lunedì 23 settembre 2024

Piròun, Pirèin, Pirètta Mauro D'Orazi Carpi Dialetto Carpigiano

 

Piròun, Pirèin, Pirèttav09

Giugno 2022 Mauro D'Orazi

Piròun cosa significa? Che appellativo è? Spesso lo si sente usare riferito a persone o animali.


Ecco il tipico Piròun! Un bel labrador

 

Piròun! Pierone (grande Piero)? Oppure perone (grossa pera)? Mah? Difficile trovare di preciso l’origine di questa parola spesso usata nel nostro dialetto, ma anche in frasi in italiano. È un nome d’uso generico, evocativo, vezzeggiativo negli ambiti familiari o amicali, ad esempio per simpatico animale corpulento; è perfetto per il cane labrador, ti viene spontaneo quando ne vedi uno. “Viin mò chè bèel Piròun, ch a t daagh un biscutèin!” Vieni qui bel Pirone, che ti do un biscottino!

Ma si usa anche per i bimbi e le persone.

Quante volte abbiamo sentito una nonna o una zia prendere in braccio e sbaciucchiare un bel bambinone paffutello e dire: “Mò Dio! Mò che bèel Piròun!” Questo Pirone non è altro che una figura immaginifica, che sta a indicare un ragasóol piacevole alla vista, in carne e ben colorito, che genera immediatamente affetto e simpatia.

 

L’amico Gigia Sgarbi durante le nostre cene del venerdì amava ricordare, divertito, il carattere deciso della nonna nei confronti del marito, in tarda età, quando gli indicava precisi percorsi esistenziali:

Maagna mò Piròun, te gh èe faam!” Mangia adesso Pirone, che hai fame!

Va mò a lèet Piròun, te gh èe sònn!” Vai a letto adesso Pirone, che hai sonno!

E lui mansueto … eseguiva.

 

Dare invece oggi piròuna a una ragazza cresciuta NON va bene. Non è corretto: si entra nel labirinto contorto e ipocrita del body shaming, mentre se è ancora bimba lo puoi dire con affetto.

Nel caso serva, si usa anche il diminutivo Pirèin, mentre per un soggetto sgarbato, impacciato, maldestro ...” T ii pròopria un Pirunàas!” Sei proprio un Pironaccio!

Pirèin si utilizza per un bimbo piccolo, gracile con la testa a pera. Allora si esclamerà, mentendo: “Mò che bèel pirèin!” Ma che bel Perino!

 

 

         

È utile ricordare che la lampadina elettrica, per la sua forma in dialetto si chiama … pirètta!

Ma c’è anche la pirètta dla luuś. Si tratta in questo caso dell’interruttore che spegne e accende la luce nelle camere da letto posto nella testata (altera) del talamo.

E poi … la pirètta per i clisteri! E qui basta la parola!

 

 

 

 


1930 ca - Ecco Romano Po, Piròun da Sèccia, in piazza davanti al Duomo nell’esercizio delle sua attività carromortuaria

Infine chi ha una certa età ricorda la figura di tale Romano Po detto e conosciuto come Piròun da Sèccia: negli anni ’30 e successivi era un noto trasportatore con carri e automezzi… anche di salme al cimitero.

 Stà atèint ch a t maand a tóor da Piròun dla Sèccia!

Stai attento che ti mando a prendere da Pirone della Secchia!”

Questo Pirone conduceva un cocchio con cavallo bianco di posta alla stazione, ma all’occasione (lui o il figlio) anche il carro funebre per il cimitero. Il curioso nome del personaggio non ha nulla a che fare con “tassoniani” rapimenti, ma deriverebbe, secondo le versioni di Franco Bizzoccoli, dal fatto che una volta, tornando da Modena al ciapèe ‘na gròosa baala cun un caldarèin èd vèin. La parola caldarèin ha come sinonimo sèccia, ovvero secchia.

Oppure perché il suddetto abitava in Via Galilei nello stesso stabile di una locanda che per antichissima tradizione era soprannominata La Sèccia.

 

C’è poi una piccola filastrocca

Laasa ch a pióova,

laasa ch a nèeva!

Su Piròun ch a andòmm a la fèera!

Lascia che piova, lascia che nevichi … Su mio caro Pirone che andiamo alla fiera. Il significato della frase può anche sottendere alle più intriganti allusioni; insomma … quando c'è da andare, c'è da andare!

 

Sempre a proposito di Piròun, c’è tutta un’altra serie di interessanti significati nel dire comune, che il bravissimo Giorgio Rinaldi (Vignola – Folclore Contadino) ha così tracciato:

Piròun, è un accrescitivo del nome proprio Piero, “Pierone”, ma nello stesso tempo assume un doppio significato, perché in passato indicava anche una persona molto placida, pigra. (Cfr. il verbo ferrarese piràr, essere pigro, es. al pìra a la(v)uràr, non ha voglia di lavorare). Pertanto alla lettera si potrebbe tradurre il grosso Piero pigro e inoperoso.

A chi veniva attribuito l’epiteto di Piròun, trattandosi di un tipo molto placido e con poca voglia di affaticarsi, si chiedeva ironicamente: Piròun stèe t bèin? (Pierone stai bene?)

In alcune zone è anche sinonimo di Pultrèggna e Mingòun:

“Piròun vóo t dal persùtt?”- “Indù ée l?” – “Lè ṡò, in cantèina” – “Nò! Alóora a n gh ò mía faam!”.

L’espressione A t salùtt Piròun (simile a A t salùtt Mingòun), è usata ancor oggi da parte di chi si stanca di spiegare cose che l’interlocutore non comprende o capisce alla rovescia, col significato di “lasciamo perdere”, “cambiamo argomento”.

A volte Piròun assumeva anche un significato più volgare sottintendendo, caiòun, pistulòun, e da qui la frase: t ii pròopia un Piròun!

Ma col passar del tempo l’espressione ha assunto un valore molto più confidenziale, amichevole, tanto da equivalere quasi al ciao. Addirittura quando viene pronunciato da una madre o da una nonna assume anche una sfumatura affettuosa: Al mé Piròun (il mio cucciolotto, il mio bambinone). Si tratta insomma di un’espressione che cambia di significato a seconda del “registro”, cioè se viene usata da adulti ha un senso negativo, ma se viene utilizzata da familiari nei confronti di un bambino acquista un significato affettuoso.

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Resistenza - Cittadinanza onoraria a Michel Seeten - pilota francese - caduto eroicamente a Carpi

 

23-03-2023 Consiglio Comunale di Carpi  su cittadinanza onoraria a Michel Seeten  Intervento del consigliere Mauro D’Orazi

Commemorare un eroe è nello stesso tempo semplice, così come è facile mettere in evidenza le sue virtù, il suo coraggio, le sue azioni realizzate al di fuori della normalità spesso anche a prezzo della vita, come è successo nel nostro caso;

contrariamente …

è anche difficile, perché si può cadere facilmente nella retorica del sovrabbondante, dello scontato, tanto quasi da vanificarne la sua valenza in una società sempre più insensibile e con la memoria corta. Bisogna dunque trovare una via di mezzo, che consenta di inquadrare una persona eccezionale, o che ha compiuto un gesto eccezionale, e nel contempo evidenziarlo come esempio, perché possa servire per il futuro.

Penso oggi più che mai sia doverosa la conoscenza e la memoria di Seeten.

Era un francese! E devo dire che la Francia per me ha sempre avuto un grande fascino; la Francia della Rivoluzione, una tappa storica fondamentale, che pur fra eccessi, errori e contraddizioni, ha portato avanti il trinomio della Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, ai quali ispiro i fondamenti della mia coscienza e della mia vita sociale e politica.

La Francia dei diritti civili della persona … dove per la prima volta sono stati sanciti i diritti fondamentali dell’uomo (e della donna aggiungo sempre) già dal 1789.

Io sono uno che non ha certo timore a dire che quando ascolta la Marsigliese si commuove pensando a tutto ciò che sottende a questo canto.

La biografia di Seeten l’abbiamo ascoltata e letta, non la sto a ripetere nei particolari. Dare oggi la cittadinanza onoraria a questa persona è un’azione meritoria che serve a colmare un debito di riconoscenza. Un sentimento di ammirazione e di gratitudine che ha creato in noi carpigiani comportandosi in una eccezionale maniera. In questo caso particolare, la persona di Michel Seeten devo dire che mi ha sempre colpito e incuriosito.

Già il nome di per sé creava interrogativi.

Ma chi era? Da dove veniva? A n è mia uun di nòoster!

Poi leggendo vari libri o ascoltando ricordi, questa figura è si decisamente evidenziata nella sue peculiarità, un unicum che si è distinto dalle altre del periodo della Resistenza.

Essa possiede certe caratteristiche speciali:

innanzitutto Seeten non era italiano!

Poteva “tranquillamente” (fra virgolette) aspettare la fine della guerra come prigioniero, oppure tentare la via di fuga oltre le linee nemiche per ricongiungersi coi contingenti della Francia Libera;

invece decise di combattere nella Resistenza nelle nostre zone, mettendo subito in gioco la propria vita.

Già questa è stata una scelta molto determinata, molto forte, a cui vanno aggiunte le vicende che sono poi legate alla fine drammatica della sua esistenza.

Una vicenda eccezionale con la quale questo giovane ragazzo, questo giovane pilota ha dimostrato appunto il suo eroismo, la sua capacità di andare oltre l’interesse personale di salvare la sua stessa vita.

Non accettò l’umiliazione di essere preso in giro dal nemico tedesco; si è ribellato in un incontenibile moto giovanile di orgoglio e ha giocato il tutto per tutto. Si è reso protagonista di una azione davvero audace e temeraria, che però gli è costata la vita.

A noi resta il cordoglio per questa morte, l’ammirazione per questa scelta valorosa e per quanto ha fatto per noi.

Ma è stato importante anche per chi era con lui in quella tragica circostanza.

Parlavo nei giorni scorsi con l’amico William Lugli, che mi raccontava di essere particolarmente legato alla figura del nostro pilota; senza di lui per suo padre Tullio Lugli, per Omar Bisi, per Scalambra (importanti comandanti partigiani)  e una staffetta probabilmente la fuga dal rastrellamento sarebbe stata molto ardua e difficile. 

La cittadinanza onoraria, assieme alla strada e al cippo, serve e servirà per ricordare questo ragazzo e per tramandare le sue scelte, le sue gesta e suoi valori a chi ci seguirà in futuro.

Botteghe di una volta - la drogheria dei fratelli Saetti di Carpi - dialetto carpigiano - Mauro D'Orazi

 

Prina stesura 09-03-2023                              v 11 del 03-08-2023

Al butéeghi èd ‘na vòolta

La bottega sotto casa di una volta

di Mauro D'Orazi 


Tanta mercanzia nelle botteghine

 

Nelle botteghe tradizionali di una volta, in particolare nei piccoli centri, nelle frazioni si trovava di tutto: riso, pasta, conserva di pomodoro, baccalà, sarde sotto sale, tonno, aringhe, caramelle, confettini colorati per la ciambella, castagne secche, cannella, noce moscata, spago, quaderni, matite, carta oleata, sapone, detersivi, bandella, filo da cucire e per lavorare ai ferri, bottoni, aghi, lacci da scarpe, petrolio e carburo per l’illuminazioni, empirici rimedi farmaceutici per piccoli mali, ecc… Nei piccoli centri i fèeven aanch da paltèin con sale e tabacchi. Vi ricordate le Botteghe Ferrari a sud di Rovereto?

 

    

La classica bilancia rossa delle botteghe di una volta

 

Queste botteghe erano a loro modo anche ecologiche; in quei locali dove troneggiava la tipica bilancia rossa, si comprava quasi tutto sfuso, il ”packaging” era limitatissimo; l’arte del confezionamento e dell’imballaggio era ancora agli esordi, la maggior parte dei prodotti si comprava nuda, avvolta o nella carta gialla o blu o in quella oleata, in caso di tonno, aringhe o sardine…

Queste botteghe erano più o meno le stesse in tutti i paesi, avevano un grande bancone con sopra la bilancia a due piatti, dietro il quale stava il proprietario o la moglie, o comunque uno della famiglia. I conti si facevano a matita sulla “carta gialla” e i contadini vi scambiavano le uova o altri prodotti in cambio di baccalà o di sapone per il bucato e molto spesso si “segnava”, cioè si scriveva il dovuto su un libretto (al librètt di còunt) e si pagava a fine mese, o dopo il raccolto.


Spesso erano punto di incontro, di chiacchiere, èd ṡbraghirèedi. Erano luogo di scambio di umana cordialità per uno sfogo dell'animo, un conforto, un sorriso. Un punto di riferito sicuro e immediato.

Nel giro di pochi decenni, tutto si è modernizzato, una dopo l’altra le botteghe sono state sostituite da negozi asettici e specializzati, con nuovi prodotti richiesti dall’accresciuto benessere: un’altra casella di vita passata e caratteristica è ormai scomparsa.

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La butéega di fradée Saetta – i drughéer

 


1989 Giorgio (1924), Lazzaro (1916 - detto Biònd, l’altro fratello) e Oliviero Saetti (1914)

 

Ma fra tutte le botteghe ne spiccava una in assoluto; era situata quasi all’inizio di Portico del Grano; era affascinante per chi passeggiava, indispensabile per la reṡdóora carpigiana intra moenia, utile per il contadino che veniva in piazza per i mercati di giovedì e sabato, ma soprattutto magica per noi bambini … golosi di dolci leccornie speciali.


1970 ca - Giorgio Saetti dietro il bancone; notare la varietà e ricchezza della merce

 

Parlo della famosa drogheria dei fratelli Oliviero e Giorgio Saetti, punto di riferimento dell’epoca d’oro de La Bella Carpi; un esercizio commerciale antico (1883), di grande pregio e lustro per la nostra città, per il centro storico.

 

Invece Lazzaro, detto al Biònd, il secondo dei tre fratelli Saetti, non ebbe nulla a che fare con la drogheria e gestì fino ai primi anni’60 una nota macelleria vicino all’ ex cinema Capitol, entrando da viale Carducci era il primo negozio sulla sinistra di fronte al Bar Centrale (oggi gelateria).


1958 ca - Ecco l’immagine della bottega di macelleria di Lazzaro Saetti in corso Cabassi, la foto fu scattata in occasione di una manifestazione/concorso organizzato dal Comune di Carpi per le più belle vetrine della città – la vetrina della macelleria si aggiudicò in quell’occasione un apposito premio. La macelleria fu ceduta nel corso degli anni ’60 a Carlo Bevini, che la gestì a sua volta fino alla definitiva chiusura parecchi anni dopo.

 

Tornando alla drogheria, il negozio era curatissimo sia dentro che fuori; venivano approntati speciali e spettacolari allestimenti, in particolare per le feste natalizie e pasquali; quando era il tempo di imbottigliare al lambrùssch nóov o la cunsèerva èd pondòor un paio di grossi sacchi strapieni di tappi di sughero venivano collocati in bella vista sotto il portico con i relativi prezzi.


1953 interno della drogheria

 

Si entrava e sulla sinistra c’era un alto bancone e gli scaffali dietro, tutt’intorno altri scaffali e tanta bella mercanzia. Quello che ti colpiva era il profumo, l’odore di buono in generale e l’aroma di caffè tostato.


1970 ca – vari prodotti in vetrina con i prezzi


1980 ca – La ricca vetrina della drogheria dei fratelli Saetti in Corso A. Pio sotto il Portico del Grano

 

C’era un abituale servizio di vendita di bicchierini di liquore al pubblico; venne effettuato per diversi anni in particolare nei giorni di mercato anche mediante un piccolo banco, posto in fondo a destra nella drogheria di fronte al bancone principale. Si serviva ai clienti, ma anche agli amici, prelibati nocini, vermouth e speciali liquorini della tradizione carpigiana (laurino, amari, cordiali, ecc …) in piccoli bicchieri. In inverno ciò era utile per “riscaldare” la gente che veniva al mercato. Con la bella stagione era approntati alcuni tavolini sotto al Portico del Grano, come si può vedere da immagine più sotto.

A tale proposito la licenza dell’esercizio prevedeva anche la mescita, oltre che la vendita di liquori.

     

Nocino e liquori tradizionali fatti in casa

Un ricordo speciale per me riguarda invece le caramelle e simili; nella bottega ce n’era un ricchissimo assortimento.

Mia cugina Mima Lugli Tirelli (a cui debbo tanto) del vicino negozio di Ottica Tirelli mi dava 10 lire per comprare delle mentine zuccherate o dei gommoni.

 

  

Mentine di zucchero colorate e gommoni dolci

 

Ma per me il prodotto veramente fantastico erano le caramelle del Moretto (ancora oggi in produzione) … incredibilmente buone!

Ricoperte di cioccolata fondente, all’interno consistevano in un nucleo duro formato da zucchero caramellato e un impasto tritato fino da ṡò d tèesta! Non si smetteva, finché il sacchettino che mi davano non restava vuoto.


Le Nougatine Moretto Venchi nacquero nei primi del 900, dall’inventiva di Silvano Venchi che con un cuocitore ha caramellato lo zucchero con le nocciole delle Langhe, ha steso sul marmo l’impasto e con una piccola macchina a cilindri sagomati in bronzo a movimento meccanico ha modellato tanti bon bons ovali successivamente ricoperti di cacao e cioccolato puro fondente.

 

            

Le NOUGATINE, il moretto, il negretto ecco una serie di nomignoli attribuiti ad una delle caramelle al cioccolato più pubblicizzate nei primi 70 anni del ‘900. Dolci e amare, croccanti e friabili con un marcato profumo di nocciola tostate sono tra le più imitate sul mercato. Come ricordarle? Dal turbante e dal marchio Venchi.


I sacchi di ottima mercanzia dentro e fuori dalla bottega

Maini Marco (Carpi) ricorda: “Tutti i sabati con mamma e mia sorella andavamo a fare la spesa a partire dal fruttivendolo Pritoni, in Corso Roma, poi Cattini per i salumi, Berni per i formaggi. Infine entravamo nella drogheria dei fratelli Saetti per comprare il caffè e le spezie. Che odori, Che sapori, che persone meravigliose! Ero un bambino 60 anni fa, ma mi ricordo ancora bene tutti i dettagli, i colori e l'allegria che c'era; la vita de la Bella Carpi in centro pulsava, continua, potente e senza sosta.”

 

Gianfranco Guaitoli (Carpi) ricercatore storico: “All'angolo del Portico del Grano c'era la spezieria/drogheria dei fratelli Saetti, un rinomato esercizio. La mostarda la facevano loro stessi e la mettevano in barilotti che esponevano con giusto orgoglio. Soprattutto di giovedì, giorno di mercato, nella bottega c'era diversa gente che si faceva il bicchierino di vermouth. Ricordi di un tempo che fu e che non torna più. Mala tempora currunt per noi bUmer.”

 


1955 ca - Una bella serie di bottiglie di vermouth di una volta.


1983 ca – La Gazzetta di Carpi parla di due importanti botteghe del Centro

 

La bottega chiuse la sua attività il 20 maggio 1984, una data simbolica di carpigianità, il giorno del patrono e della fiera; Oliviero aveva 70 anni e Giorgio 60.

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Luciana Nora (Carpi) ha scritto questo bel ricordo dei fratelli Saetti e della loro bella bottega

In ricordo dei carpigianissimi "Fratelli Karamazov"

La drogheria dei fratelli Saetti con esercizio straordinario anche di mescita perlopiù nei giorni di mercato. Questi giorni in un tempo non lontanissimo erano, oltre il giovedì, anche la domenica e, attenzione, non il sabato (un mutamento considerato come serio errore sotto l'aspetto economico di cui poi ha ampiamente goduto il mercato domenicale della vicina Cavezzo).

I Saetti, Giorgio e Oliviero, erano veri maestri nella loro professione, e il negozio era situato proprio all'inizio del portico del Grano, appena di fianco alla allora sede della Banca Agricola Mantovana.

Da quel capienti e alti locali della drogheria si sprigionava un effluvio inconfondibile di profumi e buoni odori, non solo di caffè freschissimo di tostatura, ma di molteplici altre droghe e prodotti tenuti in capaci vasi di vetro mostrati in bella vista alla clientela.

C’erano poi raffinate e gustose caramelle, comprese le eccezionali Pastiglie Leone che, di intenso sapore, solo dopo un po’, si scioglievano in bocca.

 

Una antica scatoletta in metallo delle Pastiglie Leone

 

Per non parlare del finissimo cioccolato della Novi Ligure, frutta candita, sciroppi, polpa di tamarindo, mostarda e savóor, liquori ed estratti. Non mancavano altri pregiati generi: dai biscotti e savoiardi venduti a peso, ai saponi per bucato di marca Gallo.

La posizione della drogheria o spezieria, che seppur casuale, appariva quasi emblematica: di fianco all'edicola èd Casarèin (Casarini) detta de “L'Unità” comunista; quella dei Brandoli dall’altro capo della piazza era quella de L’Avanti! socialista.

Davanti c’era la bacheca PCI con “L'Unità” quotidianamente esposta; di fronte, oltre corso Alberto Pio c’era il Palazzo Comunale cun al sindèggh Bruno Losi.

Insomma una privilegiata posizione strategica dalla quale cogliere i movimenti, gli umori circolanti nella città e nel Palazzo “dla Comòuna”. Palazzo che i titolari della drogheria e alcuni abituali clienti, compreso mio padre, lo avevano personalmente frequentato, spesso nel ruolo di consiglieri comunali. Da quella bottega, da quella primaria posizione situata nel cuore di Carpi, riuscivano a intuire, a prevedere o immaginare con una certa fine e avveduta approssimazione i fatti cittadini del presente e in divenire.

Una bottega, dunque, dove il pepe non era solo quello venduto in grani o misto in una loro esclusivissima formidabile dose per ragù, intingoli e insaccati vari, bensì il pepe piccante stava nei discorsi, nei dibattiti di politica in generale e locale; essi in genere si tenevano dalla mattina presto e fino intorno alle nove a commento degli articoli di giornale e settimanali.

Una bottega, che volendo, poteva anche ritenersi come una sorta di propaggine del Bar Milano e del pensatoio filosofico un tempo nello studio artistico di Renzo Baraldi in castello, il cosiddetto “Kremlino”, tant'è che i gestori erano nominati anche come i “fratelli Karamazov” … russi … appunto.

Conoscevo perfettamente quelle incredibili atmosfere, perché mio padre, grande amico dei due fratelli, tutti i giorni, dopo il più che mattiniero acquisto del suo giornale, in attesa delle nove, orario di apertura del suo negozio di pelletteria, si portava alla drogheria dove, oltre i titolari, incontrava qualche altro abituale amico. Lì l'atmosfera era solitamente incredibile, bipolare dinamica si scaldava via via e riusciva a raffreddarsi all'istante, fino al silenzio, all'ingresso dei comuni clienti per riprendere immutata alla loro uscita.

Tutti, seppur con sfumature diverse, ideologicamente orientati a sinistra, ma non di meno assai critici con un sistema che loro, bottegai e artigiani, già allora, percepivano come eccessivamente vessatorio contro le loro categorie. Erano critici verso un sistema che, quello sì, andava manifestando tutti i negativi sintomi di quella che qualche anno più tardi Rizzo e Stella avrebbero puntualmente analizzato e definito “La Casta”.

Erano discussioni così intense che spesso si perdeva la cognizione del tempo e, d'estate, quando ero in vacanza, capitava frequentemente che mia madre mi mandasse a “riportare al negozio mio padre” che trovavo infervorato, qualche volta seduto su uno dei sacchi di sugheri, un po' in fondo, sulla destra del negozio.


 

Ero accolta da un “Veh mò chi gh è! A gh è la Lucianèina!” e in quel modo si interrompeva la sequenza incalzante di considerazioni ed esternazioni. Attenzione però che critica, autocritica ed esternazioni dovevano rigorosamente rimanere “in casa”, perché se a muoverle fosse stato un estraneo, beh, allora le cose cambiavano di colpo e si innescava un rigoroso atteggiamento di difesa dell'ideale. Un’ideale di sinistra convinta che andava oltre le debolezze e fragilità umane e che è stato sostenuto dai protagonisti strenuamente e con solida convinzione fino alla fine dei loro giorni.

 


 

 

 

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Ricordo ufficiale di Oliviero Saetti in Consiglio Comunale a Carpi

 

Nel 2009 Oliviero Saetti morì a 95 anni; il Consiglio Comunale di Carpi volle celebrarlo come ultimo membro della prima assemblea civica del 1945; ecco il testo del ricordo ufficiale, al quale io stesso ho contribuito:

Verbale del Consiglio Comunale n 4 del 14-01-2010

Sono presenti in sala i parenti stretti dell’ex consigliere scomparso.


Oliviero Saetti

Il Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Taurasi dà lettura, con commozione, del seguente testo:

 

“Il 19 dicembre 2009 è scomparso a 95 anni Oliviero Saetti. Fece parte del primo Consiglio comunale nominato dal Comitato di Liberazione Nazionale e poi venne eletto nei successivi 4 mandati, rimanendo nel civico consesso dal 1945 al 1964. Era l’ultimo rappresentante vivente del primo Consiglio democratico del dopoguerra e ci pare doveroso ricordarlo in questa sede (alla presenza anche dei familiari che ringrazio per la partecipazione). Vogliamo celebrare la sua memoria e con lui ricordare, nel momento in cui scompare l’ultimo testimone, un’intera generazione di donne e uomini che hanno posto le basi della nostra democrazia.

Rammento ancora con commozione l’intervento che svolse in occasione della seduta solenne del 50° del Consiglio comunale, tenuta al Teatro comunale nel maggio del 1996.

Oliviero Saetti fu invitato a raccontare i giorni della Liberazione e la sua lunga esperienza di consigliere.

Sono andato a ricercare in archivio proprio quell’intervento e rileggendolo ho avvertito l’emozione del testimone diretto che racconta i momenti salienti della liberazione della città.

Bisognava ricominciare dopo i lutti e i sacrifici della guerra. Affrontare la ricostruzione e costruire la democrazia.

Quella speranza apparteneva anche alla generazione che oggi ricordiamo e che partecipò, come la definì lo stesso Saetti nel suo intervento, a quella straordinaria “primavera sorridente” del 1945.

Oltre che consigliere, Saetti era stato anche Vice Presidente di Commissione Distrettuale per le Imposte Dirette e per le Imposte Indirette sugli Affari, incarico per il quale ricevette nel 1972 la Medaglia di bronzo al merito della pubblica finanza. Una persona laboriosa, un tratto tipico di questa città, che amava il suo lavoro di commerciante e vi si dedicava con passione. Era sposato e aveva due figlie: Lia, prematuramente scomparsa, e Donella, alla quale ho espresso in occasione del triste evento le condoglianze dell’intero Consiglio comunale. Pur avendo molti impegni di lavoro e famigliari, non trascurava mai i ‘riti civili’ legati alla storia della nostra città, rispettato ed autorevole cultore della sua memoria e della sua identità. Non dell’identità di una sola parte, ma dell’identità culturale dell’intera comunità, Saetti era un premuroso custode delle memorie locali, del dialetto e delle tradizioni culturali della comunità.


1950 ca – sotto il Portico del Grano … i tavolini della drogheria Saetti

Era soprannominato ‘al drughéer ’, per il negozio di fronte al Municipio che gestiva insieme al fratello Giorgio. Li chiamavano i “fratelli Karamazov”, non per accostarli ai personaggi del romanzo di Dostoevskij, quanto per richiamare da un lato il loro legame con la storia comunista e la Russia, dall’altro per evocare uno stile ottocentesco e distinto che li caratterizzava.

In realtà Saetti era un comunista atipico, vista la sua estrazione sociale borghese più che operaia e la sua attività che lo conduceva ad avere rapporti con tutta la comunità.

Me lo immagino ogni mattina alzare la saracinesca del suo negozio sotto il Portico del Grano e lanciare uno sguardo nostalgico verso Palazzo Scacchetti. Da uomo arguto qual era, magari oggi, guardandosi intorno e vedendo una città trasformata dal punto di vista urbanistico e sociale e un mondo completamente diverso da quello del suo Secolo, il Novecento, forse avrebbe commentato, col dialetto che amava:

S i m l issen ditt, a n gh avrèvv màai cherdùu!” (Se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto!). E poi avrebbe aggiunto, da sincero democratico e da uomo che sa vivere il suo tempo: Mò, fóorse l’è giùssta acsè !” (Ma forse è giusto così!).

Quando penso a Saetti, penso a uno dei protagonisti della storia migliore della nostra città, una persona che si è dedicata con passione civile all’attività politica e che poi è tornata completamente al suo lavoro di commerciante e ai suoi affetti famigliari. Così come i quattrocento consiglieri che si sono succeduti tra questi banchi nel lungo dopoguerra. Ecco perché ricordare l’ultimo rappresentante del primo Consiglio è come ricordarli tutti. Ed ecco perché scomparso Saetti non scomparirà il suo ricordo, che continuerà a rimanere vivo tra i suoi familiari e tra chi l’ha conosciuto. E non si cancellerà la memoria di quella straordinaria generazione, che vogliamo ricordare con questo minuto di silenzio.

Viene osservato un minuto di silenzio; tutti i presenti sono in piedi.

Al termine si alza un applauso spontaneo e caloroso.

Letto, approvato e sottoscritto.

            Il Presidente                                       Il Segretario verbalizzante

         (Giovanni Taurasi)                                        (Mauro D’Orazi) “