martedì 13 novembre 2012

Motociclisti un po’ speciali di Mauro D'Orazi Carpi Dialetto



Motociclisti un po’ speciali
v23   del 29-01-2013 
prima stesura ott 2012  
 di Mauro D’Orazi
revisione a cura di Graziano Malagoli

Claudio Baraldi (1946-2003), per tutti Barry o Barèeld, veniva da Quarantoli ridente frazione di Mirandola, una piccola località della Bassa situata poco dopo Trentoli, ma poco prima di Cinquantoli. Dopo aver vissuto per anni a Mirandola, si era trasferito nella nostra città.
Barry nei primi anni 2000

A Carpi si era integrato molto bene ed era uno dei frequentatori più assidui e costanti del Caffè Teatro del periodo d’oro di Vittorio Garzon negli anni ’70 - ’80. Barèeld era un “soggetto” davvero speciale e conduceva la sua esistenza sempre sul filo di quella linea sottilissima, che divideva il legale dall’illegale. È stato l’inventore della disciplina tanticro - iniziatica de “ La Polmonare”, applicabile nei casi di rapporti difficoltosi fra uomo e donna; la tecnica, sia pure empirica, sovente produce esiti appiananti e risolutivi dei problemi della coppia.
Stare con lui al bar era quando di più spassoso ci potesse essere. Ho ancora nelle orecchie il tono della sua voce serio e cadenzato da una studiata lentezza, a metà via fra il mantovano e il carpigiano di adozione.
Barry era sempre attentissimo ai tipi umani che via via incontrava e facilmente ne sapeva cogliere virtù, ma soprattutto debolezze. Ciò gli consentiva di prodursi in un continuo spettacolo di varietà con battute efficacissime di consolidato repertorio e con novità create al momento.
Era fonte di una perenne eruzione di facezie e invenzioni di situazioni assurde, quanto irresistibili; i suoi bersagli preferiti erano Gepe il Folle e Taras, per i quali, nonostante le feroci prese in giro, nutriva un amore rispettivamente “quasi” paterno e fraterno.
Ho intervistato a lungo pochi anni fa il figlio di Barry, che da tempo lavora con la madre alle Canarie nella gestione di un bar. Mi raccontò, ancora stupito, con commozione, che sul letto di sofferenza, poco prima di morire, quasi a chiedergli scusa, il padre si era lasciato andare a questa confessione: “A m indespièeṡ … ma a m in suun adèe che in sèert mumèint a iò vluu più bèin a Gèepe che a te! (Mi dispiace, ma mi sono accorto che in certi momenti della vita ho voluto più bene a Gepe che a te””

Più volte ho pensato di buttare giù qualche decina di pagine rievocative di questo personaggio che aveva caratteristiche così peculiari. Ne varrebbe effettivamente la pena, sia per il ricchissimo repertorio caratterizzato da una verve inarrestabile ed efficace che produceva gag sempre nuove e sempre poi ripetute all’infinito, sia per i suoi strepitosi e talora drammatici episodi di vita realmente vissuti in modi più o meno avventurosi e rischiosi.
Tutto ciò meriterebbe di essere raccontato e messo nero su bianco; cosa che non escludo di fare, anche se sono intimorito dalla possibilità di denunce da parte degli altri personaggi coinvolti e tuttora viventi, che hanno concreti interessi a che tante vicende siano dimenticate anche se ormai cadute in prescrizione.
1976 Ecco Barry a sn al Caffè Teatro in un particolare di una foto dell’epoca

Ad ogni modo per entrare nella premessa della tematica motociclistica che ci interessa in questa sede, Barry negli anni ’80 cominciò a guadagnare qualche soldo in più tagliando le case per isolarle dall’umidità; aveva messo su una piccola impresa con Gelo (Gelati) e successivamente aprì anche qualche ditta di maglie, stampe tessuti o simili.
Famosa resta l’Alitaras, volatile compagnia a responsabilità limitatissima di trasporti veloci ed espressi per colli di maglie e confezioni, nella quale era socio con Taras e della cui contabilità sono buoni testimoni i cassonetti del pattume che anni fa erano collocati in piazza di fianco al Caffè Teatro.
La disponibilità di denaro guadagnato col taglio delle case gli consentì di soddisfare la passione per grosse moto che aveva in cuor suo da tempo. Cominciò cun di mèeṡ ripiéegh (con dei mezzi ripieghi): un vetusto Kawasaki 500 verde 2t, un’Honda 750 nera e con  Kawa Z 900 bianco un po’ pistolato con il manubrio basso e poi via via altre moto.

   
Kawasaki 500 c c 2t e Z 900 c c 4t

Gli piaceva la velocità e correre in pista, perciò, con vari amici Caffi, DiDi Diacci, Gigia Sgarbi, ecc … , ogni tanto andava in circuito al Mugello, nell’alta Toscana, per girare un’oretta a tutto gas nel famoso circuito.
Persona esuberante e non certo timida una volta ebbe da dire con direttore di pista del circuito. Dopo qualche accesa battuta, il tipo, minacciando col dito puntato, sbottò in un crescendo di rabbia:“ Ma allora lei non sa chi sono io?” e Barry di getto, guardandolo MOLTO fisso negli occhi:
“ NO! Mè al sò chi t ii … T ii ’n IDIÒOTA!” E la così finì lì.

Quando poi si sedeva in tribuna a osservare gli imprudenti dilettanti che sgasavano a tutta e vedeva uno di essi andare fuori pista e cadere, quasi sempre con ingenti danni, cinicamente domandava subito all’amico che gli era a fianco: “Caffi, faa gh un preventìiv! (Caffagni prova a fargli un preventivo dei danni)”
Barry era poco propenso alle coercizioni e alle regole imposte dalla legge. Così quando divenne obbligatorio l’uso del casco in moto nel 1986, arrivò ben presto alla determinazione di dar via la moto che aveva.
Era una splendida Honda 1.100 c c Bol d’Or blu, rossa e bianca, che era già stata di Gigia; un gran bel pezzo, ma di fatto voleva sbarazzarsene, sia per la faccenda del casco, ma forse anche per necessità di liquidità monetaria.
Honda 1.100 c c Bol d’Or
Graziano Forghieri mi riferì la cosa e così una sera di fine maggio 1988 al Caffè Teatro chiesi a Barry: “I m àan ditt te vènnd la tò mòoto. Mi potrebbe interessare!” Lui stava fumando, in silenzio aspirò e lentamente, molto lentamente buttò fuori il fumo; poi guardandomi, come faceva lui, leggermente di traverso con l’occhio penetrante, dietro il quale si nascondeva chissà quale groviglio di pensieri, mi rispose:
Dorry !!!pausa  … A tè a t la pòos aanch dèer!
(A te … la posso anche dare!)”.
E così dopo pochi giorni io era molto felicemente in sella a una delle mie tante nuove moto usate. Nel prezzo mi diede in dotazione, casco, tuta, stivali e guanti; tutta roba che conservo tutt’oggi con una feroce nostalgia e ostinazione in un armadio in cantina nella mia casa avìta.

Una domenica mattina nell’inverno del 1989 -
da sx Giorgio Maccari, Lele Forghieri, Barry semicoperto, Pepe e Taras.

Barry frequentava spesso il Mugello, Misano e altri circuiti motociclistici, anche per seguire le imprese di valenti piloti carpigiani come Maurizio Morselli e Daniele Diacci, quest’ultimo sponsorizzato dalla ditta di compressori di Gigia. Durante queste trasferte, Barry dava fondo alla sua creatività di affabulatore e inventava continuamente artate storie di fantasia che servivano per prendere in giro qualche nuovo ingenuo venuto, che si aggregava alla compagnia.
Queste storie venivano presentate con naturalezza con la complicità di qualche amico che rispondeva a tono, in un malefico e sapiente gioco di pingpong in crescendo. Colui che era oggetto della burla veniva con abilità del tutto ignorato, stando però attenti che ascoltasse con attenzione l'intreccio del racconto di pura fantasia; la trama veniva ampliata a soggetto e al momento, a  seconda delle necessità e dell’ispirazione. A un certo punto il nuovo venuto montava su ... doveva PER FORZA dire la sua anche lui ... e allora era un massacro inconsapevole per il povero diavolo; il dileggio poteva anche durare per settimane o mesi, se il soggetto era particolarmente tonto.
Ecco due esempi due storie affabulanti. Quando la comitiva di motociclisti si organizzava per il pranzo, Barry cominciava a menzionare e lodare il Ristorante “Ai Fraticelli”; un locale che era stato aperto presso un convento di un’amena località collinare, proprio sopra al Mugello.
I frati, santi uomini, si accontentavano e usavano alimenti prodotti da loro stessi. Sapori veri, antichi e genuini con una spesa davvero contenuta, attorno alle 5.000 lire; ma spesso si provvedeva a offerta libera adeguata al menù e al reddito del cliente. Lì si mangiava con semplicità davvero molto bene e il rapporto qualità prezzo era eccezionale. Il menu era poi appropriato alla religiosità e all’umiltà del posto: tagliolini alla priore o penne alla priora, risotto al vin santo, pappardelle alla monachella, stico di santo, uccelletti al santo spirito, tiramisù beato, ecc ...
Il cuciniere si chiamava Fra' Coriolano, ma con lui era meglio non lamentarsi mai del menù, o anche solo contraddirlo, questo a causa del suo caratterino poco paziente; infatti il fraticello era un ex galeotto pluriomicida, accolto poi in convento, dopo una crisi mistica.
Finalmente, dopo tanto eclatante raccontare, il bersaglio della burla chiedeva con insistenza di andare a mangiare lì: “Barry ’sa fòmm ia? Andòmm ia dai frèe?”  Ma Barry, con un sapiente coup de théâtre, rispondeva serio e scandalizzato: "NOoo!! ’Sa dii t? A n s póol mìa!  Ma la tò tèesta s a t diiṡ la? Vèe t dai frèe cun ’na Golf turbo diiṡel da 20 miliòun e pò te gh  dèe 5.000 fraanch? No! No! ... An s póol mìa!”
La cosa era impossibile; infatti si trattava di un luogo semplice e di umiltà e andarci con una Golf Volkswagen da 20 milioni di lire dell’epoca era cosa troppo di lusso; al massimo era consentita una Fiat Panda, altrimenti il conto finale sarebbe diventato moralmente elevatissimo, ben superiore alle 5.000 lire.
Ma ogni "opzione" era valida per non visitare quel fantomatico refettorio: il periodo quaresimale, i momenti di ritiro spirituale dei fraticelli, ecc …

L'altra storia era quella di Marcellino, anche questa raccontata da Barry all'ingenuo di turno con dovizia di particolari e varianti continue.
A questo fantomatico Marcèelo era stata creata da Barry una vera e propria identità. Si trattava di tale Marcellino Paone e risultava originario di Spello (PG); era un amico intimo di Caffi e prima di lui di suo padre. Nel 1990 aveva circa 95 anni, ma praticava snow board, parapendio, paracadutismo, andava a correre la Parigi - Dakar in moto e non si sa quante ragazze ventenni avesse.
Marcellino era anche un grande appassionato di corse di moto e si spostava nei vari circuiti con una tenda super attrezzata.
La tenda, che veniva trasportata da un apposito camion, era a due piani, con un piccolo terrazzino; all'interno oltre ai letti, c'erano anche i servizi cun al cèeso e la doccia; apposite tubature in rame si diramavano per portavano l'acqua e il riscaldamento (quest'ultimo però solo quando la stagione era ancora fredda); c'erano infine le canaline per la luce, prese e interruttori.
A piano terra c'era un elegante salotto con divano e poltrone; esso era sempre a disposizione per gli ospiti che potevano godere di frigo e tv.
Anche in questo caso quando lo sprovveduto di turno prima o poi interveniva per dire la sua ... puntualizzava, aggiungeva, raccontava di quella volta che lui ... e allora la burla si ampliava indefinitamente.
Marcellino aveva poi anche un’altra particolarità: era un vero mago nella previsione del meteo. Quando i ragazzi si trovano presso l’officina del meccanico rivenditore di moto Fregni in via Lombardia nei fine settimana per organizzare giri in moto, Barry dopo un po’ con tono serio chiedeva a Caffi con accento della Bassa: “Aa t telefonèe? (Hai telefonato a Marcellino per le presioni meteo?)
Caffi prontamente, nel riferire null’altro che le previsioni del TG2 aveva appena ascoltate, rispondeva con autorevolezza:”Marcèelo al m a ditt che dmaan a pióov  (Marcello mi ha detto che domani piove)oppure “Per trii dè a gh è un sóol ch al spaaca al préedi  (per tre giorni c’è un sole che spacca le pietre).
Una volta però successe che uno degli amici aveva fatto conto delle previsioni, non sapendo che era tutta un’invenzione. Arrivò da Fregni al lunedì nel tardo pomeriggio, incavolatissimo scese dall’auto e sbattendo la portiera esclamò: “Ch a gh vèggna ’n asidèint a Marceliino indù l è! (che venga un accidente a Marcellino dove adesso si trova!) ”
Barry e gli altri si guardarono l’un l’altro stupiti, non avevano più nemmeno in mente che il venerdì avevano recitato la commedia di Marcello e del meteo. Ma ’s è sucèes? chiesero.
L’amico rispose: “A sòmm andèe al mèer a iéer, mò è gnuu ṡò taanta èd cla timpèesta che s a n tiir mìa vìa mè fióola da la spiàagia  la s insucca. (Ieri siamo andati al mare; ma è venuta fatta grandinata che se non porto via mia figlia dalla spiaggia si inzucca! “ Non sapeva che Marcello non esisteva, … adesso credo lo abbia imparato.
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Un altro motociclista molto speciale era Giorgio Ghidoni, soprannominato il Gatto, abitava sulla SS 468 prima di ponte nuovo verso Correggio. Qualcuno più in confidenza, alla sua altezza fisica e di carattere, lo chiamava anche Micio.

Il Gatto, esperto in arti marziali, era uno con doppia nervatura, faccia affilata e capelli un po’ lunghi biondi e uno sguardo poco rassicurante e patibolare che metteva a disagio chi non era in dimestichezza con lui; un sogèet dimònndi scòomed. Un’imprudente occhiata di traverso e potevi essere nel suo mirino.
Era abituato allo scontro fisico e al regolamento immediato delle questioni mediante vie di fatto spicce.
Per capire la sua personalità e la sua grinta, basta ricordare un episodio fra i tanti. Lui e Cipo (un altro mio amico) una sera erano andati a ballare in un locale estivo nel reggiano … in terra straniera; Cipo si intratteneva, ben corrisposto, con una ragazza del luogo e ciò aveva suscitato l’irritazione e le ritorsioni di un personaggio del posto, molto geloso della pregiata “selvaggina” del proprio territorio.
Il Gatto, capita la situazione e vedendo l’amico in difficoltà, andò subito in mezzo alla pista e, messosi davanti all’incauto disturbatore, all’improvviso gli spense la cicca, che stava fumando, sul bavero della giacca. Nel contempo gli disse, guardandolo fisso negli occhi:”A vóoi te laas stèer al mè amìigh! Èe t capìi? (Voglio che lasci stare il mio amico! Hai capito?)” La questione si risolse IMMEDIATAMENTE.
Il Gatto era un amante delle sensazioni forti e naturalmente era anche lui un motociclista piuttosto nervoso. Aveva comperato un’Honda 1.100 c c Bol d’Or che a metà degli anni ’80 era forse il massimo.
Fiancatina dell’Honda 1.100 Bol d’Or,
prestigiosa moto della metà degli anni ’80

Andava spesso via coi miei amici del Caffè Teatro per giri in moto, ma mentre tutti gli altri erano regolarmente bardati con casco, tuta e guanti, lui si presentava, come nulla fosse, in giacca e pantaloni, camicia bianca aperta davanti.
A questo proposito è rimasto famoso, e infinite volte tramandato nei nostri racconti evocativi delle serate amicali del venerdì sera, questo gustoso episodio.  
Siamo nel 1985 a fine marzo; le prime giornate primaverili di sole invogliano gli appassionati (a s sèint al murbèin) a riprendere la moto, dopo la pausa lunga invernale delle nostre zone. Al sabato gli amici del Caffè Teatro organizzarono il viaggio di apertura di stagione in moto con meta Portovenere in Liguria e relativo pranzo nella prestigiosa trattoria da pèss “Da Iseo”.
Esterno della trattoria da pèss “Da Iseo” a Portovenere (La Spezia)

Il gruppo lo passò a prendere, come d’accordo, a casa sua sulla strada per Correggio. Il Gatto non era ancora pronto, stava finendo di saldare alcuni pezzi di ferro. Nonostante la stagione, stava saldando con la fiamma ossidrica … scalzo, in braghette corte e canottiera, incurante del freddo e dei roventi s-ciatèin (spricchi di metallo incandescente).
“Un attimo!” - disse agli amici - “Mi cambio e arrivo!” Dopo poco arrivò in completo giacca e pantaloni in gessato grigio, sciarpa bianca, stivaletto nero con tacco, guantini di pelle e naturalmente casco.
Nessuno osò dire niente, anche se fra i presenti serpeggiava un diffuso divertito stupore con muti e allusivi sguardi di sottecchi.
Siete mai andati in moto con la giacca a due o tre bottoni anche solo a 50 km all’ora? Allora provate! Di peggio non si può immaginare con il tessuto dell’indumento che si gonfia e va dove vuole: scomodissimo, ingestibile e assolutamente non dà nessuna protezione da aria e freddo.
Arrivati a destinazione, i motociclisti, come d’uso, parcheggiarono con attenzione le moto, si arrotolarono giù la parte superiore delle tute in vita ed entrarono nel mitico ristorante per il pranzo.

 

Il Gatto andò subito in bagno e con composta flemma tolse da uno stivaletto il pettine, si aggiustò i capelli con tre o quattro passate bene assestate, poi dall'altro stivaletto prese una piccola bottiglietta di profumo pour homme Gianfranco Venturi e se ne diede due 2 gocce.

   

Entrò in sala con portamento consapevole e sicuro, guardò gli amici con superiorità e una punta di compiaciuto disgusto, poi disse loro, immerso in un’allure di eleganza e distinzione:
D un niméel, mò a v sii v guardèe ? … a parìi ’na baanda d interdètt! (Ohibò! Ma vi siete visti? Sembrate una banda di interdetti!)”. 
Ècch caraater!!!
Class is not water! La classe non è acqua! Anche se francamente l’incipit riportato della frase non era esattamente quello pronunciato. 

La sua guida della moto era molto decisa e non esente da incidenti; una volta decollò col suo mezzo sulla Futa. L’Honda subì seri danni, ma il Gatto la fece rimettere a posto, per venderla prudentemente fuori zona; difatti dopo un po' l’incauto acquirente gli telefonò lamentandosi che tirava da una parte!
Strano! Dopo l’incidente l'éera dvintèeda éelta (era diventata alta) come un go-kart!

Il Gatto era purtroppo destinato a una fine epica e prematura; la sua esistenza trovò un tragico epilogo con la caduta del suo deltaplano, appena dietro casa nell’ottobre del 1988; la causa fu un improvviso cedimento del rivestimento portante delle ali, si dice a causa di mancanza di manutenzione. Egli era solito lasciare il velivolo all’aperto senza protezione alcuna per sole o intemperie e ciò con tutta probabilità causò un nefasto deperimento del materiale.
Un’uscita di scena adatta al personaggio, dopo una vita così inquieta; spero possa riposare in pace in volo sotto altri cieli.

                     

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