Testo iniziale luglio 2013
V37
del 02-09-2017
Pretonzoli
o signorotti
manzoniani?
Accrescitivi
personalizzati
Signorotti
e preti: Don Rodrigo e Don Abbondio
di Mauro D’Orazi
Norme
di trascrizione e lettura del dialetto
Le
norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario
del dialetto carpigiano - 2011”
di
Anna Maria Ori e Graziano Malagoli
Tabella per
facilitare la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat, scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi, mé
ée e chiusa e prolungata véeder, créedit, pée
i i come in italiano bissa, dì
ii i prolungata viiv, vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó, só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa,
casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’ , òoc’
cc’ c dolce e intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch, spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’, alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh, siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper, sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa)
atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
Pretonzoli o
signorotti manzoniani?
Accrescitivi
personalizzati
di Mauro D’Orazi
Premessa
(tratta da Wikipedia)
Don è un termine
comunemente utilizzato, a partire dalla metà del Duecento, come prefisso al
nome, per indicare nobili del patriziato milanese e napoletano, principi,
duchi, marchesi di baldacchino, ecclesiastici e religiosi. Don è
l'abbreviazione della parola donno in uso ancora ai tempi di Dante, ma non più
conservata, la quale deriva dalla parola latina dominus, che significa signore,
padrone. Propriamente "don" non costituisce un titolo, ma è un
trattamento.
Al
di là dell'uso onorifico, è stato in seguito usato per chiamare i preti
diocesani della Chiesa cattolica, detti anche clero secolare; e i diaconi
(permanenti e non). I presbiteri religiosi, o clero regolare, sono invece
chiamati con altri prefissi quali Dom,
Fra (o Fratello), e il più diffuso Padre (usato anche come appellativo
verso i presbiteri secolari). Quest'uso è prassi in tutt'Italia, ma fino al XX
secolo non era comune in Sardegna, dove al nome del sacerdote si anteponeva la
parola prete o al limite signore. Nei secoli scorsi, fino al XIX secolo, il Don era riservato ai preti appartenenti
a famiglie nobili, pertanto il nome era preceduto da Reverendo Don; al contrario per i preti appartenenti a famiglie
popolane il nome era preceduto dal solo Reverendo.
In
Spagna il trattamento di don si può premettere al nome di tutti i maschi di famiglia nobile (per le femmine si usa doña), mentre in Francia e in Portogallo
i sacerdoti usano il titolo di dom.
Esempi
letterari di personaggi famosi che hanno questo trattamento sono, fra i nobili,
Don Rodrigo, Don Chisciotte e Don Giovanni; fra gli ecclesiastici Don Abbondio
e Don Camillo
In
Italia, specialmente in Sicilia, a lungo dominata da
viceré spagnoli, è un titolo per persone degne di rispetto e molto sagge
(è usato, quindi, per dimostrare reverenza agli anziani) fino ad arrivare a essere appellativo mafioso (ad
esempio "Don Vito Corleone" de Il padrino). Negli Abruzzi, Puglia e
in Calabria fino alla seconda metà del XX secolo veniva usato per indicare,
oltre al sacerdote, persone di alta estrazione sociale (es. avvocati, notai,
sindaci, medici, ecc.); a tali persone la gente del popolo dava del
"voi" mentre esse davano loro del "tu". Al femminile veniva
usato l'appellativo "donna". Ma era così in tutta Italia: il voi si
dava a chi era riconosciuto superiore dagli inferiori (anche ai nonni, un “voi”
di rispetto); il tu andava dall’alto al basso o tra pari, come “tu” di confidenza.
Come
l'analogo titolo onorifico britannico Sir
va sempre accompagnato dal nome e non dal cognome.
**
Nel
dialetto delle nostre zone, però, si trova un uso del Dòn, oltre a quello canonico, del tutto particolare: canzonatorio,
satirico e a presa in giro.
Riporto
una serie di curiosi appellativi che si attribuiscono, quasi sempre
bonariamente, a persone con particolari comportamenti negativi legati anche a
fatte fisiche, idealizzando immaginari “notabili” di un tempo passato a
rappresentare sommamente tali difetti, con tanto di titolo nobiliare: figure
simbolo che eccellono in modo allegorico di particolari difetti umani.
Autorevoli storici di vicende locali sono di opinione più
decisa; di seguito riporto un parere motivato e direi… efficace di Anna Maria
Ori (studiosa di storia e costumi locali):
“Non mi convince per niente che il “don” derivi dall’appellativo
nobiliare, ma penso solo da quello religioso. Il popolo in genere non aveva
molti contatti coi nobili, e comunque a Carpi solo i Pio potevano avere il
“don”, tutti gli altri no, conti Bonasi compresi, perché erano titoli comprati
e poi era sempre pericoloso prenderli in giro.
In
compenso c’erano schiere di preti di famiglie abbastanza
abbienti, che potevano pagare la retta del seminario, ma non molto di più. Si
era in periodi in cui vigeva il maggiorascato e tutta l’eredità andava al primo
figlio maschio; in caso di morte senza eredi, al secondo fratello maschio e
così via.
Si può
immaginare la blanda vocazione di questi preti... che il popolino prendeva in
giro!”
Anche lo storico Gilberto
Zacchè (MN) ritiene corretta l’interpretazione sopra riportata e
annota che questi curiosi modi di dire si usano non solo a Carpi, ma anche
nelle zone vicine, come ad esempio nel mantovano.
L’esperto dialettologo Giuliano Bagnoli (RE) ne conferma a suo volta l’uso a
Correggio e nel reggiano.
**
Ecco dunque un elenco
con una serie di
questi gustosi appellativi:
Dòn Intrìigh = (Don
Intrigo) ci si riferisce a colui che è intricato a fare le cose, ci mette
tempo, è impacciato, esegue male e fa danni. Per piantare un chiodo per un
quadro fa cadere una spanna di intonaco; deve portare un vaso pieno d'acqua e
lo rovescia mezzo sul pavimento, ecc… ;
Dòn Arafòun = (Don
Arraffone) riferito a persone sempre pronte ad approfittare della
situazione e delle debolezze della gente per far propri con ingordigia senza
limiti di beni, soldi e potere altrui;
Dòn Ṡmindgòun = (Don
Dimenticone) è uno che si scorda tutto e dimentica le proprie cose nei
posti più strani, ecc… ;
Dòn Sugòun = (Don
Sugone) ci si riferisce a persona asciutta, come un limone con poco sugo;
uno che dà poca soddisfazione per cose che gli vengono presentate con
entusiasmo da altri; la faccia risulta spesso arghignèeda (o argnèeda);
Dòn Pultiòun = (Don
Pultione) è chi può essere definito un disastro, un creatore di disordine e
di sudiciume: un paciugone. Se si
lava i denti, si sporca i vestiti di dentifricio; se travasa un liquido e
sporca dappertutto, se mangia un gelato e si sporca la camicia, ecc...;
Come
varianti abbiamo anche Dòn Puciòun (Don Puccione) e Dòn Pastisòun (Don Pasticcione), entrambi con pochissime attitudini a svolgere
attività ordinate e perfette;
Dòn Sivlòun = (Don
Civettone), forse contrazione di sivetlòun (civettone, cornacchione:
uccelli paludati di nero); qui ci si riferisce a un prete generico, vestito di
nero, sottintendendo con le ben conosciute caratteristiche negative di questi
personaggi;
Dòn Sturlòun = (Don
Sturlone) si tratta di una persona ostinata, ma anche sbadata, sventata,
che, nel procedere in una certa azione, sbatte la testa da tutte le parti senza
costrutto;
Dòn Miṡéeria = (Don
Miseria) riferito a persone nella cui casa vi regnava una indigenza nera,
poco lavoro e debiti da pagare...
Dòn Pedaana = (Don Pedana) l’epiteto è riferito a chi è
solito inciampare, sia perché è impacciato, sia perché ha i piedi troppo
lunghi, oppure che stanno aperti; tutte tre le caratteristiche, ahimè, mi
appartengono e non possono non ricordare mio padre (laziale) che appena sentiva
il TOCH di un incespico, dopo due decimi di secondo … IMMANCANCABILMENTE … mi
grugniva: “SCARPACCIA!”
Dòn Pugiòun = (Don
Appoggione) quando qualcuno ti sta addosso, in senso fisico, e mentre ti
parla ti si appoggia con le mani o il braccio alle spalle con pesantezza, gli si
potrà dire spazientiti... "Dòn Pugiòun l è bèlle mòort !"... "Don Appoggione è già morto !";
oppure:”Dòn
Pugiòun l è mòort ! E sò fradèel l è a l uspidèel ! " In questo caso le cose si
aggravano, anche il fratello non era messo troppo bene ed è ricoverato
all’Ospedale;
altra
variante: “Pogiòoli l è mòort e sò fióol al stà mèel !”… Poggioli (un cognome
reale e in uso) è morto e suo figlio sta male o è in agonia. La frase si
proferisce da parte di chi non sopporta che un’altra persona si appoggi a lui.
Io aggiungerei anche la bella frase carpigiana, che più spesso ha anche ha un
preciso valore metafisico... "Stà m su da dòos !"...
"Stammi su da addosso !" … che è sempre un bel dire;
dal
reggiano mi suggeriscono anche… la Ditta
Appoggi (o Poggi) è fallita!
C’è
poi anche un appellativo attribuito a un sacerdote carpigiano realmente vissuto
nel secolo scorso e soprannominato per la sua considerevole statura e magrezza Dòn Ṡuntèe (una parola praticamente intraducibile
in italiano: per renderne il vero significato non basta certo un semplice Don Aggiunto,
ma occorre una perifrasi, del tipo Don
fatto di parti aggiunte l’una all’altra, come spesso erano gli indumenti o
la biancheria - lenzuola, coperte o tovaglie - di molti carpigiani, decorati da
aggiunte strategiche).
Il
personaggio era così noto che ho avuto testimonianza diretta di un padre che,
vedendo la figlia crescere molto in altezza, le diceva scherzosamente: “Te m
pèer la fióola èd Dòn Ṡuntèe! (Mi sembri la figlia di Don Aggiunto!)”.
Era
Don Ernesto Zanoli parroco di San Francesco ed era veramente di rilevante
statura; anche il fratello era molto alto; oggi riposano assieme nel cimitero
di Santa Croce, a destra sotto il portichetto.
Ma
la l'ironia sacrilega dei carpigiana porta a un’ulteriore variante nel
significato: infatti si parla (forse erroneamente, ma tant’è!) anche di un Dòn Ṡuntèel
(Don Giuntella), perché questo prete
sembrava, nel cadenzare le frasi della predica, che stesse sempre per finire,
ma invece... ce ne aggiungeva sempre.
Romano
Saccani Vezzani
(Carpi) ha un ricordo particolare èd Dòn Ṡuntèe: “Sono un
carpigiano emigrato a Milano nel 1940, ma nel 1943 ho fatto la terza elementare
a Carpi e tutte le vacanze scolastiche, in seguito, le ho sempre trascorse a
Carpi. Dòn Ṡuntèe mi ha ispirato un quadro. La cosa curiosa era che questo
personaggio, quando era chiamato per le sue funzioni, aveva con sé un
chierichetto; il detto popolare vuole il ragazzino continuamente lo richiamasse
e lo indirizzasse: - Schìiva cla buusa! Tìin dritt cal Crisst!
ecc... –“
2001 – Ecco come Romano Saccani Vezzani ricorda Dòn Ṡuntèe
Dòn Ṡgambirlòun = (Don
Sgamberlone) anche in questo caso ci si riferisce a una persona allampanata
con le gambe lunghe, la cui presenza si rivela d’ingombro a chi le intorno per
adempiere alle proprie incombenze: “Tóo t d ind i pée … Dòn Ṡgambirlòun!”;
Dòn Arvèers = (Don
Rovescio) per persone a cui non va mai bene niente;
Un
dòn un po’ particolare è Dòn
Tiròun = (Don Tirone). In
effetti esso rappresenta in sesso maschile, diciamo, ispirato. Questa
ispirazione porterà a… tirare verso certe scelte, che influenzano comportamenti
di vita, talora in modo anche molto sensibile.
Dòn Montini per persone che, provocate ad arte, montano
su subito; qui è poi fin troppo facile un collegamento col nome secolare di
Paolo VI.
Dòn Sivèel = Al
sivèel l è cal fèer che a n fa mia gnìir fóora la róoda dall'asse del
carro; è unto e nero e spesso in passato (ad esempio a Fossoli) così poteva
essere chiamato un prete: Don Sivèel. Sivèel può poi essere uno dei tanti epiteti negativi per una
persona di scarso valore.
Un moderno sivèel
potrebbe essere una coppiglia, in contesti meccanici diversi dai carri di una
volta.
Dòn Tardòun = (Don
Tardone) è riferito a persone lente nell’agire nella loro quotidiana
gestione esistenziale; non hanno orari, arrivano in ritardo cronico con la
faccia più angelica, fregandosene bellamente di coloro che li aspettano. Tutto
sommato non lo fanno con malanimo (forse): è la loro strana natura che non si
adatta al soverchio peso dei continui vincoli sociali di vita. Ma … che rabbia
per chi deve rapportarsi con loro!
È
possibile distinguere tre diverse e sciagurate tipologie:
1)
l’inconsapevole - è incapace di gestire il proprio tempo; evidenzia solitamente
tratti infantili e la sua scusa più frequente è “Scusami, non mi sono reso
conto dell’orario!”;
2)
il ribelle puro - identifica la puntualità come un’imposizione sociale;
difficilmente chiede scusa per i propri ritardi, essendo convinto che il suo
sia un atto di libertà;
3)
il disorganizzato - è incapace di programmare la propria vita, assume più
impegni di quanti ne possa portare a termine, riducendosi con affanno sempre
all’ultimo momento.
***
Forse
non è molto appropriato, ma voglio anche citare un “Don” storico: “Il Don Pirlone. Giornale di
caricature politiche", quotidiano pubblicato a Roma tra il 1848 e il 1849
dal patriota avvocato Michelangelo Pinto durante
la rivoluzione romana, il più temuto e
allo stesso tempo il più apprezzato tra i molteplici giornali satirici romani
del periodo. L’autore in seguito raccolse i materiali pubblicati nel
giornale, arricchiti di molte tavole realizzate appositamente dai maggiori
incisori del tempo, in tre volumi, analogamente
intitolati Don Pirlone a Roma: Memorie di un italiano dal 10 settembre 1848
al 31 dicembre 1850, sul fallimento dei moti del 1848, che
commentava con la sua
dissacrante satira anticlericale e antipapalina.
**
Però
qui siamo di fronte a una cosa seria: una satira politica fine che poteva far
finire l’autore sulla forca e per questo si era dato ironicamente quel nome,
sapendo bene che a Pio IX, oggi santo, non piaceva essere né criticato, né
preso in giro, quindi si firmava con lo pseudonimo di “don Pirlone”.
***
Ci
fu anche un’eccezione col diminutivo per un personaggio reale.
Nei
primi '900, Dòn Luìin (don "Luglino" dal cognome Lugli) era un
prete piccolissimo di Carpi e veniva mandato ai funerali dei più poveri. C'era
a tale proposito una breve filastrocca popolare:
S a móor un sgnuròun
i gh màanden 'na
procesiòun.
Mò s a móor un
puvrètt,
ch al gh aabia dla
bulètta,
i gh màanden don Luìin
cun 'na misera
crusètta!
***
Una
piccola parentesi merita anche uno strano frate… tale Pèder Vòolta; costui
aveva una singolare abitudine che ci viene tramandata all’inizio di una
filastrocca molto diffusa un tempo fra i bambini:
A gh éera 'na vòolta Péder Vòolta, C'era una volta Padre Volta,
ch al caghèeva ind 'na spòorta. che cagava in una sporta.
Ma la spòorta l'éera ròtta Ma la sporta era rotta
e Pirèin ch al gh éera sòtta e Pierino [nome variabile] che era sotto
e… e
al l'à magnèeda tutta! l'ha mangiata tutta!
***
Accrescitivi personalizzati
Ho poi trovato un'altra forma assai
particolare di attribuire un nome d’occasione, provvisorio a certe persone per
la loro dabbenaggine e che si potrebbe definire come sostantivizzazione
accrescitiva del predicato verbale.
Questi modi di dire si usano in frasi
intimative per sbeffeggiare o sgridare qualcuno che ha tenuto un comportamento,
che, anche se meditato, ha prodotto risultati sbagliati, nulli o inefficaci.
Ecco alcuni esempi. Un giocatore di non
eccelsa abilità non trova la carta giusta nel gioco e perde. Allora si
giustifica pignucolando: "Mò mè a vliiva catèer la tèel chèerta! (Ma
io volevo trovare quella tal carta!"
Il compagno inviperito allora gli risponderà:
"Mò ’sa vóo t catèer... Catòun! (Ma cosa vuoi trovare … Trovone!"
L’esempio forse più noto e divertente è
però: "Mò ’sa vóo t savéer... Savòun! (Ma cosa vuoi sapere … Sapone!)” Dove si gioca, con
ironia tipicamente carpigiana, sulle parole sapientone e sapone, che in
dialetto trovano una forzata, ma irresistibile fusione.
Un savòun da bughèeda
Un sapone da bucato
Altri casi:
"Mò ’sa vóo t magnèer… Magnòun!"
"Mò ’sa vóo t prilèer… Prilòun!"
"Mò ’sa vóo t cuntèer... Cuntòun!”
e così via con... Pinsòun, Andòun, Cagòun, ecc… : insomma ce n’è per tutti i gusti!
Alla fin dei conti tutti questi XXXòun
stanno ovviamente per caiòun, bambusòun, sumaròun,
Sandròun, ciacaròun, ecc…
Si nota anche in questi casi come sia
meravigliosa la vitalità del nostro dialetto. Semplicemente si opera sulla
radice verbale sav-éer (sapere),
combinandolo col suffisso nominale –òun e il gioco è fatto!
Si ottiene così un sostantivo di
pura e irridente fantasia, che intensifica il
significato del verbo, ma con una sfumatura di presa in giro che sottolinea la
caiuniiṡma del soggetto, l’inutilità o la stupidità di quella sua
particolare azione, ma non una condizione generale.
Anche l’amico C. A. Parmeggiani (Carpi) mi conferma che
nel nostro dialetto, come nella lingua italiana, un accrescitivo funziona sia
come sostantivo che come aggettivo, pur prendendo origine da un verbo, da un
predicato (vedi mangione, sciupone, credulone, chiacchierone, ecc …).
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