venerdì 4 gennaio 2013

Il maiale, il porco dialetto carpigiano - Carpi - di Mauro D'Orazi





Al  pòorch   il  maiale   Carpi

Il maiale

                                                            di Mauro D’Orazi



                 v 75 del 04-01-2013

con la cortese collaborazione di Anna Maria Ori, Graziano Malagoli, Sauro Roveda, Oscar Clò e Vanni Carpigiani

prima stesura marzo 2010    
Pubblicato parzialmente su La Voce di Carpi n 14 del 9 aprile 2010
Norme di trascrizione del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è  e aperta (come in dieci)                       martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                  méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i  i come in italiano                                 bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                   bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                      vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                     ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sóol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch









L’allevamento del porco nelle nostre zone pare abbia quasi cinquemila anni: testimonianze certe sono state trovate nelle terramare, gli insediamenti caratterizzanti le zone soggette ad inondazioni nella Bassa tra Piacenza e Bologna, risalenti all'Età del Bronzo. In resoconto di recenti scavi archeologici del mantovano di un sito preromano ricco di avanzi ossei e resti di cucina veniva messo in evidenza il fatto curioso che quasi tutti quelli di maiale appartenevano alla metà anteriore dei suini. Ciò potrebbe far ipotizzare che quegli antichi progenitori non solo sapessero fare i prosciutti, ma li commerciassero, scambiandoli con prodotti non reperibili nelle nostre zone. Nel I secolo a. C. Marco Terenzio Varrone sanciva solennemente: “Si crede che la natura abbia regalato il porco all’uomo per farlo vivere lautamente”.
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L'allevamento domestico di questo animale e la sua uccisione, era per i contadini un momento di straordinaria importanza.

Il maiale per tradizione si uccideva solo in un ristretto periodo dell'anno, tra fine novembre e gennaio, tanto che, di coloro che dell'eloquenza facevano difetto, si diceva: Al ciacaara sóol quàand i maasen al niméel (Parla solo quando uccidono il maiale). La data d'inizio della macellazione era Sant'Andrea (30 novembre): Pèr Sant’Andarièin a s maasa al ninèin (Per sant'Andreino si uccide il maialino), quella ultima era sant'Antonio (17 gennaio): Sant Antònni dal pòorch (Sant'Antonio del porco), anche perché col grasso del maiale i religiosi dell’ordine di sant’Antonio di Vienne preparavano il loro unguento contro l’”erpes zoster”, il fuoco di Sant’Antonio, appunto.
   Simbologia del maiale
Santini di S. Antonio col maiale

Nella cultura contadina l’uccisione del maiale assume un valore simbolico e un momento di sentita aggregazione sociale. Era un giorno importante lungamente atteso nel quale, finalmente, si raccoglievano i sospirati frutti di mesi e mesi passati amorevolmente a nutrire e ad allevare il maiale, nella certezza che anche in quelle giornaliere attenzioni, dipendesse la bontà e l’abbondanza delle sue carni.
Era un giorno che i bambini attendevano con trepidazione e paura consapevoli che assistere alla cruenta uccisione del maiale fosse come una sorta di iniziazione. Era un giorno in cui si sacrificava un essere simpatico e grufolante divenuto, ormai, membro della famiglia. Ma il momentaneo dispiacere per la perdita era ricompensato dalla quantità delle carni.
Il maiale era ed è un vero simbolo di abbondanza e fertilità e, ancor oggi, la sua morte accidentale o per malattia, è vista quale presagio di sventure e carestie. La tradizione vuole che la macellazione avvenisse con i primi rigori invernali; i mesi propizi erano fine dicembre e gennaio. La scelta di questo periodo dell’anno dipendeva dalle rigide temperature che raffreddano e asciugano più velocemente la carne e di conseguenza favorivano una più veloce lavorazione.
Il rito della pcarìa (macellazione) aveva queste fasi.
Fin dalle prime luci del giorno fervevano i preparativi per il compimento del “sacro rito”: le donne pulivano il luogo del “sacrificio” di solito un angolo del porticato all’interno della corte.
Il maiale veniva prelevato dal porcile alla mattina presto; prima si aveva cura di preparare l'acqua bollente, il paranco per tirarlo su, affilati i coltelli per macellarlo, il sale, ecc ...
Al pchèer, un esperto macellaio itinerante e prenotato per tempo, uccideva il maiale con la dovuta perizia, dopo averlo legato per il muso e tenuto immobile con l’aiuto di due robusti aiutanti. L’animale veniva dissanguato, vuotato dalle interiora e sezionato con cura. Nulla veniva buttato: con la carne, a seconda dei tagli, si preparavano prosciutti, coppe, salami, salsicce, pancette e zamponi; la lingua si metteva in salamoia; con gli ossi si faceva il brodo; le setole venivano date al ciabattino e le frattaglie (e spesso le costolette), venivano consumate subito o offerte a qualche ospite di riguardo, come il parroco, il veterinario o il padrone delle terre.

  
I bambini erano sempre in prima fila a seguire le cruente operazioni
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Casa rurale delle nostre zone in una caratteristica giurnèeda ed nebiùss
Le cronache locali nel 1949 danno questo interessante resoconto dei momenti di una giornata tanto attesa per la famiglia interessata:
“Accorrono ora anche le donne ed i piccoli e tutti restano a lungo a rimirare il povero porco, quasi con dolore. Nel pomeriggio la macellazione viene ultimata;i prosciutti ed il lardo vengono messi sotto sale nella conca, la sacchiglia viene appesa ad una pertica sostenuta dalla trave della cucina, perché asciughi, lo strutto è colato nella vescica ed i saporiti ciccioli sono messi, sotto peso, nell’apposito sacchetto. La grande giornata ha termine con una cena alla quale interviene anche qualche invitato e si gustano gli squisiti tortellini con la salciccia e la noce moscata, nonché un buon arrosto fatto con lo spinale della bestia uccisa. È inutile dire che il tutto viene innaffiato con qualche bottiglia di vino buono.
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La cosiddetta maialata era fino a non molti anni fa un rito diffusissimo nelle campagne padane e non solo. Dopo la macellazione del maiale, che quasi ogni famiglia allevava o faceva allevare, si organizzava una grande mangiata, allo scopo anche di consumare subito quello che non si poteva conservare più di tanto prima dell’arrivo del frigorifero.
Un brodino di ossa di maiale era la base del “riso e véerṡa”; la verza era in gennaio l’unica verdura disponibile.

Riso e véerṡa
Oltre ai tanti detti sul maiale e sulla sua uccisione, esistono anche molte superstizioni. Non si doveva ad esempio ucciderlo in presenza di femmine mestruate, né pronunciare parole di cordoglio, dolore, compassione o di compatimento per la cruenta e triste fine della bestia. Non si poteva macellare di venerdì, nei giorni 7, 13 o 17, nonché nei primi giorni del primo quarto di luna, in quanto la conservazione della carne avrebbe potuto essere forte rischio e imputridire. In Romagna, per guarire il maiale dalle più comuni malattie, specie se attribuite al malocchio, gli si tagliava un pezzetto di orecchio o di coda, lo si faceva bollire e lo si gettava nel letamaio. Bere acqua, anziché vino, quando si mangiava carne suina, era infine considerato un segno di sventura.
Occorre sottolineare con forza che il maiale era uno degli animali cardine della civiltà in generale e della civiltà contadina in particolare: era fornitore di ricchezza alimentare e materiale, immagine di opulenza ed allo stesso tempo di stupidità, sporcizia e immoralità.
Ci sarebbe molto da dire sulla simbologia del maiale, mi piace a tale proposito ricordare il significato dei salvadanai a forma di porcellino. Ma ad ogni modo è evidente la sua vitale importanza sia per i contadini, ma anche per chi abitava in città; la sua uccisione trascendeva la crudeltà dell’atto sanguinario in sé e rappresentava un evento e una delle rare occasioni (per chi se lo poteva permettere) di mangiare carne durante l'anno. Per la nostra regione, addirittura, è diventato quasi un blasone distintivo a causa delle infinite specialità gastronomiche che ne derivano: basti notare ad esempio che la mortadella, fuori dall'Emilia-Romagna, è spesso conosciuta semplicemente come "bologna".

 
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Attilio Sacchetti ci ricorda che anche a Carpi la macellazione ad uso alimentare era sinonimo di ricchezza, agiatezza o, quanto meno, di linea di demarcazione, discrimine tra la povertà e peggio l'indigenza ed un vivere discretamente. Naturalmente tutto va storicizzato.
Nel carpigiano il maiale veniva macellato in città dai benestanti, dai proprietari terrieri, dai liberi professionisti e in campagna da quelle due categorie di contadini che si odiavano, ma che erano in pratica uguali e benestanti: i coltivatori diretti e i mezzadri.
Invece non potevano macellare il maiale gli urbani lavoratori dipendenti e i braccianti agricoli, cioè la maggioranza della popolazione, tutti lontano dalla società benestante e borghese.
Quando i ragazzi, uniti nelle bande di strada, parlavano di un coetaneo la cui famiglia l iiva masèe al pòorch, si parlava di uno che ormai era diverso da tutti gli altri, perchè le normali famiglie conoscevano il maiale solo tramite l uunt (lo strutto) e al graas (il lardo) che, in misura calcolata col bilancino da farmacista, servivano per condire minestre e improbabili pietanze.
Lardo di maiale
Sacchetti rileva anche che a Carpi la macellazione del maiale NON era certo una festa per la comunità. Lo era solo della famiglia che qualche volta si degnava di regalare un pentolino di sangue fresco o un pezzo di polmone (al léev) al bracciante agricolo o al servitore.

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Uno dei particolari rivelatori dell'importanza del maiale è la quantità di nomi diversi con cui è conosciuto, non solo nel dialetto carpigiano, ma anche in altri dialetti e nella lingua italiana. Vediamo allora le varie incarnazioni verbali di questo animale nel dialetto delle nostre zone, trascurando per motivi di spazio Parma, Mantova e la Romagna, terre anch’esse ricche di nomi oltre che di interessanti e simpatiche definizioni.

Pòorch (póorch)
Principalmente il maiale è conosciuto con questo nome. Usata come sostantivo o aggettivo a sé stante, questa parola si trova pronunciata in vari modi: es. “ciàapa al pòorch” (prendi il maiale) oppure “l è un pòorch” (è un maiale). La parola viene utilizza anche come aggettivo associato ad un nome nelle imprecazioni e anche nelle bestemmie: es. “bòoia pòorch” (boia porco), “cal pòorch èd Giùuda” (quel porco di Giuda).
Se in una frase “pòorch” precede immediatamente il nome a cui è riferito, allora prende la “o” finale dell'italiano e diventa “porco” (in questo caso la o accentata è sempre pronunciata ò): es.” pòorco bòoia”, oppure “pòorco Giùuda”.

Maièel
Questa parola la si usa quasi esclusivamente riferita al maiale in senso alimentare, inteso come pezzo di carne: es. “ ’na bistècca d maièel “ (una bistecca di maiale), “l aròost èd maièel” (l'arrosto di maiale) e così via. Rarissime volte la si sente usata riferita al maiale come animale, sebbene in altri dialetti delle zone vicine sembra venga usata normalmente anche in questo ambito. Al femminile “maièela”, l’uso è solamente sessista e offensivo, ha uso fortemente spregiativo ed è riferito a persone.


Ninèin
Questo appellativo, difficilmente traducibile in italiano, è in realtà un vezzeggiativo; sembra possa derivare dall'antico verbo “ninnare” (cullare). Infatti indicherebbe in origine i maialini da latte, sia a causa della tenera età, che per i loro versi somiglianti ai vagiti dei neonati. Si identificano in ogni caso esseri preziosissimi nell’ambito dell’economia familiare di campagna e degni di ogni possibile cura e attenzione. Questa parola, attraverso gli anni, è diventata per semplificazione sinonimo di maiale di qualsiasi età. E’ simpatico ricordare anche i vari appellativi derivati: ninòun, ninòuna, ninni, ecc … sono tutti vezzeggiativi riferiti a bambini o a persone.

Niméel
Questa parola è esplicativa del valore che si dava al maiale. Infatti è la contrazione di animèel (animale). Il maiale è quindi L'Animale, l'unico, per antonomasia e per eccellenza. Questo termine è usato spesso in senso dispregiativo per descrivere un uomo od una donna di facili costumi: in particolare indica una persona molto libertina e dedita allo sfrenato godimento della vita, specialmente dal punto di vista sessuale, piuttosto che mercenaria. In riferimento però a quest'ultimo significato, si usa anche il diminutivo nimalussa. L'allevamento del maiale seguiva una tecnica molto ben delineata: i maiali durante il loro sviluppo erano chiamati: latòun (lattonzoli); magròun, scursòun e poi finalmente niméel, quando erano pronti per l'ingrasso.

Gugióol
Termine caratteristico usato in varie località delle nostre parti, ma più tipico del mantovano; definisce perfettamente l’animale soprattutto quando è giovane ed arzillo. Si usa anche a Carpi e sarebbe interessante avere un'etimologia di questa strana parola. Forse nasce come voce onomatopeica, che imita il verso dell’animale deformazione lessicale del verbo "uggiolare", e quindi "guggiolare", da cui "gugióol". Nella bassa latinità si trova come voce del cane il verbo “baubare”; molti altri simili deliziosi esempi sono nel libro di Maurizio Bettini “E l’uomo diede voce agli animali - Torino 2008.
Anche questo termine ha un ampio uso dispregiativo: talora anche dal punto di vista della condotta sessuale (anche se mai riferita a sesso mercenario, ma solo al puro libertinaggio), ma principalmente riferito alla pulizia e all'igiene personale. È anche usata come sinonimo di trovarsi bene in una situazione: es. “a stèeva bèin cóome un gugióol” (stavo bene come un maiale, cioè mi trovavo bene e a mio agio). Ciò perché il maiale sembra stare comodissimo, sereno e tranquillo … quando si rotola nel fango.


Tróoia
Questa parola indica la scrofa (anche se, per essere precisi, indicherebbe la femmina di maiale gravida); viene spesso usata anche oggi come sinonimo di puttana e donna non propriamente proclive alla continenza sessuale.
Circa la terribile figura umana de “la tróoia carpṡaana”, espressione che definisce esseri capaci di tutto e mentitori, ma anche simpatici, tratteremo in una prossima ricerca.
Vèrr
Verro, maschio del maiale; usato per la riproduzione. Un animale forte e pericoloso, da trattare con estrema prudenza.

Un personaggio importante nel ciclo dell'allevamento del maiale era "al castrèin", che provvedeva alla castrazione degli animali con una tecnica che è meglio non descrivere.
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Il maiale è protagonista di moltissimi modi di dire e proverbi; eccone di seguito alcuni fra i più significativi e divertenti.

·        "L à miss al pòorch a l'òora" (ha messo il maiale all'ombra); questa frase significa aver sistemato al chiuso (ind al ciùuṡ che era il luogo dove venivano allevati i maiali) per l'ingrasso l’animale, ma anche e soprattutto, dopo la macellazione, la collocazione dei pregiati tagli di carne in idonei locali freschi e aerati per la stagionatura. Con questa frase, spesso malevola e carica di invidia, si sottintende il raggiunto benessere, o quanto meno una situazione serena e tranquilla con riferimento al futuro. Dopo sette mesi di allevamento al reṡdóor capofamiglia poteva ora tirare un lungo sospiro di sollievo: il companatico era assicurato. Questo modo di dire è stato però traslato anche in campo matrimoniale, quando dove c’è una forte convenienza di una delle parti. Ad esempio quando una giovane fanciulla accetta di sposare un uomo (spesso più vecchio), ma molto ricco, la frase verrà ripetuta spesso con cattiveria e stizza da parte di altre donne. Allo stesso modo si dice del giovane di bell’aspetto e poca voglia di impegnarsi che sposa l’ereditiera, magari non proprio avvenente, ma di sicure attrattive economiche. Curiosamente, in tono sarcastico, queste parole sono state ri-tradotte a Carpi (con una rara operazione a l'incontraire – … óo l è in francéeṡ, mìa in dialètt - di tipo gergale mondano - salottiero) in italiano e molto usate in certi ambienti cittadini un po’ snob e elitari, per commentare circostanze come quelle appena ricordate. Si parlerà quindi, con pungente e malevola ironia, che una tal ragazza o una certa signora ha “provveduto all’ombreggiamento del maiale”.
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·        Póorch! Usata come sostantivo o aggettivo a sé stante, questa parola si trova pronunciata in vari modi: es. ciàapa al póorch (prendi il maiale), oppure l é un póorch (è un maiale).
·        La parola viene utilizza anche come aggettivo associato ad un nome nelle imprecazioni e anche nelle bestemmie: es. bòoia póorch (boia porco), cal póorch èd Giuda (quel porco di Giuda). Se in una frase "póorch" precede immediatamente il nome a cui è riferito, allora prende la "o" finale dell'italiano e diventa "porco" (in questo caso la o accentata è sempre pronunciata ò): es." porco boia", oppure "porco Giuda".
·        Fióol d 'na tróoia: figlio di una troia; epiteto ingiurioso che taluni si scambiano durante battibecchi violenti.

·        "L è ignoràant cóome un pòorch! " (è ignorante come un porco) oppure “Al gh à la cugnisiòun d un pòorch!” (ha la cognizione di un maiale) sono frasi che individuano persone non certo all’apice della scala intellettiva. Vale la pena di sottolineare “cugnisiòun” (intelligenza, discernimento): è una di quelle bellissime parole del dialetto che non devono andare perse e che in sé ha il senso del bene e del male, … ’na ròoba da Adamo ed Eva!
·        Nel gergo dei muratori carpigiani:"Te scamùus come un rugàas! (Capisci come un maiale!)".
·        "L è graas damàand un pòorch!” (di chi è eccessivamente grasso).

grassone

·        L è un vilàan, bióolch, póorch (è un villano, bifolco e porco) per dire di una persona grezza, volgare, maleducata e rompiscatole.
 
                        Povera famiglia di villani   Un melnètt spurcaciòun

·        "L è spòorch cóome un pòorch !" è un gioco di assonanza di parole per dire che uno è lurido come un maiale.
·        Al maagna cóome un pòorch! " indica chi mangia come un maiale, sia per la quantità che le modalità sconvenienti; in aggiunta si può dire “Biṡgnarèvv dèer èt da magnèer in ’n èelbi!” (bisognerebbe darti da mangiare nella vasca-magiatoia dei maiali), dove appunto viene riversata la ṡòtta da pòorch, che è il pastone tiepido con cui si nutrono i suini.
Antico èelbi, mangiatoia per maiali
Dal vocabolario on line Treccani
àlbio s. m. [lat. alveus], ant. e settentr. – Vasca, conca, trogolo.

·        "L è un pòorch, o ’na niméela, o ’na tróoia! " per indicare chi è particolarmente vizioso.
Pòorch e tróoi

·        Tutt i òmm i iin di póorch e tutt èl dònni dèl tróoi: tutti gli uomini sono degli sporcaccioni e tutte le donne poco serie. Osservazione un po’ generica e troppo semplicistica, ma spesso citata.
  • Da che mònnd è mònnd a n s è màai visst un póorch dvintèer vèec'; mò un vèec’ dvintèèr póorch … sé!: da che mondo è mondo non si è mai sentito che un maiale diventi vecchio, ma che un vecchio diventi un gran sporcaccione … sì!

·         Al gh à 'na tèesta ch a n la pèeca gnaanch i naader o a n la magnarèvv gnaanch i póorch o i béegh o i sòrregh: ha una testa che non la beccherebbero nemmeno le oche, né la mangerebbero i maiali o i vermi o i topi.

·        "Al pianṡiiva cóome un gugióol o un ninètt " piangeva come usa un maiale o un maialino al macello.


·        "Pèr Sant'Andrea (30 novembre) ciàapa al pòorch pèr la sèa (codino, forse non è carpigiano, ma reggiano … credo). E s te nn al vóo ciapèer, laas l andèer fin a Nadèel " Per Sant'Andrea, prendi il maiale per il codino e se non lo vuoi prendere per quella data, puoi rimandare la sua macellazione al massimo fin sotto Natale.
·        "Da Santa Lucia a Nadèel, al vilàan al maasa al maièel" Da Santa Lucia a Natale il contadino ammazza il maiale.
·        "Pèr San Tomée (29 dicembre), ciàapa al pòorch pèr i pée" Per San Tommaso prendi il maiale per i piedi, ovvero si compie l'azione di rovesciare il maiale su un fianco dopo averlo legato per le zampe, prima di macellarlo.
·        "Pèr la Santa Epifania, se al niméel al n è mìa mòort, l è in agonìa " Se per l'Epifania il maiale non è ancora morto, è certamente in agonia.
·        come si è detto del maiale non si buttava via nulla: dal sangue alle setole, passando per tutto quello che ci sta in mezzo. Qualche spiritoso un pòo melnètt teneva a specificare che più che del maièel, l è dla maièela ch a n s caasa vìa gniinta, … gnaanch … un péel.

 
**M**
·        Un vecchio detto emiliano dice: "Il maiale è come la musica di Verdi: non c’è niente da buttar via"; ma tipica di Carpi è nota anche questa variante: “Cum ée la stèeda aiéer siira la Bohème a teàater ?” (Come è stata la Bohème ieri sera a teatro?); la risposta era: “Cóome al ninèin, a n gh è gniinta da ṡbaater vìa” … come il maiale non c’era niente da buttar via.
1896 La bohème poster originale di Adolfo Hohenstein

·        Altra frase profondamente carpigiana è riferita a chi, di condizione modesta e di figura robusta, si veste per un’occasione con imbarazzate presunta eleganza. L’esito ridicolo della mise (sèmmper in francéeṡ) provocava questo tagliente commento “Al pèer un pòorch in landò!”,


Un landò

ovvero … sembra un porco su una signorile carrozza scoperta, nel senso che uno la propria natura non la può nascondere, nemmeno ricorrendo a disperati tentativi di elevarsi a una condizione che per substrato non gli appartiene. Una variante: “Te pèer un pòorch insimma a 'na fraasca! (sopra una frasca). Ma qui si indica la scomodità, non tanto l’ascesa sociale.
·        T ii indrée cóome la còvva dal pòorch! Sei indietro come la coda del maiale, cioè proprio che più indietro non si può. Una frase che si indirizza a persone che non sanno stare al passo coi tempi, antiighi o più semplicemente che non sanno tenersi aggiornate con le ultime novità.
·        Purtèer la tróoia al guadàagn. Portare la scrofa alla monta. Il doppio senso è fin troppo facile, anche senza troppi sforzi di fantasia.


·        Te gh ii da tèes cóome la codga al gràss! Ci sei vicino come la cotica - la pelle - al grasso (sono strettamente saldate). Quando una minaccia di botte è ormai vicinissima ad avverarsi. Ed esempio … una sculacciata per un bambino birichino, che non smette di far arrabbiare la madre.
·        Nome dialettale di una rinomata macelleria suina araba (ad absurdum): “Al Salàam!”.
**M**
·        Ai tempi del liceo, assieme a un numeroso gruppo di amici, c’era l’uso di frequentare alcune trattorie fuori Carpi; una sera l’allegra brigata si lasciò andare a pesanti eccessi verbali e a eruttazioni spassionate e continue (non prive per altro di un certo fondo artistico), così come è, da sempre, becero uso fra giovinastri sprudintèe (sprudentati) e senza timor di dio. Ciò suscitò fastidio e riprovazione nel locale. All’ennesima intemperanza, arrivò la reṡdóora con il fazzoletto in testa e le mani sui fianchi (tipica posa corporea delle nostre zone). Con una faccia seria e disgustata, ci fissò un attimo e poi ringhiò: “Àan i avèert i ciùuṡ?” (hanno aperto i locali di custodia dei maiali? Naturalmente i maiali eravamo noi.).
·        Quando in una compagnia maschile di amici, qualcuno si lascia andare a eruttazioni spassionate e artistiche, è facile sentir dire: “Al ghèerb l è brutt, mò al pòorch al stà bèin!(il garbo è brutto, sconveniente, ma il porco sta bene!). Oppure: “Sèet un pu(r)chìin mei?”(stai un po(r)chino meglio adesso?).
·        Al tèimp di póorch l éera un suspìir: al tempo dei maiali era un sospiro; lazzo di comico rimprovero indirizzato a chi si lascia sfuggire un rutto in pubblico.
·        A lavèers i pée a se stà bèin un dè, a tóor muiéera ’na stmaana, a masèer al póorch un aan: lavarsi i piedi si sta bene un giorno; a prendere moglie una settimana, ad ammazzare il porco un anno. Indubbiamente ci sono molte varietà di piacevolezze nella vita.
·        Anche questo è un aneddoto vero. All’inizio del ‘900, un contadino venne dalla campagna in piazza a Carpi per il mercato, eccezionalmente si portò dietro la moglie, che doveva acquistare alcune pezze di tela e altre cose per usi domestici. Il nostro, prima di separasi dalla moglie e andèer a fèer di interèesi cun di mediatóor, le disse: “A se vdòmm po’ a meṡdè … a l’Usterìa di Trii Pòorch”. La bettola era un modesto locale in via Berengario, prima dell’inizio del Portico di S. Nicolò. Essa era gestita da tre omoni molto in carne, belli rotondi e dai modi piuttosto grossolani. Insomma il tono complessivo del locale non era certo di alta raffinatezza. Tant’è che i carpigiani, cun al sóo buchiini saanti, affibbiarono loro il maleducato nomignolo, che ben si confaceva però alla situazione. Ebbene … la donna, che non era pratica del posto, individuò incerta il locale, e prima di scendere i due gradini all’entrata, infilò titubante la testa. Erano le undici e mezza e vide i tre gestori, con i loro grembiuloni bianchi, non certo immacolati, che erano lì a tavola a mangiare … prima di servire la gente. Timorosa e ingenua allora chiese: “Éela quèesta l’Usterìa di Trii Pòorch?” Uno dei tre, con una smorfia, dopo aver dato una rapida occhiata agli altri due, si alzò dal tavolo e rispose: “Mò sè, sgnóora! La vèggna mò dèinter, ch a sòmm chè ch a spetòmm la niméela!!
**M**
Ufficio Imposte di consumo. Addì 21/12/1942. Anno XX° Era Fascista. BOLLETTA di RISCOSSIONE -  Un suino uso privato di kg 100. IMPORTO:  0.89  Imposta princ.: lire 42.30 Macello lire 6.00 Imp. sull'ent. lire 0.20 Diritti acc. lire 2. Diritto stat.  lire 0.30  Bollo lire 0.20 Esatte in tutto lire 92,08. - Si osservi che il maiale ammazzato pesa appena un quintale (cento chili), l'animale sarebbe troppo leggero per la macellazione, evidentemente è ancora un porcello da crescita ... ma lo si ammazza anzitempo, perché forse in casa si ha poco cibo per ingrassarlo.

Antica scena di pcarìa



Un ricordo di Vanni Carpigiani sui giorni della pcarìa

Mi tornano alla memoria i ricordi di quando nella mia famiglia a Ravarino a s masèeva al pòorch a Ravarino.
Avevo circa 10 anni, alla fine degli anni ‘60, e con i miei coetanei e vicini di casa si giurava che avremmo assistito all'uccisione del maiale, ... ma in realtà io sono sempre arrivato, quando la povera bestia era già morto, anche se da poco.
Al pchèer, il macellaio, detto Bobo, era un uomo grande e biecamente corpulento con gli occhi segnati (come il grossone cattivo nei film di Chaplin); era lui il vero terrore di noi bambini ...
Bobo si divertiva a spaventarci e di tanto in tanto si lasciava sfuggire un sorriso, ma vi posso assicurare che vederlo vicino al pugnale insanguinato ... faceva paura, perché era capace di uccidere ...
Il pugnale era un coltello diverso da tutti gli altri e serviva solo per l'uccisione: si trattava di una specie baionetta. Questo cruento e affilato oggetto scatenava la nostra fantasia di bambini. Pensavamo: “Chissà quanto avrà ucciso quel pugnale e forse non solo maiali ?”
I grandi, (mio padre e mio zio), dicevano che nei macelli usavano la scossa elettrica per uccidere, ma non c'era nulla di meglio del pugnale, perché l'animale si dissanguava quasi completamente in pochi istanti, tutelando la qualità delle carni, con una brevissima sofferenza.
Immediatamente dopo l'uccisione il maiale veniva rasato e pulito perfettamente e tenuto con teli di juta e bagnato continuamente con acqua bollente.
Ricordo due giorni distinti, il primo era quello dell'uccisione, della rasatura, del togliere le interiora e tutti gli organi, che venivano “smontati” con arte senza danneggiarli … uno alla volta. L’enorme carcassa era sollevata con carrucola a tre pali e con un apposto colpo di coltello, assestato in un punto preciso dello sterno, veniva spaccato letteralmente in due, grazie alla cartilagine che univa le ossa.
La pcarìa si faceva sempre il secondo giorno. Procedendo con gli insaccati e con le budella ben lavate.
A volte si faceva anche la "salsiccia matta" una salsiccia di qualità meno pregiata, che conteneva parti di carne meno pregiata.
Già da allora ci raccontavano una vecchia barzelletta sui carabinieri nella quale uno di essi, fermando un contadino con un carro coperto, chiedeva:
“Cosa c'è sul carro?” Il contadino: ”Mezzo maiale!” E il carabiniere: ”Vivo o morto?” Si sa! I carabinieri spesso non sono delle nostre parti.
Non era raro vedere trasportare mezzo maiale, perché poteva capitare che due famiglie lo allevassero in società e poi facessero pcarìa separatamente.
Erano poi anche frequenti i furti di salumi e prosciutti appena macellati ... e non si dava certo la colpa agli stranieri. Al tale capitò che gli portassero via il maiale appeina fàat su!
**=M=**
Sandro Roveda racconta

Ecco un vivo ricordo del poeta Sandro Roveda originario di Migliarina.
Mi ricordo da bambino di aver dormito per anni in “dla càambra di salàam”, dove erano appesi a lunghe stanghe i salumi. Solamente che quando era ora di assaggiare quelle prelibatezze, la reṡdóora … mè mèeder, diceva sempre: “Porta pasînsia!” Ed io, un po’ risentito, mi rivolgevo a lei così …
LA CÂMBRA DÎ SALÂM
(grafia dialettale dell’autore)

-Quand’él mâma al mumèint          - Quando è, mamma, il momento
ed linsêr ‘na còpa, ûn salâm?                 di tagliare una coppa, un salame?
A’m vót própria fêr murîr ed fâm?  Mi vuoi proprio far morire di fame?
Ch’sa srâla po’                                Cosa sarà poi
despichêr da la pêrdga ‘na salsìsa, togliere dalla pertica una salsiccia
vót ch’à matìsa?-                            vuoi che ammattisca?
-Porta pasînsia Tugnètt,                - Porta pazienza ragazzino
te’n vèdd che al furmêint                       non vede che il frumento
quêši quêši l’è biònd?                    È quasi quasi biondo?
Pr’al méder, intóren a la têvla                Per il mietere, intorno alla tavola
a gh’gnirà al finimònd !                  verrà il finimondo!
E pò, a nè s’à mai                            E poi non si sa mai
ch’an vègna al caplân                     che non venga il cappellano
a bendîr la stâla,                            a benedire la stalla,
i ciûš, i srâj …                                e i luoghi dove teniamo gli animali
già l’îva dètt l’étr’ân,                      già l’anno scorso aveva detto
ch’andêva mât per chî nóster salâm! che andava matto per i ns salami!
E la tò mèstra,                                E la tua maestra,
e t’lît bêla descurdêda?                  Te la sei già dimenticata?
Se a’n fùss per cal persùtt              Se non fosse per quel prosciutto
a st’óra chè,                                    adesso
ed gh’avrèvv dî vót a c’sé bròtt!     avresti dei voti così brutti!
Dio d’bendìsa Tugnètt,                   Dio ti benedica ragazzino,
st’ii gulóš,                                      sei proprio goloso,
perché t’fêr caschêr la gòssa,         perché ti fai cascare la goccia,
t’ii šmanióš!                                   Sei smanioso!
Dai, mènga tòtt i gh’ân la tò furtûna, Dai, non tutti hanno la tua fortuna
ed durmîr tòtt l’ân                          di dormire tutto l’anno
in dla câmbra dî salâm!                  nella camera dei salami

                                      Sauro Roveda 

2010 - La caamra di salàam all’ AGRITURISMO Il LAGO dei SOGNI di Roberto Gherardi a Migliarina, qui in gentile compagnia di Anna Bulgarelli, una delle migliori cuoche e moderne resdòore di Carpi,  in visita al ristorante.


2010 - La caamra di salàam all’ AGRITURISMO Il LAGO dei SOGNI
di Roberto Gherardi a Migliarina.
**M**


























Aggiungo infine il mio …      
                                         Destìin purchìin
di Mauro D’Orazi
prima stesura 13-11-2012              v 22 del 20-12-2012

   

Alóora .. i mée ragàas ...stèe mò a sintìir …
L è mèi èsser …
* impichèe cóome un salàam?
* faat su cóome ’na còppa?
* strichèe su cóome un cudghìin ?
* insachèe cóome un salùmm ?
* còot cóome un persùtt ?
* schisèe cóome un grasóol (cicciolo)?
* ṡgranfgnèe da un feliino (pregiata qualità di salame)?
* ungèe da un ṡampòun?
* graas cóome la pansètta ?
* infumanèe cóome al spècch?
* sfaṡulèe cóome ’na salsissa?
* sfetlèe cóome ’na spaala?
* strulghèe cóome un strulghìin (salamino di prosciutto)?
 o èsser …
* bèel ciùunt cóome ’na murtadèela ?
Dgii mò la vòostra …
Mè? … Mè a gh ò bèlle pinsèe ...
Fa purr quèll te vóo,
mò a la fiin t ii sèmmper ciavèe! (ma alla fine resti sempre fregato!)

MaVro D’OraaSi (1)

**
 
Salame        e        cotechino




(1) Hanno contribuito Marco Giovanardi, Luisa Pivetti, Jolanda Battini e Graziano Malagoli.

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