venerdì 7 luglio 2017

Il gioco delle scianco - lippa - intervista a mario brani - dialetto carpigiano - mauro d'orazi carpi



Le regole dal ṡóogh dal s-ciàanco
con intervista a Mario Brani
di Mauro D'Orazi

Al ṡóogh dal s-ciàanco era un gioco molto conosciuto e praticato a Carpi, sia in città che in campagna, fino ai primi degli anni ’80. La sua origine è molto antica e prende anche il nome di lippa, assieme a decine di altre denominazioni in base al dialetti locali; si tratta di un gioco popolare che, ancora oggi diffuso in varie nazioni europee, dove si disputano tornei internazionali a livello agonistico. Anche in Italia era diffuso in tantissime zone.
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Cenni storici

La lippa, termine presumibilmente lombardo, è un antico gioco tradizionale dalle origini incerte ma sicuramente antichissime.
Nonostante si consideri il gioco della lippa il più delle volte un gioco "fanciullesco" ci sono prove che anche nei secoli scorsi venisse giocata da adulti di ambo i sessi.
La Repubblica Serenissima vietava questo gioco, per motivi di sicurezza, con tanto di pubblici divieti lapidei a Venezia e nei territori da lei controllati. Le prime testimonianze certe sono state ritrovate nel 2003 dal ricercatore Marco Fittà e risalgono all'XI/XII dinastia Egizia (2205 a.C. 1778 a.C.) e sono custodite al "Petrie Museum of Egyptian Archaeology" di Londra; in Italia, invece, il reperto più importante, fatto risalire all'epoca medioevale, è stato scoperto un paio di decenni fa a Bovolone (VR) ed è custodito nella sede della Soprintendenza Archeologica per il Veneto di Verona.
La popolarità e la diffusione di questo gioco sono dimostrate da svariate citazioni in numerosi film di successo, tra cui: "Guardie e ladri", con Totò e A. Fabrizi (Italia, 1950), "I soliti ignoti" con Totò, M. Mastroianni, V. Gassman (Italia, 1958), "Stanlio e Ollio - Nel paese delle meraviglie" (USA, 1934), "Altrimenti ci arrabbiamo" con Bud Spencer e Terence Hill (USA, 1974).
Non solo la cinematografia si è occupata del gioco della Lippa, anche la letteratura in merito è piuttosto ampia; citazioni del gioco si trovano nell’opera di Mario Rigoni Stern,"Storie dall'Est" e in Italo Calvino nel racconto "Prima che tu dica Pronto".
I diversi sistemi di gioco si possono dividere in giochi di squadra o individuali e giochi che hanno come obiettivo prioritario la distanza (allontanare il più possibile la lippa dal punto di partenza) o la precisione (raggiungere un’area delimitata nella quale fare entrare la lippa). Tutti i metodi hanno come costante lo stesso tipo di attrezzi da gioco, anche se di misure diverse.
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Io naturalmente tratterò della tradizione carpigiana, iniziando dal ricercatore locale Mario Cassoli, che così ci descrive il gioco in una sua ricerca del 1980.

Due oggetti servivano per il gioco della lippa, in dialetto s-ciàanco, ma anche s-ciancòol o s-ciàanch; un bastone della lunghezza di 50-70 cm, chiamato canèela e uno di molto più piccolo, circa 15-20 centimetri con i lati a cono. La mazza era nella parte più bassa leggermente più grossa, possibilmente gli ultimi dieci centimetri leggermente curvato, invece
al s-ciàanco era di un diametro di circa tre centimetri. Per questo pericolosissimo gioco occorreva molto spazio e terreno privo d'erba. Quando il battitore, e tutti a turno lo dovevano fare, era pronto, lanciava un urlo "S-ciàanco!", e da qui la denominazione del gioco, per richiamare l'attenzione dei concorrenti che stava per essere lanciato il "proiettile ". L'avversario a sua volta rispondeva ad alta voce: "Vèggna!" Posta la lippa sul terreno, con la mazza si doveva colpire la parte conica affinché si fosse sollevata da terra, circa un metro e mezzo e prima che cadesse veniva nuovamente colpita dalla mazza per essere lanciata più distante possibile. Per la serie di lanci convenuti veniva stabilito un punteggio a seconda della graduatoria di ogni lancio che si accumulavano agli altri per stabilire il vincente. Chi sbagliava la lippa aveva una penalità che diminuiva il punteggio acquisito. Era un gioco che appassionava e tante volte i giovani venivano trascinati a complicare il gioco stesso ed affrontare maggiori rischi. Allo svolgimento sopradescritto si aggiungeva la presa al volo da parte dell'avversario dello s-ciàanco, con tutti i rischi che incorreva; nel caso favorevole eliminava un concorrente e il punteggio del battitore passava a lui.
Altra possibilità di eliminazione del battitore era quando, molto maliziosamente, uno dei ricevitori diceva lèggna, invece di vèggna e lascio immaginare le discussioni e le liti conseguenti!”


Il lancio di partenza cun al s-ciàanco in maan.
Nel comune di Senago (MI) esiste addirittura un monumento alla Lippa a riprova della popolarità e lunga storia di questo gioco.
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Dopo questo primo approfondimento, viene subito spontaneo paragonare al s-ciàanco al baseball americano; nonostante le sostanziali differenze, molti sono i punti in comune: la mazza, l’oggetto da colpire, la base, l’alternarsi delle squadre in attacco e difesa, la possibile eliminazione del battitore, ecc...
Tutto ciò rende ancora più affascinante esaminare ulteriormente questa tematiche.

Il gioco, apparentemente semplice, invece si fonda su un corpo di regole piuttosto complesse ed elaborate, che danno grande efficacia al gioco e condizionano la vittoria finale (che ad esempio poteva essere prefissata nel raggiungimento di… domilla canèeli) sia all’abilità dei giocatori, che a un’alea di imponderabilità di azzardo, di fortuna, di astute valutazioni e di lungimiranti strategie.

Ho intervistato il 6 settembre 2015 a casa sua il carpigianissimo Mario Brani, affermato industriale e intermediatore commerciale internazionale, che a buona ragione si vanta di aver vissuto e di ben conoscere le più vere tradizioni e il dialetto nella nostra città.
Dalla piacevole conversazione, ne è uscito un quadro completo del gioco con le sue articolate regole, che si praticavano in centro a Carpi negli anni ’30.
È probabile che qualche lettore applicasse dettami e sfumature differenti, ma ciò è normale nelle cose che riguardano le tradizioni popolari.

ATTENZIONE! Prima che continuiate la lettura e per evitare di sassarmi i cosiddetti, AVVERTO che le regole, di seguito descritte, riguardano la compagnia e l’epoca del narratore intervistato; ma tali modalità hanno certamente avuto varianti in base ai periodi temporali e agli usi diversi nelle bande di ragazzi che si sono succedute fino alla fine degli anni ’70 / primi anni ’80, quando il gioco, purtroppo, è praticamente scomparso.

Intervista a Mario Brani

Dorry “Allora, caro Mario oggi dobbiamo parlare dello s-ciàanco e delle sue regole, così come si giocava prima della Seconda Guerra Mondiale.”

Mario Brani: ”Si tratta di un gioco molto bello e assai meno banale di quanto si possa pensare. Le regole, infatti, erano complesse e complicate.
Il gioco era praticato dai bambini e ragazzi (maschi) fino a circa 15 anni.
Ci si divideva in due squadre. Si disegnava il campo che era un circolo di un diametro attorno al metro e mezzo. Non c’era una misura precisa a s andèeva a braas. Lo si segnava per terra alla meglio, non certo col gesso dei campi da calcio di oggi.
Gli strumenti erano due:
al s-ciàanco era un pezzetto di legno (una specie di fusello) a doppio cono finale con le punte; era tagliato e modellato col coltello. Era lungo 10 – 15 centimetri, appoggia a terra con la pancia e le punte servivano per poi tirarlo su;
la canèela era un bastone, una mazza. Anche qui non c’erano misure precise; si stava all’incirca sui 40 cm.”

D: “Mi hanno raccontato che i ragazzini rubavano le scope in casa per segare il manico e fèer la canèela.”

MB: “Può anche essere, ma in tempi di sicuro più vicino a noi, quando già c’era un benessere diffuso, dopo la guerra. Questo non capitava di certo negli anni ’30, dove dal malgarèini a n s in catèeva mìa. Erano oggetti tutto sommato rari e costosi. Ci si doveva arrangiare con materiale più rustico come i rami di albero, che poi venivano rifiniti alla meglio.”

D: “Dunque un stanghètt, un bastòun ?

MB: “Sè! Un bastòun che veniva rifinito alla meglio, sempre con il coltello per renderlo liscio e omogeneo il più possibile. Da notare che il bastone era solo uno (lo stesso) per tutte e due le squadre e veniva usato in base ai turni di gioco.”

D: “Le squadre come erano organizzate?”

MB: “ Come ho già detto le formazioni che si fronteggiavano erano due; di solito la composizione era quattro contro quattro, al massimo cinque. Con una conta o con il pari e dispari si sorteggiava quale sarebbe stata la squadra prescelta per mettere dentro al cerchio il primo giocatore. Solo lui stava sul terreno di gioco, gli altri erano in attesa, ma in parte non attiva.”

D: “E la squadra avversaria?”

MB: “I giocatori dell’altra squadra si schieravano al completo a ventaglio rivolti verso lanciatore; lo scopo primo, in questa fase, era di prendere al volo con le mani al s-ciàanco. Il tiratore effettuava il primo lancio (il più potentemente possibile), sollevando il legnetto per una punta con la mano sinistra e dando una botta con il bastone che armava il braccio destro.
La zona di lancio era la cuntrèeda, non c’era un vero e proprio campo di gioco.
Se il legnetto veniva catturato, il tiratore era eliminato e prendeva il suo posto un giocatore della squadra avversaria. Altrimenti partiva la sequenza più complessa del gioco. È importante capire che solo chi era nel cerchio faceva i punti e non chi era in difesa.

D: “Come si segnalava il lancio? C’era una ritualità obbligatoria?”

MB: “Il tiratore obbligatoriamente doveva urlare: - S-ciàanco! - Un avversario rispondeva: - Vèggna!- Solo dopo la risposta si poteva tirare. Ma non era facile: una volta al fèeva flipp (mancava il bersaglio), un’altra volta ci prendeva e il legnetto andava lontano. Non era agevole dare una bella botta; ci voleva esperienza e una certa maestria.”

D: “ Se non c’era la presa al volo?”


MB: ”Allora… nel caso che al s-ciàanco non fosse stato preso, dal punto in cui era caduto, un ricevitore avversario doveva cercare di tirare il legno dentro al cerchio. Si metteva dentro al cerchio anche una cannella. Se il legno entrava nel cerchio, si cambiava e batteva la squadra avversaria. Se poi al s-ciàanco, con un tiro fortunatissimo, arrivava a toccare anche la cannella, si azzeravano anche i punti dell’altra squadra.”

D: ”Óoo! Mò a nn éera mìa faacil!

MB: “Difaati! Se al s-ciàanco non entrava nel cerchio, cosa che capitava quasi sempre, iniziava la sequenza di tre tiri per la produzione di punti per la squadra, che inizialmente aveva battuto dal cerchio.”

D: “E cioè?”


MB: ”Il battitore della prima squadra picchiava una delle punte dello
s-ciàanco che si alzava; mentre iniziava la fase di ricaduta, quando la velocità si riduceva, con la cannella si dava un gran colpo per allontanare quanto più possibile la lippa dal cerchio. Si ripeteva l’operazione altre due volte. Tach e via! Tach e via! Tach e via! ”

D: “A questo punto c’era da misurare per stabilire il punteggio per la prima squadra.”

MB: “Certamente. La valutazione avveniva in due modi. Sulla stima accettata o meno, oppure, in questo secondo caso, sulla misurazione effettiva della distanza, che veniva effettuata manualmente.
L’unità di misura era proprio la lunghezza della cannella utilizzata dalla due squadre per i lanci.
I punti erano tante cannelle, quanto si era lontani del circolo.”

D: “Ma allora era difficile misurare…”

MB: “Come ti ho detto il gioco era piacevolmente macchinoso con un sacco di regole e procedure da applicare.
Dopo il lancio, il capitano avversario chiedeva: - Quàant canèeli tóo t? Quante cannelli prendi?
L’altro rispondeva, ad esempio – A tóogh nuvaanta canèeli! Prendo 90 cannelle! -
A questo punto l’avversario godeva di due possibilità: accettare, facendo incamerare il punti agli antagonisti (e il gioco sarebbe ripartito con lo stesso lanciatore per una nuova fase), oppure chiedere la verifica effettiva della misura.
- A gh in faagh! - Ce ne faccio! Voglio verificare! – Una procedura prevista anche nel gioco delle palline.
Manualmente si procedeva pazientemente alla misurazione, una cannella dopo l’altra. Se il risultato era inferiore alla valutazione, anche 89 cannelle, il lanciatore non solo non prendeva nemmeno un punto, ma veniva eliminato, facendo montare su un giocatore rivale nella nuova fase di gioco.
L’èera pròopria un bèel ṡughlèin (un bel giochino) e si giocava per ore e ore con forte agonismo e partecipazione. Si arrivava a mille, a due mila punti, a seconda degli accordi iniziali.
Pèr òogni canèela l éera faacil fèer alméeno 60, 70 puunt. Questo se si picchiava bene. Il problema era quando si colpiva male.

D: ”C’erano spesso delle contestazioni?”

MB: “In genere no! Le cose filavano lisce. L’importante era giocare. C’era solo qualcuno che si divertiva a fare il furbo dopo l’urlo S-ciàanco!, rispondendo, invece che con l’obbligatorio Vèggna!, con una parola assonante… Règgna! Tèggna! Lèggna! Ma lo scherzetto si superava velocemente con una risata.

Queste sono le regole dello S-ciàanco; allora ci si arrangiava con grande fantasia utilizzando al meglio quel poco che si poteva avere a disposizione!

D: “Grazie Mario per il tuo racconto e per la tua disponibilità! Ci hai raccontato una pagina interessante della vita carpigiana dei ragazzi di un tempo.”
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In chiusura trovo interessante soffermarmi sui principi fisici di questo bel gioco; il web ci viene in aiuto per capire meglio. Ogni cosa ha un suo perché!

La fisica della lippa
(dal web)
La lippa è generalmente posizionata a terra e viene colpita ad una delle sue estremità in modo da farla alzare in verticale (il movimento in verticale è accompagnato da un movimento rotatorio della lippa stessa). Il funzionamento non è altro che quello di una leva. Se osserviamo lo schema qui sotto, infatti, individuiamo un fulcro (ovvero il punto di appoggio della leva), una resistenza (ovvero la lippa stessa) e una potenza (ovvero il punto in cui il bastone colpisce la lippa).

Analizzando tutto il sistema, da un punto di vista fisico, abbiamo una leva di primo genere. La lippa si è solo alzata in verticale, adesso bisogna mandarla il più lontano possibile. Ed ecco che il braccio (umano), che impugna la cannella, ruota velocemente impattando il pezzo di legno grande con il pezzo di legno piccolo per scagliarlo lontano, proprio nell’attimo che cessa la salita e praticamente fermo, sta per ridiscendere. Ed ecco un'altra leva!

Il fulcro infatti è a livello del polso del giocatore, la potenza è data dalla mano che stringe il bastone e che lo fa muovere in avanti e la resistenza è la lippa stessa quando colpisce il bastone. Si tratta (nella condizione ideale sopra descritta) di una leva di terzo genere. Le leve vengono divise in 3 classi: leve di primo genere, leve di secondo genere, leve di terzo genere. Il fatto di appartenere ad una classe piuttosto che ad un'altra dipende da dove sono posizionati il fulcro, da dove viene esercitata la potenza e da dove si trova la resistenza. La leva è uno strumento che serve per risparmiare fatica o, come direbbe un fisico, una macchina che serve a compiere un lavoro impiegando meno energia.

2 commenti:

  1. ci ho giocato da ragazzo, noi a Palazzolo sull'Oglio lo chiamavamo "Ciancol" non ho mai pensato che fosse così "celebre"

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    1. il gioco è diffuso su un'ampia aerea con regole naturalmente leggermente diverse, ma il gioco è quello - oggi purtroppo si è quasi perso e per lasciarlo in memoria ho fatto l'intervista e la ricerca <3 cordiali saluti mauro d'orazi - carpi

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grazie