Prima stesura 10-01-2014 V45 del 21-08-2014
Al frèe sercadóor
e i frèe
Testo revisionato da Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Norme di trascrizione e lettura del dialetto
Le norme di trascrizione
adottate dal
“Dizionario del dialetto
carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Tabella
per facilitare la lettura
a a
come in italiano vacca
aa pronuncia
allungata laat,
scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè, sèccia,
scarèssa, panètt, panèin
èe e
aperta e prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e
chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e
chiusa e prolungata véeder,
créedit, pée
i i come in italiano bissa, dì
ii i
prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o
aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o
aperta e prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó, só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u
come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u
prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c
dolce (come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c
dolce e intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c
dura (come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g
dolce (come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g
dolce e intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g
dura (come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s
sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s
sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma,
s-ciòoch
Al frèe sercadóor e i frèe
Un frèe sercadóor
Al frèe sercadóor (e' frè
zarcantòun nel bel dialetto romagnolo): ovvero il frate ricercatore, questuante...
Un personaggio che era facile incontrare un tempo fino agli anni ’70 per le
strade della campagna era il frate questuante; un frate di solito anziano,
bonaccione e cordiale col prossimo, che si spostava in città, ma soprattutto in
campagna, alla cerca di beni di consumo come uova, grano, uva, ma anche fascine
di legna come in questa immagine.
La questua è una pratica antica di cui si
occupavano appunto i frati non abilitati a dir messa. Ciò avveniva anche nelle
terre con poca propensione clericale; infatti in Emilia e la Romagna erano ben
visti, molto più dei normali preti. Ai frati cercatori tutti davano qualcosa,
anche quelli che non andavano mai in chiesa, questo per l’indiscussa umanità
che sapevano ispirare e per la loro propensione verso i bisognosi.
E' frè zarcantòun... romagnolo
La domenica,
una volta, era facile vedere per le strade di campagna un "' frè zarcantòun", un frate
cercatore, a piedi o con un mulo, con in suo sacco in spalla a cercare dai
contadini l'elemosina per i poveri che si rivolgevano al convento. Ognuno dava
qualcosa, la povertà era sentita e conosciuta, ma. anche solo una manciata di
grano, ma qualcosa davano tutti...
Giovanna Monaci (Siena): “Il frate cappuccino passava anche da noi nel
periodo dell'olio nuovo. Si portava una stagna di latta sulle spalle; mia.nonna
gli ce ne metteva un po' di tazze. Il frate ringraziava dicendo: - Cii si vede
il prossimo anno, se Dio vuole e vi ricordo nelle mie preghiere.-
Oscar Clò (Campogalliano): Da nuèeter a gniiva
i frèe szarcàun, quìi èd San Martèin!!
San Nicolò – Carpi
Frasi, modi di dire e ricordi
Le frasi, i modi dire sui frati e
argomenti collegati sono tanti; ho cercato di elencare quelle più significative
e spiritose in uso nelle nostre zone, giocando anche sulle assonanze.
Ho aggiunto qualche commento e ricordo.
*S a cuntinnua acsè a vaagh ind i frèe
sercadóor!
*Mia madre e mia zia, poco soddisfatte della poco appagante vita
domestica e del loro non soddisfacente rapporto con gli uomini della famiglia
(marito, figli o nipoti che fossero), spesso sospiravano: S a tóorn a naaser a vaagh ind al sóori!
Se torno a nascere vado nelle suore, in convento.
Talora però c’era anche qualche ometto disperato per uguali e
contrapposti motivi: S a tóorn a
naaser a vaagh ind i frèe … sercadóor! Nei frati! E addirittura in
quelli cercatori, che non erano nemmeno vincolati ai voti.
* Quando si è in chiassosa
compagnia e capita un momento inaspettato di silenzio, si può dire: "Sst! Ch a naas un frèe!" Silenzio!
Che nasce un frate!
Da cosa deriva questa
frase? Forse dal silenzio durante la cerimonia di iniziazione del nuovo frate?
L'origine del detto non è
chiara. Mentre il significato è quello di sottolineare ironicamente, nel gran
casino di un momento conviviale, quando si è in allegra brigata, una pausa di inaspettato silenzio.
Una
ragione che mi viene in mente è che il farsi frate non è una cosa frequente,
come non lo sono neppure i momenti in cui in una comitiva spontaneamente e
singolarmente tutti tacciono, ma è solo una delle tante supposizioni.
Per approfondire
l'origine della frase ho chiesto aiuto a qualche esperto e ad alcuni dizionari;
i risultati sono davvero vari:
Giuliano Bagnoli (Reggio
Emilia): "Conosco quel modo di dire ed ho sempre pensato che forse si
diceva così per rimarcare il senso di meditazione e di attesa silenziosa che si
realizza durante la cerimonia di ordinazione dei frati francescani. Non
dimentichiamo che i frati erano ben conosciuti dalla popolazione perché
andavano di casa in casa a questuare e di loro la gente aveva molta fiducia e
rispetto (attenti alle mogli che erano sole in casa, però....).".
Guido Malagoli
(Modena) mi suggerisce una interpretazione giovanile proveniente dal vissuto della
sua compagnia di amici:" A proposito del frate che nasce, ti dirò che tra
noi ragazzotti di un tempo, si usava questa frase quando ci trovavamo in
allegra compagnia e qualcuno parlava a voce alta. All'ordine perentorio: "Silèinzi, a naas un frèe!". Allora
si faceva davvero silenzio assoluto e il richiedente, soddisfatto, mollava un
gigantesco peto della durata di qualche secondo, sollevando opportunamente la
coscia per sfogare più liberamente l'eccesso gassoso. Robe da maschiacci!
A quel punto, chi aveva
qualche cartuccia da spendere, rispondeva a tono, e nascevano altri “frati”, a
volte un convento intero e poi si rideva come fessi.
Sono certo che nel nostro
comportamento non c'era alcun riferimento offensivo ai frati o alla chiesa, ma
la frase era utile e funzionale alla creazione della suspence e del silenzio necessari per valorizzare l'impeto
intestinale, inizialmente sonoro e successivamente olfattivo del solista.
Seriamente: penso che la
frase faccia riferimento al momento conviviale dei frati che, un tempo,
pranzavano in assoluto silenzio ascoltando la lettura del martirologio."
Dal dizionario modenese
di Sandro
Bellei: "Espressione scherzosa
usata quando, in mezzo a un gruppo di persone, ci si accorge di un improvviso
silenzio. I frati in crocchio, infatti, parlano poco e a tavola, un tempo,
mangiavano in assoluto silenzio”.
Luigi Lepri (Bologna)
nel dizionario bolognese dice un po’ la stessa cosa.
Nel vocabolario del
dialetto modenese di Attilio Neri
(Modena): "Si dice per far tacere un gruppo di persone."
“Sst! Taṡìi ch a naas un frèe!” “Brodo lungo e seguitate!” aggiungeva mia
madre, ridendo.
Ma anche … “Padre è cresciuto un frate!! -
Brodo lungo e seguitate!" Sta a significare che la compagnia, la famiglia
o il gruppo si sono allargati, ma le risorse sono rimaste sempre quelle e
quindi bisogna dividersi quello che c'è … diluendolo.
* Al
frèe a s lèeva primma che al divèel a s sia miss al schèerpi; il frate si
alza addirittura prima che il diavolo si sia infilato le scarpe.
*In
cumpagnìa aanch un frèe al tulè (prese - passato remoto) muiéera. Nel senso che è facile farsi
trascinare quando si è in allegra comitiva.
* Un frèe, schersàand, tulè muièera; variante, stavolta… mentre
scherzava.
*Se vuoi l'assoluzione devi baciare sto cordone!
*Un fratòun, un fratèin (frati di
varie dimensioni).
* Mò va a fèer èt benedìir dai frèe!
Mandare a quel paese qualcuno.
* Un po’ più grezza, ma con lo stesso
significato: Mò va a caghèer in dal cagadóor di
frèe!
*
Quando un certa vicenda si conclude con una cocente delusione o uno spiacevole
fallimento: “Vè mò ch ciavèeda ch a ciàapa i frèe! (Ma che fregatura che
prendono i frati!)”.
Interpretare
questo modo di dire non è semplice; Marco Giovanardi (Carpi) ritiene
che una soluzione si possa trovare nella continuazione della frase … se al
paradiis al ne gh fuss mia!! … taant sacrifissi pèr gnìint! (Se il paradiso
non ci fosse con tanti sacrifici fatti per niente!)
Mentre
Giorgio
Iotti (Carpi) tende a fare riferimento ai
periodi storici napoleonici e risorgimentali, quando molti ordini furono
espropriati dei loro beni immobiliari.
Un fratòun
*Graas cóome al cuul d un frèe (grasso
come il sedere di un frate).
Aasi d
lèggn
*Questa viene dall’Antica
Falegnameria Beltrami: Al lèggn l è
cóome al cuul di frèe, al va e s al viin! - il legno è come il
posteriore dei frati, va e viene.
Al va e s al vìin cóome
la cusinsia di frèe. Va e
viene come la coscienza dei frati. Nel senso che anche questi santi uomini non
sono avulsi all’uso di interpretare le cose in modo diverso a seconda delle
occasioni. Si cambia impunemente parere su vicende del tutto simile senza tema
di perdere la faccia, anzi spesso… a gh ìin vìin a lóor!.
Il
modo di dire in dialetto è certo negativo, ma se però si vuole dare un taglio
in positivo… dobbiamo spingerci oltre l’uso corrente della frase.
D’èetra pèert a n è pròopria Fra Cristoforo che nei
Promessi Sposi al dìis: "Omnia
munda, mundis!" Tradotto letteralmente significa "Tutto è puro per i
puri" (s'intende, "per chi è puro di cuore e d'animo"), o anche
"All'anima pura, tutte le cose (appaiono) pure".
La frase è contenuta nel Nuovo
Testamento, e precisamente nell'epistola a Tito di san Paolo. Chi agisce con
innocenza e in maniera avveduta (e in ogni caso secondo il dettame d'una retta
coscienza) non vede il male, neppure in situazioni che ne potrebbero aver
l'apparenza.
Èsser petnèe cun la fratèina (frangetta).
Una volta i frati erano tenuti alla tonsura
e avevano la cèrrga (la chierica,
tonsura) che era un segno evidente di distinzione agli occhi del mondo profano.
La cèrrga non era simbolo di umiltà,
ma segnale peculiare; i tonsurati erano esenti da tributi e gravami vari; erano
sottoposti al tribunale ecclesiastico invece che a quello civile. Grazie ad
essa si contraddistinguevano subito; c’erano penali per chi se la faceva senza
averne diritto, ma al truffaldino scopo di approfittarsene. Essa fu
ufficialmente abolita dopo il Concilio Vaticano II nel 1972.
La cèrrga però non è da confondere con la
ciaarana, che è il primo serio
diradamento dei capelli, in cima alla testa, che precede la calvizie vera e
propria. Il nostro formidabile dialetto conosce e denomina anche queste
sfumature di stato dei capelli.
Ciaraana
**
* I fratèin (o i frèe) sono i sandali (di estivo per i laici) faat cun al curàam (cuoio).
* Felice Marinelli (Carpi) ricorda: ”I frèe era il tipo di sandalo che da
bambino indossavo in primavera - estate. Mio padre prendeva le misure del piede
con uno stecco di fascine (faṡdèin o faas), poi andava al mercato e mi comprava i frèe. Ma di due o tre cm. più lunghi
- Acsè i t vaan bèin pèr duu o trii aan! –
* Con l’amico Graziano
Forghieri (Carpi), un re della saldatura,
mi è capitato spesso di fare l'assistente, quando operava su qualche pezzo
difficile. Di solito quando vedevo da lontano che il mio amico stava saldando
fra lampi di luce e sfrigolii di materiale ribollente, svicolavo
preventivamente in modo vile e silenzioso. Ma non sempre l’operazione di fuga
aveva successo. Così, rassegnato, tenevo gli occhi chiusi e la testa girata in
là, ma qualche conseguenza c'era lo stesso. I
s-ciatèin sono dunque schizzi volanti
provocati dai frammenti roventi che produce il cruento processo di saldatura,
utilizzando l’apposita bachètta. I t bruuṡen al maiòun, la tuuta, al brèeghi
e i t faan di buṡinèin. Particolarmente dolorosi quelli ch i t riiven ind al cupètt o in mezzo
alle dita dei piedi, quando, per trarre qualche beneficio contro la grande
calura estiva padana, si indossavano i frèe o
i fratèin (i sandali francescani) aperti.
*0*
*Aaqua,
pèeder, che al cunvèint al bruuṡa!: acqua, padre, che il convento brucia!
Frase scherzosa per sedare pericolose esaltazioni o fregole. Se poi col
convento si identifica il sesso femminile, il significato di questo detto
diventa molto più malizioso.
*Incóo
la mèinsa dal cunvèint l à faat fèesta - sembra che la mensa del convento
oggi abbia fatto festa. Quando in tavola non c'è niente.
*Ooh!
A n suun mia Pèered Nadèel. Nel senso che ci si trova di fronte a una
persona che pretende considerazione e non si accontenta certo degli “scarti”
destinati a un frate del Convento di San Nicolò.
*A
gh è chi da mèeno! Cóome al dgèe cal frèe. C'è chi da meno, come disse quel
frate di fronte a una offerta irrisoria.
**
1970 circa: il buon Fra Giovanni Sossi (+1994)
- conosciuto e amato frate cercatore del convento di San Nicolò di Carpi.
Per molti anni ha percorso quotidianamente
le nostre campagne cun al sóo barusèin
trainato da un somarello per raccogliere le offerte in natura per le necessità
del convento di Carpi e per sostenere l’azione caritativa nei confronti dei più
bisognosi (la Mensa dei Poveri). In tempi successivi con un motocarro Ape
provvedeva a raccogliere carta e cartone per gli stessi scopi.
Tutti lo ricordano con affetto per la sua
silenziosa umiltà, per l’instancabile servizio e per la preghiera costante.
Lo storico ricercatore Gianfranco Guaitoli (Carpi) annota: "I frati cercatori,
soprattutto della montagna, ma anche da noi in pianura, cercavano con
particolare cura di reperire le noci, non tanto da mangiare, ma ad uso
illuminazione. Infatti con l'olio di noce (ottenuto dalla spremitura delle
stesse) si otteneva un olio denso, di bassa qualità, ma che serviva ad
alimentare la lumma (il lumino).
Veniva venduto anche nelle botteghe e costava molto meno dell'olio di oliva.
Quest'ultimo, bruciando, faceva pochissimo fumo e produceva un non sgradevole
odore, al contrario invece di quello di noce che era destinato ai poveri:
puzzava e faceva molto fumo, annerendo tutte le abitazioni.
Gianni Manfredini (Carpi): “Io sono cresciuto in
San Nicolò e me lo ricordo bene. Aveva una forza incredibile. Un giorno, mentre
andava alla cerca in campagna, chiese della legna a un agricoltore. Questi gli
indicò ‘na sèppa (una zocca, un
ceppo) e gli disse, con un tono di bonaria sfida: - A gh ò pròopia ‘na bèela sèppa! S te gh la chèev èd carghèer la, t la
póo purtèer vìa. (Ho davvero una bella radice, se riesci a caricarla, la
puoi prendere e portarla in convento!)-.
Fra Sossi non se lo fece dire
due volte, fece un respiro profondo e poi con uno sforzo incredibile riuscì a metterla
sul carretto trainato dall'asinello e, felice, se la portò al convento.
Chiostro del convento di San Nicolò a Carpi
* Dorio
Silingardi (Fossoli): “Fra Sossi è il frate che mi ha investito inavvertitamente
col suo carrettino a tre ruote a Carpi nel 1965, quando avevo 14 anni, presso
l’incrocio tra via Remesina e via Manzoni. Dopo lo scontro, mi ha caricato sul
carrettino e, pedalando come un forsennato, mi ha portato al Pronto Soccorso.
Era disperato più lui di me.
Era uomo buonissimo e altruista; veniva sempre a trovare i miei
nonni a Fossoli e a prendere un po’ di uva, uova, insalata, ecc…”
* Felice
Marinelli (Gargallo): ”Quante
volte l'ho visto; passava anche a Gargallo a casa mia. I miei gli davano, a
seconda delle disponibilità del momento: óov, faas, faṡdèin, farèina,
suchètt, ecc… Al tuliiva tutt quèll che te gh dèev pèr al cunvèint e pèr i
puvrètt, ch i andèeven a la mèinsa di frèe èd San Nicolò.”
* Capitava, soprattutto in campagna, che presso
ogni casa in cui si fermava per la questua, gli offrissero un bicchiere di vino
per rinfrancarlo del lungo cammino. Una cortese offerta, di antichissima
tradizione, che sarebbe stato indelicato rifiutare e così… dàai uun! dàai duu! … poteva
succedere che Fra Giovanni al turnìss in
cunvèint la siira cun un quèelch balèin sòtta l’èela.
* Si
narra che Ondino Miselli, in arte Namis (pittore, caricaturista satirico e
salace poeta), camminasse sotto il portico di San Nicolò, quando da lontano
vide sopraggiungere un frate del vicino convento. Costui, distratto, inciampò, incespicò
e fece un gran bèel ranòun (caduta
plateale). Al ché il nostro poeta commentò con la sua consueta e corrosiva
malizia: “A n càasca fóoia che Dio a n
vóoia! Non casca foglia che Dio non voglia!”
Nando Miselli - detto
Namis - Ursus
**
*Al va e s al viin cóome la cusiinsa di frèe; il modo di dire sta a indicare l’uso di diversi
metri di giudizio su particolari situazioni o colpe che variano a seconda le
circostanze e le convenienze del momento.
*Srèin d
invèeren, Sereno
d’inverno,
nuvvli (o nuvvel) d istèe, nuvole
(nuvolo) d’estate,
ciàacri d dònni chiacchiere
di donne
e caritèe di frèe ... e carità dei
frati ...
i iin quàater lavóor sono
quattro cose
ch a n gh vóol mìa badèe. a cui
non va badato.
*Curìi!
... curìi! Ch a naas un frèe sèinsa la tèesta!: Correte!
Correte! Che nasce un frate senza la testa. Per sottolineare avvenimenti
straordinari o ironicamente ritenuti tali.
* Sòtt a chi tòcca ... a (d)giiva quèll ch al
castrèeva i frèe: sotto a
chi tocca … diceva colui che serviva i frati. Frase ironica da usarsi in
sequenza di varie cose da fare.
***
Un pòover frèe sercadóor stava
tornando in convento verso sera con il suo asinello malmesso carico di poche e
avare offerte, raccolte qua e là durante una calda giornata estiva di
peregrinazioni. Quand’ecco incontrò un nobile conte in sella a un superbo
cavallo tutto agghindato. Il conte, per prendersi gioco del frate, si levò il
cappello e, accennando a un ossequioso inchino, domandò: "Cumma vaa l l èeṡen? Chèer al mé frèe!"
E questi di rimando: "A cavàal,
sgnóor còunt, a cavàal..."
**
*Mìa tutt i frèe… i iin frèe (non
tutti i frati sono… ferrati)!
*Biṡòggna
èsser frèe pèr frèer un frèe fraréeṡ! Bisogna essere ferrati per ferrare un
frate ferrarese!
*Gioco
di parole… comunale spiritosamente assurdo, ma… non troppo. Mò che asesóor! O a s è sóori o a s è frèe e
s a n s è frèe a s è di sumèer!:
ma che assessore! O si è suore o si è frati e se non si è ferrati si è dei somari.
**
Ecco due
modi di dire che ci arrivano dal 1500; provengono dalle “Cronache modenesi” di
Tommasino de’ Bianchi de Lancellotti (1473-1554); le traduco in carpigiano.
S te vóo stèer sèmmper bèin… fàat préet o
frèe! Se vuoi star bene sempre…
fatti prete o frate. Ciò la dice lunga sulle vocazioni di un tempo e sul fatto
di quanti inutili nullafacenti e parassiti dovessero essere mantenuti dalla
comunità.
I frèe i gh aan siinch T: Tìira, Tóo, Tìin, Tòost e Tutt. I frati hanno cinque T:
tirare dalla loro, incamerare e prendere, tenere, far presto e arraffare tutto
il possibile. Amen!
**
* Mò chi t à frèe? Plòun? (o Pelóoni? in un dialetto più
italianizzato). Ma chi ti ha ferrato? Il maniscalco Pelloni?
Quando qualcuno
faceva il saputello a sproposito e si sentiva, a torto, ferrato su certo
argomento, sputando sentenze, poteva venire maliziosamente bersagliato con la
caustica frase, che altro non rappresentava che un eufemismo di... sumèer (somaro).
La
salace e consueta ironia carpigiana gioca anche qui sull'essere ferrato e sulla
ferratura dei cavalli, ma ancor più degli asini. I Pelloni erano noti fabbri - maniscalchi
fino alla prima metà del secolo scorso e tenevano bottega in via Trento Trieste
di fronte alla chiesa di San Francesco.
1950 ca
– Il pittore carpigiano Inigio Pagliani così ha dipinto la bottega dei
maniscalchi Pelloni in via Trento e Trieste
Romano Pelloni (Carpi)
nipote di Celso, l’ultimo maniscalco, racconta:
”Di
famiglie Pelloni a Carpi ve ne sono due ceppi: quello dei Pelloni "il
postino", coi quali noi non siamo imparentati, e i Pelloni "i manischèelch" i maniscalchi, cioè
la mia famiglia.
I due
fratelli Pelloni Arturo e Celso vennero da Modena, quando cadde il ducato:
infatti erano i maniscalchi del duca. Arturo, morto giovane, era mio nonno e
Celso, detto "al biòond Pelóoni "che
ne aveva adottato i figli e fu di fatto il mio vero nonno.
1941
Carpi – Celso Pelloni - Il maniscalco di via Trento Trieste
I
Pelloni maniscalchi erano i Plòun e
non i Pelóoni, come per altro si
diceva; il nome deriva dal plurale di plòun
d ùa, cioè i viticci.
I due
fratelli erano ferratori di cavalli e di asini. Due sono le frasi su cui si
giocava il termine frèe: la
prima è quella sopra citata, la seconda è quella che il mio prozio Celso diceva
a frate Giovanni Sossi, il quale veniva a fare ferrare il suo asino da noi. A
fine ferratura chiedeva sempre al mite fraticello cercatore: "E adéesa… chi è più frèe? Tè o al tó suméer?'".
Mio
padre Loris Pelloni chiuse la mascalcìa negli anni '50 del secolo scorso.
Una
precisazione: gli stalli erano quelli che, specie nei giorni di festa o di
mercato, ospitavano equini e carri o carrozzelle (e corrispondono agli
autogarage e ai depositi di biciclette di oggi), mentre le nostre erano al butéeghi da manischèelch o le
mascalcìe. “
**
Assonanze curiose
L’assonante
verbo sfratunèer invece non ha niente
a che fare con le tonache: significa infatti stendere a dovere il cemento
dell’intonaco con la speciale tavoletta munita di apposita maniglia centrale
sul retro.
In termini figurati significa
anche malmenare qualcuno: sfratunèer la
ghiggna a un quelchidùun, ciapèer ‘na
sfratunèeda.
Tavoletta per “sfrattonare”
***
L'esperto di cultura locale Giorgio Rinaldi (Brodano di Vignola - MO) mi suggerisce
alcune ulteriori assonanze: "Nella Valle del Panaro al fratèein è anche il fungo detto spugnola, in dialetto sfuracèela.
Ancora, al fratèin o fratazèin, è anche è la cinciallegra
mora.
Frèe è poi
anche quella bella farfallina nera che ha sulla schiena un anello giallo. Io
l'ho sempre notata nei boschi in settembre, quando si riproduce attaccandosi al
partner nella parte posteriore e... all'indietro!
Ma per altri frèe è
anche una libellula.
Nel ferrarese al frà è
anche la turbina orizzontale con puleggia che serve a travasare l'acqua.
***
Domanda
impertinente
“Sant’Antonio Abate,
senza moglie come fate? “
“Con le mogli degli amici
passo i miei giorni più felici.”
**
Pèeder Vòolta
Infine una piccola citazione merita anche uno strano frate… tale Pèeder
Vòolta; costui aveva una singolare abitudine che ci viene tramandata
all’inizio di una filastrocca molto diffusa un tempo fra i bambini carpigiani:
A gh éera 'na vòolta Pèeder Vòolta, C'era una volta Padre Volta,
ch al caghèeva in 'na spòorta. che la
faceva in una sporta.
Ma la spòorta l'éera ròtta Ma la
sporta era rotta
e Pirèin ch al gh éera sòtta e Pierino [nome
variabile] che era sotto
al l'à magnèeda tòtta! l'ha
mangiata tutta!
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