COCOMERI CHE RUZZOLANO di Renzo Bovoli di Bologna
Il Bar Camaldoli era posizionato proprio di fronte a via Ponchielli.
A quei tempi, attraversando via Toscana, si imboccava direttamente quella strada poco frequentata, che non era come adesso a senso unico e ci si imbatteva, a destra in un chiosco-gelateria e a sinistra in un prato enorme, lungo più di un campo da calcio e quasi altrettanto largo, con un’erba molto fitta e verde, che veniva intersecata diagonalmente da un sentierino formatosi con il transito pedonale in direzione della fermata del tram di via Toscana.
La illuminazione pubblica del tempo, lasciava molto a desiderare e, specialmente durante la stagione invernale, la zona si presentava proprio come una remota periferia.
D’estate invece, le luci al neon della gelateria si univano a quelle comunali e del bar e a noi sembrava di essere a Las Vegas.
Spesso, a metà serata, improvvisamente il nostro locale si svuotava di tutti i giovani che, attraversando via Toscana, si spostavano sulle poltroncine in zona gelateria.
Verso le 23.30, il gelataio cominciava a spegnere qualche lampada e quello era il segnale del via al controesodo. Ci comportavamo proprio come la fauna selvatica che compie, affidandosi al proprio istinto, migrazioni periodiche di massa.
Attualmente, purtroppo, eliminato il chiosco, questo spazio è adibito a parcheggio condominiale custodito, completo di sbarra di accesso e posti auto verniciati in terra nel grande piazzale: che tristezza!
Il pratone, che in seguito venne in gran parte acquistato dalle Suore della Casa di Cura Toniolo per raddoppiare la cubatura dello stabile e del giardino, era invece occupato a rotazione da giostrine per bambini, autoscontri, calcinculo, baracche per feste dell’Unità, chioschi di venditori di alberi di Natale, di cocomeri e perfino da tendoni di piccoli circhi equestri.
Ai primi di luglio, a lato di via Toscana , veniva montato un grande capanno che, con rozzi tavoli e grezze panche di legno, mettendo in bella mostra il cartello “COCOMERI FRESCHI”, segnalava l’arrivo dell’estate.
Il proprietario del chiosco era un valido quarantenne che, seguendo anche due o tre altre sue attività dislocate in altre zone della città, era costretto ad assentarsi molto spesso.
Per noi era la manna, perché alle assenze del titolare, subentrava il fratello, un po’ suonato, che era stato battezzato, non so perché, con il nomignolo di Scintilla.
Era un cinquantenne, piccolo e con una gran testa di capelli arruffati -stile intellettuale-...
A prima vista, riusciva a mascherare le sue insufficienze, perché il comportamento esteriore era nella norma: ci si accorgeva delle mancanze solo frequentandolo.
Per spiegare la figura di questo personaggio, basta esporre quanto accadde una sera d’autunno, quando ci recammo in comitiva, come succedeva spesso, al cinema.
La sala era l’Antoniano e il film era decisamente intellettuale: “La vendetta dell’Apache solitario”: nell’atrio incrociammo Scintilla che, dopo aver assistito alla proiezione, stava uscendo dal locale.
Bruno Magnani lo interrogò chiedendogli particolari sulla pellicola e alla fine gli consigliò di entrare assieme a noi per rivederlo, perché il film era un vero capolavoro!
Non ci crederete, ma lo convinse ad acquistare nuovamente il biglietto e a sorbirsi altre due ore di proiezione!
Molto spesso attraversavamo la strada per gustarci una bella fetta di cocomero fresco.
Quando c’era il solo Scintilla alla vendita, era una vera festa, perché eravamo trattati con un occhio di riguardo.
Essendo molto sensibile a discorsi che implicavano la conoscenza di materie culturali, Scintilla, non riusciva a frenare lo strano impulso che lo
spingeva ad atteggiarsi a persona molto erudita, “vissuta” e veniva sottilmente spinto da Magnani e Valentino, ad esternare tutto lo scibile delle nozioni in suo possesso, per confrontarsi con loro. Da queste erudite discussioni uscivano esilaranti affermazioni del tipo: “Ma tu lo sai perché i cinesi sono tutti gialli?”. Scintilla, spremendo le sue misere meningi, tutto mortificato, faceva segno di ignorarlo e Magnani lo affondava in modo definitivo con: “Ma non sai proprio niente, mi tocca spiegarti sempre tutto! Visto che vendi cocomeri, dovresti saperlo: i cinesi sono gialli perché mangiano troppi meloni!”
A questa asserzione, il poveretto accusava il colpo e implicitamente
ammetteva la superiorità dell’altro, che dimostrava di sovrastarlo in fatto di autorità e conoscenze.
Questo era più o meno il livello dei discorsi coi quali Valentino, ma soprattutto Magnani, impegnavano il povero Scintilla, che veniva rintronato da tutta questa loquace fantasia.
Ricordo che una notte, ad un’ora molto tarda, dopo aver assistito allo Stadio di Casalecchio a due incontri di un torneo estivo dei Bar, visto che il chiosco gestito dal solo Scintilla era completamente deserto, concordammo un’azione quasi militare, che prevedeva l’assegnazione di una specifica parte a ciascun componente del gruppo.
Magnani si assunse l’incarico di sviare l’attenzione di Scintilla dal recinto dei cocomeri, Linghen quello di trafugare dalla grande cassa
quanti più frutti possibile che, con veloce passamano tra il Barone, Giuliano Pazzaglini, me e Maccagnani, venivano poi fatti rotolare accanto al marciapiede destro, visto che via Toscana è in leggera pendenza e che a quell’ora era totalmente deserta, fino all’entrata della
Casa di Cura Toniolo a circa centocinquanta metri, dove venivano religiosamente raccolti da Valentino e messi in fila sul marciapiede.
Vedere come queste grandi e rotonde angurie rotolavano ai bordi del marciapiede, senza deviare di un centimetro dal tragitto prestabilito, come se corressero su rotaie invisibili, sentire il sordo e soffuso rumore dovuto al pesante rotolare di quei grossi e maturi frutti ed il successivo, lontano grido di vittoria di Valentino, ad ogni punto segnato, mi rammenta l’alone di leggenda che successivamente acquistò quella impresa nelle lunghe conversazioni invernali.
Finita l’operazione “Cocomeri che ruzzolano”, Magnani si sganciò da Scintilla e ci ritrovammo tutti a gustare quei frutti in un prato vicino, dove eravamo attesi da uno dei tanti fratelli Scalambra, con una batteria di coltelli da cucina.
Qualcuno, non ricordo chi, ebbe anche il coraggio di lamentarsi perché i cocomeri non erano ghiacciati!
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