mercoledì 9 gennaio 2013

Pipi e il Bar Scacco Matto - dialetto carpigiano carpi


Pipi e il  Bar Scacco Matto

di Fabrizio Pederzoli e Mauro D’Orazi

Foto di Alcide Boni
revisione a cura di Graziano Malagoli e Giliola Pivetti
stesura iniziale 01-01-2013                                              v23 09-01-2013

Alla fine degli anni ’70, Sergio Pederzoli era il titolare del Bar Scacco Matto (***) di Viale Guido Fassi che, con il Bar Stadio, rimaneva aperto praticamente tutta notte (orario di chiusura dalle ore 1,00 alle ore 4,00 con le pulizie del locale nell’intervallo).
Il Bar Scacco Matto doveva il suo nome a praticanti e maestri nel gioco degli scacchi, ma era frequentato da molteplici categorie di persone: turnisti del lavoro, cacciatori e pescatori che facevano colazione al mattino presto, medici ed infermieri del vicino Ospedale di Carpi.

1976 Pipi (Fantini) in Piazza con l’inseparabile pipa e il cappello da spasèin
(foto di Alcide Boni)

Tra le tante persone negli orari più strani frequentava il bar un personaggio caratteristico tale Alfredo Fantini, da tutti conosciuto come Pipi (o Pippi) Fantèin. Era facile incontrarlo tutti i giorni in piazza e vicino al Comune, con la pipa in bocca (da cui il soprannome) con un consunto e lurido berretto grigio, calcato in testa, “simil vigile”, ma che era poi un dismesso da spazzino regalatogli da chissà quale burlone. Spesso si dilettava a dirigere con ampi gesti delle braccia un traffico di veicoli che non esisteva se non nella sua mente, con una grande passione per ... il buon e abbondante bere.

1980 Pippi dirige la Banda cittadina di Carpi (foto di Alcide Boni)
All’evenienza si dedicava con perizia a dirigere anche la banda cittadina in giro per le strade della città. Aveva il viso paonazzo e la punta del naso ancor più arrossata, segni più che evidenti di recenti e ripetute bevute.
1976 Pipi dirige il traffico in Corso Cabassi cun al s-ciflèin da viggil (foto di Alcide Boni)
Non di rado tendeva arditi “agguati” vicino agli incroci del centro, uscendo fuori all’improvviso da un angolo; imbracciava un fucile immaginario e lo puntava verso uno stupefatto passante: “Bum! BUM!

Una mattina all’alba entrò nel bar Scacco Matto col naso già particolarmente arrossato ed esclamò:
"Ciao Sergio, daa m un bicéer d biàanch, mò èd cal bòun! (Dammi un bicchiere di bianco, ma di quello buono!)"
Nei bar del tempo era consuetudine mescere a singoli bicchieri vini e anche bibite economiche gasate. In quest’ultimo caso si trattava dell’indimenticabile spuma, prodotta in improbabili gusti e sgargianti colori anche a Carpi dalla ditta Casarini, Marri & Mazzucchelli in Via Trento e Trieste.

 
Marche di spuma

La spuma è una bibita analcolica soft drink a base di acqua gassata, zucchero, quantità variabili di caramello e aromi vari (tra cui, succo di limone, infuso di scorze di arancia, rabarbaro, vaniglia, spezie varie); il termine, generico, risale ai tempi in cui esistevano molti produttori locali di bibite gassate, per cui il nome delle singole marche era meno importante di adesso. Il termine è equivalente all'anglosassone "soda"..

La spuma al cedro era forse la più richiesta, ma c’erano anche all’arancia, al ginger, al chinotto e al limone. Ne esisteva poi una speciale bianca al moscato: una vera ciofeca, mal colorata, che tentava disperatamente di ricordare il vino dolce.
Sergio, preoccupato di gestire la situazione che è sempre critica quando c’è la presenza di un ubriaco in un locale pubblico, rispose a Pipi:
"A m è sóol rivèe ’na partiida èd vèin biàanch. Adèesa a t al faagh sintìir, acsè te m dii pò cum a t sèmmbra. (Mi è appena arrivata una partita di vino bianco. Adesso te la faccio sentire e poi mi dici come ti sembra)".
Pipi prese il bicchiere, ne osservò il colore già poco convincente, ma il sapore lo era ancor meno. Seppure ubriaco, dopo averne appena sorseggiato un poco, con una smorfia si rivolse al gestore, piuttosto arghgnèe (imbronciato, disgustato):
"Sergio! Pèr pòoch te l aabi paghèe, i t àan ciavèe! (Per poco che tu l’abbia pagato ti hanno fregato!)"

1982 Alfredo Fantini detto Pipi  in un ritratto di Matteotti Franco, detto Correggio
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(***) Pietro Arcolin ricorda bene il bar Scacco Matto, avendolo frequentato fin dagli anni iniziali con la famiglia Bulgarelli, i vecchi Adelmo e Elisa, il figlio Francesco che diede il nome al bar. Era il 1964 e tennero l'esercizio fino al ‘72; poi passò alla famiglia di Sergio Pederzoli. Lì si sono formati i gruppi di scacchisti di Carpi: il dott. Pollastri, Pedrielli, Massari, Marco Giovanardi, Pietro Arcolin, Amadei, Guaitoli. Parteciparono a molti tornei e vincendo a Reggio Emilia un torneo nazionale a squadre per non classificati. L'apertura mattutina delle 4 portava a incontri "meravigliosi" di personaggi di tutti i tipi più strani e particolari. Pederzoli istituì anche ogni anno una gara podistica per gli avventori,con mangiata finale.
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Alcide Boni (autore delle foto) ricorda che Alfredo Fantini era detto Pippi. Negli anni '70, frequentava tutti i bar del centro, avendo un'autonomia breve, a causa dell'alto consumo al chilometraggio. Una mattina andò al Caffè Teatro, al banco c'era il papà di Vittorio Garzon, Danilo, un uomo piuttosto rustico e dai modi decisi. Gli chiese col suo idioma di origine veneta:" Cossa ti vòl, Pippi? (Cosa vuoi ?)” E lui: "Dàa m un cafè corèet graapa!" (Dammi un caffè corretto con grappa!)” Ma Danilo, constatando il suo stato etilico più che evidente, gli rispose che non glielo avrebbe servito corretto, ma solo normale.
"Fa gniint! Dà chè listèss! (Fa niente! Da qui lo stesso)" Allora Danilo gli preparò il caffè; Pippi mise una mano nella tasca del suo sudicio e sdrucito cappotto e tirò fuori una bottiglietta di grappa semi piena e poi borbottò:"Bèè! S te nn èm la dèe mia tè ... la coresiòun, a gh la mètt mè! (Se non me la dai, la correzione ce la metto io !)” Così corresse abbondantemente il caffè e se lo bevve soddisfatto e tranquillo.

1974 - Danilo Garzon serve un Martini a un allegro avventore del Caffè Teatro
“No Martini! No party!” (foto di Alcide Boni)
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L’aneddoto di Pipi al Bar Scacco Matto ricorda molto quello di Guaitlòun.
Difficile dimenticare la figura di Erio Guaitoli, tipografo e gran brava persona. Negli anni ’70 lo si riconosceva facilmente dai capelli bianchi e dall’eterno purillo blu scuro che indossava. Gli piaceva raccontare di essere stato allievo della scuola professionale di don Benatti (sottolineando e calcando: cal bòun … però!! - per distinguerlo da altri omonimi), un ottimo sacerdote che operò a Carpi in aiuto dei ragazzi nei primi del ‘900, facendo in modo che imparassero una professione artigianale, che li avrebbe tolti dall’indigenza nella vita adulta senza arte,  né parte.
Erio narrava con allegra e divertita rassegnazione alcune vicende capitate al padre Guaitlòun, dovute alla allora molto nota debolezza del genitore nell’eccedere col lambrusco.
Prima della guerra si tenevano sempre al già citato teatrino LUX le rappresentazioni di una commedia a cura del Circolo di Filodrammatica di Carpi. Quella sera il teatro l éera piìin a martlètt, senza un posto libero. La scena si ambientava in un osteria; naturalmente tutto era finto, compreso il vino che era una brodaglia chimica di color rosso. Erio era un valente attore dilettante e faceva la parte dell’oste. A un certo punto arrivò dentro al teatro, nella semioscurità della sala, un omone in tabarro traballante, che cercava invano da sedere. Era suo padre Guaitlòun … già in ciarèina (ubriaco). Vide sulla scena un tavolo e qualche sedia libera. Con andatura molto incerta, fra le risate del pubblico, piano piano raggiunse il palcoscenico, scalando con fatica i gradini che lo separavano dalla platea. Finché, fra il divertimento generale, esclamò fra lo stupito e il soddisfatto: Mò vè! Mò vè … ch i àan avèert ’n’usterìa nóova! (Ma guarda che hanno aperto una nuova osteria). Al tòoṡ ’na scraana, al dà un cóolp cun la maan al tabàar e al s mètt a séeder. (Prende una sedia, da un colpo con la mano al tabarro per assestarlo e si siede, senza riconoscere il figlio truccato). “Óoo ! Ṡuvnòot purtèe m mò da bèvver! (Giovanotto! ordunque portate da bere!). Il figlio, imbarazzatissimo, pensò di assecondarlo, sperando che poi se ne andasse via, ma non trovò niente di meglio che versare l’intruglio di scena. Il vecchio prese il bicchiere e cominciò a bere lentamente, ma dopo pochi istanti sputò fuori schifato il liquido e poi diretto all’oste lo ammonì: “Óoo al mè umarèel, stèe mò atèinti che cun cla ròoba chè … cum a ii avèert a … srèe!!!” (Caro il mio omarello, state attento che a servire questa schifezza, come avete fatto presto ad aprire questo nuovo locale, altrettanto velocemente dovrete chiudere). Naturalmente venne giù il teatro.

Sempre Guaitlòun nel ’44 era uno dei pochi che non rispettava il coprifuoco imposto dagli occupanti; tuttavia i tedeschi, incontrando questo uomo barcollante e pensando certamente ai loro usi e costumi beverecci, erano molto tolleranti. Una sera lo incontrano sotto al portico di piazza e il nostro fece loro: “Spetèe mò ch a v caant ’na romaanṡa!” (Aspettate che vi canto una romanza) e quelli divertiti “ Ja! Ja!”
Con ritmo cadenzato e voce baritonale … allora attaccò:
Ooh rondinella pellegrina / che vai ballando sera e mattina / chi maagna al pèerṡegh / al chèega la rumèela! (Chi mangia la pesca/ deve poi cagare la romella!). Ubriaco sì, ma non tanto da non far loro un auguraccio simbolico e in prospettiva molto doloroso.

Quando Erio si sposò, pèr diir la bulètta ch a gh èera, per dire quanti pochi soldi c’erano allora, partì in viaggio nozze in bicicletta con la moglie sulla canna. Meta: al Vrée (Rovereto di Novi), dove il prete del luogo li avrebbe ospitati. Giunti a destinazione, era il giorno della festa del paese e c’era moltissima gente. A un certo punto Erio notò un fitto assembramento con gente che sghignazzava: al centro del nutrito rughlètt (gruppo di persone) era suo padre Guaitlòun che ubriaco fradicio teneva un irresistibile concione alla folla …





Norme di trascrizione del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                         martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                  méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                    bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                   bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                      vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)      cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                     ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sóol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch

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