Il tiro al cavaliere
di Fabrizio Pederzoli (e Mauro D’Orazi)
revisione del testo a cura di Graziano Malagoli
prima
stesura 01-01-2013
v14 del 07-01-2013
Fabrizio
Pederzoli, stimato dirigente bancario carpigiano, racconta una sua importante
esperienza di vita nel Parco legata alle palline e illustra un’altra variante
di gioco. Un piccolo episodio, ma un’importante lezione esistenziale
**
“Nel 1970 avevo 12 anni, quando andai per la prima volta al Parco
delle Rimembranze senza i miei genitori. Era estate e la scuola era appena
finita. Mi sentivo libero. Ero solo e avevo con me un prezioso sacchetto di
plastica con dentro qualche biglia di vetro. Mi apprestavo a varcare una
"foresta impenetrabile", al tempo occupata da ragazzi scaltri ed
esperti che la facevano da padroni. Un vero salto di qualità esistenziale e di
relazioni umane.
Impiegai poco tempo a imparare e a impratichirmi dei tanti giochi
con le biglie in voga in quei tempi.
C’era lo zig - zag (la serpentina) sulle panchine in cemento che
avevano sul fondo quattro buchi equidistanti per il deflusso dell’acqua
piovana. Dentro di essi venivano piazzate dal ragazzino che teneva banco le
biglie. Il concorrente, tramite uno studiato cricco sulla propria pallina dato
con sapiente angolazione laterale, doveva effettuare lo zig zag in modo dolce,
ma nel contempo deciso e terminare il percorso senza "ticciare"
(toccare) le palline stesse. In caso di successo il concorrente avrebbe vinto
tutte le palline infilate nei buchi, in difetto avrebbe perso la propria. Il
gioco era estremamente difficile da vincere e veniva puntualmente proposto ...
alle nuove ingenue reclute, che ben presto avrebbero imparato ad astenersi o ad
allenarsi intensamente da sole.
C’era poi il tiro al
cavaliere (una "preziosa" biglia colorata di bianco con lune
trasversali marroni, verdi e blu).
Il gioco consisteva in questo: l'organizzatore sedeva su una
panchina e poggiava a terra il cavaliere, mentre da una distanza di circa due
metri, i concorrenti lanciavano le proprie biglie. Era una variante
semplificata della torretta. Nel
caso avessero "ticciato" avrebbero vinto il cavaliere, in difetto
avrebbero perso tutte le biglie degli lanci effettuati.
C’erano delle gradazioni nel gioco basate sull’aumento della posta
al variare della distanza di lancio, indicata per terra da un gessetto o da una
riga sulla polvere fatta con la scarpa
C’era il tiro delle 10, il tiro delle 20, ecc ... Prima del tiro si dichiarava e ci si
sistemava alla distanza prestabilita. Per il tiro delle 10 la distanza era
breve, per il tiro delle 20 la distanza più lunga, e così via.
Quel giorno avevo con me biglie poco più di una ventina di biglie
di vetro e dovevo con attenzione capitalizzare il mio tesoro, ma avevo timore
che ragazzi più esperti avrebbero potuto appropriarsi del mio tesoretto.
A un certo punto un ragazzo, che si vantava di essere un esperto
conoscitore di tutto e di tutti, abile a chiacchiere, ma senza una biglia di
vetro con cui giocare, mi diede un consiglio a suo dire "unico":
"S te vóo viinser
dimònndi … mètt su al tiir dal sèint. (Se vuoi vincere parecchio …
organizza il tiro delle cento)".
Nel lato nord del parco, davanti alla pista di pattinaggio, a
sinistra il bar (ora anche ristorante) a destra c’era una panchina in cemento
(di quelle usate anche per la serpentina). Avrei solo dovuto sedermi lì e
poggiare a terra una biglia di vetro dichiarando ad alta voce "Tiro delle 100!"
I concorrenti avrebbero dovuto lanciare le loro biglie da molto
lontano, considerata l’altezza della posta e contavo proprio su questa
rilevante distanza per vincere parecchie palline e trascurando il fatto che, se
per sventura avessi perso, non avrei avuto di ché onorare l’abile vincitore.
Lo sciagurato in ogni caso mi tranquillizzava e mi incitava
all’impresa:" Stà tranquìll ! Nisùun
a gh ciaparà màai (Tranquillo! Nessuno ci prenderà mai)… e te ne andrai a casa col sacchetto pieno di biglie."
Non troppo convinto, ma carico di adrenalina, gridai:
"Tiro delle 100!!".
Improvvisamente un nugolo di ragazzi cominciò a tirare biglie di
vetro dietro una linea tracciata a terra col tallone. Io, a distanza di circa 15 metri , seduto sulla
panchina, cominciai a raccogliere con crescente entusiasmo le prime biglie che
arrivavano senza colpire la mia. Poi d’improvviso … ticc’ … imbarazzo e paura: una maledetta biglia colpì in pieno la
mia e mi rese debitore di 100 biglie che non possedevo. La paura diventò poi
subito panico, quando vidi in faccia chi aveva vinto e reclamava la sua
vincita: "A m ciàam Omar, mò a sun
Ramo pèr i mè amìigh! Òccio ch a suun dimònndi scòomed! A suun
duur damàand al lèggn e a suun pròunt
a ṡbraghèer èt la ghignèera s te n pèegh mìa! (Mi chiamo Omar, ma per gli
amici Ramo. Sono molto scomodo e duro come il legno e sono disposto a romperti
la faccia, se non paghi)".
Con il cuore in gola, concordai una tregua temporanea. Gli lasciai
il sacchetto con tutte le mie insufficienti palline, impegnandomi a saldare il
debito rimanente per il giorno dopo.
Me ne andai mestamente verso casa, con lo scontato timore della
severa reazione di mio padre. Infatti egli, dopo la sorpresa iniziale, mi
manifestò tutta la sua delusione e amarezza per il mio comportamento. "Hai
giocato e impegnato ciò che non possedevi; è un fatto davvero grave; un errore
che ti deve servire come insegnamento per la vita futura" mi ammonì
severo.
Mi comprò le biglie di vetro ed io mi impegnai a rinunciare alle
mancette settimanali per qualche tempo, ma imparai la lezione.
La mattina del giorno dopo ero già al Parco a saldare il mio debito
di … vita.”
**M**
Norme di trascrizione del dialetto
Le norme di trascrizione
adottate dal
“Dizionario del dialetto
carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Tabella
per facilitare la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat,
scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè, sèccia,
scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e chiusa e prolungata véeder,
créedit, pée
i
i come in italiano bissa,
dì
ii i prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó, só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c dolce e intensa (come in faccia) cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come in oggi) puntègg’, gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda
seguita da c dolce s-ciafòun,
s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
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