Prina
stesura 09-03-2023
v 11 del 03-08-2023
Al butéeghi èd
‘na vòolta
La bottega sotto casa di una volta
di Mauro D'Orazi
Tanta mercanzia nelle botteghine
Nelle
botteghe tradizionali di una volta, in particolare nei piccoli centri, nelle
frazioni si trovava di tutto: riso, pasta, conserva di pomodoro, baccalà, sarde
sotto sale, tonno, aringhe, caramelle, confettini colorati per la ciambella,
castagne secche, cannella, noce moscata, spago, quaderni, matite, carta oleata,
sapone, detersivi, bandella, filo da cucire e per lavorare ai ferri, bottoni,
aghi, lacci da scarpe, petrolio e carburo per l’illuminazioni, empirici rimedi
farmaceutici per piccoli mali, ecc… Nei piccoli centri i fèeven aanch da
paltèin con sale e tabacchi. Vi ricordate le Botteghe Ferrari a sud di Rovereto?
La classica bilancia rossa delle botteghe di una volta
Queste
botteghe erano a loro modo anche ecologiche; in quei locali dove troneggiava la
tipica bilancia rossa, si comprava quasi tutto sfuso, il ”packaging” era limitatissimo; l’arte
del confezionamento e dell’imballaggio era ancora
agli esordi, la maggior parte dei prodotti si comprava nuda, avvolta o nella
carta gialla o blu o in quella oleata, in caso di tonno, aringhe o sardine…
Queste
botteghe erano più o meno le stesse in tutti i paesi, avevano un grande bancone
con sopra la bilancia a due piatti, dietro il quale stava il proprietario o la
moglie, o comunque uno della famiglia. I conti si facevano a matita sulla
“carta gialla” e i contadini vi scambiavano le uova o altri prodotti in cambio
di baccalà o di sapone per il bucato e molto spesso si
“segnava”, cioè si scriveva il dovuto su un libretto (al librètt di còunt) e si pagava a fine mese, o dopo il raccolto.
Spesso erano
punto di incontro, di chiacchiere, èd ṡbraghirèedi.
Erano luogo di scambio di umana cordialità
per uno sfogo dell'animo, un conforto, un sorriso. Un punto di riferito sicuro
e immediato.
Nel giro
di pochi decenni, tutto si è modernizzato, una dopo l’altra le botteghe sono
state sostituite da negozi asettici e specializzati, con nuovi prodotti richiesti
dall’accresciuto benessere: un’altra casella di vita passata e caratteristica è
ormai scomparsa.
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La butéega di fradée Saetta – i drughéer
1989 Giorgio (1924), Lazzaro (1916 - detto Biònd, l’altro fratello) e Oliviero Saetti (1914)
Ma fra
tutte le botteghe ne spiccava una in assoluto; era situata quasi all’inizio di
Portico del Grano; era affascinante per chi passeggiava, indispensabile per la reṡdóora
carpigiana intra moenia, utile per il contadino che veniva in piazza per
i mercati di giovedì e sabato, ma soprattutto magica per noi bambini … golosi
di dolci leccornie speciali.
1970 ca -
Giorgio Saetti dietro il bancone; notare la varietà e ricchezza della merce
Parlo della
famosa drogheria dei fratelli Oliviero e Giorgio Saetti, punto di riferimento
dell’epoca d’oro de La Bella Carpi; un esercizio commerciale antico (1883), di grande
pregio e lustro per la nostra città, per il centro storico.
Invece Lazzaro, detto al Biònd, il secondo dei
tre fratelli Saetti, non ebbe nulla a che fare con la drogheria e gestì fino ai
primi anni’60 una nota macelleria vicino all’ ex cinema Capitol, entrando da
viale Carducci era
il primo negozio sulla sinistra di fronte al Bar Centrale (oggi gelateria).
1958 ca -
Ecco l’immagine della bottega di macelleria di Lazzaro Saetti in corso Cabassi, la foto fu
scattata in occasione di una manifestazione/concorso organizzato dal Comune di
Carpi per le più belle vetrine della città – la vetrina della macelleria si aggiudicò in quell’occasione un apposito premio. La
macelleria fu ceduta nel corso degli anni ’60 a Carlo Bevini, che la gestì a
sua volta fino alla definitiva chiusura parecchi anni dopo.
Tornando
alla drogheria, il negozio era curatissimo sia dentro che fuori; venivano
approntati speciali e spettacolari allestimenti, in particolare per le feste
natalizie e pasquali; quando era il tempo di imbottigliare al lambrùssch nóov
o la cunsèerva èd pondòor un paio di grossi sacchi strapieni di
tappi di sughero venivano collocati in bella vista sotto il portico con i
relativi prezzi.
1953 interno della drogheria
Si
entrava e sulla sinistra c’era un alto bancone e gli scaffali dietro, tutt’intorno
altri scaffali e tanta bella mercanzia. Quello che ti colpiva era il profumo,
l’odore di buono in generale e l’aroma di caffè tostato.
1970 ca – vari prodotti in vetrina con i prezzi
1980 ca – La ricca vetrina della drogheria dei fratelli Saetti
in Corso A. Pio sotto il Portico del Grano
C’era un
abituale servizio di vendita di bicchierini di liquore al pubblico; venne
effettuato per diversi anni in particolare nei giorni di mercato anche mediante
un piccolo banco, posto in fondo a destra nella drogheria di fronte al bancone
principale. Si serviva ai clienti, ma anche agli amici, prelibati nocini, vermouth
e speciali liquorini della tradizione carpigiana (laurino, amari, cordiali, ecc
…) in piccoli bicchieri. In inverno ciò era utile per “riscaldare” la gente che
veniva al mercato. Con la bella stagione era approntati alcuni tavolini sotto
al Portico del Grano, come si può vedere da immagine più sotto.
A tale
proposito la licenza dell’esercizio prevedeva anche la mescita, oltre che la
vendita di liquori.
Nocino e liquori tradizionali fatti in casa
Un
ricordo speciale per me riguarda invece le caramelle e simili; nella bottega ce
n’era un ricchissimo assortimento.
Mia
cugina Mima Lugli Tirelli (a cui debbo tanto) del vicino negozio di Ottica Tirelli
mi dava 10 lire per comprare delle mentine zuccherate o dei gommoni.
Mentine di zucchero colorate e gommoni dolci
Ma per
me il prodotto veramente fantastico erano le caramelle del Moretto (ancora oggi
in produzione) … incredibilmente buone!
Ricoperte
di cioccolata fondente, all’interno consistevano in un nucleo duro formato da
zucchero caramellato e un impasto tritato fino da ṡò d tèesta! Non si smetteva,
finché il sacchettino che mi davano non restava vuoto.
Le Nougatine Moretto Venchi nacquero nei primi
del 900, dall’inventiva di Silvano Venchi che con un cuocitore ha caramellato
lo zucchero con le nocciole delle Langhe, ha steso sul marmo l’impasto e con
una piccola macchina a cilindri sagomati in bronzo a movimento meccanico ha
modellato tanti bon bons ovali successivamente ricoperti di cacao e cioccolato
puro fondente.
Le NOUGATINE, il moretto, il negretto ecco una
serie di nomignoli attribuiti ad una delle caramelle al cioccolato più
pubblicizzate nei primi 70 anni del ‘900. Dolci e amare, croccanti e friabili
con un marcato profumo di nocciola tostate sono tra le più imitate sul mercato.
Come ricordarle? Dal turbante e dal marchio Venchi.
I sacchi
di ottima mercanzia dentro e fuori dalla bottega
Maini Marco (Carpi) ricorda: “Tutti i
sabati con mamma e mia sorella andavamo a fare la spesa a partire dal
fruttivendolo Pritoni, in Corso Roma, poi Cattini per i salumi, Berni per i
formaggi. Infine entravamo nella drogheria dei fratelli Saetti per comprare il caffè
e le spezie. Che odori, Che sapori, che persone meravigliose! Ero un bambino 60
anni fa, ma mi ricordo ancora bene tutti i dettagli, i colori e l'allegria che
c'era; la vita de la Bella Carpi in centro pulsava, continua, potente e senza
sosta.”
Gianfranco Guaitoli (Carpi)
ricercatore storico: “All'angolo del Portico del Grano c'era la
spezieria/drogheria dei fratelli Saetti, un rinomato esercizio. La mostarda la
facevano loro stessi e la mettevano in barilotti che esponevano con giusto
orgoglio. Soprattutto di giovedì, giorno di mercato, nella bottega c'era
diversa gente che si faceva il bicchierino di vermouth. Ricordi di un tempo che
fu e che non torna più. Mala tempora currunt per noi bUmer.”
1955 ca - Una
bella serie di bottiglie di vermouth di una volta.
1983 ca –
La Gazzetta di Carpi parla di due importanti botteghe del Centro
La bottega chiuse la sua attività il 20
maggio 1984, una data simbolica di carpigianità, il giorno del patrono e della
fiera; Oliviero aveva 70 anni e Giorgio 60.
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Luciana Nora (Carpi) ha scritto questo bel ricordo
dei fratelli Saetti e della loro bella bottega
In
ricordo dei carpigianissimi "Fratelli Karamazov"
La
drogheria dei fratelli Saetti con esercizio straordinario anche di mescita
perlopiù nei giorni di mercato. Questi giorni in un tempo non lontanissimo
erano, oltre il giovedì, anche la domenica e, attenzione, non il sabato (un mutamento
considerato come serio errore sotto l'aspetto economico di cui poi ha ampiamente
goduto il mercato domenicale della vicina Cavezzo).
I
Saetti, Giorgio e Oliviero, erano veri maestri nella loro professione, e il negozio
era situato proprio all'inizio del portico del Grano, appena di fianco alla allora
sede della Banca Agricola Mantovana.
Da
quel capienti e alti locali della drogheria si sprigionava un effluvio inconfondibile
di profumi e buoni odori, non solo di caffè freschissimo di tostatura, ma di molteplici
altre droghe e prodotti tenuti in capaci vasi di vetro mostrati in bella vista
alla clientela.
C’erano
poi raffinate e gustose caramelle, comprese le eccezionali Pastiglie Leone che,
di intenso sapore, solo dopo un po’, si scioglievano in bocca.
Una antica scatoletta in metallo delle
Pastiglie Leone
Per
non parlare del finissimo cioccolato della Novi Ligure, frutta candita, sciroppi,
polpa di tamarindo, mostarda e savóor, liquori ed estratti. Non mancavano
altri pregiati generi: dai biscotti e savoiardi venduti a peso, ai saponi per
bucato di marca Gallo.
La
posizione della drogheria o spezieria, che seppur casuale, appariva quasi
emblematica: di fianco all'edicola èd Casarèin (Casarini) detta de
“L'Unità” comunista; quella dei Brandoli dall’altro capo della piazza era
quella de L’Avanti! socialista.
Davanti
c’era la bacheca PCI con “L'Unità” quotidianamente esposta; di fronte, oltre
corso Alberto Pio c’era il Palazzo Comunale cun al sindèggh Bruno Losi.
Insomma
una privilegiata posizione strategica dalla quale cogliere i movimenti, gli
umori circolanti nella città e nel Palazzo “dla Comòuna”. Palazzo che i
titolari della drogheria e alcuni abituali clienti, compreso mio padre, lo avevano
personalmente frequentato, spesso nel ruolo di consiglieri comunali. Da quella
bottega, da quella primaria posizione situata nel cuore di Carpi, riuscivano a
intuire, a prevedere o immaginare con una certa fine e avveduta approssimazione
i fatti cittadini del presente e in divenire.
Una
bottega, dunque, dove il pepe non era solo quello venduto in grani o misto in
una loro esclusivissima formidabile dose per ragù, intingoli e insaccati vari,
bensì il pepe piccante stava nei discorsi, nei dibattiti di politica in generale
e locale; essi in genere si tenevano dalla mattina presto e fino intorno alle
nove a commento degli articoli di giornale e settimanali.
Una
bottega, che volendo, poteva anche ritenersi come una sorta di propaggine del
Bar Milano e del pensatoio filosofico un tempo nello studio artistico di Renzo
Baraldi in castello, il cosiddetto “Kremlino”, tant'è che i gestori erano nominati
anche come i “fratelli Karamazov” … russi … appunto.
Conoscevo
perfettamente quelle incredibili atmosfere, perché mio padre, grande amico dei
due fratelli, tutti i giorni, dopo il più che mattiniero acquisto del suo
giornale, in attesa delle nove, orario di apertura del suo negozio di
pelletteria, si portava alla drogheria dove, oltre i titolari, incontrava qualche
altro abituale amico. Lì l'atmosfera era solitamente incredibile, bipolare
dinamica si scaldava via via e riusciva a raffreddarsi all'istante, fino al
silenzio, all'ingresso dei comuni clienti per riprendere immutata alla loro uscita.
Tutti,
seppur con sfumature diverse, ideologicamente orientati a sinistra, ma non di
meno assai critici con un sistema che loro, bottegai e artigiani, già allora,
percepivano come eccessivamente vessatorio contro le loro categorie. Erano critici
verso un sistema che, quello sì, andava manifestando tutti i negativi sintomi
di quella che qualche anno più tardi Rizzo e Stella avrebbero puntualmente
analizzato e definito “La Casta”.
Erano
discussioni così intense che spesso si perdeva la cognizione del tempo e,
d'estate, quando ero in vacanza, capitava frequentemente che mia madre mi
mandasse a “riportare al negozio mio padre” che trovavo infervorato, qualche
volta seduto su uno dei sacchi di sugheri, un po' in fondo, sulla destra del
negozio.
Ero
accolta da un “Veh mò chi gh è! A gh è la Lucianèina!” e in quel modo si
interrompeva la sequenza incalzante di considerazioni ed esternazioni.
Attenzione però che critica, autocritica ed esternazioni dovevano rigorosamente
rimanere “in casa”, perché se a muoverle fosse stato un estraneo, beh, allora le
cose cambiavano di colpo e si innescava un rigoroso atteggiamento di difesa
dell'ideale. Un’ideale di sinistra convinta che andava oltre le
debolezze e fragilità umane e che è stato sostenuto dai protagonisti strenuamente
e con solida convinzione fino alla fine dei loro giorni.
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Ricordo ufficiale
di Oliviero Saetti in Consiglio Comunale a Carpi
Nel 2009 Oliviero Saetti morì a 95 anni;
il Consiglio Comunale di Carpi volle celebrarlo come ultimo membro della prima
assemblea civica del 1945; ecco il testo del ricordo ufficiale, al quale io
stesso ho contribuito:
Verbale
del Consiglio Comunale n 4 del 14-01-2010
Sono presenti in sala
i parenti stretti dell’ex consigliere scomparso.
Oliviero Saetti
Il
Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Taurasi dà lettura, con commozione,
del seguente testo:
“Il 19 dicembre 2009 è scomparso
a 95 anni Oliviero Saetti. Fece parte del primo Consiglio comunale nominato dal
Comitato di Liberazione Nazionale e poi venne eletto nei successivi 4 mandati, rimanendo
nel civico consesso dal 1945 al 1964. Era l’ultimo rappresentante vivente del
primo Consiglio democratico del dopoguerra e ci pare doveroso ricordarlo in
questa sede (alla presenza anche dei familiari che ringrazio per la partecipazione).
Vogliamo celebrare la sua memoria e con lui ricordare, nel momento in cui
scompare l’ultimo testimone, un’intera generazione di donne e uomini che hanno
posto le basi della nostra democrazia.
Rammento ancora con commozione l’intervento che svolse in occasione
della seduta solenne del 50° del Consiglio comunale, tenuta al Teatro comunale
nel maggio del 1996.
Oliviero Saetti fu invitato a raccontare i giorni della Liberazione
e la sua lunga esperienza di consigliere.
Sono andato a ricercare in archivio proprio quell’intervento e
rileggendolo ho avvertito l’emozione del testimone diretto che racconta i
momenti salienti della liberazione della città.
Bisognava ricominciare dopo i lutti e i sacrifici della guerra.
Affrontare la ricostruzione e costruire la democrazia.
Quella speranza apparteneva anche alla generazione che oggi
ricordiamo e che partecipò, come la definì lo stesso Saetti nel suo intervento,
a quella straordinaria “primavera sorridente” del 1945.
Oltre che consigliere, Saetti era stato anche Vice Presidente di
Commissione Distrettuale per le Imposte Dirette e per le Imposte Indirette
sugli Affari, incarico per il quale ricevette nel 1972 la Medaglia di bronzo al
merito della pubblica finanza. Una persona laboriosa, un tratto tipico di questa
città, che amava il suo lavoro di commerciante e vi si dedicava con passione.
Era sposato e aveva due figlie: Lia, prematuramente scomparsa, e Donella, alla
quale ho espresso in occasione del triste evento le condoglianze dell’intero Consiglio
comunale. Pur avendo molti impegni di lavoro e famigliari, non trascurava mai i
‘riti civili’ legati alla storia della nostra città, rispettato ed autorevole
cultore della sua memoria e della sua identità. Non dell’identità di una sola
parte, ma dell’identità culturale dell’intera comunità, Saetti era un premuroso
custode delle memorie locali, del dialetto e delle tradizioni culturali della
comunità.
1950 ca – sotto il Portico
del Grano … i tavolini della drogheria Saetti
Era soprannominato ‘al drughéer ’, per il negozio di
fronte al Municipio che gestiva insieme al fratello Giorgio. Li chiamavano i “fratelli Karamazov”, non per accostarli
ai personaggi del romanzo di Dostoevskij, quanto per richiamare da un lato il loro
legame con la storia comunista e la Russia, dall’altro per evocare uno stile
ottocentesco e distinto che li caratterizzava.
In realtà Saetti era un
comunista atipico, vista la sua estrazione sociale borghese più che operaia e
la sua attività che lo conduceva ad avere rapporti con tutta la comunità.
Me lo immagino ogni mattina alzare la saracinesca del suo
negozio sotto il Portico del Grano e lanciare uno sguardo nostalgico verso
Palazzo Scacchetti. Da uomo arguto qual era, magari oggi, guardandosi intorno e
vedendo una città trasformata dal punto di vista urbanistico e sociale e un
mondo completamente diverso da quello del suo Secolo, il Novecento, forse
avrebbe commentato, col dialetto che amava:
“S i m l issen ditt, a n gh avrèvv
màai cherdùu!” (Se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto!). E poi avrebbe aggiunto,
da sincero democratico e da uomo che sa vivere il suo tempo: “Mò, fóorse
l’è giùssta acsè !” (Ma forse è giusto così!).
Quando penso a Saetti, penso a uno dei protagonisti della storia
migliore della nostra città, una persona che si è dedicata con passione civile
all’attività politica e che poi è tornata completamente al suo lavoro di
commerciante e ai suoi affetti famigliari. Così come i quattrocento consiglieri
che si sono succeduti tra questi banchi nel lungo dopoguerra. Ecco perché ricordare
l’ultimo rappresentante del primo Consiglio è come ricordarli tutti. Ed ecco perché
scomparso Saetti non scomparirà il suo ricordo, che continuerà a rimanere vivo
tra i suoi familiari e tra chi l’ha conosciuto. E non si cancellerà la memoria
di quella straordinaria generazione, che vogliamo ricordare con questo minuto
di silenzio.
Viene osservato un minuto
di silenzio; tutti i presenti sono in piedi.
Al termine si alza un applauso
spontaneo e caloroso.
Letto, approvato e
sottoscritto.
Il Presidente Il Segretario verbalizzante
(Giovanni
Taurasi) (Mauro D’Orazi) “