lunedì 30 luglio 2018

Pretonzoli o signorotti manzoniani? Accrescitivi personalizzati - Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano - Carpi


Testo iniziale luglio 2013                                                                                    V37 del 02-09-2017


Pretonzoli
o signorotti manzoniani?

Accrescitivi personalizzati

Signorotti e preti: Don Rodrigo e Don Abbondio

di Mauro D’Orazi






Norme di trascrizione e lettura del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                           vacca
aa    pronuncia allungata                         laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                        martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                      andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                 méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                      véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                  bissa, dì
ii      i prolungata                                   viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                      scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                           parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                  bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                     vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)     cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch    c dura (come in chiodo)                   ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                     curàag’, alòog’, coléeg’
gg’   g dolce e intensa (come in oggi)       puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                    ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                  sèmmper, sóol, siira
      s sonora (come in rosa)                   atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch


Pretonzoli o signorotti manzoniani?
Accrescitivi personalizzati

di Mauro D’Orazi
Premessa
(tratta da Wikipedia)

Don è un termine comunemente utilizzato, a partire dalla metà del Duecento, come prefisso al nome, per indicare nobili del patriziato milanese e napoletano, principi, duchi, marchesi di baldacchino, ecclesiastici e religiosi. Don è l'abbreviazione della parola donno in uso ancora ai tempi di Dante, ma non più conservata, la quale deriva dalla parola latina dominus, che significa signore, padrone. Propriamente "don" non costituisce un titolo, ma è un trattamento.
Al di là dell'uso onorifico, è stato in seguito usato per chiamare i preti diocesani della Chiesa cattolica, detti anche clero secolare; e i diaconi (permanenti e non). I presbiteri religiosi, o clero regolare, sono invece chiamati con altri prefissi quali Dom, Fra (o Fratello), e il più diffuso Padre (usato anche come appellativo verso i presbiteri secolari). Quest'uso è prassi in tutt'Italia, ma fino al XX secolo non era comune in Sardegna, dove al nome del sacerdote si anteponeva la parola prete o al limite signore. Nei secoli scorsi, fino al XIX secolo, il Don era riservato ai preti appartenenti a famiglie nobili, pertanto il nome era preceduto da Reverendo Don; al contrario per i preti appartenenti a famiglie popolane il nome era preceduto dal solo Reverendo.
In Spagna il trattamento di don si può premettere al nome di tutti i maschi di famiglia nobile (per le femmine si usa doña), mentre in Francia e in Portogallo i sacerdoti usano il titolo di dom.
Esempi letterari di personaggi famosi che hanno questo trattamento sono, fra i nobili, Don Rodrigo, Don Chisciotte e Don Giovanni; fra gli ecclesiastici Don Abbondio e Don Camillo
In Italia, specialmente in Sicilia, a lungo dominata da viceré spagnoli, è un titolo per persone degne di rispetto e molto sagge (è usato, quindi, per dimostrare reverenza agli anziani) fino ad arrivare a essere appellativo mafioso (ad esempio "Don Vito Corleone" de Il padrino). Negli Abruzzi, Puglia e in Calabria fino alla seconda metà del XX secolo veniva usato per indicare, oltre al sacerdote, persone di alta estrazione sociale (es. avvocati, notai, sindaci, medici, ecc.); a tali persone la gente del popolo dava del "voi" mentre esse davano loro del "tu". Al femminile veniva usato l'appellativo "donna". Ma era così in tutta Italia: il voi si dava a chi era riconosciuto superiore dagli inferiori (anche ai nonni, un “voi” di rispetto); il tu andava dall’alto al basso o tra pari, come “tu” di confidenza.
Come l'analogo titolo onorifico britannico Sir va sempre accompagnato dal nome e non dal cognome.
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Nel dialetto delle nostre zone, però, si trova un uso del Dòn, oltre a quello canonico, del tutto particolare: canzonatorio, satirico e a presa in giro.
Riporto una serie di curiosi appellativi che si attribuiscono, quasi sempre bonariamente, a persone con particolari comportamenti negativi legati anche a fatte fisiche, idealizzando immaginari “notabili” di un tempo passato a rappresentare sommamente tali difetti, con tanto di titolo nobiliare: figure simbolo che eccellono in modo allegorico di particolari difetti umani.

Autorevoli storici di vicende locali sono di opinione più decisa; di seguito riporto un parere motivato e direi… efficace di Anna Maria Ori (studiosa di storia e costumi locali):
“Non mi convince per niente che il “don” derivi dall’appellativo nobiliare, ma penso solo da quello religioso. Il popolo in genere non aveva molti contatti coi nobili, e comunque a Carpi solo i Pio potevano avere il “don”, tutti gli altri no, conti Bonasi compresi, perché erano titoli comprati e poi era sempre pericoloso prenderli in giro.
In compenso c’erano schiere di preti di famiglie abbastanza abbienti, che potevano pagare la retta del seminario, ma non molto di più. Si era in periodi in cui vigeva il maggiorascato e tutta l’eredità andava al primo figlio maschio; in caso di morte senza eredi, al secondo fratello maschio e così via.
Si può immaginare la blanda vocazione di questi preti... che il popolino prendeva in giro!

Anche lo storico Gilberto Zacchè (MN) ritiene corretta l’interpretazione sopra riportata e annota che questi curiosi modi di dire si usano non solo a Carpi, ma anche nelle zone vicine, come ad esempio nel mantovano.

L’esperto dialettologo Giuliano Bagnoli (RE) ne conferma a suo volta l’uso a Correggio e nel reggiano.
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Ecco dunque un elenco
con una serie di questi gustosi appellativi:

Dòn Intrìigh = (Don Intrigo) ci si riferisce a colui che è intricato a fare le cose, ci mette tempo, è impacciato, esegue male e fa danni. Per piantare un chiodo per un quadro fa cadere una spanna di intonaco; deve portare un vaso pieno d'acqua e lo rovescia mezzo sul pavimento, ecc… ;


Dòn Arafòun = (Don Arraffone) riferito a persone sempre pronte ad approfittare della situazione e delle debolezze della gente per far propri con ingordigia senza limiti di beni, soldi e potere altrui;

Dòn Ṡmindgòun = (Don Dimenticone) è uno che si scorda tutto e dimentica le proprie cose nei posti più strani, ecc… ;

Dòn Sugòun = (Don Sugone) ci si riferisce a persona asciutta, come un limone con poco sugo; uno che dà poca soddisfazione per cose che gli vengono presentate con entusiasmo da altri; la faccia risulta spesso arghignèeda (o argnèeda);

Dòn Pultiòun = (Don Pultione) è chi può essere definito un disastro, un creatore di disordine e di sudiciume: un paciugone. Se si lava i denti, si sporca i vestiti di dentifricio; se travasa un liquido e sporca dappertutto, se mangia un gelato e si sporca la camicia, ecc...;
Come varianti abbiamo anche Dòn Puciòun (Don Puccione) e Dòn Pastisòun (Don Pasticcione), entrambi con pochissime attitudini a svolgere attività ordinate e perfette;

Dòn Sivlòun = (Don Civettone), forse contrazione di sivetlòun (civettone, cornacchione: uccelli paludati di nero); qui ci si riferisce a un prete generico, vestito di nero, sottintendendo con le ben conosciute caratteristiche negative di questi personaggi;

Dòn Sturlòun = (Don Sturlone) si tratta di una persona ostinata, ma anche sbadata, sventata, che, nel procedere in una certa azione, sbatte la testa da tutte le parti senza costrutto;

Dòn Miṡéeria = (Don Miseria) riferito a persone nella cui casa vi regnava una indigenza nera, poco lavoro e debiti da pagare...

Dòn Pedaana = (Don Pedana) l’epiteto è riferito a chi è solito inciampare, sia perché è impacciato, sia perché ha i piedi troppo lunghi, oppure che stanno aperti; tutte tre le caratteristiche, ahimè, mi appartengono e non possono non ricordare mio padre (laziale) che appena sentiva il TOCH di un incespico, dopo due decimi di secondo … IMMANCANCABILMENTE … mi grugniva: “SCARPACCIA!”

Dòn Pugiòun = (Don Appoggione) quando qualcuno ti sta addosso, in senso fisico, e mentre ti parla ti si appoggia con le mani o il braccio alle spalle con pesantezza, gli si potrà dire spazientiti... "Dòn Pugiòun l è bèlle mòort !"... "Don Appoggione è già morto !";
oppure:”Dòn Pugiòun l è mòort ! E sò fradèel l è a l uspidèel ! " In questo caso le cose si aggravano, anche il fratello non era messo troppo bene ed è ricoverato all’Ospedale;
altra variante: “Pogiòoli l è mòort e sò fióol al stà mèel !”… Poggioli (un cognome reale e in uso) è morto e suo figlio sta male o è in agonia. La frase si proferisce da parte di chi non sopporta che un’altra persona si appoggi a lui. Io aggiungerei anche la bella frase carpigiana, che più spesso ha anche ha un preciso valore metafisico... "Stà m su da dòos !"... "Stammi su da addosso !" … che è sempre un bel dire;
dal reggiano mi suggeriscono anche… la Ditta Appoggi (o Poggi) è fallita!

C’è poi anche un appellativo attribuito a un sacerdote carpigiano realmente vissuto nel secolo scorso e soprannominato per la sua considerevole statura e magrezza Dòn Ṡuntèe (una parola praticamente intraducibile in italiano: per renderne il vero significato non basta certo un semplice Don Aggiunto, ma occorre una perifrasi, del tipo Don fatto di parti aggiunte l’una all’altra, come spesso erano gli indumenti o la biancheria - lenzuola, coperte o tovaglie - di molti carpigiani, decorati da aggiunte strategiche).
Il personaggio era così noto che ho avuto testimonianza diretta di un padre che, vedendo la figlia crescere molto in altezza, le diceva scherzosamente: “Te m pèer la fióola èd Dòn Ṡuntèe! (Mi sembri la figlia di Don Aggiunto!)”.
Era Don Ernesto Zanoli parroco di San Francesco ed era veramente di rilevante statura; anche il fratello era molto alto; oggi riposano assieme nel cimitero di Santa Croce, a destra sotto il portichetto.
Ma la l'ironia sacrilega dei carpigiana porta a un’ulteriore variante nel significato: infatti si parla (forse erroneamente, ma tant’è!) anche di un Dòn Ṡuntèel (Don Giuntella), perché questo prete sembrava, nel cadenzare le frasi della predica, che stesse sempre per finire, ma invece... ce ne aggiungeva sempre.
Romano Saccani Vezzani (Carpi) ha un ricordo particolare èd Dòn Ṡuntèe: “Sono un carpigiano emigrato a Milano nel 1940, ma nel 1943 ho fatto la terza elementare a Carpi e tutte le vacanze scolastiche, in seguito, le ho sempre trascorse a Carpi. Dòn Ṡuntèe mi ha ispirato un quadro. La cosa curiosa era che questo personaggio, quando era chiamato per le sue funzioni, aveva con sé un chierichetto; il detto popolare vuole il ragazzino continuamente lo richiamasse e lo indirizzasse: - Schìiva cla buusa! Tìin dritt cal Crisst! ecc... –“
2001 – Ecco come Romano Saccani Vezzani ricorda Dòn Ṡuntèe

Dòn Ṡgambirlòun = (Don Sgamberlone) anche in questo caso ci si riferisce a una persona allampanata con le gambe lunghe, la cui presenza si rivela d’ingombro a chi le intorno per adempiere alle proprie incombenze: “Tóo t d ind i pée … Dòn Ṡgambirlòun!”;

Dòn Arvèers = (Don Rovescio) per persone a cui non va mai bene niente;

Un dòn un po’ particolare è Dòn Tiròun = (Don Tirone). In effetti esso rappresenta in sesso maschile, diciamo, ispirato. Questa ispirazione porterà a… tirare verso certe scelte, che influenzano comportamenti di vita, talora in modo anche molto sensibile.

Dòn Montini per persone che, provocate ad arte, montano su subito; qui è poi fin troppo facile un collegamento col nome secolare di Paolo VI.

Dòn Sivèel = Al sivèel l è cal fèer che a n fa mia gnìir fóora la róoda dall'asse del carro; è unto e nero e spesso in passato (ad esempio a Fossoli) così poteva essere chiamato un prete: Don Sivèel. Sivèel può poi essere uno dei tanti epiteti negativi per una persona di scarso valore.
Un moderno sivèel potrebbe essere una coppiglia, in contesti meccanici diversi dai carri di una volta.

Dòn Tardòun = (Don Tardone) è riferito a persone lente nell’agire nella loro quotidiana gestione esistenziale; non hanno orari, arrivano in ritardo cronico con la faccia più angelica, fregandosene bellamente di coloro che li aspettano. Tutto sommato non lo fanno con malanimo (forse): è la loro strana natura che non si adatta al soverchio peso dei continui vincoli sociali di vita. Ma … che rabbia per chi deve rapportarsi con loro!

È possibile distinguere tre diverse e sciagurate tipologie:
1) l’inconsapevole - è incapace di gestire il proprio tempo; evidenzia solitamente tratti infantili e la sua scusa più frequente è “Scusami, non mi sono reso conto dell’orario!”;
2) il ribelle puro - identifica la puntualità come un’imposizione sociale; difficilmente chiede scusa per i propri ritardi, essendo convinto che il suo sia un atto di libertà;
3) il disorganizzato - è incapace di programmare la propria vita, assume più impegni di quanti ne possa portare a termine, riducendosi con affanno sempre all’ultimo momento.
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Forse non è molto appropriato, ma voglio anche citare un “Don” storico: “Il Don Pirlone. Giornale di caricature politiche", quotidiano pubblicato a Roma tra il 1848 e il 1849 dal patriota avvocato Michelangelo Pinto durante la rivoluzione romana, il più temuto e allo stesso tempo il più apprezzato tra i molteplici giornali satirici romani del periodo. L’autore in seguito raccolse i materiali pubblicati nel giornale, arricchiti di molte tavole realizzate appositamente dai maggiori incisori del tempo, in tre volumi, analogamente intitolati Don Pirlone a Roma: Memorie di un italiano dal 10 settembre 1848 al 31 dicembre 1850, sul fallimento dei moti del 1848, che commentava con la sua dissacrante satira anticlericale e antipapalina.
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Però qui siamo di fronte a una cosa seria: una satira politica fine che poteva far finire l’autore sulla forca e per questo si era dato ironicamente quel nome, sapendo bene che a Pio IX, oggi santo, non piaceva essere né criticato, né preso in giro, quindi si firmava con lo pseudonimo di “don Pirlone”.


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Ci fu anche un’eccezione col diminutivo per un personaggio reale.
Nei primi '900, Dòn Luìin (don "Luglino" dal cognome Lugli) era un prete piccolissimo di Carpi e veniva mandato ai funerali dei più poveri. C'era a tale proposito una breve filastrocca popolare:
S a móor un sgnuròun
i gh màanden 'na procesiòun.
Mò s a móor un puvrètt,
ch al gh aabia dla bulètta,
i gh màanden don Luìin
cun 'na misera crusètta!
***
Una piccola parentesi merita anche uno strano frate… tale Pèder Vòolta; costui aveva una singolare abitudine che ci viene tramandata all’inizio di una filastrocca molto diffusa un tempo fra i bambini:
A gh éera 'na vòolta Péder Vòolta,  C'era una volta Padre Volta,
ch al caghèeva ind 'na spòorta.               che cagava in una sporta.
Ma la spòorta l'éera ròtta                Ma la sporta era rotta
e Pirèin ch al gh éera sòtta             e Pierino [nome variabile] che era sotto
e…                                                  e
al l'à magnèeda tutta!                     l'ha mangiata tutta!
***
Accrescitivi   personalizzati

Ho poi trovato un'altra forma assai particolare di attribuire un nome d’occasione, provvisorio a certe persone per la loro dabbenaggine e che si potrebbe definire come sostantivizzazione accrescitiva del predicato verbale.
Questi modi di dire si usano in frasi intimative per sbeffeggiare o sgridare qualcuno che ha tenuto un comportamento, che, anche se meditato, ha prodotto risultati sbagliati, nulli o inefficaci.
Ecco alcuni esempi. Un giocatore di non eccelsa abilità non trova la carta giusta nel gioco e perde. Allora si giustifica pignucolando: "Mò mè a vliiva catèer la tèel chèerta! (Ma io volevo trovare quella tal carta!"
Il compagno inviperito allora gli risponderà: "Mò ’sa vóo t catèer... Catòun! (Ma cosa vuoi trovare … Trovone!"
L’esempio forse più noto e divertente è però: "Mò ’sa vóo t savéer... Savòun! (Ma cosa vuoi sapere … Sapone!) Dove si gioca, con ironia tipicamente carpigiana, sulle parole sapientone e sapone, che in dialetto trovano una forzata, ma irresistibile fusione.
Un savòun da bughèeda
Un sapone da bucato
Altri casi:
"Mò ’sa vóo t magnèer… Magnòun!"
"Mò ’sa vóo t prilèer… Prilòun!"
"Mò ’sa vóo t cuntèer... Cuntòun!”
e così via con... Pinsòun, Andòun, Cagòun, ecc… : insomma ce n’è per tutti i gusti!
Alla fin dei conti tutti questi XXXòun stanno ovviamente per caiòun, bambusòun, sumaròun, Sandròun, ciacaròun, ecc…

Si nota anche in questi casi come sia meravigliosa la vitalità del nostro dialetto. Semplicemente si opera sulla radice verbale sav-éer  (sapere), combinandolo col suffisso nominale –òun e il gioco è fatto!
Si ottiene così un sostantivo di pura e irridente fantasia, che intensifica il significato del verbo, ma con una sfumatura di presa in giro che sottolinea la caiuniiṡma del soggetto, l’inutilità o la stupidità di quella sua particolare azione, ma non una condizione generale.
Anche l’amico C. A. Parmeggiani (Carpi) mi conferma che nel nostro dialetto, come nella lingua italiana, un accrescitivo funziona sia come sostantivo che come aggettivo, pur prendendo origine da un verbo, da un predicato (vedi mangione, sciupone, credulone, chiacchierone, ecc …).  

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