scóoli srèedi, traam, buss,
tréeno, aeroplàan féerem … tutt giasèe,
a va sóol, sòtt tèera, la metropolitaana;
la néeva la spaaca i maròun!
Graata cun la puiàana e daa gh dal sèel:
’na vòolta, dóo vòolti, trée vòolti;
la néeva la spaaca i maròun!
A n va màai bèin gniinta, a n s eggh ciàapa màai:
mè a farèvv …, mè a diggh …, a biṡgnarèvv …;
la néeva la spaaca i maròun!
A gh è frèdd !!! Pèr fòorsa, a sòmm in invèeren!
A gh è al strèedi giasèedi !!! Óo a sòmm in invèeren!
Óo!! Nisùun è pasèe cun la puiàana !!!
Cun al sèel, cun al badìil, la raaspa, la pèela, la vaanga …
La néeva la spaaca i maròun!
Prèesti, pèr furtunna, a gnarà aanch a pióover,
mò aanch l’aaqua la spacarà i maròun!
A vdrii ch a pasarà tutt, tèimp bée e tèimp brutt:
al mamòun, al ferdóor, la raabia, al giàas, l’aaqua … l infèeren ...
La néeva la spaaca i maròun!
A gnarà aanch agòsst, se Dio vrà,
mò stèe sicùur, a n gh iidi pasiòun …
aanch al chèeld al spaacarà i maròun!!!!
(Revisione a cura di Mauro D’Orazi)

**=M=**
In chiusura altri proverbi in dialetto e in italiano con santi e giorni sempre sulla neve: ce n’è per tutti gusti! Se si dovesse dar retta alla saggezza popolare, saremmo quasi sempre sotto la coltre bianca.

·       Per i Santi (1 novembre) la neve è per i campi.
·       Per i Morti (2 novembre) la neve negli orti.
·       A Modena: San Martèin la néev in vàta ai spèin, s la n gh è, la gh è ṡvèin. San Martino (11 novembre) la neve sugli spini (rami spogli), se non c’è arriverà presto.
·       Pèr San Martèin la néev ind i camèin. Per San Martino la neve nei camini.
·       Pèr Sant Umubòun o néev o tèimp bòun – per Sant’Omobomo (13 novembre) o nevica o fa tempo buono.
·       A San Frediano (18 novembre) la neve al monte e al piano.
·       San Colombano (21 novembre) con la neve in mano.
·       Per Santa Catirèina o ch a néeva, o ch a brèina - per Santa Caterina (25 novembre) o che nevica o che brina.
·       Per Santa Caterina (25 novembre) la neve si avvicina.
·       A San Saturnino (29 novembre) la neve sul camino.
·       A Sant'Andrea (30 novembre) la neve è per la via.
·       Sant'Andrea (30 novembre) porta o neve o bufera.
·       La neve decembrina, per tre mesi ci rovina.
·       Per San Crispino (5 Dicembre), la neve sullo spino.
·       San Niculò (6 dicembre) al caga la néev in cò! (Finale Emilia)
·       Senza neve a Sant'Ambrogio (7 Dicembre), l'inverno sarà mogio.
·       Per Santa Lucia (13 Dicembre), la neve è per la via.
·       La neve che cade prima di Natale, mette i denti.
·       Se c'è neve per Natale (25 dicembre), molto sole a carnevale.
·       La neve prima di Natale è madre, dopo è matrigna.
·       A San Silvestro (31 dicembre) la neve alla finestra.
·       Per Sant'Adriano (9 gennaio) neve ai monti e al piano.
·       San Mauro mercant ed néev - San Mauro (15 gennaio) mercante di neve.
·       Sant Antòoni (17 gennaio) da la bèerba biàanca, s a n pióov, la néev la n maanca - Per Sant’Antonio dalla barba bianca, se non piove, la neve non manca. Si può chiudere il detto con … Vóo t ch a t la s-ciffla o vóo t ch a t la caanta? Vuoi che te la fischi o vuoi che te la canti?
·       Sant Antòoni (17 gennaio) da la bèerba biàanca, faa m catèer quèll ch a m maanca.
·       Sant Antòoni (17 gennaio) da la bèerba biàanca, s a n gh l à … al s la fa.
·       Sant Antòoni (17 gennaio) da la bèerba biàanca, davaanti e dedrée al n in vóol ’na gaamba.
·       Sant Antòoni (17 gennaio) pòorta la néev, San Zemiàan (31 gennaio) al la tóorna a purtèer.
·       Sant Antòoni (17 gennaio) da la graan ferduura,
San Lurèins da la graan caluura, uun e l èeter pòoch al duura.
·       Sant Antòoni da la néeva,
ch al la pòorta ch al la fréega,
ch al la mètta in un cavàagn,
ch al la sparaamia pèr stèetr’aan.
·       Fèer un Sant Antòoni (17 gennaio) - scivolare sulla neve ghiacciata.
·       Oh! Sant Antòoni (17 gennaio) biàanch dal céel, fa durmìir al furmèint sòtta la néev"! - Lo diceva il nonno di Maurizia Besutti guardando beato il campo di grano innevato
·       San Bastiàan da la néev in maan o al póorta la néev in maan - Per S. Sebastiano (20 gennaio) la neve è certa.
·       Per San Sebastiano (20 gennaio) la neve cade piano piano.
·       San Ṡemiàan (31 gennaio) da la bèerba biàanca, s a n néeva, pòoch a gh maanca. - San Geminiano dalla barba bianca, se non nevica, poco ci manca.
·       San Ṡemiàan (31 gennaio), la néev in maan. San Geminiano, la neve in mano.
·       Pèr la Candlòora, o ch a néeva, o ch a pióova, o ch a sòuna la sigaróola – Per la Candelora (2 febbraio) o che nevica, o che piove o che tira vento.
·       Per la santa Candelora, neve, neve, neve ancora.
·       Per la Santa Candelora, o la neve, o la bora.
·       Se nevica per la Candelòora, sette volte la neve svòola.
·       Candelora (2 febbraio) in foglia, Pasqua in neve.
·       La Sirióola (2 febbraio): Se al sóol al bàat in d'la candlèina o ch a néeva o ch a pióov o ch bàat la pascià(l)èina (fanghiglia).
·       A San Bièeṡ la néev la gh pièeṡ. A San Biagio (3 febbraio) la neve piace.
          Un altro giorno dell'anno dove è molto probabile che nevichi.
·        San Biàs pulì, inveran finì! (Finale Emilia).
·       Santa Pulonia (9 febbraio) è l'ultima mercante di neve.
·       Per San Flaviano (17 febbraio) la neve dai monti scenda al piano.
·       San Mattia (24 febbraio) la neve o per strada o per la via. Cioè la neve se ne va.
·         A San Giuseppe (31 marzo) falegname, neve e panni.


**=M=**

Chiudiamo davvero con una filastrocca:
San Ṡemiàan chèega néev
o ch al la chèega o ch al la fréega
o al la mètt in un cavàagn
e al la sparaamia pèr st èetr aan.

San Geminiano caga neve / o che la caga o che la frega/ o la mette in un cesto/ e la risparmia per l'anno prossimo.
**=M=**

2012 - Carpi - Sagrato del duomo
**=M=**


In occasione della nevicata Carpi del 6 febbraio 2014 ho saccheggiato Orazio.

Vides, ut alta stet nive candidum
Cimone nec iam sustineant onus
Silvae laborantes, geluque
Flumina constiterint acuto.
Laggiù si staglia il Cimone, vedi?,
con candido manto di neve.
Stremati, faticano i rami a reggere il peso.
Per il gelo tagliente, fiumi e ruscelli si sono rappresi.
**
Aggiungo che:
Ad impossibilia nemo tenetur!
Alle cose impossibili nessuno è tenuto!
Quindi stè a ca! Cun 'na paìna ind al cuul!
Stè cuacè bèin a móod!
L è inverèen. A néeva!
S a n néeva adèesa? Quaand dèev anvèer? In agòsst?
**

Efficaci azioni del Comune in caso di forte nevicata

Quando nevica, fatto intollerabile per la nostra attuale società carpigiana, i nostri ne(r)vosi cittadini sono sempre e comunque insoddisfatti, vorrebbero che in 5, ma massimo massimo 10 minuti, la loro strada fosse pulita e che la neve spostata da la puiàana non fosse lasciata in cumulo davanti alla propria casa; dovendo proprio scegliere… meglio quella del vicino.
Ecco che, per rispondere a tali imprescindibili esigenze, il piano neve del Comune è stato aggiornato con alcune operazioni significative:
1)    i mezzi comunali i tachèen a fèer la ròtta, primma ch a néeva (i mezzi comunali cominciano a far la rotta prima che nevichi); intanto ci si mette avanti;
2)    addirittura pò si tachèen in agòsst i càaten aanch pòoca giinta e pòochi aVto (possono addirittura cominciare in agosto, così trovano per strada meno gente e meno auto) ;
3)    apèeina a néeva, a s inviia subìit per strèeda soquàanti squèedri èd ragàas cun dl òoc’ per via chi ciapèen al falisstri primma chi caschèen per tèera; e caso mai, sa gh rèesta dal tèimp, i polèen dèer al stràas o la pèela èd daino al màachini parchegièedi (appena nevica, si mandano subito per strada varie squadre di ragazzi, ragazzi dotati d’occhio, perché devono prendere al volo i fiocchi di neve prima che tocchino terra; se resta del tempo possono passare lo straccio o la pelle di daino per asciugare le auto parcheggiate);
4)    al squèedri comunèeli i gh aan pò aanch ‘na dotaSione di “fòon” pèr supièer dla aria chèelda e sughèer la néeva, mò al problèema è chi gh aan al fìil tròop cuurt (le squadre comunali sono poi anche dotate di phon per soffiare aria calda e asciugare la neve, ma c’è il problema del filo troppo corto);
5)    quaand a gìira al puiàani la nòot (profonda), davanti i gh pogièen di stramàas pèr a n fèer dal casèin, per via che la giinta la dorèmm (quando di notte girano le poiane, davanti viene appoggiato un materasso usato per evitare di fare confusione);
6)    infine però l’antica saggezza suggerisce da secoli che è meglio aspettare i ragass èd Lui e d Agòsst (i ragazzi delle famiglie di Lugli e degli Agosti) per purtèer via tutta la néeva!

Talora qualche incontentabile maligno arriva a ipotizzare che la neve spostata sia addirittura quella caduta e dimenticata dall’anno precedente! Questo però mi sembra impossibile, in quanto di certo l’ordine di rimozione sarebbe arrivato con più solerzia! Almeno prima della collocazione delle luminarie natalizie delle successive feste di fine anno!
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