Chiamare le galline
e altre cosine
prima stesura del 27
ott 2012
di Mauro D’Orazi
v 49 del 28-12-2012
Dal gruppo Conosci il dialetto
carpigiano di FB
Revisione del testo di Graziano
Malagoli e Luisa Pivetti
Norme di trascrizione del dialetto
Le norme
di trascrizione adottate dal
“Dizionario
del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna
Maria Ori e Graziano Malagoli
Tabella
per facilitare la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat, scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè, sèccia,
scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi, mé
ée e chiusa e prolungata véeder, créedit, pée
i i come in italiano bissa, dì
ii i prolungata viiv, vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss, bòll, brònnṡa, pistòun,
dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó, só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’ , òoc’
cc’ c dolce e intensa (come in faccia) cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch, spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’, alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come in oggi) puntègg’, gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh, siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper, sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa) atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s
sorda seguita da c dolce s-ciafòun,
s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
Chiamare
le galline
e
altre cosine
La
tematica di questa piccola ricerca può sembrare insignificante; piccole cose non
troppo degne di essere ricordate.
Ma
se si riflette un attimo, si capisce subito che dietro a questi ingenui
richiami ci sono storie e tradizioni di generazioni, probabilmente di secoli.
Ciò
che abbiamo sentito dalla nonna, essa stesso lo aveva appreso dalla sua e così
via. Si tratta dunque di minuscoli reperti “archeologici” della tradizione.
L’allevamento
domestico delle galline era molto diffuso, sia in campagna che in città. Anche
in giardino a casa mia c’era un pollaio fino ai primi degli anni ’60 e ne
conservo un vago ricordo.
Poi
arrivò moderno regolamento di polizia urbana che vietò per igiene e molestia (l’insistente
canto di qualche galletto) questo antico uso.
Valeva
la pena di fissare anche questi ricordi sulla carta, come testimonianza di un
passato al quale non possiamo che guardare con nostalgia. Ho aggiunto anche
qualche curiosa nota e un paio di gustosi aneddoti.
**0**
Oscar
Clò (Campogalliano) - Sua nonna quando era ora di dar da mangiare alle galline
usciva in cortile e ripeteva: "Jiin,
jiin, jiin! " e tutte le galline gli arrivavano intorno.
Luciana
Tosi (Carpi - Budrione)- L a gh à ’na fòoto
d sò nòona ch la pèer cal ritràat chè insimma!!! Lée la li ciamèeva acsè:"Còoochi ... còoochi ... còooochi!"
E lóor i rivèeven subìtt.
William
Lugli (Limidi di Soliera) - Ricorda una zia ch
la dgiiva: ”Piriii ... piriii ...
pirii!”
Mauro Magri(Carpi) al gh à
in meint che sò siina (la zia) la giiva
aanca lée: "Pirii, pirii,
pirii..."
Paolo
Pasini (Carpi) - Sò nòona la ciamèeva:
“Chè ... chè ... chè!”
Claudia
Soliani (Carpi) - Sua madre dice tutt'ora: "Ciciun saa ... ciciun saa!"
Luongo
Enzo Crescenzio (carpigiano di origini meridionali) - Sua madre invece usava:"Pirin, pirin, pirin!" Era
partenopea e non conosceva il dialetto di Carpi, ma le galline si sa ... erano
e sono poliglotte !!!!
Deanna
Bulgarelli (Carpi - Migliarina) - Sua nonna le chiamava:"Ciini, ciini!"
Lo
stesso modo usato dalla nonna di Giliola Pivetti (Carpi).
Nicola
Gavioli (Carpi) riferisce che sua nonna chiamava:"Pulii, pulii, pulii..."
Marzia
Sala (Carpi)- "Còoochi, còooochi,
còoochi!" Detta a mò a di cantilena onomatopeica, l'è la versiòun ch a la cgnuus aanca mé.
Mauro
D’Orazi (Carpi) per i pulcini c’è il classico: “Pio, pio, pioooo, …” … per chiamarli.
Giorgio
Rinaldi (Vignola – Folclore contadino) - sua nonna le chiamava così:"Póoti, póoti, póoti, ..." (La “o”
stretta e la "t" col "falso raddoppiamento"
settentrionale). Alla lettera, il richiamo potrebbe essere così tradotto:
"Bambine, bambine, bambine .../ puttine - putèini /piccoline".
Desidera
a tal proposito far notare un parallelismo basato sull'affettuosità e quindi
l'importanza attribuita all'animale tra il definire il maiale "ninètt" o "ninèin", cioè animaletto, animalino
(animale per eccellenza) e le galline "póoti", cioè piccolette,
bambine.
Luciana
Nora (carpigiana, oggi risiedente vicino a Cà de Frari) e che qui sotto vediamo
raffigurata in una foto della prima metà degli anni ’50, ha chiesto a una sua
attuale vicine come chiama le sue galline:” Ci, ci, ci, ci … Pio, pio, pio …” Un richiamo ripetuto fino a quando non le ha radunate tutte nel pollaio per
pasturarle e chiuderle per la notte.
Luisa
Pivetti (Carpi - San Marino) ricorda che nella frazione di San Marino dove
abitava, sua nonna radunava le galline con questo richiamo:"Cin, cin, ciiin, ciiin, ciiin! ...
". Luisa ritiene che possa essere un'abbreviazione fonetica di " Cinni, cinni, cinni, cinni, cinni!
" (voleva forse dire piccole,
piccole ... venite qui?). ma per far uscire l'uovo: "Còoooco, còoco, còoco!" (notare la differenza.)
Primi anni ’50 –
Luciana Nora, assieme alla madre,
alle prese con
un’aggressiva chioccia
Inizi anni ’50 - La
nonna di Luisa Pivetti, Lugli Anna, da tutti chiamata Nòona Nèina (nonna Annina), mentre dà da mangiare alle sue galline
a San Marino in Via Cavata, sull'aia, sulla quale si sgranava granoturco, si
seccava grano e … si ballava.
Alcide
Boni (Carpi) racconta che la zia in campagna quàand la ciamèeva al galèini la dgiiva:"Còochi, còochi, còoochi ..." Dòop trée vòolti èl gh éeren tutti adòos.
Fiorella
Urbini (Carpi) ricorda quando era piccola che i suoi
avevano un piccolo fondino a Limidi gestito da una famiglia di mezzadri con cui
avevano un rapporto di amicizia; la reṡdóora quando dava da mangiare alle
galline, diceva: "Co cococococo, co
cococococo …" varie volte.
Tiziano Pace Depietri (Carpi) segnala ch a gh è anch:"Coo-coo-coo-coo-coo-coo ..." o
anche "Ciri-ciri-ciri... ciriii!"
Erminio Ascari (Carpi, di origini reggiane) segnala: "Cooo, cooo, cooooo! Pio, pio, piooo! Pùii, pùii, pùiiii!"
Matteo Bocciolesi (reggiano di origini suzzaresi) ricorda che sua
nonna di Suzzara chiamava anatre, galline, colombi tutti con una frase: "Papìin, papìin, papìin, ciciuni sà,
m-m-m". I "papin" sono le anatre; le "ciciuni"
sono le galline, m-m-m è il verso gutturale del piccione ... e l'aia si
riempiva!
Gaziano
Malagoli (Carpi) ha sempre sentito sia: "Còochi, còochi ..." che "Cò, cò, cò ... e “Pìo, pìo,” per i pulcini.
Anna
Maria Ori (Carpi) ricorda che quando era piccola a Montecreto Mamma Maria (*) le chiamava con: "Piita, pita, pita ...". Un
richiamo ripetuto tre volte e molto in fretta,
con la “i” più lunga la prima volta.
È
curioso come ci sia in tutte o quasi le frasi ricordate l’uso della “i”, forse
per una sensibilità particolare di questi animali al suono acuto.
Anche
i gatti vengono chiamati con la “i”:"Mimìiiin,
mimìin ...".
(*) Mamma Maria era la nonna dei Cappellini che ospitavano
la famiglia Ori. Anna Maria la considerava
un po' come una nonna acquisita. Era equilibrata, dava soggezione, ma
sapeva far capire le cose con uno sguardo. e ci voleva bene, lo capivamo dalle
attenzioni concrete che ci riservava. Le galline erano in un metato (edificio
per seccare le castagne) in un piccolo castagneto nella località La Vartara , a circa due
chilometri e 150/200 m di dislivello, in
salita, dal paese. Lei ci andava tutti i giorni, due volte al giorno, due
salite e due discese, per aprire il pollaio e richiuderlo, lasciando le galline
libere di razzolare in giro – ladri non ce n’erano, allora! Conosceva così bene
la strada, o meglio le scorciatoie anche disagevoli che prendeva, che lavorava
a maglia per tutto il percorso, col gomitolo in tasca del grembiule. E non
faceva maglioni, ma calzini, di cotone bianco, con un gioco di ferri sottili,
del n 1 al massimo, e si fermava solo quando doveva fare i calati o gli
aumenti, del calcagno o della punta, per contare le maglie e fare un lavoro
“giusto”. Non sapeva leggere né scrivere, ma le calze le sapeva fare!
**
È
bene chiamarle, ma ancor meglio è mangiarle.
A
tal proposito, questo proverbio calza a meraviglia :
"
In
faat d urtàaia, a preferìss la pulàaia" (dissertando sugli
ortaggi, io preferisco il pollame). Ossia: meglio una buona gallinotta arrosto,
che un cavolo lesso!
**
Al
còoregh pèr la ciòosa e i pulṡèin
Nella
stupenda foto (che segue) degli anni ’50 si può notare l'abbigliamento delle
bimba con maglioncino 4 stagioni, di lana per la primavera - estate -autunno ed
inverno. La differenza la faceva la gonnellina, per la primavera e l'estate,
mentre per l'autunno e l'inverno c'erano i pantaloni o tutt'al più le calze
pesanti sotto il solito gonnellino.
Il
caschetto tipo Caterina Caselli è la conseguenza di uno spiccio taglio
casalingo realizzato in economia con scodella da caffelatte collocata sulla
testa.
Da
notare la catenina al collo, regalo da Cresima degli zii ed il braccialetto,
sempre a cura degli zii, dato in qualche altro anniversario o caduta di denti.
La cosa più bella però è l'espressione della bimba che, complice la sua
paffutaggine, risulta essere tra lo stupito e lo stordito, tra l'indeciso e
l'impietrito di fronte agli animaletti. Il bimbo sembra fotografato in mutande,
una consuetudine abbastanza normale all'epoca, porta il solito maglioncino 4
stagioni in lana.
Questa
foto può essere capita nella sua essenza solo da chi nato prima del boom
economico di Carpi e dell’Italia in generale. Si vede in questa immagine un
trascorso vissuto con una ingenuità e naturalezza che forse, oggi,
difficilmente si ritrova nei bambini.
Considerazioni assieme a Vanni Fregni (Carpi)
1950 -
Al còoregh pèr la ciòosa e i pulṡèin
**o**
Cambiamo pennuti
Anni ’50 - La reṡdóora
la ciàama l'òoca: “Andòmm a diṡnèer!”
(La massaia chiama l'oca: “Andiamo a pranzo!”)
Anni ’50 - Luisa
Pivetti a 9 anni con la sorella Ornella a Milano in Piazza Duomo
I
lèeder èd galèini
Durante
i furti notturni da parte di lèeder èd
galèini, gli animali non
venivano certo chiamati, ma erano catturati in silenzio e al buio, mentre
avevano gli occhi ancora chiusi.
Divenne
famosa negli anni ’50 una coppia di ladruncoli che utilizzavano una tecnica
particolare: a gh éera l infurnadóor.
I due ladretti facevano un buco in una parete del casotto del pollaio, oppure passavano
direttamente dal burlèin (sportellino)
dal pulèer. Uno di essi teneva un sacco aperto e l'altro, tale Fiaschìin, vi infilava cautamente un
lungo bastone allo stesso modo in cui si introduce una paletta in forno da pane
o da pizza. Tich … Tich … Toccava
delicatamente le zampe di una gallina, questa al buio sentiva un nuovo appoggio,
cambiava posizione e si aggrappava al bastone. A questo punto l infurnadóor al "desfurnèeva (sfornava)" e al cavèeva fóora piàan piàan al pùi che finiva subito nel sacco.
Anche
Carlo Lodi (Carpi) conferma questo singolare metodo: aveva un amico più vecchio
di lui che, durante la guerra, ogni tanto si arrangiava in quel modo. Era una
tecnica efficace che funzionava bene, diceva lui.
Molto
nota è anche la sfortunata e più che altro leggendaria avventura capitata a due
piccoli malfattori che nottetempo avevano praticato un buco nel pollaio per
potere rubare qualche pennuto.
Uno
dei ladri mise dentro la testa per capire dove allungare la mano. Il problema
era però che il contadino, stanco di altri furti subiti, era all’erta dentro al
pollaio con in mano un robusto bastone.
Appena
vide il ladro introdurre la testa gli menò fra naso e bocca una secca e
violenta bastonata.
Lo
sventurato, colto di sorpresa, cacciò un urlo e nel contempo uscì dal buco con
una mano sulla bocca.
Il
complice non capiva: “Mò ’s’ è sucèes??”
chiese più volte.
Riavutosi
un attimo dall’intenso dolore, sempre con la mano sulla bocca sanguinante,
rispose al compare: “Va dèinter tè, ch a
m scaapa da ridder!”
La
frase, nella più diffusa variante “Va avaanti
tè, ch a m scaapa da ridder!”, si è trasformata in un modo dire e viene
usata comunemente come tipico atteggiamento nei confronti di un'enunciazione di
un'idea altrui, forse bella, forse utile, ma particolarmente onerosa o non
priva da pesanti negative controindicazioni. In pratica vuol dire: "Sì!
Certo ! Ma fallo prima tu...".
Anche
l’espressione “ladro di polli o di galline” definisce personaggi di infimo
spessore qualitativo umano.
**
Modi di dire
Una persona che è ben sistemata in un
buon posto di lavoro si può definire … l è bèin pularèe, nel senso che ben
sistemato in un confortevole pollaio, dove ha di chè mangiare, bere sotto un
sicuro tetto. L è bèin pularèe in Comòuna, in baanca o in Fundasiòun (è ben collocato in Comune, in banca o in uno dei ben
retribuiti consigli di amministrazione della Fondazione della Cassa).
L è un
bastòun mèerd: è un bastone usato per rimescolare i pozzi neri o simili fetidi
luoghi; definisce una persona molto difficile da trattare e che va presa solo per
il giusto verso (quello non sporco … ovvio, evitando gli spricchi), altrimenti
si è certi che ci saranno da pagare delle conseguenze poco piacevoli.
Ma c’è
un ulteriore grado di gravità in questa categoria di definizioni ed è quando si
indica qualcuno come: L è un bastòun da pulèer - È un bastone da
pollaio. In questo caso al personàag’ l è dimònndi, mò pròopia dimònndi descòomed;
infatti tale bastone, essendo completamente disteso nel recinto delle galline,
è sporco completamente in tutta la sua lunghezza e non si sa dunque come
prenderlo in mano senza sporcarsi.
A n s sà
da che còo ciapèer èl (non si
sa assolutamente da che parte prenderlo). Trattare positivamente con costui
sarà pertanto un’impresa disperata.
Bisogna ricordare che la gallina faraona (la faravòuna),
considerata la sua provenienza dall’India, si chiamava anche la dinndia.
I contadini la portavano per Natale in città, già plèeda, a
chi aveva fatto loro importanti favori o dato preziosi consigli.
Pulèer
Mercato dei polli -
Piazzale Ramazzini a Carpi - anni '50 - Il sig Veroni, noto pollivendolo di
Fossoli col fazzoletto al naso. Abitava in Via Remesina detto "Vròuna al
pularòol"!!
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