martedì 3 giugno 2014

Al frèe sercadóor e i frèe I frati cercatori dialetto carpigiano a cura di Mauro D'Orazi


Prima stesura 10-01-2014                                             V45 del 21-08-2014






Al frèe sercadóor
e i frèe








Testo revisionato da Anna Maria Ori e Graziano Malagoli



Norme di trascrizione e lettura del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a      a come in italiano                             vacca
aa    pronuncia allungata                           laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)                        martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe    e aperta e prolungata                       andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é      e chiusa (come in regno)                   méi, mé
ée    e chiusa e prolungata                        véeder, créedit, pée

i i come in italiano                                  bissa, dì
ii      i prolungata                                     viiv, vriir, scalmiires, dii

ò      o aperta (come in buono)                 pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo    o aperta e prolungata                       scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó      o chiusa (come in noce)                   tó, só, indó
óo    o chiusa e prolungata                      vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u      u come in italiano                             parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu    u prolungata                                    bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’      c dolce (come in ciao)                       vèec’ , òoc’
cc’    c dolce e intensa (come in faccia)       cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch     c dura (come in chiodo)                    ṡbòcch, spaach, stècch
g’     g dolce (come in gelo)                      curàag’, alòog’, coléeg’
gg’    g dolce e intensa (come in oggi)         puntègg’, gurghègg’
gh    g dura (come in ghiro)                      ṡbrèegh, siigh

s      s sorda (come in suono)                   sèmmper, sóol, siira
ṡ      s sonora (come in rosa)                    atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c    s sorda seguita da c dolce                  s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch


Al frèe sercadóor e i frèe


 
Un frèe sercadóor

Al frèe sercadóor (e' frè zarcantòun nel bel dialetto romagnolo): ovvero il frate ricercatore, questuante... Un personaggio che era facile incontrare un tempo fino agli anni ’70 per le strade della campagna era il frate questuante; un frate di solito anziano, bonaccione e cordiale col prossimo, che si spostava in città, ma soprattutto in campagna, alla cerca di beni di consumo come uova, grano, uva, ma anche fascine di legna come in questa immagine.
La questua è una pratica antica di cui si occupavano appunto i frati non abilitati a dir messa. Ciò avveniva anche nelle terre con poca propensione clericale; infatti in Emilia e la Romagna erano ben visti, molto più dei normali preti. Ai frati cercatori tutti davano qualcosa, anche quelli che non andavano mai in chiesa, questo per l’indiscussa umanità che sapevano ispirare e per la loro propensione verso i bisognosi.
E' frè zarcantòun... romagnolo
La domenica, una volta, era facile vedere per le strade di campagna un "' frè zarcantòun", un frate cercatore, a piedi o con un mulo, con in suo sacco in spalla a cercare dai contadini l'elemosina per i poveri che si rivolgevano al convento. Ognuno dava qualcosa, la povertà era sentita e conosciuta, ma. anche solo una manciata di grano, ma qualcosa davano tutti...

Giovanna Monaci (Siena): “Il frate cappuccino passava anche da noi nel periodo dell'olio nuovo. Si portava una stagna di latta sulle spalle; mia.nonna gli ce ne metteva un po' di tazze. Il frate ringraziava dicendo: - Cii si vede il prossimo anno, se Dio vuole e vi ricordo nelle mie preghiere.-

Oscar Clò (Campogalliano): Da nuèeter a gniiva i frèe szarcàun, quìi èd San Martèin!!
San Nicolò – Carpi


Frasi, modi di dire e ricordi

Le frasi, i modi dire sui frati e argomenti collegati sono tanti; ho cercato di elencare quelle più significative e spiritose in uso nelle nostre zone, giocando anche sulle assonanze.
Ho aggiunto qualche commento e ricordo.

*S a cuntinnua acsè a vaagh ind i frèe sercadóor!
*Mia madre e mia zia, poco soddisfatte della poco appagante vita domestica e del loro non soddisfacente rapporto con gli uomini della famiglia (marito, figli o nipoti che fossero), spesso sospiravano: S a tóorn a naaser a vaagh ind al sóori! Se torno a nascere vado nelle suore, in convento.
Talora però c’era anche qualche ometto disperato per uguali e contrapposti motivi: S a tóorn a naaser a vaagh ind i frèe … sercadóor! Nei frati! E addirittura in quelli cercatori, che non erano nemmeno vincolati ai voti.
* Quando si è in chiassosa compagnia e capita un momento inaspettato di silenzio, si può dire: "Sst! Ch a naas un frèe!" Silenzio! Che nasce un frate!
Da cosa deriva questa frase? Forse dal silenzio durante la cerimonia di iniziazione del nuovo frate?
L'origine del detto non è chiara. Mentre il significato è quello di sottolineare ironicamente, nel gran casino di un momento conviviale, quando si è in allegra brigata, una pausa di inaspettato silenzio.
Una ragione che mi viene in mente è che il farsi frate non è una cosa frequente, come non lo sono neppure i momenti in cui in una comitiva spontaneamente e singolarmente tutti tacciono, ma è solo una delle tante supposizioni.
Per approfondire l'origine della frase ho chiesto aiuto a qualche esperto e ad alcuni dizionari; i risultati sono davvero vari:
Giuliano Bagnoli (Reggio Emilia): "Conosco quel modo di dire ed ho sempre pensato che forse si diceva così per rimarcare il senso di meditazione e di attesa silenziosa che si realizza durante la cerimonia di ordinazione dei frati francescani. Non dimentichiamo che i frati erano ben conosciuti dalla popolazione perché andavano di casa in casa a questuare e di loro la gente aveva molta fiducia e rispetto (attenti alle mogli che erano sole in casa, però....).".

Guido Malagoli (Modena) mi suggerisce una interpretazione giovanile proveniente dal vissuto della sua compagnia di amici:" A proposito del frate che nasce, ti dirò che tra noi ragazzotti di un tempo, si usava questa frase quando ci trovavamo in allegra compagnia e qualcuno parlava a voce alta. All'ordine perentorio: "Silèinzi, a naas un frèe!". Allora si faceva davvero silenzio assoluto e il richiedente, soddisfatto, mollava un gigantesco peto della durata di qualche secondo, sollevando opportunamente la coscia per sfogare più liberamente l'eccesso gassoso. Robe da maschiacci!
A quel punto, chi aveva qualche cartuccia da spendere, rispondeva a tono, e nascevano altri “frati”, a volte un convento intero e poi si rideva come fessi.
Sono certo che nel nostro comportamento non c'era alcun riferimento offensivo ai frati o alla chiesa, ma la frase era utile e funzionale alla creazione della suspence e del silenzio necessari per valorizzare l'impeto intestinale, inizialmente sonoro e successivamente olfattivo del solista.
Seriamente: penso che la frase faccia riferimento al momento conviviale dei frati che, un tempo, pranzavano in assoluto silenzio ascoltando la lettura del martirologio."

Dal dizionario modenese di Sandro Bellei: "Espressione scherzosa usata quando, in mezzo a un gruppo di persone, ci si accorge di un improvviso silenzio. I frati in crocchio, infatti, parlano poco e a tavola, un tempo, mangiavano in assoluto silenzio”.

Luigi Lepri (Bologna) nel dizionario bolognese dice un po’ la stessa cosa.

Nel vocabolario del dialetto modenese di Attilio Neri (Modena): "Si dice per far tacere un gruppo di persone."

“Sst! Taṡìi ch a naas un frèe!” “Brodo lungo e seguitate!” aggiungeva mia madre, ridendo.
Ma anche … “Padre è cresciuto un frate!! - Brodo lungo e seguitate!" Sta a significare che la compagnia, la famiglia o il gruppo si sono allargati, ma le risorse sono rimaste sempre quelle e quindi bisogna dividersi quello che c'è … diluendolo.

* Al frèe a s lèeva primma che al divèel a s sia miss al schèerpi; il frate si alza addirittura prima che il diavolo si sia infilato le scarpe.

*In cumpagnìa aanch un frèe al tulè (prese - passato remoto) muiéera. Nel senso che è facile farsi trascinare quando si è in allegra comitiva.
* Un frèe, schersàand, tulè muièera; variante, stavolta… mentre scherzava. 
*Se vuoi l'assoluzione devi baciare sto cordone!
*Un fratòun, un fratèin (frati di varie dimensioni).
* Mò va a fèer èt benedìir dai frèe! Mandare a quel paese qualcuno.
* Un po’ più grezza, ma con lo stesso significato: Mò va a caghèer in dal cagadóor di frèe!
* Quando un certa vicenda si conclude con una cocente delusione o uno spiacevole fallimento: “Vè mò ch ciavèeda ch a ciàapa i frèe! (Ma che fregatura che prendono i frati!)”.
Interpretare questo modo di dire non è semplice; Marco Giovanardi (Carpi) ritiene che una soluzione si possa trovare nella continuazione della frase … se al paradiis al ne gh fuss mia!! … taant sacrifissi pèr gnìint! (Se il paradiso non ci fosse con tanti sacrifici fatti per niente!)
Mentre Giorgio Iotti (Carpi) tende a fare riferimento ai periodi storici napoleonici e risorgimentali, quando molti ordini furono espropriati dei loro beni immobiliari.

frate
Un fratòun
*Graas cóome al cuul d un frèe (grasso come il sedere di un frate).

Aasi d lèggn
*Questa viene dall’Antica Falegnameria Beltrami: Al lèggn l è cóome al cuul di frèe, al va e s al viin! - il legno è come il posteriore dei frati, va e viene.

Al va e s al vìin cóome la cusinsia di frèe. Va e viene come la coscienza dei frati. Nel senso che anche questi santi uomini non sono avulsi all’uso di interpretare le cose in modo diverso a seconda delle occasioni. Si cambia impunemente parere su vicende del tutto simile senza tema di perdere la faccia, anzi spesso… a gh ìin vìin a lóor!.
Il modo di dire in dialetto è certo negativo, ma se però si vuole dare un taglio in positivo… dobbiamo spingerci oltre l’uso corrente della frase.
D’èetra pèert a n è pròopria Fra Cristoforo che nei Promessi Sposi al dìis: "Omnia munda, mundis!" Tradotto letteralmente significa "Tutto è puro per i puri" (s'intende, "per chi è puro di cuore e d'animo"), o anche "All'anima pura, tutte le cose (appaiono) pure".
La frase è contenuta nel Nuovo Testamento, e precisamente nell'epistola a Tito di san Paolo. Chi agisce con innocenza e in maniera avveduta (e in ogni caso secondo il dettame d'una retta coscienza) non vede il male, neppure in situazioni che ne potrebbero aver l'apparenza.

francescani milano
Èsser petnèe cun la fratèina (frangetta).

Una volta i frati erano tenuti alla tonsura e avevano la cèrrga (la chierica, tonsura) che era un segno evidente di distinzione agli occhi del mondo profano. La cèrrga non era simbolo di umiltà, ma segnale peculiare; i tonsurati erano esenti da tributi e gravami vari; erano sottoposti al tribunale ecclesiastico invece che a quello civile. Grazie ad essa si contraddistinguevano subito; c’erano penali per chi se la faceva senza averne diritto, ma al truffaldino scopo di approfittarsene. Essa fu ufficialmente abolita dopo il Concilio Vaticano II nel 1972.
La cèrrga però non è da confondere con la ciaarana, che è il primo serio diradamento dei capelli, in cima alla testa, che precede la calvizie vera e propria. Il nostro formidabile dialetto conosce e denomina anche queste sfumature di stato dei capelli.
Ciaraana
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* I fratèin (o i frèe) sono i sandali (di estivo per i laici) faat cun al curàam (cuoio).

* Felice Marinelli (Carpi) ricorda: ”I frèe era il tipo di sandalo che da bambino indossavo in primavera - estate. Mio padre prendeva le misure del piede con uno stecco di fascine (faṡdèin o faas), poi andava al mercato e mi comprava i frèe. Ma di due o tre cm. più lunghi - Acsè i t vaan bèin pèr duu o trii aan!

* Con l’amico Graziano Forghieri (Carpi), un re della saldatura, mi è capitato spesso di fare l'assistente, quando operava su qualche pezzo difficile. Di solito quando vedevo da lontano che il mio amico stava saldando fra lampi di luce e sfrigolii di materiale ribollente, svicolavo preventivamente in modo vile e silenzioso. Ma non sempre l’operazione di fuga aveva successo. Così, rassegnato, tenevo gli occhi chiusi e la testa girata in là, ma qualche conseguenza c'era lo stesso. I s-ciatèin sono dunque schizzi volanti provocati dai frammenti roventi che produce il cruento processo di saldatura, utilizzando l’apposita bachètta. I t bruuṡen al maiòun, la tuuta, al brèeghi e i t faan di buṡinèin. Particolarmente dolorosi quelli ch i t riiven ind al cupètt o in mezzo alle dita dei piedi, quando, per trarre qualche beneficio contro la grande calura estiva padana, si indossavano i frèe o i fratèin (i sandali francescani) aperti.
*0*

*Aaqua, pèeder, che al cunvèint al bruuṡa!: acqua, padre, che il convento brucia! Frase scherzosa per sedare pericolose esaltazioni o fregole. Se poi col convento si identifica il sesso femminile, il significato di questo detto diventa molto più malizioso.
*Incóo la mèinsa dal cunvèint l à faat fèesta - sembra che la mensa del convento oggi abbia fatto festa. Quando in tavola non c'è niente.
*Ooh! A n suun mia Pèered Nadèel. Nel senso che ci si trova di fronte a una persona che pretende considerazione e non si accontenta certo degli “scarti” destinati a un frate del Convento di San Nicolò.
*A gh è chi da mèeno! Cóome al dgèe cal frèe. C'è chi da meno, come disse quel frate di fronte a una offerta irrisoria.
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1970 circa: il buon Fra Giovanni Sossi (+1994) - conosciuto e amato frate cercatore del convento di San Nicolò di Carpi.
Per molti anni ha percorso quotidianamente le nostre campagne cun al sóo barusèin trainato da un somarello per raccogliere le offerte in natura per le necessità del convento di Carpi e per sostenere l’azione caritativa nei confronti dei più bisognosi (la Mensa dei Poveri). In tempi successivi con un motocarro Ape provvedeva a raccogliere carta e cartone per gli stessi scopi.
Tutti lo ricordano con affetto per la sua silenziosa umiltà, per l’instancabile servizio e per la preghiera costante.

Lo storico ricercatore Gianfranco Guaitoli (Carpi) annota: "I frati cercatori, soprattutto della montagna, ma anche da noi in pianura, cercavano con particolare cura di reperire le noci, non tanto da mangiare, ma ad uso illuminazione. Infatti con l'olio di noce (ottenuto dalla spremitura delle stesse) si otteneva un olio denso, di bassa qualità, ma che serviva ad alimentare la lumma (il lumino). Veniva venduto anche nelle botteghe e costava molto meno dell'olio di oliva. Quest'ultimo, bruciando, faceva pochissimo fumo e produceva un non sgradevole odore, al contrario invece di quello di noce che era destinato ai poveri: puzzava e faceva molto fumo, annerendo tutte le abitazioni.

Gianni Manfredini (Carpi): “Io sono cresciuto in San Nicolò e me lo ricordo bene. Aveva una forza incredibile. Un giorno, mentre andava alla cerca in campagna, chiese della legna a un agricoltore. Questi gli indicò ‘na sèppa (una zocca, un ceppo) e gli disse, con un tono di bonaria sfida: - A gh ò pròopia ‘na bèela sèppa! S te gh la chèev èd carghèer la, t la póo purtèer vìa. (Ho davvero una bella radice, se riesci a caricarla, la puoi prendere e portarla in convento!)-.
Fra Sossi non se lo fece dire due volte, fece un respiro profondo e poi con uno sforzo incredibile riuscì a metterla sul carretto trainato dall'asinello e, felice, se la portò al convento.

Chiostro del convento di San Nicolò a Carpi

* Dorio Silingardi (Fossoli): “Fra Sossi è il frate che mi ha investito inavvertitamente col suo carrettino a tre ruote a Carpi nel 1965, quando avevo 14 anni, presso l’incrocio tra via Remesina e via Manzoni. Dopo lo scontro, mi ha caricato sul carrettino e, pedalando come un forsennato, mi ha portato al Pronto Soccorso. Era disperato più lui di me.
Era uomo buonissimo e altruista; veniva sempre a trovare i miei nonni a Fossoli e a prendere un po’ di uva, uova, insalata, ecc…”

* Felice Marinelli (Gargallo): ”Quante volte l'ho visto; passava anche a Gargallo a casa mia. I miei gli davano, a seconda delle disponibilità del momento: óov, faas, faṡdèin, farèina, suchètt, ecc… Al tuliiva tutt quèll che te gh dèev pèr al cunvèint e pèr i puvrètt, ch i andèeven a la mèinsa di frèe èd San Nicolò.”

* Capitava, soprattutto in campagna, che presso ogni casa in cui si fermava per la questua, gli offrissero un bicchiere di vino per rinfrancarlo del lungo cammino. Una cortese offerta, di antichissima tradizione, che sarebbe stato indelicato rifiutare e così… dàai uun! dàai duu! … poteva succedere che Fra Giovanni al turnìss in cunvèint la siira cun un quèelch balèin sòtta l’èela.

* Si narra che Ondino Miselli, in arte Namis (pittore, caricaturista satirico e salace poeta), camminasse sotto il portico di San Nicolò, quando da lontano vide sopraggiungere un frate del vicino convento. Costui, distratto, inciampò, incespicò e fece un gran bèel ranòun (caduta plateale). Al ché il nostro poeta commentò con la sua consueta e corrosiva malizia: “A n càasca fóoia che Dio a n vóoia! Non casca foglia che Dio non voglia!”
Nando Miselli - detto Namis - Ursus
**
*Al va e s al viin cóome la cusiinsa di frèe; il modo di dire sta a indicare l’uso di diversi metri di giudizio su particolari situazioni o colpe che variano a seconda le circostanze e le convenienze del momento.

*Srèin d invèeren,                                     Sereno d’inverno,
nuvvli (o nuvvel) d istèe,                            nuvole (nuvolo) d’estate,
ciàacri d dònni                                           chiacchiere di donne
e caritèe di frèe ...                                     e carità dei frati ...
i iin quàater lavóor                                     sono quattro cose
ch a n gh vóol mìa badèe.                          a cui non va badato.

*Curìi! ... curìi! Ch a naas un frèe sèinsa la tèesta!: Correte! Correte! Che nasce un frate senza la testa. Per sottolineare avvenimenti straordinari o ironicamente ritenuti tali.

* Sòtt a chi tòcca ... a (d)giiva quèll ch al castrèeva i frèe: sotto a chi tocca … diceva colui che serviva i frati. Frase ironica da usarsi in sequenza di varie cose da fare.
***
Un pòover frèe sercadóor stava tornando in convento verso sera con il suo asinello malmesso carico di poche e avare offerte, raccolte qua e là durante una calda giornata estiva di peregrinazioni. Quand’ecco incontrò un nobile conte in sella a un superbo cavallo tutto agghindato. Il conte, per prendersi gioco del frate, si levò il cappello e, accennando a un ossequioso inchino, domandò: "Cumma vaa l l èeṡen? Chèer al mé frèe!" E questi di rimando: "A cavàal, sgnóor còunt, a cavàal..."
**
*Mìa tutt i frèe… i iin frèe (non tutti i frati sono… ferrati)!
*Biṡòggna èsser frèe pèr frèer un frèe fraréeṡ! Bisogna essere ferrati per ferrare un frate ferrarese!
*Gioco di parole… comunale spiritosamente assurdo, ma… non troppo. Mò che asesóor! O a s è sóori o a s è frèe e s a n s è frèe a s è di sumèer!: ma che assessore! O si è suore o si è frati e se non si è ferrati si è dei somari.
**
Ecco due modi di dire che ci arrivano dal 1500; provengono dalle “Cronache modenesi” di Tommasino de’ Bianchi de Lancellotti (1473-1554); le traduco in carpigiano.

S te vóo stèer sèmmper bèin… fàat préet o frèe!  Se vuoi star bene sempre… fatti prete o frate. Ciò la dice lunga sulle vocazioni di un tempo e sul fatto di quanti inutili nullafacenti e parassiti dovessero essere mantenuti dalla comunità.

I frèe i gh aan siinch T: Tìira, Tóo, Tìin, Tòost e Tutt. I frati hanno cinque T: tirare dalla loro, incamerare e prendere, tenere, far presto e arraffare tutto il possibile. Amen!
**


* Mò chi t à frèe? Plòun? (o Pelóoni? in un dialetto più italianizzato). Ma chi ti ha ferrato? Il maniscalco Pelloni?
Quando qualcuno faceva il saputello a sproposito e si sentiva, a torto, ferrato su certo argomento, sputando sentenze, poteva venire maliziosamente bersagliato con la caustica frase, che altro non rappresentava che un eufemismo di... sumèer (somaro).
La salace e consueta ironia carpigiana gioca anche qui sull'essere ferrato e sulla ferratura dei cavalli, ma ancor più degli asini. I Pelloni erano noti fabbri - maniscalchi fino alla prima metà del secolo scorso e tenevano bottega in via Trento Trieste di fronte alla chiesa di San Francesco.
1950 ca – Il pittore carpigiano Inigio Pagliani così ha dipinto la bottega dei maniscalchi Pelloni in via Trento e Trieste

Romano Pelloni (Carpi) nipote di Celso, l’ultimo maniscalco, racconta:
”Di famiglie Pelloni a Carpi ve ne sono due ceppi: quello dei Pelloni "il postino", coi quali noi non siamo imparentati, e i Pelloni "i manischèelch" i maniscalchi, cioè la mia famiglia.
I due fratelli Pelloni Arturo e Celso vennero da Modena, quando cadde il ducato: infatti erano i maniscalchi del duca. Arturo, morto giovane, era mio nonno e Celso, detto "al biòond Pelóoni "che ne aveva adottato i figli e fu di fatto il mio vero nonno.
1941 Carpi – Celso Pelloni - Il maniscalco di via Trento Trieste
I Pelloni maniscalchi erano i Plòun e non i Pelóoni, come per altro si diceva; il nome deriva dal plurale di plòun d ùa, cioè i viticci.
I due fratelli erano ferratori di cavalli e di asini. Due sono le frasi su cui si giocava il termine frèe: la prima è quella sopra citata, la seconda è quella che il mio prozio Celso diceva a frate Giovanni Sossi, il quale veniva a fare ferrare il suo asino da noi. A fine ferratura chiedeva sempre al mite fraticello cercatore: "E adéesa… chi è più frèe? Tè o al tó suméer?'".
Mio padre Loris Pelloni chiuse la mascalcìa negli anni '50 del secolo scorso.
Una precisazione: gli stalli erano quelli che, specie nei giorni di festa o di mercato, ospitavano equini e carri o carrozzelle (e corrispondono agli autogarage e ai depositi di biciclette di oggi), mentre le nostre erano al butéeghi da manischèelch o le mascalcìe. “
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Assonanze curiose
L’assonante verbo sfratunèer invece non ha niente a che fare con le tonache: significa infatti stendere a dovere il cemento dell’intonaco con la speciale tavoletta munita di apposita maniglia centrale sul retro.
In termini figurati significa anche malmenare qualcuno: sfratunèer la ghiggna a un quelchidùun, ciapèer ‘na sfratunèeda.

come fare intonaco
Tavoletta per “sfrattonare”
***
L'esperto di cultura locale Giorgio Rinaldi (Brodano di Vignola - MO) mi suggerisce alcune ulteriori assonanze: "Nella Valle del Panaro al fratèein è anche il fungo detto spugnola, in dialetto sfuracèela.
Ancora, al fratèin o fratazèin, è anche è la cinciallegra mora.
Frèe è poi anche quella bella farfallina nera che ha sulla schiena un anello giallo. Io l'ho sempre notata nei boschi in settembre, quando si riproduce attaccandosi al partner nella parte posteriore e... all'indietro!
Ma per altri frèe è anche una libellula.
Nel ferrarese al frà è anche la turbina orizzontale con puleggia che serve a travasare l'acqua.
***


Domanda impertinente
“Sant’Antonio Abate,
senza moglie come fate? “
“Con le mogli degli amici
passo i miei giorni più felici.”
**

Pèeder Vòolta

Infine una piccola citazione merita anche uno strano frate… tale Pèeder Vòolta; costui aveva una singolare abitudine che ci viene tramandata all’inizio di una filastrocca molto diffusa un tempo fra i bambini carpigiani:

A gh éera 'na vòolta Pèeder Vòolta,       C'era una volta Padre Volta,
ch al caghèeva in 'na spòorta.                che la faceva in una sporta.
Ma la spòorta l'éera ròtta               Ma la sporta era rotta
e Pirèin ch al gh éera sòtta            e Pierino [nome variabile] che era sotto

al l'à magnèeda tòtta!                    l'ha mangiata tutta! 

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