In
bicicletta
con tabarro
e cappello
ricerca
fatta con amore da Mauro D’Orazi
PURTROPPO si fa fatica a caricare le foto
se volete il file completo scrivetemi a dorry53@libero.it
prima stesura 21-01-2014 v 69 del 14-11-2017
Anziani in bici col tabarro al ritorno dal mercato
di Carpi del giovedì
COME LEGGERE E SCRIVERE IN DIALETTO CARPIGIANO
Norme di trascrizione del dialetto
Le norme di
trascrizione adottate dal
“Dizionario del
dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Tabella per facilitare
la lettura
a a
come in italiano vacca
aa pronuncia
allungata laat, scaat,
caana
è e
aperta (come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e
aperta e prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e
chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e
chiusa e prolungata véeder,
créedit, pée
i i
come in italiano bissa,
dì
ii i
prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o
aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o
aperta e prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó, só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u
come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u
prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c
dolce (come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c
dolce e intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c
dura (come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g
dolce (come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g
dolce e intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g
dura (come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s
sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s
sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
**
Attenzione:
alcune parti sono state prese da ricerche su internet e inserite nel mio testo!
In
bicicletta
con tabarro
e cappello
ricerca fatta con amore da Mauro D'Orazi
È
bello immaginarsi per un momento Carpi di tanti anni fa; in una sera invernale
vedere passare ombre nere nella nebbia. Ombre d'un tempo, illuminate dalla luce
di lanterne o di fioche lampadine civiche.
A
passo lento, salmodiando da... uomini di notte, si dirigono all'osteria per bèvver
un pèecher èd cal bòun. Omoni, con la bicicletta nera Bianchi alla
mano, parlano delle loro cose... i ciacaaren d interèesi: il tabarro
scuro avvolto sulle spalle e il cappello in testa. Sotto l'abito portano il
gilet, da cui esce al catena dell’orologio.
**
Un
noto dizionario della lingua italiana così definisce il tabarro: ampio mantello
senza maniche da portare sopra il vestito o il cappotto. In soltanto due righe
vengono così condensati secoli di storia e di costume per un indumento che, in
certi periodi, è stato parte integrante dell’abbigliamento di poveri e ricchi,
ha rivestito militari e briganti, contadini e proprietari terrieri,
commercianti e ambulanti.
Antenato
e precursore del tabarro fu certamente il mantello portato dai romani, che lo
indossavano sopra la veste: era munito di cappuccio, veniva usato dai meno
abbienti (sia uomini che donne) e in seguito adottato anche dalle classi
nobili.
Facendo
un salto nel tempo scopriamo che questo tipo di indumento era usato anche da
Carlo Magno, il quale (tirchio com’era, ma preoccupato soprattutto del bilancio
del suo regno) preferiva la versione più “povera” senza cioè abbellimenti di
sorta, derogando solo in occasioni ufficiali quanto il mantello veniva chiuso
da una fibbia d’oro.
Questo
antenato del tabarro veniva adoperato soprattutto in inverno quando bisognava
ripararsi dal freddo, necessità primaria per sopravvivere nei tempi bui del
medioevo
Nel
1300 il tabarro veniva indossato sotto il mantello e si presentava con ampie
maniche ed era indossato da medici, magistrati, mercanti, ed ecclesiastici.
Nel
1500 il tabarro assunse connotazioni diverse. Esso veniva presentato come
un'elegante giacca, con maniche aperte sul davanti, portata dagli scudieri del
Doge, oppure veniva individuato come un indumento di stoffa scadente indossato
dai galeotti. Successivamente questo mantello cadde in disuso e per lungo tempo
fu adoperato per lo più dai pastori ed era tessuto di lana resa impermeabile.
Nel
1600 a
Venezia questo capo d'abbigliamento era simbolo dei cittadini della classe
semplice, detti appunto “da tabarro”, però era anche molto utilizzato dai
giovani patrizi che lo indossavano per le loro avventure notturne.
Successivamente questa moda conquistò anche le dame che vollero servirsi del
tabarro per aggiungere maestosa grazia alla figura femminile attraverso le sue
belle pieghe e i suoi pittoreschi panneggi.
E'
il '700, quindi il secolo del tabarro ove celeberrimo era quello da maschera
che completava il travestimento con un cappello nero con tre punte, definito
tricorno. Il tabarro era apprezzato da uomini e donne per nascondere l'eleganza
suntuosa dei vestiti e dei gioielli banditi entrambi dalle leggi della
Repubblica e come garanzia di anonimato. Tramite questa segretezza di identità
uomini e donne si permettevano di vivere esperienze lussuriose oltre ogni
limite. Persino "preti e monache per forza" usavano il tabarro da
maschera per erotiche avventure e licenziosi incontri. Sotto di esso potevano
nascondersi la più gran nobiltà, la plebe più vile e i delatori più insigni.
Nel
1800 portare il tabarro lungo e a ruota completa era come un punto d'arrivo per
una persona, in seguito il tabarro sopravvivrà per tutto il secolo, pure
contrastato dall'affermazione di nuovi tipi di soprabito.
Nel
primo Novecento il tabarro, differenziato per ampiezza e tessuto, era ancora
indossato d'inverno da tutti, dai contadini, ai soldati, ai... notai: "♫ ♪ Porto il tabarro a ruota e fo il notaio ♪ ♫ ", si cantava negli anni '30 sulle note della canzone
"Signorinella Pallida", in cui questo indumento diventa emblema di
potere economico consolidato.
Successivamente,
soprattutto nel secondo dopoguerra, il cappotto soppiantò definitivamente il
tabarro, che rimase diffuso unicamente nelle campagne e nei piccoli centri
agricoli come abbigliamento popolare.
In
Italia, durante il Fascismo, viene considerato un elemento d'ispirazione
anarchico - sovversiva con l’abbinamento di cravatta fiocco o a stringa e
soprattutto in città si tende a ostacolarne l’uso. Infatti poteva contribuire a
celare l'identità e consentire di nascondere le più svariate cose; alcune
prefetture arrivarono, a discrezione, a limitarne se non addirittura a vietarne
l'uso.
Ad
ogni modo Emilia Romagna e Veneto, e in genere tutta la pianura padana, furono
le zone dove il tabarro ebbe più fortuna: il suo uso era generalizzato per
combattere il clima invernale, nebbioso e umido che entrava nelle ossa.
Cosa
meglio di questo indumento di lana per proteggersi?
Nella
nostra regione bisogna aggiungere anche il fato che tutti andavano in
bicicletta per spostarsi e vento e freddo non penetravano in quella speciale
“corazza” indossata sopra gli abiti. Fino al secondo dopoguerra, l’uso del
tabarro non conobbe fine, almeno tra le classi meno ricche.
Leggendo
i vari Don Camillo di Guareschi, nei racconti ambientati durante l’inverno, si
legge spesso che “Don Camillo, preso il pesante tabarro, se ne avvolse e inforcò
la bicicletta…”. Segno evidente dell’uso quotidiano dell’indumento.
Ma
il tabarro aveva molte proprietà: oltre a non permettere al freddo e alla
pioggia di penetrare i vestiti, rappresentava anche una forma di protezione, di
isolamento dal resto del mondo. Come dentro a un bozzolo, la persona col
tabarro si sentiva più sicura. I proprietari terrieri delle nostre zone, che
giravano in bicicletta per la pianura, indossavano il tabarro, sotto al quale
portavano in tasca qualche strumento atto a difendersi da eventuali
malintenzionati.
Si
dice che persino Giuseppe Verdi, nella sua tenuta di Busseto, girasse così
abbigliato, portando sotto il tabarro, una pistola di piccolo calibro.
Non
dimentichiamo il tabarro militare grigioverde della prima guerra mondiale,
indossato anche da re Vittorio Emanuele III.
Ecco
una poesia di Cesare Zavattini, nel suo dialetto di Luzzara (Reggio Emilia),
che evoca il tabarro della pianura, delle nebbie e delle bicicletta.
I porta ancora al
tabar da li me bandi
I porta ancora al tabar
da li me bandi.
A ghè an vèc dal Ricovar Buris-Lodigiani
c'al sgh'invoia dentr'in fin i oc
cme s'al vrès dir
a vöi pö vedr'ansön.
I par usei
la gent in bicicletta.
Apena al pé
al toca ancor la tera
a turna in ment
col c'i evum vrü smangà.
**
Portano ancora il tabarro dalle mie parti
Portano ancora il tabarro
dalle mie parti.
C'è un vecchio del Ricovero
Buris-Lodigiani
che vi s'involta dentro fino agli
occhi
come volesse dire
non voglio più vedere nessuno.
Sembrano uccelli
la gente in bicicletta.
Appena il piede
tocca ancora la terra
torna in mente
quello che avevamo voluto scordare.
**
Questa strana foto databile fine ‘800, dovrebbe raffigurare
fra i tanti intabarrati 1° da sn Ciro Caliumi, detto Panfiili, cazolaio
garibaldino, partecipò sbarco dei Mille. Ma… la foto è ritoccata spudoratamente
e negli elenchi dei Mille... Caliumi non risulta
Siamo alla fine del 1800 e le bici non erano ancora
diffuse
In piazza a Carpi si incontrano
mediatori col tabarro, discutono e fanno affari
**
1915 – La foto raffigura il tenente Setti di Cibeno
di Carpi
L’elegante mantellina militare degli ufficiali della
Prima Guerra Mondiale ricorda molto il tabarro civile
Anche
oggi è possibile vedere gli ufficiali indossare un elegante tabarro, sebbene
ormai raramente, abbinato all’alta uniforme da cerimonia.
C’è
il “Boatcloak”, ad esempio, il mantello dai marinai e dei marines americani
UMSC; esso viene indossato occasionalmente con la uniforme da sera. Per i
marines è in tessuto blu scuro foderato in sgargiante organza scarlatta.
L'appassionato
storico carpigiano Gianfranco Guaitoli, ufficiale e gentiluomo di
marina così mi scrive: “Per quanto riguarda il tabarro (chiamato anticamente
anche ferraiuolo), più o meno foderato, viene usato anche oggi dai militari.
In
Marina c'è quello completamente blu marina con fodera in raso nero e sui baveri
le stellette, chiuso al collo con un fermaglio di metallo dorato. Si usa in
alternativa al cappotto, secondo le esigenze e le disposizioni impartite. Ma
anche nelle altre Forze Armate (Esercito, Aereonautica, Carabinieri, Guardia di
Finanza) o Corpi Armati dello Stato (Polizia, Forestale, Polizia Penitenziaria)
viene, seppur raramente usato, soprattutto per alcune cerimonie o occasioni
speciali.
Ne
ho avuto uno anch'io, ma se era comodo quando andavi a piedi, era scomodissimo
quando guidavi un'auto o avevi le mani impegnate. L'ho dismesso, assieme agli
altri capi di abbigliamento quando mi sono congedato. Ho solamente tenuto la
sciarpa azzurra da Ufficiale e il solino (bavero) celeste da marinaio.
Al tabaar di vilàan (dei villani), cioè dei contadini, era pesante e
rovesciabile. Era di buon tessuto e durava una vita. Poteva essere anche
oggetto di pegno al Monte di Pietà, in quanto valeva una certa cifra. Quello
dei signori era di seta o di mezzalana, costava di più e copriva di meno. Sulle
manopole poi delle biciclette, spesso c'era una pelle di coniglio rovesciata
per tener calde le mani."
**
1925 ca – Tabarri da gran signori sull’Orient
Express
In questa splendida foto del 1915 circa vediamo una bella bambina con “tabarrino” e cappuccio; di fianco il suo simpatico e molto attento “cagnone”.
1920 circa – Carpi - Negozio di stoffe e tabarri in
Piazza Martiri, allora Vittorio Emanuele
1920 ca - Carpi - Corso Alberto Pio - Bici e tabarro
Romano Saccani Vezzani - carpigiano emigrato a
Milano – Nebbia e tabarri
Mediatori in piazza a Carpi
Il queste tre belle foto di Alcide Boni vediamo la Piazza di Carpi frequentata ancora da tanti intabarrati. Saranno gli ultimi! Siamo a metà degli anni ’70.
Il queste tre belle foto di Alcide Boni vediamo la Piazza di Carpi frequentata ancora da tanti intabarrati. Saranno gli ultimi! Siamo a metà degli anni ’70.
Il tabarro è sulle spalle. La stagiòun l’è adrée ch la
caambia.
Anni ’70 Domenica mattina in Piazza a Carpi
Chi
gh à la tèesta più gròosa?
Indicativa
di una certa separazione fra città e campagna è questa poesiola del 1961
apparsa sul numero unico satirico LA SCORSA di quell’anno.
Anche
qui troviamo la presenza del cappello e del tabarro come caratteristiche
peculiari dal vilàan ch al gnìiva a Chèerp da la campaagna pèr fèer di interèesi
(del contadino che veniva a Carpi dalla campagna per fare degli interessi,
degli affari).
Il
cittadino intra moenia (nato
all’interno della mura), anche se al gh ìiva al pèesi in dal cuul (anche
se aveva le pezze nei pantaloni), guardava con sussiego e chi veniva da fuori.
Il
tabarro doveva resistere alla pioggia leggera, quella cosiddetta appunto a
“frega-villano”, perché, nebulizzata, sembra ingannevolmente che non bagni e
invece ti ritrovi móoi spóolt (bagnato fradicio) a tua insaputa. La
tgniiva a bòota (contrastava dignitosamente) anche alla nebbia bagnata
e sgrondava l'acqua esternamente alle ginocchia, se non addirittura ai piedi.
I tabarri più lussuosi pèr i sgnóor erano di
lana leggera e morbidissima, erano doppi o, come si diceva, a "due
dritti", a duu dritt , di colori scuri in cadenza cromatica, ma si
trattava di oggetti molto costosi e quindi rari. Oggi li definiremmo mantelli a
ruota double-face di alpaca o
vigogna.
Un distinto signore intabarrato con la fidata
bicicletta al fianco
Adottato
da notai, dottori, avvocati e proprietari terrieri, nel tempo questo capo fu
reso più “civile” utilizzando materiali meno poveri, applicandovi colli di
astrakan (sostituti di quelli di coniglio) che donavano al capo quel “ché” di
signorile che lo distingueva dalla rozza mantella dei pastori dalla quale in
definitiva derivava.
Realizzare
un bel tabarro non era cosa facile; erano necessarie due persone a causa delle
dimensioni del tessuto.
La
ruota, con una sola cucitura sul dorso e l'orlo tagliato a vivo, è più corta
davanti per facilitare il passo.
**
1950 ca – Tipica caparela
bolognese
A
Bologna e in molte altre parti della regione (in Romagna in particolare) al
tabàar prende in nome di caparela
e talora poteva essere dotata anche di cappuccio.
Ecco
una testimonianza anche dalla Romagna:
1970 ca - Ecco un verace romagnolo con gran baffo e
capparella
“Il
tabarro era presente anche in Romagna, chiamato al femminile "la
caparèla".
Ma
ATTENZIONE: la capparella, serviva anche a nascondere armi, fucili, spade;
nessuno sapeva mai se sotto si era armati o no, così che se uno aveva un
atteggiamento spavaldo, si girava al largo...”
Il Passatore Cortese (Stefano Pelloni) in capparella
e… schioppo
1950 ca - Xilografia di Pino Stampini (Santhià 1905 - Roma
1992)
1978 - Il Passatore nell’interpretazione del grande
Magnus (Roberto Raviola)
L’uomo di Lugo - L'uomo dalla schioppa
d'argento
Inoltre
la capparella era comoda anche per trasportare qualunque cosa poco ingombrante
che non si volesse far vedere a tutti: per esempio portare al mercato uova o
polli, o un cesto d'uva o di frutta o mercanzie varie. Cose che non si volevano
far vedere al padrone. Permetteva di nascondere le braccia e le mani, era così
ampia e di una comodità unica.
**
Come nel film Amarcord
di Fellini:
persi in
mezzo alla nebbia con tabarro - metafora della vita.
"Strano
camminare nella nebbia !
Solinga
ogni pianta, ogni pietra,
di
tutti questi alberi, l'uno
l'altro
non vede. Solo è ognuno."
H.
Hesse
Questa
poesia, insieme all'immagine conosciutissima di Luigi Briselli, rappresenta
benissimo la sensazione di chi cammina nella nebbia... il senso quasi di
smarrimento che si percepisce...
Tabarri sul Po
1950 Traghettino sul Po – Tabarro e biciclette
1965 ca – Tabarro sul ponte di barche tra Sermide e
Castelnovo Bariano
La lavorazione
La lavorazione
Il
tabarro era nato con i primi tessuti ruvidi e grossolani, che hanno sempre
coperto senza forma chi li portava. Col tempo, quella foggia lenta e sgarbata è
mutata in un modello sciolto e fluente che oggi, con il suo vestire così
particolare, fa tanto artista, nobiluomo, intellettuale.
Se
ti passa davanti un intabarrato, è impossibile NON notarlo con una certa
ammirazione.
Al
tabàar aveva vari
confezionamenti, ai quali corrispondevano costi differenti; variava la
protezione offerta, la comodità del drappeggio e le capacità protettive:
a
tutta raanda = un giro completo
di stoffa
a
trii quèert èd giir = tre
quarti di giro
a
mèeṡa raanda = metà.
Esisteva
anche la tabarèina che era un corto tabarro, forse per le mezze
stagioni, per chi poteva permettersela.
La
lavorazione di questo capo richiede circa sei metri di tessuto; esso viene
tagliato a ruota, su un tavolo d’appoggio molto grande, e viene steso con
grande cura per evitare anche la minima bolla d’aria.
Questo
capo è di taglia unica, eventualmente lo si accorcia in base all'altezza del
futuro proprietari. Richiede una certa abilità del sarto, in quanto il taglio è
"a vivo", cioè il tessuto viene tagliato dalle forbici senza
provvedere ad orli o cuciture, eccetto che quella che passa lungo la schiena.
Ciò è dovuto al fatto che il tessuto è compattato e non sfilaccia, cosa che
dipende sia dal tipo di stoffa, ma anche dall’abilita’ del sarto. Questa
lavorazione è una vera e propria opera d’arte.
**
USCIRE DAI GANGHERI
Vi siete mai chiesti da dove deriva questo detto?
Tutti noi sappiamo il significato, cioè quando una persona esce dai
gangheri, vuol dire che si è arrabbiata davvero! Ma perché si dice cosi?
Una possibile interpretazione, la più comune, è
riferita ai cardini di una porta.
Eppure è anche un’ espressione strettamente legata al tabarro.
Eppure è anche un’ espressione strettamente legata al tabarro.
Per trattenere il mantello sulle spalle, si
applicano ai lati del colletto i cosiddetti “mascheroni”, che sono placche
generalmente argentate, unite da una catenella.
Ma nei tabarri
d’uso popolare, il gancio che ha questa funzione si chiama “ganghero”.
Da qui “uscire dai gangheri“, quando una
persona molto arrabbiata a causa dell’ingrossamento della vena del collo,
spezzava questo gancio.
Relata
refero, anche se mi resta qualche
dubbio su tale interpretazione.
Elementi del tabarro
COME INDOSSARE IL TABARRO
Quale sensazioneindossare un tabarro, in
una giornata dove la pioggia sottile si trasforma in nebbiolina! Niente può
battere il lusso di avere della lana calda e comoda che drappeggi il corpo
infreddolito.
Il tabarro
si indossa chiuso sotto al mento, gettando un’estremità sulla
spalla opposta, in questo modo si avrà il corpo avvolto e al caldo.
Il tabarro è un capo maestoso importante nonché
pesante e quindi bisogna saperlo indossare.
La prima cosa da tenere in considerazione è la
statura. Bisogna evitare di indossare il tabarro lungo se non si è abbastanza
alti, per evitare l’effetto dal pilètt (piletto di piazza) o
del “nano malefico”. In caso si altezza contenuta è meglio scegliere un capo
corto e adeguato
Una tabella molto significativa che spiega
visivamente l’effetto della lunghezza del Tabarro su persone di diverse
stature, è la seguente:
Essendo un capo importante, ci vuole anche una certa
abilità e propensione all’utilizzo di questo capo per indossarlo con
disinvoltura. Sarà dunque necessaria un po’ di prativa visto che il tabarro non
passa di certo inosservato.
Un’altra cosa da tenere in considerazione, sono gli
eventi atmosferici. Il tabarro è
un capo pesante, per cui va indossato
con un clima adeguato.
Importante è anche considerare il proprio stile di
vita: il tabarro è ingombrante, per cui se si effettuano molte salite e discese
dalla propria auto, è consigliabile una la versione corta, cioè quella nata per
dare la possibilità di salire e scendere dal cavallo o bicicletta agevolmente.
Tabarro e cavallo: oggi come una volta
**
Ai primi freddi, il
contadino tirava fuori al tabaar, il
mantello a ruota tipico della tradizione popolare, che ha lontanissime origini
e radici nella memoria di molti italiani...
Mediatori in azione
1950
ca – due contadini intabarrati trasportano una damigiana in campagna
1950
Il postino di campagna con bici e tabarro
Era
un duro lavoro, una volta, fare il postino nei luoghi di campagna, spesso zone
molto estese, raramente abitate con case lontane le une dalle altre, con strade
sterrate, sassose, cani all'erta che li rincorrevano. Però il postino diventava
un punto di riferimento, spesso leggeva le lettere a chi non lo sapeva fare,
scriveva indirizzi, imbucava la posta per chi stava lontano dal paese e sapeva
di lettere attese, di notizie tristi e allegre.
**
Freddo
in maggio
Ogni
tanto capita di dover subire un maggio freddo e piovoso; i vecchi (praticanti)
di una volta usavano questa frase: “Mò
dièevel caan! St aan a s tòcca andèer al rusàari cun al tabaar!” Accidenti!
Quest’anno si tocca andare al rosario (nel mese di maggio) con il tabarro.
**
Fèer
tabarèina significa fare
mulinello; un vorticoso gioco da ragazzini a movimento circolare; in due,
prendendosi con le mani incrociate, si gira sempre più rapidamente in tondo e
facendo appoggio dinamico sulle punte dei piedi. La forza centrifuga fa il
resto.
**
Al tabarèin era una corta mantellina usata dai barbieri per proteggere i vestiti dei clienti dai fastidiosi capelli tagliati. Da non confondere col Bal Tabarin (tabarèin in dialetto) che era un locale notturno di varietà e spettacoli, talora opportunamente peccaminosi.
Al tabarèin era una corta mantellina usata dai barbieri per proteggere i vestiti dei clienti dai fastidiosi capelli tagliati. Da non confondere col Bal Tabarin (tabarèin in dialetto) che era un locale notturno di varietà e spettacoli, talora opportunamente peccaminosi.
Al
tabarèin da barbéer
In queste due foto di metà degli anni ’50
(gentilmente concesse dal collezionista Romano Cavalletti) vediamo l’uso dal
tabarèin da barbéer a Carpi, presso l’allora notissima bottega di
Egidio Violi, detto Mirco, in Corso Cabassi sotto al portico
1970 ca - L'antiquario collezionista Alberto Lodi
cinto cun al tabarèin
dal noto barbiere Ilario Gualdi (Banana)
Al
tabarèin da barbéer
**
Al
Baal Tabarèin c’entra solo per
assonanza nella parola e nella sua pronuncia, ma ugualmente è piacevole a
vedersi
**
Negli
anni ’50 anche un camaràant èd Fòosel era soprannominato Tabarèin per la corta
mantellina che indossava abitualmente.
**
Per
rimanere il Francia, ecco i noti ritratti - manifesto di Henri de
Toulouse-Lautrec che ritraggono “il poeta del tabarro” Aristide Bruant (1851-1925), universalmente considerato un il “padre
nobile”, l’antesignano degli chansonnier
francesi del ‘900.
Vestito
con una camicia rossa, giacca di velluto nero, stivali alti, e una lunga
sciarpa rossa, e tabarro, il cantante Aristide Bruant divenne una stella di
Montmartre.
**
Molto
noto è un modo di dire che si riferisce all’improvvido che non sa fare i propri
affari e conclude le proprie transazioni con clamorose perdite.
Da
un tabàar al gh à cavèe ‘na brètta,
cioè dall’ampia stoffa di un mantello è riuscito a ricavarci una minuscola
berretta.
**
Una
persona è intabarèeda, quando è avvolta ben bene dal proprio mantello;
romanzi d’appendice non solo per difendersi dal freddo, ma per non farsi
riconoscere al momento di una mala azione.
Oggi
si può usare questa espressione in modo scherzoso nei riguardi di chi, anche
con un semplice raffreddore o ai primi anche lievi abbassamenti di temperatura,
esce di casa oltremodo vestito e imbacuccato.
Luisa Pivetti (Carpi) ricorda: "A proposito dl'intabarèeda,
ci fu un episodio vero che accadde nella nostra campagna a Fossoli nel 1931.
Il
motivo della feroce disputa era la conquista di una ragazza che interessava a
due ragazzi differenti.
Il
rivale, accompagnato da un gruppetto di amici tutti intabarrati e
irriconoscibili, gettò il fidanzato nel fosso, ricoprendolo di botte, insulti e
intimidazioni.
La
serata era fredda e nebbiosa, il malcapitato si ritrovò zuppo fradicio e con le
ossa a pezzi.
L'evento
passò di bocca in bocca e il moroso, a scanso di nuove intabarèedi, decise di
portarsi a casa la prediletta. Cioè al l à faata scapèer, sposandola
solo in seguito.
**
Un modello di tabaréera in legno
A
Carpi esiste anche un apposito arredo nelle case per deporre adeguatamente il
capo: la tabaréera. Essa consiste in un lungo attaccapanni a parete
in legno o metallo, non di rado con schiena. Spesso è anche dotato in basso di
comode nicchie per collocare i bastoni da passeggio con funzione anche di porta
ombrelli; i parapioggia appoggiano la loro punta gocciolante su un apposita
lamina zincata e ricurva che raccoglie l’acqua impedendo così di allagare la
loggia. In alto ci può essere un apposito ripiano per riporre comodamente i
cappelli (sempre se uno se lo fosse tolto... ovvio!)
Un
noto industriale di Carpi aveva, chissà perché, come scutmàai... Lèelo
Tabaréera, forse per la sua postura rigida e dritta come
l’appendiabito.
**
Il
nostro bel Teatro Comunale di Carpi ha poi ospitato varie interpretazioni del
cosiddetto Trittico di Giacomo
Puccini; tre brevi atti unici: Suor Angelica, Gianni Schicchi e… Il Tabarro.
La
più cupa tra le opere di Puccini imperniata sull'idea del tempo che passa,
incarnata metaforicamente dall'ora del tramonto, dalla stagione autunnale e
soprattutto dal lento, inesorabile scorrere del fiume, intorno al quale
l'intera tragica vicenda si sviluppa.
È una storia di sangue e di coltello, un perfetto Grand Guignol, ricavata da Giuseppe Adami sulla base de
La Houppelande di Didier Gold, pièce
teatrale che folgorò Puccini dopo molto anni di ricerca per un soggetto che
davvero lo avvincesse.
**
Altre
citazioni dotte, che non guastano mai e danno prestigio al testo:
*acciò che tu mi creda io ti lascerò
pegno questo mio tabarro.
(Boccaccio);
*il nonno ora stava meglio, e lo
mettevano sull’uscio, al sole, avvolto nel tabarro (Verga).
**
2014 Un tabarrato d’oggi a un mercatino
1966 Romagna - sabato in città per fattori, sensali,
compratori e venditori di cose di campagna... e ancora con le capparelle
Paan, gabàan e bastòun pèr i caan. (Pane per sfamarsi, un lungo
mantello con cappuccio per il freddo e la pioggia e un bastone per difendersi
dagli animali e talora dagli umani). Questi elementi costituivano il bagaglio minimo e
necessario dei un viandanti d’altri tempi.
Se si presta un po’ di attenzione a
questo modo di dire e se ne approfondisce il significato simbolico, celata
dalla apparente banalità del detto, si svelerà il senso profondo del “viaggio”
dell’uomo, ovvero il suo percorso di vita.
Per un’esistenza attrezzata e consapevole
ci sarà bisogno di cibo per sopravvivere in modo dignitoso, di una protezione
dalle negatività, dai disagi esterni, dagli imprevisti e di un’arma sempre
pronta per difendersi da chi ti vuole aggredire e mettere in pericolo.
Variante… Paan, umbrèela e gabàan tóoi
tèegh in viàaṡ! Pane, ombrello e
gabbano prendili con te in viaggio.
La saggezza antica dava al pane valore di viatico,
assieme ad altri due modesti, ma tanto utili oggetti.
Tàaia al
gabàan seconnd al paagn t gh è in maan! Taglia il gabbano a seconda del panno che
hai in mano. Per saggia similitudine, è opportuno regolarsi in conformità alle
proprie risorse nel fare le spese. E anche con le persone, muoversi e
comportarsi in conformità del loro censo, posizione sociale, ecc...
***
MOMENTI DRAMMATICI
MOMENTI DRAMMATICI
Il
tabarro e la bicicletta hanno anche avuto dei momenti storici molto bui;
parliamo del periodo di occupazione tedesca dell’Italia del nord e quindi anche
della nostre zone dal 1943 al 1945.
1944 e 1945 – A Carpi così come a Modena e a Bologna
arrivarono le proibizioni di girare in bici e in
tabarro
Il timore che fascisti e tedeschi
avevano per le azioni dei partigiani li spinse a prendere provvedimenti sempre
più restrittivi che ebbero immediate conseguenze su tutta la popolazione sia a
Carpi e che a Modena. Si vietò di indossare mantelli, tabarri e giacche a
vento, di girare in bicicletta nelle ore serali, di portare, persino, le mani
in tasca. Ciò era dovuto al fatto che i partigiani, specie in pianura, erano soliti
nascondere le armi sotto tali larghi indumenti.
Tali provvedimenti vennero però presi
proprio nel periodo invernale, e l’inverno del 1944-‘45 fu uno dei più rigidi
degli anni di guerra, provocando non pochi problemi di salute soprattutto a chi
doveva recarsi a lavorare e non poteva ripararsi dal freddo.
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1965 ca. La nipotina torna da scuola accompagnata
dal nonno
che indossa
il tabarro
Luisa Lancellotti (Carpi) ci regala questa bel ricordo: "Alla
fine degli anni '50 frequentavo le scuole elementari Montegrappa in via
Guastalla; d'inverno, quando nevicava, non potevo andarci in bicicletta.
Fortunatamente avevo un caro zio, Enore, che mi caricava sulla canna della sua
bici e mi avvolgeva completamente con il suo tabarro. Ero completamente protetta,
al caldissimo e vedevo comunque la neve della strada."
Gianfranco Guaitoli (Carpi):” Nella foto qui sopra si vede il classico
vilàan (villano), cioè abitante delle ville, come anticamente
chiamavano le frazioni. Bicicletta di ferro pesantissima, manicotti di pelle di
coniglio rovesciata sulle manopole del manubrio, fondo dei pantaloni tenuto da
due mollette in modo che, svolazzando, non andasse fra i raggi delle ruote e si
sporcassero. Il luogo mostra una piccola salita, forse dopo c'era un ponte su
di uno dei numerosi canali di irrigazione che solcavano le nostre campagne.”
1960 ca Verso casa con bici e tabarro
1926 Carpi con la neve – Un anziano intabarrato
1990 ca – In questa foto di Alcide Boni vediamo
ritratto in Piazza uno degli ultimi carpigiani che indossava il tabarro: il
sig. Rino Bonaretti
Ultimi tabarri
Il cappello del contadino
Il cappello del contadino
Eccoli! Don Camillo e Peppone in bici, sotto il
cocente sole della pianura padana, con l’immancabile cappello, di rispettiva
competenza, in testa
È
fin troppo facile partire con una citazione del grande Guareschi in Don Camillo
e Peppone. La splendida voce narrante, del grande doppiatore Emilio Cigoli del
primo film (1952) della fortunatissima serie, esordisce con una famosa frase:
"Cose che succedono in quel paese, dove il
sole picchia come un martello sulla testa della gente ... "
Queste
parole sono dedicate a chi nasce, vive e lavora nella nostra pianura padana
assorbendone tutti gli umori e la sostanza più intima.
Con
questa situazione meteorologica era più che naturale che, chi lavorava
costantemente all'aperto, si dotasse di un efficiente e protettivo cappello.
1950 ca - Un contadino della nostre zone
Ma torniamo a parlare del cappello che al cuntadèin (al vilàan, al vilaagio, al biirto, al falèo, al
bióolch) portava perennemente piantèe,
incagnèe in simma a la masòocla (calcato sopra la testa), tanto da
diventare un fattore di bonaria presa in giro.
Il contadino in effetti non se lo toglieva mai, o quasi, e quando
capitava si distingueva chiaramente il segno orizzontale dell'abbronzatura (non
certo balneare) sulla fronte, che
contrastava con il pallore del resto della testa, soprattutto in presenza di un
po' di calvizie.
Qualcuno sosteneva che lo portassero anche a letto!
C’è infatti una leggenda che narra che i contadini si grattino la
testa (la mlòuna), quàand
la gh fa spiùura (quando fa
prurito), senza togliersi il copricapo.
Capitò una volta che un carpṡàan intra moenia (latino: nato dentro a le antiche mura, progenitore di
noi attuali caghìin o cagòun carpṡàan) vide la scena e
si divertì a prendere in giro il contadino, il quale però ebbe la battuta molto
pronta e gli rispose beffardamente: “Bè
’sa gh è? A tè quàand a t fa
spiùura al cuul, t chèev èt al
brèeghi? (Bè allora? Tu quanto
hai prurito al sedere ti togli forse le braghe per grattarti?)”
Negli anni ’70 - ’80 succedeva, non di rado, che, percorrendo
in auto al stradòun pèr Mòodna,
in particolare al lunedì mattina, giorno di mercato e di mediazioni nel nostro
capoluogo, si arrivasse dietro un'auto di
piccola cilindrata (una Fiat 500, 600 o 850) che percorreva i lunghi rettilinei
della provinciale molto lentamente; il veicolo aveva davanti il vuoto e dietro
una lunga coda si automobilisti imprecanti.
Un giorno io ero di fianco a mio padre che diventava sempre più
nervoso per la lentezza; finalmente
superiamo l'auto e io intravedo la tipica sagoma al volante:
"Che cià il cappello?!" mi chiede scocciato mio padre
col suo accento laziale.
"Sì!"
"E te pareva!"
Però a onor del vero, al di là delle facili ironie, i contadini
quanto entravano in casa d’altri (o in
céesa) si toglievano il cappello e chiedevano:
“A s póol
gniir? Pòos ia gniir dèinter?”
Un bracciante con l’immancabile cappello in testa
riposa all'ombra,
appoggiato alla sua fida bicicletta.
***
Braccianti con la loro bici e gli attrezzi
***
1998 ca Uomo col tabarro del dr Carlo Contini
Figure intabarrate del dr Carlo Contini
1965 ca - Un contadino avvolto nel suo tabarro fra
la nebbia padana di fianco a un canale (Nonantola Archivio Giambattista
Moreali)
Roberto Carnevali interpreta il ritorno a casa in
questa foto bellissima
Continua a piovere e il tabarro è ben bagnato; Paolo
Conte ci racconta:
..."noi che stiamo in fondo alla campagna / e
abbiamo il sole in piazza rare volte/ e il resto è pioggia che ci bagna...”
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