Motociclisti un po’ speciali
v23 del 29-01-2013
prima stesura ott 2012
di Mauro D’Orazi
revisione a cura di Graziano Malagoli
Claudio
Baraldi (1946-2003), per tutti Barry o
Barèeld,
veniva da Quarantoli ridente frazione di Mirandola, una piccola località della
Bassa situata poco dopo Trentoli, ma poco prima di Cinquantoli. Dopo aver
vissuto per anni a Mirandola, si era trasferito nella nostra città.
Barry nei primi anni 2000
A
Carpi si era integrato molto bene ed era uno dei frequentatori più assidui e costanti
del Caffè Teatro del periodo d’oro di Vittorio Garzon negli anni ’70 - ’80. Barèeld
era un “soggetto” davvero speciale e conduceva la sua esistenza sempre sul
filo di quella linea sottilissima, che divideva il legale dall’illegale. È
stato l’inventore della disciplina tanticro - iniziatica de “ La Polmonare ”, applicabile
nei casi di rapporti difficoltosi fra uomo e donna; la tecnica, sia pure
empirica, sovente produce esiti appiananti e risolutivi dei problemi della
coppia.
Stare
con lui al bar era quando di più spassoso ci potesse essere. Ho ancora nelle
orecchie il tono della sua voce serio e cadenzato da una studiata lentezza, a
metà via fra il mantovano e il carpigiano di adozione.
Barry
era sempre attentissimo ai tipi umani che via via incontrava e facilmente ne
sapeva cogliere virtù, ma soprattutto debolezze. Ciò gli consentiva di prodursi
in un continuo spettacolo di varietà con battute efficacissime di consolidato
repertorio e con novità create al momento.
Era
fonte di una perenne eruzione di facezie e invenzioni di situazioni assurde,
quanto irresistibili; i suoi bersagli preferiti erano Gepe il Folle e Taras,
per i quali, nonostante le feroci prese in giro, nutriva un amore
rispettivamente “quasi” paterno e fraterno.
Ho
intervistato a lungo pochi anni fa il figlio di Barry, che da tempo lavora con la madre alle Canarie nella gestione
di un bar. Mi raccontò, ancora stupito, con commozione, che sul letto di
sofferenza, poco prima di morire, quasi a chiedergli scusa, il padre si era lasciato
andare a questa confessione: “A m indespièeṡ … ma a m in suun adèe che in
sèert mumèint a iò vluu più bèin a Gèepe che a te! (Mi dispiace, ma mi
sono accorto che in certi momenti della vita ho voluto più bene a Gepe che a
te””
Più
volte ho pensato di buttare giù qualche decina di pagine rievocative di questo
personaggio che aveva caratteristiche così peculiari. Ne varrebbe
effettivamente la pena, sia per il ricchissimo repertorio caratterizzato da una
verve inarrestabile ed efficace che
produceva gag sempre nuove e sempre poi ripetute all’infinito, sia per i suoi
strepitosi e talora drammatici episodi di vita realmente vissuti in modi più o
meno avventurosi e rischiosi.
Tutto
ciò meriterebbe di essere raccontato e messo nero su bianco; cosa che non escludo
di fare, anche se sono intimorito dalla possibilità di denunce da parte degli
altri personaggi coinvolti e tuttora viventi, che hanno concreti interessi a
che tante vicende siano dimenticate anche se ormai cadute in prescrizione.
1976 Ecco Barry a sn al
Caffè Teatro in un particolare di una foto dell’epoca
Ad
ogni modo per entrare nella premessa della tematica motociclistica che ci
interessa in questa sede, Barry
negli anni ’80 cominciò a guadagnare qualche soldo in più tagliando le case per
isolarle dall’umidità; aveva messo su una piccola impresa con Gelo (Gelati) e successivamente aprì
anche qualche ditta di maglie, stampe tessuti o simili.
Famosa
resta l’Alitaras, volatile compagnia
a responsabilità limitatissima di trasporti veloci ed espressi per colli di
maglie e confezioni, nella quale era socio con Taras e della cui contabilità
sono buoni testimoni i cassonetti del pattume che anni fa erano collocati in
piazza di fianco al Caffè Teatro.
La
disponibilità di denaro guadagnato col taglio delle case gli consentì di
soddisfare la passione per grosse moto che aveva in cuor suo da tempo. Cominciò
cun
di mèeṡ ripiéegh (con dei mezzi ripieghi): un vetusto Kawasaki 500 verde
2t, un’Honda 750 nera e con Kawa Z 900 bianco un po’ pistolato con il
manubrio basso e poi via via altre moto.
Kawasaki 500 c c 2t e Z
900 c c 4t
Gli
piaceva la velocità e correre in pista, perciò, con vari amici Caffi, DiDi
Diacci, Gigia Sgarbi, ecc … , ogni tanto andava in circuito al Mugello,
nell’alta Toscana, per girare un’oretta a tutto gas nel famoso circuito.
Persona esuberante e non certo timida una volta ebbe
da dire con direttore di pista del circuito. Dopo qualche accesa battuta, il tipo,
minacciando col dito puntato, sbottò in un crescendo di rabbia:“ Ma allora lei
non sa chi sono io?” e Barry di
getto, guardandolo MOLTO fisso negli occhi:
“ NO! Mè al sò chi t ii … T ii ’n IDIÒOTA!”
E la così finì lì.
Quando poi si sedeva in tribuna a osservare gli
imprudenti dilettanti che sgasavano a tutta e vedeva uno di essi andare fuori
pista e cadere, quasi sempre con ingenti danni, cinicamente domandava subito all’amico
che gli era a fianco: “Caffi, faa gh un preventìiv!
(Caffagni prova a fargli un preventivo dei danni)”
Barry era poco propenso alle coercizioni e alle regole
imposte dalla legge. Così quando divenne obbligatorio l’uso del casco in moto
nel 1986, arrivò ben presto alla determinazione di dar via la moto che aveva.
Era una splendida Honda 1.100 c c Bol d’Or blu,
rossa e bianca, che era già stata di Gigia; un gran bel pezzo, ma di fatto
voleva sbarazzarsene, sia per la faccenda del casco, ma forse anche per
necessità di liquidità monetaria.
Honda
1.100 c c Bol d’Or
Graziano Forghieri mi riferì la cosa e così una sera
di fine maggio 1988 al Caffè Teatro chiesi a Barry: “I m àan ditt te vènnd la tò mòoto. Mi potrebbe interessare!”
Lui stava fumando, in silenzio aspirò e lentamente, molto lentamente buttò
fuori il fumo; poi guardandomi, come faceva lui, leggermente di traverso con
l’occhio penetrante, dietro il quale si nascondeva chissà quale groviglio di
pensieri, mi rispose:
“ Dorry !!! … pausa … A tè a t la pòos aanch dèer!
(A te … la posso anche dare!)”.
E così dopo pochi giorni io era molto felicemente in
sella a una delle mie tante nuove moto usate. Nel prezzo mi diede in dotazione,
casco, tuta, stivali e guanti; tutta roba che conservo tutt’oggi con una feroce
nostalgia e ostinazione in un armadio in cantina nella mia casa avìta.
Una domenica mattina nell’inverno
del 1989 -
da sx Giorgio Maccari, Lele
Forghieri, Barry semicoperto, Pepe e Taras.
Barry frequentava spesso il Mugello, Misano e altri
circuiti motociclistici, anche per seguire le imprese di valenti piloti
carpigiani come Maurizio Morselli e Daniele Diacci, quest’ultimo sponsorizzato
dalla ditta di compressori di Gigia. Durante queste trasferte, Barry dava fondo
alla sua creatività di affabulatore e inventava continuamente artate storie di
fantasia che servivano per prendere in giro qualche nuovo ingenuo venuto, che
si aggregava alla compagnia.
Queste storie venivano presentate con naturalezza
con la complicità di qualche amico che rispondeva a tono, in un malefico e
sapiente gioco di pingpong in crescendo. Colui che era oggetto della burla veniva
con abilità del tutto ignorato, stando però attenti che ascoltasse con
attenzione l'intreccio del racconto di pura fantasia; la trama veniva ampliata
a soggetto e al momento, a seconda delle
necessità e dell’ispirazione. A un certo punto il nuovo venuto montava su ...
doveva PER FORZA dire la sua anche lui ... e allora era un massacro
inconsapevole per il povero diavolo; il dileggio poteva anche durare per
settimane o mesi, se il soggetto era particolarmente tonto.
Ecco due esempi due storie affabulanti. Quando la
comitiva di motociclisti si organizzava per il pranzo, Barry cominciava a
menzionare e lodare il Ristorante “Ai Fraticelli”; un locale che era stato
aperto presso un convento di un’amena località collinare, proprio sopra al
Mugello.
I frati, santi uomini, si accontentavano e usavano
alimenti prodotti da loro stessi. Sapori veri, antichi e genuini con una spesa
davvero contenuta, attorno alle 5.000 lire; ma spesso si provvedeva a offerta
libera adeguata al menù e al reddito del cliente. Lì si mangiava con semplicità
davvero molto bene e il rapporto qualità prezzo era eccezionale. Il menu era
poi appropriato alla religiosità e all’umiltà del posto: tagliolini alla priore
o penne alla priora, risotto al vin santo, pappardelle alla monachella, stico di santo, uccelletti
al santo spirito, tiramisù beato, ecc ...
Il cuciniere si chiamava Fra' Coriolano, ma con lui
era meglio non lamentarsi mai del menù, o anche solo contraddirlo, questo a
causa del suo caratterino poco paziente; infatti il fraticello era un ex
galeotto pluriomicida, accolto poi in convento, dopo una crisi mistica.
Finalmente, dopo tanto eclatante raccontare, il
bersaglio della burla chiedeva con insistenza di andare a mangiare lì: “Barry
’sa fòmm ia? Andòmm ia dai frèe?”
Ma Barry, con un sapiente coup de théâtre,
rispondeva serio e scandalizzato: "Mò
… NOoo!!
’Sa dii t? A n s póol mìa! Ma la
tò tèesta s a t diiṡ la? Vèe t dai frèe cun ’na Golf turbo diiṡel da 20 miliòun
e pò te gh dèe 5.000 fraanch? No! No! ... An s póol mìa!”
La cosa era impossibile; infatti si trattava di un
luogo semplice e di umiltà e andarci con una Golf Volkswagen da 20 milioni di
lire dell’epoca era cosa troppo di lusso; al massimo era consentita una Fiat
Panda, altrimenti il conto finale sarebbe diventato moralmente elevatissimo,
ben superiore alle 5.000 lire.
Ma ogni "opzione" era valida
per non visitare quel fantomatico refettorio: il periodo quaresimale,
i momenti di ritiro spirituale dei fraticelli, ecc …
L'altra storia era quella di Marcellino, anche
questa raccontata da Barry all'ingenuo di turno con dovizia di particolari e
varianti continue.
A
questo fantomatico Marcèelo era stata creata da Barry una vera e propria
identità. Si trattava di tale Marcellino Paone e risultava originario di Spello
(PG); era un amico intimo di Caffi e prima di lui di suo padre. Nel 1990 aveva
circa 95 anni, ma praticava snow board, parapendio, paracadutismo, andava a correre
la Parigi - Dakar
in moto e non si sa quante ragazze ventenni avesse.
Marcellino era anche un grande appassionato di corse
di moto e si spostava nei vari circuiti con una tenda super attrezzata.
La tenda, che veniva trasportata da un apposito
camion, era a due piani, con un piccolo terrazzino; all'interno oltre ai letti,
c'erano anche i servizi cun al cèeso e la doccia; apposite
tubature in rame si diramavano per portavano l'acqua e il riscaldamento
(quest'ultimo però solo quando la stagione era ancora fredda); c'erano infine
le canaline per la luce, prese e interruttori.
A piano terra c'era un elegante salotto con divano e
poltrone; esso era sempre a disposizione per gli ospiti che potevano godere di
frigo e tv.
Anche in questo caso quando lo sprovveduto di turno prima
o poi interveniva per dire la sua ... puntualizzava, aggiungeva, raccontava di
quella volta che lui ... e allora la burla si ampliava indefinitamente.
Marcellino aveva poi anche un’altra particolarità:
era un vero mago nella previsione del meteo. Quando i ragazzi si trovano presso
l’officina del meccanico rivenditore di moto Fregni in via Lombardia nei fine
settimana per organizzare giri in moto, Barry dopo un po’ con tono serio
chiedeva a Caffi con accento della Bassa: “Aa t telefonèe? (Hai telefonato a Marcellino per le presioni meteo?)”
Caffi prontamente, nel riferire null’altro che le
previsioni del TG2 aveva appena ascoltate, rispondeva con autorevolezza:”Marcèelo
al m a ditt che dmaan a pióov (Marcello
mi ha detto che domani piove)” oppure “Per trii dè a gh è un sóol ch al
spaaca al préedi (per tre giorni
c’è un sole che spacca le pietre).”
Una volta però successe che uno degli amici aveva
fatto conto delle previsioni, non sapendo che era tutta un’invenzione. Arrivò
da Fregni al lunedì nel tardo pomeriggio, incavolatissimo scese dall’auto e
sbattendo la portiera esclamò: “Ch a gh vèggna ’n asidèint a Marceliino indù
l è! (che venga un accidente a Marcellino dove adesso si trova!) ”
Barry e gli altri si guardarono l’un l’altro
stupiti, non avevano più nemmeno in mente che il venerdì avevano recitato la
commedia di Marcello e del meteo. “Ma ’s è sucèes?” chiesero.
L’amico
rispose: “A sòmm andèe al mèer a iéer, mò è gnuu ṡò taanta èd cla timpèesta che s
a n tiir mìa vìa mè fióola da la spiàagia la s insucca. (Ieri
siamo andati al mare; ma è venuta fatta grandinata che se non porto via mia
figlia dalla spiaggia si inzucca! “ Non sapeva che Marcello non esisteva, … adesso
credo lo abbia imparato.
**00**
Un altro motociclista molto speciale era Giorgio
Ghidoni, soprannominato il Gatto, abitava sulla SS 468 prima di ponte nuovo verso Correggio.
Qualcuno più in confidenza, alla sua altezza fisica e di carattere, lo chiamava
anche Micio.
Il Gatto,
esperto in arti marziali, era uno con doppia nervatura, faccia affilata e
capelli un po’ lunghi biondi e uno sguardo poco rassicurante e patibolare che
metteva a disagio chi non era in dimestichezza con lui; un sogèet dimònndi scòomed.
Un’imprudente occhiata di traverso e potevi essere nel suo mirino.
Era abituato allo scontro fisico e al regolamento
immediato delle questioni mediante vie di fatto spicce.
Per capire la sua personalità e la sua grinta, basta
ricordare un episodio fra i tanti. Lui e Cipo (un altro mio amico) una sera
erano andati a ballare in un locale estivo nel reggiano … in terra straniera;
Cipo si intratteneva, ben corrisposto, con una ragazza del luogo e ciò aveva
suscitato l’irritazione e le ritorsioni di un personaggio del posto, molto
geloso della pregiata “selvaggina” del proprio territorio.
Il Gatto,
capita la situazione e vedendo l’amico in difficoltà, andò subito in mezzo alla
pista e, messosi davanti all’incauto disturbatore, all’improvviso gli spense la
cicca, che stava fumando, sul bavero della giacca. Nel contempo gli disse,
guardandolo fisso negli occhi:”A vóoi te laas stèer al mè amìigh! Èe t capìi?
(Voglio che lasci stare il mio amico! Hai capito?)” La questione si risolse
IMMEDIATAMENTE.
Il Gatto
era un amante delle sensazioni forti e naturalmente era anche lui un
motociclista piuttosto nervoso. Aveva comperato un’Honda 1.100 c c Bol d’Or che
a metà degli anni ’80 era forse il massimo.
Fiancatina dell’Honda 1.100 Bol
d’Or,
prestigiosa moto della metà degli
anni ’80
Andava spesso via coi miei amici del Caffè Teatro
per giri in moto, ma mentre tutti gli altri erano regolarmente bardati con
casco, tuta e guanti, lui si presentava, come nulla fosse, in giacca e
pantaloni, camicia bianca aperta davanti.
A questo proposito è rimasto famoso, e infinite
volte tramandato nei nostri racconti evocativi delle serate amicali del venerdì
sera, questo gustoso episodio.
Siamo nel 1985 a fine marzo; le prime giornate primaverili
di sole invogliano gli appassionati (a s sèint al murbèin) a riprendere
la moto, dopo la pausa lunga invernale delle nostre zone. Al sabato gli amici
del Caffè Teatro organizzarono il viaggio di apertura di stagione in moto con
meta Portovenere in Liguria e relativo pranzo nella prestigiosa trattoria da pèss
“Da Iseo”.
Esterno
della trattoria da pèss “Da Iseo” a Portovenere (La Spezia )
Il gruppo lo passò a prendere, come d’accordo, a
casa sua sulla strada per Correggio. Il Gatto
non era ancora pronto, stava finendo di saldare alcuni pezzi di ferro.
Nonostante la stagione, stava saldando con la fiamma ossidrica … scalzo, in braghette
corte e canottiera, incurante del freddo e dei roventi s-ciatèin (spricchi di
metallo incandescente).
“Un attimo!” - disse agli amici - “Mi cambio e
arrivo!” Dopo poco arrivò in completo giacca e pantaloni in gessato grigio,
sciarpa bianca, stivaletto nero con tacco, guantini di pelle e naturalmente
casco.
Nessuno osò dire niente, anche se fra i presenti
serpeggiava un diffuso divertito stupore con muti e allusivi sguardi di
sottecchi.
Siete mai andati in moto con la giacca a due o tre
bottoni anche solo a 50 km
all’ora? Allora provate! Di peggio non si può immaginare con il tessuto
dell’indumento che si gonfia e va dove vuole: scomodissimo, ingestibile e
assolutamente non dà nessuna protezione da aria e freddo.
Arrivati a destinazione, i motociclisti, come d’uso,
parcheggiarono con attenzione le moto, si arrotolarono giù la parte superiore
delle tute in vita ed entrarono nel mitico ristorante per il pranzo.
Il Gatto
andò subito in bagno e con composta flemma tolse da uno stivaletto il pettine,
si aggiustò i capelli con tre o quattro passate bene assestate, poi dall'altro
stivaletto prese una piccola bottiglietta di profumo pour homme Gianfranco Venturi e se ne diede due 2 gocce.
Entrò in sala con portamento consapevole e sicuro,
guardò gli amici con superiorità e una punta di compiaciuto disgusto, poi disse
loro, immerso in un’allure di
eleganza e distinzione:
“D un niméel, mò a v sii v guardèe ? … a
parìi ’na baanda d interdètt! (Ohibò! Ma vi siete visti? Sembrate una
banda di interdetti!)”.
Ècch caraater!!!
Class is not water! La classe non è acqua! Anche se francamente l’incipit riportato della frase non era
esattamente quello pronunciato.
La sua guida della moto era molto decisa
e non esente da incidenti; una volta decollò col suo mezzo sulla Futa. L’Honda
subì seri danni, ma il Gatto la fece
rimettere a posto, per venderla prudentemente fuori zona; difatti dopo un po' l’incauto
acquirente gli telefonò lamentandosi che tirava da una parte!
Strano! Dopo l’incidente l'éera
dvintèeda éelta (era diventata alta) come un go-kart!
Il Gatto era purtroppo destinato a una fine epica e prematura;
la sua esistenza trovò un tragico epilogo con la caduta del suo deltaplano,
appena dietro casa nell’ottobre del 1988; la causa fu un improvviso cedimento
del rivestimento portante delle ali, si dice a causa di mancanza di
manutenzione. Egli era solito lasciare il velivolo all’aperto senza protezione
alcuna per sole o intemperie e ciò con tutta probabilità causò un nefasto deperimento
del materiale.
Un’uscita di scena adatta al personaggio, dopo una
vita così inquieta; spero possa riposare in pace in volo sotto altri cieli.
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