giovedì 6 settembre 2012

La Tazza d’Oro - Bar di Carpi - di Mauro D'Orazi dialetto carpigiano





La strana compagnia
del Bar della Tazza d’Oro

di Mauro D’Orazi

Stesura iniziale 20 dic 2009 – 3^ edizione riveduta e integrata set 2016

Revisione n 47 dell’ 01-09-2016


COME LEGGERE IL DIALETTO CARPIGIANO

Norme di trascrizione del dialetto

Le norme di trascrizione adottate dal
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e Graziano Malagoli

Tabella per facilitare la lettura

a     a come in italiano                   vacca
aa   pronuncia allungata                laat, scaat, caana

è e aperta (come in dieci)              martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe   e aperta e prolungata             andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é     e chiusa (come in regno)         méi, mé
ée   e chiusa e prolungata             véeder, créedit, pée

i i come in italiano                         bissa, dì
ii     i prolungata                           viiv, vriir, scalmiires, dii

ò     o aperta (come in buono)        pòss, bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo   o aperta e prolungata             scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó     o chiusa (come in noce)          tó, só, indó
óo   o chiusa e prolungata             vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u     u come in italiano                   parucca, bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu   u prolungata                          bvuuda, vluu, tgnuu, autuun, duu

c’    c dolce (come in ciao)             vèec’ , òoc’
cc’   c dolce e intensa (come in faccia) cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch   c dura (come in chiodo)          ṡbòcch, spaach, stècch
g’    g dolce (come in gelo)            curàag’, alòog’, coléeg’
gg’  g dolce e intensa (come in oggi)  puntègg’, gurghègg’
gh   g dura (come in ghiro)            ṡbrèegh, siigh

s     s sorda (come in suono)          sèmmper, sóol, siira
     s sonora (come in rosa)          atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi

s-c  s sorda seguita da c dolce       s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch

**=M=**


La strana compagnia
del Bar della Tazza d’Oro

di Mauro D’Orazi

Breve premessa

Noi eterni ragazzi degli anni ’70 abbiamo sempre frequentato la Piazza e il Centro Storico di Carpi; forse non siamo mai cresciuti del tutto, nonostante gli anni che passavano inesorabili, i matrimoni (per molti più di uno), i figli (non io), il lavoro, quasi sempre nel mondo della moda, del tessile, ecc…
Tutti i giorni eravamo lì a vivere e respirare Carpi; a contribuire per creare, conservare e trasformare il genius loci della nostra città, che nel bene e nel male, nei pregi e dei non pochi difetti è proprio la piccola-grande capitale della nostra esistenza.
Via via che passavano gli anni eravamo sempre presenti a svolgere in nostro compito di azione e di testimonianza in luoghi “eletti”. Luoghi che nel corso del tempo (ci) sono scivolati via. Alcuni come la Pizzeria da Biagino (forse la prima di Carpi) con l’entrata vicino alla Farmacia dell’Assunta, non esiste più da anni. Nessuna traccia è riscontrabile di questo luogo che era per noi adolescenti un punto fisso del pomeriggio, finiti (bene o male) gli studi. Oppure il vecchio Bar Armagni con la gestione di Gerry e la miglior sala da bigliardo della città (oggi in parte il nuovo bar Dorando)
C’era poi il Bar Roma (per i signorini figli di papà), il vecchio Bar Dorando (per i ragazzi più maturi di età), il Bar Milano (per i barbuti di sinistra in eschimo verde); ma il punto magico, assolutamente interclassista, divenne il Caffè Teatro, gestito dal grande Vittorio Garzon. In questo luogo, forse anche grazie agli stupendi e inarrivabili panini alla piastra, riempiti all’inverosimile dei migliori salumi, e serviti fino a tardissima notte, si respirava un’aria insolita di libertà, di zona franca, fuori dai consueti schemi.
Lì le differenze sociali, culturali, politiche, ecc… quasi scomparivano. Non ho timore a dire oggi che l’autentico spirito di Carpi, della carpigianità aveva per tanti aspetti sede in quel luogo, che fino a prima degli anni ’70 era stato solo un posto da mediatori da mercati del giovedì e del sabato.
Allora i gruppi di ragazzi si dividevano anche in base all’età; spesso bastava un paio di anni di differenza per vivere in compagnie completamente separate.
Distinzioni che poi sono rimaste nel tempo e che si sono attenuate solo in età matura.
Tutto sembrava procedere al meglio, finché un’Amministrazione insensibile alle nostre abitudini di vita ha cominciato sciaguratamente a chiudere sempre più il centro storico alle auto e alle moto, mezzo quest’ultimo col quale io vivevo in completa simbiosi e che mi ha accompagna in tantissimi momenti di vita.
Caro Werther Cigarini, non te lo perdonerò mai questo abuso contro la mia vita! Non perdonerò né te, né i divieti che ci hai imposto, il maledetto cordolo in Corso Fanti e Corso Cabassi e la presa in giro del finto muro costruito in piazza dalla famigerata Compagnia Koinè.

Ecco il vituperato cordolo,
simbolo delle nefaste azioni della Giunta degli anni ‘80

Queste decisioni politiche che hanno portato alla chiusura della Piazza, hanno influito tantissimo nella frequentazione del Centro Storico, assieme ovviamente al trascorre stesso dei nostri anni, della nostre stagioni di vita e anche alle inesorabili disgrazie e malattia di Vittorio. Tutti questi fattori ci hanno costretto a cambiare abitudini e in parte i luoghi abituali di incontro.
ERA FINITA LA NOSTRA ETÁ DELL’ORO !
Epoca che ancora rimpiango amaramente, soprattutto quando d’inverno subisco l’offesa intima e dolorosa di una piazza vuota e spettrale.
Recentissimamente ho pubblicato in modo provocatorio nella mia pagina di Facebook una foto della Piazza degli anni ‘60 con le auto parcheggiate, proponendo di aprire il grande spazio solo d’inverno dalle 20 in poi di sera, in accordo con i locali del Centro Storico. Ho raccolto quasi 500 “Mi piace”, in poche ore; un numero elevatissimo, il mio record; cosa che ci fa capire come a distanza di circa 30 anni il problema della chiusura è ancora molto sentito.

Primi anni ’80, la Piazza chiusa con ancora le linee di parcheggio
che furono poi sabbiate per cancellarle

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Siamo in grado di pubblicare per la prima volta, dopo tanti anni, le foto degli scherzi del misterioso Comitato Primo Aprile messi in opera la notte del 1° aprile 1987 per prendere in giro, in rosa, gli sgradevoli e autoritari provvedimenti dell’Amministrazione Comunale relativi alla chiusura del centro storico. Spicca il famoso cordolo di Corso Fanti pitturato interamente di rosa.


1° aprile 1987 – un giorno in rosa
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Proprio coloro che la vogliono chiusa (ambientalisti benpensanti, i buonisti della piazza chiusa), sono poi quelli che di sera, d’inverno, si guardano bene dal frequentarla.
Questa è la situazione che piano piano ci portò a scegliere come luogo principale di frequentazione la Tazza d’Oro.
Ma andiamo con ordine.


Un bar, un refugium peccatorum

Se vi fosse capitato negli ultimi 20 anni di passare all’inizio del Portico di Corso Alberto Pio davanti al Bar Tazza d’Oro di Donato (detto da qualcuno anche Tazio con riferimento al nome del locale, verso le due del dopo pranzo, avreste potuto osservare, seduti con le carte in mano, un vivace, sboccato, sbraitante e rumoroso gruppo di antichi giovani carpigiani, un tempo veri leoni dominatori della Grande Piazza e da anni quasi esiliati da crudeli decisioni di sadiche menti municipali, nella angusta ridotta di questo luogo apparentemente senza tempo.
Questo gruppo di bravi ragazzi, di cui anche io faccio parte e che frequento con gusto e divertimento, erano costantemente impegnati dal lunedì al venerdì per due orette a misurarsi senza pietà e remissione alla briscola in 5 (detta anche briscola a chiamata o briscolone): una curiosa variante del noto jeu de cartes, che ha nella sua fase iniziale un piccolo drammatico “giallo “: chi mai sarà il compagno di colui che ha chiamato la carta e ha imposto il seme della briscola. Si gioca rigorosamente senza soldi, non ce n’è più bisogno, viste le numerose e vistose cicatrici di ormai lontane ferite da gioco d’azzardo, praticato dai vari esponenti del gruppo nelle più svariate forme e intensità, in anni dove temperanza e moderazione erano virtù sconosciute.
Oggi si lotta solo per l’onore di dimostrare di saperci fare, di essere i migliori, di essere chiaroveggenti nei possibili sviluppi del gioco.
Lo spassoso teatrino delle quasi finte (ma non troppo, poi …) baruffe è sempre in scena: battute, canzonature, sberleffi, soprannomi, severe sgridate a chi sbaglia, ecc… In questo ambito, il tempo scorre molto molto lento, sembra non dover passare. Tutto il gruppo possiede una consapevole e disillusa rassegnazione di chi sa cogliere l’ineluttabile, ma nel contempo si ostina ancora a voler vivere il Carpi diem della gioventù. Qui, alla Tazza d’Oro, sopravvive forse l’ultima testimonianza, l’estremo baluardo autentico e genuino di carpigianità in Centro Storico: una significativa e sentita, ma, ahinoi, solo pallida eredità di una antica tradizione di ustarìi, fumiini, cafè d ’na vòolta.

Chi transita nei pressi di questo locale, fra urla, schiamazzi e lazzi vari, può sentire non di rado perentori e bizzarri ordini: Ṡóoga la Bereniice!” … “Gioca la Berenice!”… cioè… gioca il due di denari; oppure: “Mètt éggh mò un brisculèin ind al cuul!” che significa buttare, per stringente necessità, un’inutile briscola più bassa di una dominante già sul presente sul tavolo.

 La Berenice

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Tutto cominciò negli anni ’90, quando un “Caffè Teatro” da sempre accogliente e tollerante, asilo e luogo di libera e multiforme frequentazione … dall’operaio all’industriale, dal tagliatore di muri, al geniale scrittore locale, volle raffinarsi, vincere il provincialismo e passare di grado.
Extra omnes! Fuori tutti ! Fu il grido deciso e poco rispettoso del valore delle antiche tradizioni e della personalità dei numerosi cartai con i calli ai polpastrelli delle mani a forza di girare e rigirare dei mazzi. Fu il grido spocchioso, e alla fine quasi fallimentare, di una nuova Carpi spersonalizzata che non riuscì mai poi a convincere e a decollare completamente, ma che certo ebbe l’effetto deleterio e negativo di contribuire a distruggere molti usi e costumi (assieme alla chiusura della Piazza) di un passato per altro oggi sempre più difficile da vivere e da difendere.

Donato Marciello
Questo gruppo di profughi disperati senza più patria, trovò tetto, sedie e accoglienza alla Tazza d’Oro da Donato, un ragazzo del ’53 di origine lucana e che era conosciuto e ben voluto da tutti, avendo sempre lavorato come cameriere in Piazza, inizialmente al Bar Roma.


Le origini del Bar della Tazza d’Oro

Nel 1974, in principio, i tre mitici suoi colleghi del Bar Roma, il Golden Team, con Gianni, Alcide e Valerio, rilevarono la Tazza d’Oro, forse il bar più strategico di Carpi da Loredano e Anna Maria Malagoli. Questi a loro volta lo avevano preso da un rappresentante di caffè di Modena della Segafredo, che lo aveva aperto nel 1969 proprio alla fine del Portico del Grano, dove prima c’era una drogheria.
Allora le grandi ditte di distribuzione di caffè attuavano questa polita di espansione: trovavano la zona giusta e il posto, contrattavano le mura e poi mettevano su un bar con persone esperte. Quando il locale veniva lanciato, lo cedevano a una famiglia che lo gestisse, naturalmente oltre i soldi della cessione, vincolavano anche le future forniture di propri prodotti.
Gli esperti della Segafredo nel ’68 mandarono i loro uomini per le analisi preventive.
In quel tempo sotto ai portici di Corso Alberto Pio passavano nei giorni di punta quasi 5.000 persone al giorno. Scegliere quella dislocazione fu dunque… più che logico.
Nel 1969 il bar si era subito posto all’avanguardia con prodotti innovativi per Carpi, una città da sempre conservatrice e lenta ad apprendere le novità. Loredano portò per primo i tramezzini (che oggi tutti conosciamo) confezionati con pane speciale bianco e morbido e farciti con una speciale maionese fatta in loco tutti i giorni e un’insalata russa. Il pane arrivava da Modena, finché non si giunse a un accordo col vicino Forno Sacchi, che sperimentò e produsse la nuova varietà.
Dopo il cambio di gestione, l’anno successivo, nel ’75, anche Donato fu della partita, inizialmente come cameriere / barista. Ma gli eventi della vita a un certo punto fecero sì che, dopo qualche tempo, i vari soci si sfilassero via dalla gestione del bar e che lo stesso passasse al solo Donato e alla sua famiglia: la moglie e i due figli.

La famiglia di Donato … con Maura, Stefano e Massimo

É a questo punto che il gestore fu contattato da Mauro Orlandi e Fabiìn Carretti, ambasciatori plenipotenziari del manipolo di fuggiaschi dalla Piazza. Strinsero solennemente il sacro patto dei due tavoli: tutti i giorni, salvo il fine settimana, dalla mezza alle due e mezza, questi erano riservati a loro e al gioco delle carte. Si partì con i tradizionali cotecchi, briscole e tresette, poi prevalse la briscola a 5. Questo gioco, infatti, comporta il coinvolgimento di un giocatore in più e consente scambi dinamici continui. Insomma è più difficile annoiarsi, anche perché la regola basilare del silenzio assoluto, che si dovrebbe tenere durante questo tipo di partite, venne subito assolutamente abolita. Ognùun al póol ciacarèer cum al vóol… cum a gh pèer! (ognuno può parlare come vuole… e come gli pare).

Il Mucchio Selvaggio

Il Mucchio Selvaggio era ed è composto da una fauna eterogenea, ognuno di noi conosce gli altri da una vita e sa virtù, difetti, atteggiamenti e reazioni, prima ancora che un al véera bòcca! (apra bocca) Esso è una coagulazione di varie e antiche provenienze che andavano dai reduci del bar Roma, e del Dorando ad altri ex del Liceo. Io penso che in natura non si sia mai visto un tale concentrato di Campioni del Mondo del passato o in carica e qualcuno pure del futuro. Il lettore si chiederà di cosa… campioni, di quale specialità… bhèee… non ha nessuna importanza di cosa, l’importante che lo fossero o che dichiarassero di esserlo, scatenando la risentita rivalità altrui per sopravanzarli. Più uno afferma di essere forte e più l’altro si impegna e gode a batterlo.
    +    
La formula perfetta per un bar: tette e caffè

Questo agone permanente è uno dei segreti fondamentali del bar e del successo di un locale (a parte quello, sempre gradito, di aver un super gnoccone scollato che si china leggermente in avanti a servirti un buon caffè bollente).

Dorry e il Mucchio

Il bar è così! Un surrogato, un simbolo rappresentativo della violenta lotta per la vita, per la sopravvivenza, per il successo, per il ruolo preminente di alcuni sugli altri, per infligger le più crudeli mortificazioni ai deboli e agli sconfitti.
La presa in giro e l’ umiliazione, che a turno tocca a ogni componente, deve essere messa in conto fin dall’inizio e per il permaloso caratteriale ci saranno davvero bocconi amari da mandar giù.
Siamo in partita: i giocatori e gli spigolisti autorizzati sono in piena azione
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I personaggi

Ma vediamo la nutrita e variegata gamma dei personaggi. Impossibile elencarli tutti, mi limito ai soli carichi pesanti, quelle da 11 e da 10 punti.

Cominciamo da Fabiìn Carretti, detto anche al Cichìin (il piccolino). É sagace, impertinente e impenitente; è certamente la persona meno adatta per raccontargli delle storie o per trarlo in inganno. Viaggiatore ed esploratore, un tempo, dei mondi dell’azzardo e quindi profondo conoscitore del “prossimo” e di ogni possibile lato debole e/o nefandezza legata all’animo umano. Laureato all’ALMA MATER BRISCULORUM, cioè all’Università Italiana della Briscola, magna cum laude e bacio in fronte; è rarissima la volta che sbaglia una giocata. E anche quando ciò malauguratamente accade, c’è sempre comunque alla base un validissimo motivo, che verrà poi ampliamente sviscerato con un’opportuna lectio magistralis con lunghe e ripetute spiegazioni nel post partita. Ha come un computer in testa che, inserendo tutte le informazioni possibili, gli dà una quadro della situazione praticamente perfetto. Quando posso, io mi siedo di fianco a lui per godermi l’Arte dell’Assoluto nella briscola. Dopo una giocata difficile, mi guardava per avere la mia approvazione, ciò in qualità di ricoprente la modesta mansione vice - spigolista: una marginale figura senza diritto di parola, che si colloca nel gradino più basso degli accettati attorno al tavolo. “Se il carico è là abbiamo vinto, se invece il re è lì abbiamo perso!”. Io, che regolarmente non capisco nulla, gli rispondo di sì, facendo finta di aver ben afferrato la raffinatezza del pensiero tattico/strategico e della giocata.

  
Fabio Carretti - Fabiìn

Il Toro (Mauro Baraldi) è detto il Mago, il Veggente o il Profeta; lui è sempre avanti tre mosse nel gioco e riesce (ma solo quando ci prende) a prevedere ogni giocata e quello che uno ha in mano. Si reputa un grande stratega e giocatore, pertanto una sua sconfitta o vittoria in una partita tirata all’ultimo punto, genera sempre forti tensioni, emozioni e polemiche, talora anche terribili liti, urla e permali. “Gioca “spaadi” ! (Gioca spade!)“ è il suo motto in italo-carpigiano. Il Toro ha inoltre mirabolanti qualità su piani extrasensoriali: è capace di materializzare, con la sola forza del pensiero e dalla volontà, le carte che gli necessitano, mentre esse vengono distribuite dal mazziere, possiede spiccate e raffinate doti di veggente, nel senso che lui le carte degli altri le “vede” proprio, sbirciando scorrettamente in mano agli avversari o in modo scaltro, attraverso l’immagine riflessa dallo specchio dietro il bancone del bar. Aahh l’astuto Mago… davvero irresistibile! La briscola a 5 gli è anche forse debitrice della vita; una volta mentre era al tavolo, improvvisamente gli prese un gran brutto malore; fosse stato solo nel suo laboratorio… , ma invece era nel posto giusto che gli aveva assegnato il destino e così, dopo brevi secondi di panico degli astanti, davvero dopo pochi minuti era già ricoverato al Ramazzini, dove lo hanno recuperato e revisionato come nuovo.
Qualcuno, dopo una sua giocata perdente, insiste, chissà perché, sulla saggezza del proverbio: “Tagliamo al testa al … toro!”
Passò alla storia in gioventù, quando giocando a chemin de fer, l’avversario gli scoprì beffardamente le due carte di data, pronunciando un soddisfatto “Huit!” (otto in francese) e lui di rimando scoprendo le sue, ribatté con un trionfante “Nuit!” per dire che aveva nove (neuf in francese).
Sublime!
Il Toro è titolare di una ditta che produce ottimi maglioni di cashmere, di ottima mano anche doppio filo, copie quasi perfette dei Ballantyne. Avere e indossare un Baraldamus Caṡmir (esse pronunciato all’emiliana) era ed è segno di distinzione ed eleganza.
 
Il Toro - Mauro Baraldi

Graziano Forghieri, mio fratello maggiore di vita e compagno di giochi; detto anche il Biici, in quanto per tanti anni ha venduto e aggiustato biciclette in Via Matteotti, èd fròunt a Maama Nèina (di fronte a Mamma Nina). Sempre disponibile, generoso e capace (al sà fèer i pée al mòsschi – sa fare i piedi alle mosche) … grande affabulatore: ti racconta storie avvincenti e suggestive di esistenza vissuta e facendoti vivere in prima persona le cose come se l’ascoltatore fosse davvero lì presente al fatto. È il Vice Mago … anche lui tenta vanamente delle previsioni, ma con meno ambizioni, a raggio più corto e solo per la prima mano.
 
Graziano Forghieri

L’esito del vaticinare spesso è disastroso, (“Mò cumma faa l a ciapèer èggh sèmmper! Mò cumma faaaa l !!!!” – Ma come fa a prenderci sempre! Ma come fa? - è il coro che si alza quando, quasi sempre, sbaglia l’ispirata previsione); ma lui comunque non lo ammette mai, neppure sotto tortura: ogni sconfitta per lui è bruciante, ma l’ammissione di un errore lo è molto di più. Invece quando, di rado, indovina la divinazione, si pavoneggia a lungo compiaciuto.
Ha la simpatica debolezza di essere permaloso e questo fatto talora apre pericolose falle a favore dell’infido nemico di gioco del momento, che spesso si diverte a tendergli abili trappole con calibrate e progressive provocazioni. Una volta quando la fortuna si accanì contro di lui, pur avendo bellissime carte, … indignato portò addirittura a far vedere la sua mano di gioco nell’altro bar vicino “Il Milano”*, per ottenere la dovuta solidarietà di fronte alla sfiga e all’affronto subito da un destino cinico baro.
Imitò una più antica e leggendaria usanza del noto Taras (Giancarlo Tartari)* che in un giorno di particolare sfortuna, in piazza al Caffè Teatro, corse con le carte in mano a farle vedere a colore che sedevano nel bar di fronte, singhiozzando disperato: “Guardèe mò ché… s a s póol pèerder cun dal chèerti dal gènner! (Guardate qui! Se si può perdere con carte del genere!)”.
Di fatti quando uno dei giocatori si lagna eccessivamente, dopo aver perso con delle buone carte, lo si invita, per fagli smettere la lamentazione: “Va móoi a fèer li vèdder al “Milaano”*! E dàa gh un tàai!” (Portale a far vedere a quelli del Bar Milano - all’inizio del portico di piazza - e smettila!)

*(nota dell’autore: Il Bar Milano, sito in Piazza Martiri prima della Cassa di Risparmio - Unicredit, noto per 60 anni come il “Bar dei Comunisti”, ha chiuso definitivamente i battenti il 1°dicembre 2010. Per altro Taras, da me intervistato nell’ottobre 2011, nega decisamente, ridendo di gusto, di aver mai fatto una simile clamorosa azione).

 
Dorry (che indossa un Baraldamus Caṡmir), Graziano e Donato

Alessio (Alex) Pignatti è il più giovane, biondo e bella faccia da attore, è detto Hitlerino; ha un gioco spietato che non perdona niente e nessuno. Degno nipote di Fabiìn Carretti, ne condivide l’abilità di comprensione e gestione del gioco. Dà ordini netti e decisi e se il compagno sbaglia o non lo ascolta diventa una belva. Gli è stata attribuita anche l’ambita qualifica stabile di campione del mondo, avendo vinto una partita senza (incredibilmente) avere in mano né asso, tre e re !! Il fatto si trova registrato nel libro internazionale dei Campioni del Mondo.

Armato di fine intuito matematico, ha scoperto l’ormai famoso teorema detto “Della Chiamata” nella briscola a cinque. Ad esso si sono interessati i dipartimenti universitari di logica di Princeton e Harvard nei loro piani di ricerca avanzata. L’assunto, di stringente evidenza, così recita: “S te ciàam cun pòoch, te póo catèer dimònndi, mò s te ciàam cun dimònndi… te catarèe pòoch! Se chiami con poco in mano, potrai trovare molto nelle carte dell’altro giocatore prescelto; ma se chiami con molto, troverai poco. Elementare …
Il problema però è che non sempre dà un positivo effetto… Infatti non funziona per chi non ha il giusto "intuito" nel capire, quando è il momento giusto... èd ciamèer cun pòoch!! (di chiamare con poco).
Un altro dei suoi principi è che se il gioco è praticato fra persone che sanno poco; la loro scarsa abilità diminuirà ulteriormente.
 
Alessio Pignatti (Alex)

Ettore Farina è un bel tipo! Buon giocatore; parla poco, ma sta molto attento. Svolge il malefico ruolo di fine e subdolo “acuitore” di contrasti. E ogni tanto, dopo minuti di silenzio, se ne esce, improvvisamente, con una battuta o con una frase, a bieco tradimento, che fa montar su proprio la persona giusta e, con chirurgica precisione, con esatto riferimento per la situazione più debole e fragile in quel momento.
Mente nel gioco, sapendo di mentire… in modo serafico e inappuntabile, da gran signore.

  
Ettore Farina con alle spalle il Principe

Il Principe (Fabrizio Pezzetti) ha una lunga storia di sontuoso “vissuto” alle spalle, ciò gli consente di ritenersi su un cordiale e bonario piano superiore… noblesse oblige. Sorseggiando con eleganza uno, forse anche due, bicchieri di frizzantino, non di rado molto simpaticamente pontifica, per altro con una certa saggezza, sulle più varie situazioni di vita o di gioco. Tutti gli altri rassegnati, bontà loro, gli lasciano generosamente credere che egli stia effettivamente pontificando. É affermato autore di due famosi libri gialli di gran successo, ma … mai pubblicati, e attento compilatore (su richiesta) di liste di ottimi e costosissimi ristoranti da frequentare in Italia e in Costa Azzurra, locali da evitare accuratamente.

 
Il Principe con Mauro Orlandi

Lele Forghieri (fratello di Graziano)… ricercato dead or live e famigerato in tutto il mondo col nome di battaglia di BILLY… o anche di SchiacciaCachi… A settant’anni, indossati disinvoltamente, porta con eleganza e naturalezza il codino e nessuno ha mai avuto niente da eccepire al riguardo. Giocatore di non eccelse qualità, è difficile che riesca a giocare se non a fine turno; infatti fa stabilmente parte della formazione B: quella che entrava in ballo in caso di assenze per malattia o simili.
Spigolista scorrettissimo e senza la minima discrezione: abitualmente insignito di cartellino giallo e cartellino rosso, più volte espulso dal campo di gioco con ignominia, pesanti offese e dure sanzioni. Infatti pur non essendo in partita è solito rivelare ad alta voce, o con segni inequivocabili del braccio e della mano (Pace e Bene +), situazioni riservate del giocatore a cui, dal di dietro, stava guardando le carte. Ciò provoca ira e vituperi da parte dei giocatori al tavolo e forte disapprovazione e censure dell’intero pubblico in sala e la pronuncia della minacciosa frase: “Mò tè … ṡóogh èt?(sottintesoNo!) “Alóora tèeṡ!(Ma tu giochi’ – No! – Allora taci!)

 
Lele Froghieri e Buky (Bucchignoli Giuliano)

Quando Lele è in partita, è solito pronunciare all’inizio di ogni mano uno sconvolgente ANATEMA … che si concretizza in terribili terrificanti frasi : “Adèesa a ve schiSSss cóome di caaKi madùur!” (Adesso vi schiaccio come dei cachi maturi!), oppure “Adèesa a ve squantèeren e a ‘rbèelt al tevèel! (Adesso vi distruggo e ribalto il tavolo).
Nonostante le grosse dita che non gli consentono di distribuire le carte in modo adeguato, la sua vera abilità sta però nella sua resistenza a oltranza (anche conto terzi) a spellare per ore, lentamente e con grande intimo piacere, i dannatissimi biglietti del Gratta e Vinci, acquistati spesso in società dal gruppo nella vicina Tabaccheria di Gianni Luppi (detto al Lèeder). Più volte vincitore del TelegRatto. Gratta tenendo minacciosamente dritto il mignolo destro, un antico ricordo che gli lasciò il povero Barry, schiacciandoglielo, per cattiva sorte, con la porta della cabina telefonica, presente tanti anni fa all’interno del Caffè Teatro.
Lele è sempre alla ricerca della vincita di almeno un VIOLACEO (efficace e affascinante nome che egli dà alla banconota da 500 euro per il suo particolare e ben riconoscibile colore). Nonostante l’impegno profuso, però non ha mai avuto grandi soddisfazioni dal truffaldino e beffardo azzardo di Stato, salvo (pare) uno striminzito grattugiamento di una pellicola argentea che celava un ridicolo lingottino del valore di 50 miseri euro.
 
Lele Forghieri gratta e … NON vince

Lele da qualche tempo si è messo ad andare in giro con un suo banco èd ròoba vèecia (roba vecchia), più correttamente del riuso, Frequenta i mercatini delle pulci, iniziative di finto scambio che hanno trovato sempre più diffusione sul nostro territorio. Con il suo fedele Ducato da 700 mila km, carica e scarica ogni genere di anticaglia, sicuro della verità dell’asserto che… mezzo mondo butta via, ma l’altro mezzo non vede l’ora di ricomprarlo. Io stesso gli cedo gratis e volentieri oggetti che non uso più. Lele al fa i mercatèin (partecipa ai mercatini) di solito di domenica e puntualmente al lunedì, durante la partita a briscola a cinque, ci rende ufficialmente edotti con certosina ed epica precisione delle vendite fatte e del ricavo ottenuto. Clamorosa fu quella volta che, con un entusiastico annuncio, ci comunicò la sua incontenibile soddisfazione: “ÓOO! Aiéer a iò sfiorèe al violaaceo!” (Ohh! Ieri ho sfiorato i 500 euro). Infatti gli erano entrati 380 di vendite. Il fato ineluttabile volle che, proprio quello stesso lunedì, una sorte amorevole e benigna gli concedesse di vincere proprio altri 120 euro col gratta e vinci. Il prestigioso traguardo viola era stato dunque trionfalmente raggiunto.
Il violaceo

La sua abilità nella briscola a cinque, come prima ricordavo, spesso è fonte di ampie e crude disamine, soprattutto da quando, in una ormai famigerata prima mano, ancora al buio, un suo errore incredibile fece guadagnare, senza uso di alcuna briscola, ben 53 (diconsi cinquantatre) punti in un sol colpo agli avversari. Mi sembra ancora oggi di udire, disperato, l’ululare delle grida dei suoi sventurati compagni di gioco, unito allo sghignazzo beffardo e compiaciuto dei vincenti. Anche questo evento pare sia stato annotato sul Guinness dei Primati.

Un’altra volta durante una partita, un suo avversario, Alex, stava pensoso quasi sdraiato sul tavolo: il viso tirato, la bocca piegata da una smorfia quasi di dolore, una mano teneva su la fronte con la testa fortemente inclinata da un lato, mentre l’altra reggeva le carte aperte a ventaglio.
Dopo qualche secondo di silenzio, Lele fa partire un sogghignate e compiaciuto: “Vèee, omòun! A t òmm faat gniir al mèel d tèesta!” (Attenzione, caro il mio Alex, che con le nostre abili giocate ti abbiamo fatto venire il mal di testa.)
Al ché, prontissimo il perfido Alessio gli rispose di rimando:”Èd sicùur a ne viin mìa a tè… al mèel d tèesta! S te gh iss la raprensentaansa dl’Aspiriina … t andrèvv falìi!!!”. (Di sicuro non viene certo a te… mal di testa. Se tu avessi la rappresentanza dell’Aspirina … andresti fallito per mancanza di vendite.)

Giorgio Maccari, al Tindèer, fantasista irruento della carta, è uno con la doppia nervatura, dimostra molti anni di meno di quelli posseduti e sprizza energia in quantità. L è uun… scòomed, ma scòomed dimònndi (è uno scomodo, molto scomodo) di carattere impulsivo e impetuoso, ha poca pazienza nel gioco e spesso improvvisava a istinto con gli esiti disastrosi che tutti possono immaginare. Messo alle strette dall’evidenza dei fatti, risponde con un efficace miscuglio di idiomi: “A iò ṡughèe SWING !” … ovvero “Ho giocato sull’onda del ritmo!”

  
Giorgio Maccari - Al tindèer

Con l’Ingegnere (Gian Battista Paltrinieri) ci conosciamo da sempre e siamo stati a scuola assieme per 13 anni dalle elementare in poi. Nel gioco è anche detto La Manna … .
L’Ingegnere G.B. Paltrinieri

C’è chi dà a questo soprannome il significato biblico di regalia o dono dal cielo; infatti nonostante l’encomiabile impegno profuso e i lunghi studi teorici effettuati come spigolista decennale, talora compie o azzarda una qualche mossa disgraziata che ribalta lo stato delle cose, regalando la partita agli avversari. Ma la vera interpretazione è più sottile e complessa: deriva dal fatto che avendo iniziato a giocare con la qualifica di ingegnere della briscola (ciò solo grazie a anni e anni di praticato spigolismo propedeutico, attento, costante e diligente) a causa però di errori imperdonabili, prima… è stato retrocesso a geometra e infine a semplice muratore della briscola. Siccome nella vita professionale si è spesso avvalso della ditta di manovalanza edile … “ Lamanna”… qualche maligno ha pensato bene di abbinargli il nome.
Per lui quei suoi 40 minuti al bar erano preziosissimi e vitali. A differenza di Fabiìn Carretti, ch al ne dirèvv la veritèe gnaanch al dutóor (che non direbbe la verità nemmeno al suo medico), l’Ingegnere ha una singolare e rara qualità, quasi incredibile al giorno d’oggi: non riesce a mentire! Quando uno gli fa una domanda improvvisa a bruciapelo, ANCHE SE È UN AVVERSARIO, a cui nulla va detto, diventa rosso e rivela ogni più intima e nascosta verità segreta di gioco, provocando un boato di risate. Negli ultimi tempi ha però acquistato malizia e talora stupisce i compagni con chiamate temerarie o addirittura con qualche piccola, ma inaspettata bugia.
Dopo una pausa di riflessione, che lo aveva visto assente dal tavolo dall’ottobre 2014, è rientrato a pieno titolo, con minore emotività e più consapevolezza; aspira ad abbandonare la categoria dei cosiddetti Peones.
***
Una nota interessante è che la figura dello spigolista, in altri bar carpigiani prende il nome di angolista o asistèint al tevèel (assistente al tavolo). Esistono due tipi di spigolisti: con e senza diritto di parola. In quest’ultimo caso si tratta sempre di personaggi altamente autorevoli o al contrario di emeriti coglioni che di cui non si riesce a tenere a freno la lingua malaccorta; chi appartiene a questa categoria può pronunciare qualsiasi frase a commento alla partita, come se fosse un giocatore.
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Glauco Belmondi invece sfida il gioco della briscola come affronta la sua vita o una salita in bicicletta o una partita di calcio come attaccante. Sempre deciso, positivo e concreto verso l’obiettivo.
Ai suoi danni è stato orchestrato da Fabiìn Carretti nel 2012 un subdolo inganno per assegnarli meno vittorie nel librone annuale dei punteggi a tutto vantaggio dell’Ingegnere.
La notte di Natale però l’Ingegnere, colto da senso di colpevole rimorso e desiderio di ravvedimento, gli ha confessato l’orribile complotto.
 
L’inesauribile e sempre competitivo Glauco Belmondi

Paolo Colliva, il gioielliere, gioca di rado, fa lo spigolista ed è solito impostare soporifere e letargiche tematiche sui valori alimentati dei cibi o sulle ultime maratone effettuate, per le quali riceve ampie e numerose complimentazioni dagli astanti, miste a una certo compatimento, per altro non immune da una certa invidia per tali impegnative prove.

        Il gioielliere Paolo Colliva

Vanni Previdi è un fine ragioniere e gioca come tale… asciutto e senza fronzoli, mirando al concreto, in modo preciso e calibrato… punto dopo punto. Lasciare agli avversari una mano con due o tre figure lo fa intimamente soffrire. Calcolatore al millimetro, non di rado, con colpi di teatro, butta le carte per aria, dopo qualche sballata giocata altrui.  Ha lunghi periodi di assenza, in base al mutevole umore.
Vanni Previdi

Gianni Luppi, il tabaccaio, (Giannino) è stato fra gli acquisti più recenti; per anni non aveva mai superato il grado di vice spigolista muto, senza diritto di parola; curioso dei fatti insoliti della vita e dei più bizzarri personaggi che circondano e affollano l’esistenza di ognuno di noi, alla Tazza d’Oro si è subito trovato a casa sua. É assurto via via a un ruolo importante di fornitore unico di pacchi di Gratta e Vinci che spesso vengono acquistati in compagnia.
Viene offeso spesso con l’epiteto di “Lèeder !!!, dopo le croniche sconfitte dovute ai suoi stitici grattini.
Dal suo paltino provengono anche i mazzi da gioco di carte piacentine Modiano. Nel 2016 si è dato al gioco attivo, con esiti non proprio lusinghieri.

 
Gianni il Tabaccaio
**=M=**
Presenti solo a tratti, ma con forti qualità distintive: Bruno (Gaianèela) Gagliani, gentleman player dotato di eleganza e garbo, un vero signore che non si scompone mai, neppure nei momenti più caldi

Bruno Galliani

e Buky (Giuliano Bucchignoli), il cui gioco senza speranza passa per proverbio; se fosse un cavallo da corsa sarebbe completamente suicida puntare su di lui. Su Buky si potrebbe scrivere un libro sulle sfighe al gioco, ma non è questa la sede. Basterà ricordare però che per parecchi anni è riuscito a tenere in piedi la famiglia… avendo venduto loro anche le sedie. Quando Fabiìn Carretti vuole vincere al casinò o ad altre scommesse, punta sempre esattamente all’opposto delle scelte operate da Giuliano.

Giuliano Bucky Bucchignoli
**=M=**


Gli Inguardabili – Ze Inguàrdeibol

   
                                     Francesco e Giannino
Nel 2016 dopo un lungo tempo passato a fare gli spigolisti, sono entrati in un’accesa, quanto deludente, fase agonistica (fortemente e intimanemente) partecipata Giannino il Tabaccaio e il giovane farmacista Francesco Orlandi (figlio di Mauro).
Spesso compiono errori imperdonabili di strategia e di valutazione; quando poi si ritrovano assieme, dopo la chiamata vincente, è uno spasso per gli altri vederli giocare. Tant’è che di fronte all’ennesimo abominio, che li ha visti sconfitti in una partita già vinta, eseguendo l’unica calata possibile su un milione per… perdere, Alessio li ha chiamati Gli Inguardabili, con pronta traduzione in inglese maccheronico Ze Inguàrdeibol, parafrasando il titolo di un noto film di gansgster di alcuni anni fa: Gli intoccabili (The Untouchables) 1987, diretto da Brian De Palma con Kevin Costner e Sean Connery.
I progressi dei due sono lenti, talora penosi e di fronte alla richiesta di un giudizio sul suo livello di gioco, Francesco si è sentito rispondere sempre da Alessio: “Te nn ìi gnaanch a gli aasti!” Non sei neppure alle aste; cioè a quegli esercizi di allenamento alla scrittura che si facevano in preparatoria (in paparuccia dal sóori del Sacro Cuore in via Menotti) a 5 anni di età, prima di iniziare le elementari.

L’entrata dei due in gioco ha poi fatto sorgere concretamente la categoria dei Peones; a questa miserevole schiera appartengono vari giocatori scarsi, senza visione di gioco e quasi sempre perdenti, perché non entrano nella loro testa le regole fondamentali della tattica di gioco della briscola in cinque. Nel periodo estivo, coi campioni di razza in ferie, i Peones giocano fra di loro col risultato di abbassare e peggiorare ulteriormente il loro livello prestazionale.
È in atto una guerra inesorabile fra le due fazioni; chi ritiene di sapere vuole umiliare a sangue gli altri e questi ultimi cercano il riscatto a ogni costo.
Missing

Passiamo a chi è stato protagonista, ma a un certo punto non ha più potuto partecipare.

Tralasciando il Grande Esule… Millo, va ricordato innanzitutto Mauro Orlandi, attore di gran scena e interprete di tante gloriose giornate all’insegna dell’allegria e dello scherzo; veniva spesso con i figli per far veder loro una singolare e forse irripetibile scuola di vita. A un certo punto si è trovato nel buio, incapace di sopportare le avversità, il dolore e il duro peso dell’esistenza; gli siamo vicini per quanto ci è possibile e gli vogliamo bene. Mauro era a capo della cosiddetta “Cupola dei Milanisti” con Alessio e Ettore; costoro si incontravano abitualmente per vedere in TV le partite della squadra del cuore; nel corso di queste riunioni segrete ed esclusive, erano adusi ordire sordidi e subdoli inganni da consumarsi, con occulto e artato coordinamento, durante le partite dei giorni successivi, in specie, con voluta crudeltà, ai danni del Mago.

Mauro Orlandi
Una altra volta a casa di Fabiìn Carretti, alle 13 e mezza, suonano al campanello; la madre di Fabio stupita gli dice: ”C’è un taxi giù; ti sono venuti a prendere!!!” Fabiìn anch’egli meravigliato, ma curioso, non se lo fa dire due volte e sale subito sulla vettura, che lo scarica dopo poco davanti al Bar. Cos’era successo? Mancando il 5° giocatore e avendo bisogno di lui per la solita partita, era stato Mauro a inventarsi e a organizzare il colpo di scena e appena sceso accennò un inchino a Fabio e gli disse: “Un giocatore da briscola come te… NON può mancare e biṡòggna mandèer èl a tóor a ca cun un taxi !! (bisogna mandarlo a prendere il taxi!)“.

Tre persone poi ci mancano; ci hanno purtroppo lasciato per sempre: il grande piccolo Biṡiiga (Lauro Bisighini), spigolista puro al più elevato livello, con ampio diritto di parola e osservazioni, con le sue battute taglienti e precise, Dino Cavazzuti con il suo tratto elegante nel muoversi e nell’agire e il gentleman old style Giovanni Lazzaretti.
Lauro Bisighini

Un assiduo frequentatore del bar era dunque Lauro Bisighini, “Biṡiiga per gli amici e… ne aveva tanti di amici che oggi lo piangono. Se ne è andato a 50 anni, nel 2005; aveva una moglie carissima e una figlia che porta il suo stesso nome e che come per tutti i padri era in cima ai suoi pensieri e preoccupazioni.
Valente meccanico dentista, umanamente generoso e sempre disponibile ad aiutarti nei momenti più difficili.
Una persona profondamente corretta, saggia e giusta, costantemente interessata a Carpi e alla sua vita sociale e civile. Una volta che lo conoscevi era impossibile non avere con lui un rapporto di affetto spontaneo che poi spesso si trasformava in amicizia e complicità di frasi, di battute, di frecciate scherzose.
Disincantato e dotato di un umorismo piccante e “spietato”, castigava ridendo i costumi (così come ci insegna un vecchio motto latino).
“Teneva”, ahilui, l’Inter che digiunò da coppe scudetti per ben 17 anni e questo fatto, in mezzo a un fitto entourage di milanisti, provocava spesso vivaci e godibili scambi di opinioni. Un vero peccato che non abbia potuto godere della merita riscossa e in particolare dello scudetto strappato alla Juve (vinto a suo tempo con l’inganno).
Me lo vedo arrivare col suo scooter alle due alla Tazza d’Oro, togliersi cappellino, sciarpa e guanti; non giocava quasi mai, ma aveva diritto all’ambito titolo di “spigolista”, cioè di chi colui che siede a fianco dei giocatori, ma con diritto di parola e soprattutto di critica.
Lo ricordo nei tanti momenti conviviali passati insieme con le famiglie e gli amici, allo Sporting d’estate…
Nell’ottobre del 2005 era invitato un sabato sera a casa di mia moglie Anna per una cena e per passare qualche ora serena con gli amici, purtroppo all’ultimo momento aveva dovuto rinunciare…. aveva la febbre alta a causa dell’ennesima e maledettamente inutile seduta di kemio… Poi le cose sono velocemente e dolorosamente peggiorante. Riposa a Ponte Motta, accanto a suo padre, che tanto ammirava. Non lo dimenticheremo mai. Grazie Lauro di averci arricchito con la tua presenza e la tua amicizia.

Poi Dino (Giuseppe - al Caplòun) Cavazzuti, seduto al suo solito posto, il primo, all’entrata con le spalle al muro, quello detto del Legionario, per avere il controllo della situazione. Sempre elegante e inappuntabile con la perenne sigaretta in bocca e un fine braccialetto d’oro al polso di solito di una candida camicia.
Giuseppe (Dino) Cavazzuti

Dovete sapere che sopra il Bar, adiacenti al Portico del Grano, si affacciavano anni fa le finestre della nota e prestigiosa Associazione degli Industriali. Erano le prime ore di un caldo e soffocante pomeriggio estivo; le segretarie della associazione stavano lavorando con impegno a finestre aperte. Ma non riuscivano a concentrarsi, venendo disturbate, oltre che dall’afa, anche dal fastidioso e sconveniente baccano proveniente dai tavolini della Tazza d'Oro. L'esasperazione raggiunse un punto tale che, per impulso incontenibile, una di esse rovesciò un bicchiere d'acqua sul mucchio sottostante, per abbassare un po’ i bollori dei vocianti scalmanati che stavano giocando a briscola. L’improvvisa doccia toccò al povero Dino e ai suoi vestimenti candidi (insomma… l éera vistìi d biàanch – era vestito di bianco). Egli probabilmente pompato dai suoi amici, prese la cosa di punta e la leggenda narra che chiamasse i carabinieri e che essi facessero irruzione nella sede dell’associazione alla ricerca della colpevole. Le ragazze si assunsero la piena responsabilità, invocando la legittima difesa con attenuante dell’insopportabile calura. E così Dino non sporse denuncia, avendo ottenuto le scuse pur a denti stretti
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C’era poi il Nonno Lazzaretti, una persona di una certa età, che si distingueva per la sua disinvolta e specifica eleganza nel vestire, sfoggiando ogni grado e sfumatura di marròun e tinte abbinate con gusto e misura.  Non mancavano mai quotidiani riferimenti ai suoi anni; i commenti, anche i più provocatori, sembravano scivolargli via senza effetto alcuno… della serie “parlatene anche male, purché se ne parli e si scherzi, purché si stia assieme, si faccia squadra!”.
 
Il Nonno Giovanni Lazzaretti
Ci ha lasciati il 7 marzo 2016 con dignità; mi hanno molto commosso alcune parole del suo necrologio, che è apparso nei giornali locali: “Era suo desiderio salutare caramente gli tutti gli amici, ringraziandoli con affetto per il tempo trascorso insieme, le risate e le simpatiche discussioni.
Che dire di più?
Bè! Una cosa simpatica ce l’avrei… J Primi anni ’70, il nostro Lazzaretti era “molto avanti” e si era comprato niente meno che una Miura Lamborghini: IL MASSIMO! Che invidia!
Una mattina era alla Tazza d’Ora con sua splendida auto bianca, rigorosamente parcheggiata, come d’obbligo per ogni carpigiano dell’epoca, davanti al bar.
La splendida Miura bianca

All’amico Paolo Setti(mo), che osservava l’auto con grande interesse, a certo punto propone: “Dai! Fòmmia un girtinèin?
Tenete presente che la Miura è forse la più bella auto mai costruita e ha un motore molto potente.
I due salgono e Lazzaretti, accende e parte a tutto gas, ROMBANDO…
VVVVRRRrrrr… VVVVRRRrrrr…
Corso Pio, Comune, via Berengario, poi mentre sta girando a destra per imboccare via Menotti, incontra il terribile vigile Bartoli, che comincia a fischiargli e a inseguirlo… come poteva, essendo a piedi. Il nostro pilota manco se ne accorge e sempre sgasando allegramente, arriva in corso Fanti, per poi parcheggiare in Piazza (trionfalmente) davanti al Bar Roma.
La nostra Piazza era allora gioiosamente aperta al traffico.
Mentre i due sorseggiano un meritato caffè per celebrare l’impresa, arriva Bartoli trafelato, ansimante, esausto e tutto sudato; il tapino era corso dietro alla Miura per tutto il percorso.
Gli contesta una serie di trasgressioni e gli fa una bella multa.
Lazzaretti lo guarda fra il sorpreso e il divertito: “Mò chi? Mé? Sòoia faat… pò? Gniinta!
E poi tranquillamente paga la contravvenzione. Un Signore!… carpigiano…
**=M=**
1995 Afro Galeotti detto Biida - cromatore
Ma anche Biida ci manca; la sua presenza alla partita era costante, nel ruolo di spettatore. Rivestiva e rappresentava la qualità di irriducibile osservatore di sinistra; una posizione, certamente ormai antistorica, ma convinta e consapevole, a cui mai avrebbe rinunciato, anche dopo la scomparsa del PCI.
Negli anni ’50 - ’60, per gli appassionati di moto, al crumadóor uficèel (il cromatore ufficiale) l éera Afro Galeotti, detto Biida, che aveva al sò budghìin (il suo botteghino) in via Matteotti, dopo il negozio dei Forghieri, verso sud, quando la strada diventa più stretta. La sua bottega era piccola e buia; quando entravi eri assalito da un odore penetrante di acidi e di altre sostanze alchemiche fra le più misteriose e nefaste.
Il carattere di Biida era impastato di impietoso sarcasmo. La sua azione di dileggio era vivace e corrosiva come i suoi acidi fetenti e irrespirabili. Erano frequentissimi gli sfottò fra lui e me, che eravamo su fronti politici decisamente avversi e allora incompatibili.
Negli anni ’60 ogni tanto andava a trovare, su in Municipio, detto al Palàas èd Gòmma (il Palazzo di Gomma) per la quantità di gente che veniva assunta, l’amico assessore Luciano Guerzoni, poi con una scusa lo faceva alzare dalla poltrona del suo ufficio e subito vi si accomodava lui. “ Óoo… A vóoi pròopia vèdder cum a se stà su ’na pultròuna da asesóor! (Voglio proprio vedere come si sta su una poltrona da assessore!”
Negli anni ’80, mentre aiutava ad allestire l’ennesima Festa dell’Unità, venne una disastrosa tromba d’aria e un lamierone lo colpì in testa. La testa di un comunista par suo era ovviamente MOLTO dura e i danni furono limitati.
Quando una delegazione dei capi del PCI locale, guidata da Campedelli padre, lo andò a trovare in ospedale, disse subito loro: “Óoo ragàas! Adèesa a pòos diir quèll ch a m pèer! A iò ciapèe ’na bòota in tèesta pèr al Partìi! (O ragazzi! Adesso posso dire quello che mi pare. Ho preso una botta per il Partito!)“
Gli ultimi anni amava frequentare la briscola a cinque alla Tazza d’Oro, dove rivestiva il ruolo che gli era più consono… quello di “spigoloso spigolista” con ampio diritto di parole e di provocazione su giocatori e fasi di gioco.
Un brutto giorno nel gennaio del ’98 si sentì male e non lo vedemmo più.
Devo dire che la sua vis polemica, la sua ironia caustica e il costante duello a colpi di fioretto e di mazza mi mancano molto.
**=M=**

Una nota a parte va dedicata a una misteriosa anziana signora sulla settantina; ogni tanto ci veniva a trovare e si metteva a seguire le partite, in silenzio e con attenzione. La chiassosa compagnia era certo un buon antidoto alla solitudine; nacque subito un sentimento di reciproca simpatia e da parte nostra di cordiale e umana accettazione. Qualcuno gentilmente le offriva sempre un caffè. Nessuno però sapeva come si chiamasse e fu subito soprannominata E-Velina, prendendo spunto dalla mode televisive e dalle vallette.
Pare fosse innamorata segretamente di qualcuno di noi… dal fascino (solo apparentemente) tenebroso… (il Principe).
L’E-Velina
**=M=**

Pistolotto finale

Tutto sembra scorre lento, immutabile e senza fine… in un ripetersi cronico di gesti, abitudini, tempi di vita… . Ma tutto può cambiare a ogni istante, nulla è eterno… soprattutto passata una certa età
Eppure anche oggi sono tutti lì, inguaribili adolescenti, col cuore di 200 mesi (e forse qualcuno è di troppo) attorno ai due tavolini, con le carte in mano, il bicchiere o la tazzina di fianco, come se nulla fosse, fra urla e frasi scherzose, come se il tempo non si muovesse.

Tutto come sempre… dunque…
                                                       finché si potrà…



Le immutabili scene da briscola

Le belle carte Piacentine in uso nelle nostre zone




 




Fasi di gioco nella briscola in cinque.
**=M=**


 Alcune frasi in dialetto d’uso
nella briscola normale e a 5
 di Mauro D’Orazi
revisione del testo e della grafia del dialetto
a cura di Graziano Malagoli

Il gioco della briscola in quattro o nella più complessa variante in 5 (briscola chiamata) con le carte piacentine racchiude un universo complesso di significati che si sono andati intrecciando alla perfezione con il dialetto. Al punto che le due sfere - la terminologia e la lingua del popolo - si sono perfettamente sovrapposte, sicché la briscola è divenuta un "gioco dialettale" per eccellenza, fucina di espressioni, vocaboli, modi di dire che hanno travestito i ruoli e le combinazioni imposti dalle regole, attingendo per lo più ai codici della sessualità, dei misteriosi significati dei numeri, dell'inganno e della dissimulazione.
Non c'è da meravigliarsi, dunque, che alcune espressioni siano decisamente crude o politicamente scorrette. Sono solo la sublimazione dell'aggressività insita nella lotta tra chi alla fine deve vincere e chi per forza deve perdere.. Non è un caso che il verbo più significativo della briscola, quello che esprime il trionfo accompagnato dal forte sbattere della mano con la carta vincente, sia strusèer. Significa "strozzare", ma a briscola non si è mai sentito di qualcuno realmente "strozzato". O, almeno, non ci risulta.
**=M=**
Ṡóoga un caaregh! = gioca un carico da 10 o 11 punti.
Un caaregh muntanèer = carico montanaro cioè un carico che via via aumenta di peso; quando in una mano si giocano alcune figure (fantini, cavalli o re) e la loro somma arriva (o quasi) a fare il punteggio di un carico. È una mano che dispiace molto lasciare agli avversari.
Al gh à un caaregh adòos = ha un carico addosso; quando un giocatore ha un carico che non riesce a girare al compagno; ciò può comportare la sconfitta nelle partite più tirate.
La manòon = Ironica definizione di una mano quasi sempre decisiva, dove vengono giocati tre o più carichi. Deriva dalle omonime opere Manon Lescaut di Giacomo Puccini, Jules Massenet e/o Daniel Auber; dubito che i giocatori conoscano anche solo la prima, figurarsi le altre due …
‘Na maan spòorca è una mano non sicura che facilmente sarà a vantaggio degli avversari. L’abilità sta nel farla propria con “alte strategie”.
Andèer (a) liss = Andare liscio giocando una flinnga da zero punti.
Fèer al ṡóogh dla lisòuna = Fare il gioco della “lisciona”, cioè andare a liscio per diverse mani in modo da far giocare l’ avversario, o perché si difetta di briscole e non si può fare altro, o perché, astutamente a s tiira ‘na traapla = si tende un trappolone agli avversari. Una tattica rischiosa che si usa anche per il cotecchio.
Strusèer = Strozzare; quando si gioca il carico dello stesso seme della prima giocata della mano, senza uso di briscole.
Strusèer a la mutta = quando la giocata viene eseguita e vinta senza proferire parola; è un vero è proprio schiaffo agli avversari. A chi fa questa giocata a gh ridd aanch al cuul = gli ride anche il culo.
Pronto a strozzare
Liss ch a stròos = Liscio che strozzo … si ordina al compagno che gioca per secondo, quando si è ultimi nella mano.
Èsser sòtta stròos = essere sotto strozzo, quando c’è il pericolo che un avversario giochi un carico dello stesso seme della prima carta giocata nella mano; a tale timore si risponde calando un brisculèin. La frase viene usata anche nella vita normale per indicare una situazione nella quale una persona non può agire serenamente e in libertà, in quando si avverte un incombente pericolo a cui assolutamente occorre far fronte con atti preventivi.
Ṡughèer pèr al capòot = Giocare per il cappotto; partita particolarmente ambita e sperata che porta far sì che la coppia riesca a fare tutte le otto mani e i 120 punti con scorno dei tre rivali. La posta diventa doppia. Ma se non si raggiunge l’obbiettivo, vincono gli altri.
Ciamèer = Chiamare la futura possibile briscola in base alle carte che si hanno in mano.
Si può passare o chiamarne una più bassa; dopo il due si impostano anche il punti: A ciàam al duu cun 62, 63, 64, ecc … puunt.
Ciamèer(e)s in maan = Chiamarsi in mano; altra ambitissima giocata dove il fortunato ha carte talmente belle che non ha bisogno del compagno e così avrà ben 4 rivali; questa giocata, soprattutto se come da regola fosse fatta in silenzio, provoca forte disorientamento e servirebbero diverse mani prima di capire cosa stia succedendo.
Tastèer in bòcca = tastare in bocca quando si gioca una carta sotto strozzo di piccolo-medio valore, per vedere se l'avversario ha carichi o briscole e osa giocarli.
Fèer ssantùun = servono 61 punti per la vittoria. Finire a 59 punti invece significa andèer ind al buuṡ di caiòun = andare nel buco dei coglioni. O anche al puunt dal caiòun = il punto del coglione, quello che manca per la vittoria.
La primma l'é di caiòun! = la prima mano di una partita è dei coglioni, modo di canzonare chi andava subito in vantaggio.
Sempre per la prima mano c’è questa filastrocca: Chi fa duu, armàagn futùu; chi fa trii, rèesta frii; chi fa quàater, va a teàater = Chi fa due, rimane fottuto (perde il segno), chi fa tre, resta ferito (segno difficile da aggiudicarsi), chi fa quattro va a teatro (è quindi facile che vinca). Una variante: chi fa trii, al s lècca i dii = chi fa tre, si lecca le dita.
Dopo una mano si può sentir contare: Trèddeṡ e trii dii ind al cuul … sèddeṡ = 13 punti e tre dita nel culo, fanno 16. Prego notare la triviale finezza, dove sèddeṡ in dialetto significa anche cuul – vedi la ben conosciuta frase: tóo la ind al sèddeṡ! . Tale numero trova spiegazione nella Smorfia napoletana e cioè … 16 = o’ culo.
A suun òoreb! (cum un quàai) = Sono orbo! Come una quaglia, ovvero senza briscole. Situazione deprecabile che facilmente porta alla sconfitta, se non hai un compagno ch al t tiin su, che ti tiene su con le sue briscole.
Con lo stesso significato: A suun in céeṡa o in Dòom = Sono in chiesa o meglio … in Duomo (senza risorse, nelle mani della Provvidenza)
A n gh ò gniinta in maan! = Non ho niente in mano; quando si hanno delle brutte carte.
Ṡóoga ‘na ròssa ! o ‘na chèerta vistiida = gioca una rossa o una carta vestita; sono le figure.
Ṡóoga la Bereniice!  Gioca la Berenice! cioè occorre giocare il due di denari.
Il due di denari è chiamato anche blaanda, oppure i òoc’ dla nòona (gli occhi della nonna).
Óo incóo finalmèint a m sèint importàant! Oggi mi sento importante!
Cuntèer cumme al duu d còpp
Cumme al duu d còpp cun brisscola bastòun ! Assolutamente nullo, come il due di coppe con briscola bastoni.
Mètt èggh mò un brisculèin ind al cuul! significa buttare, per stringente necessità, un’inutile briscola più bassa di una già presente sul tavolo.
Si può anche usare il termine fermèin o un sgniin cioè metterci un fermino, un segnino, una briscola svestita che impedisce la strozzata.
Mètt mò ṡò un fa-rabìir! Cala un “fa arrabbiare”! Nel nobile gioco della briscola è un briscolino messo per rompere il gioco degli avversari o anche una presa di misura sulla prima carta giocata: il primo gioca il 6 di bastoni e il secondo butta il 7 dello stesso seme, senza che ci siano ancora briscole in tavola.
Magnèer ’na brisscola = significa invece calare una briscola più grossa di una già giocata.
Quando si decide una tattica di attacco, con la giocata di briscole o carichi, si può incitare la squadra con un trascinante: Dàai mò! ch a gh sunòmm l’Aìida!!! con riferimento alla celeberrima marcia trionfale dell’omonima opera lirica. Oppure: Adèesa a v fòmm cantèer Vìvere = una nota canzone degli anni ’30.
L amìigh (uṡvìi) èd cal dònni = l’asso di bastoni = l'amico (l’attrezzo) delle donne, per evidenti motivi; o anche al ṡguravèddvi = il ripulisci vedove, anche qui ogni commento è superfluo.
La Piita o la Pitòoca = l’asso di denari = il rapace raffigurato.
Al bicéer o al campanòun = l’asso di coppe = il bicchiere.
L anṡlèin o l angiulèin = l’asso di spade = l’angelo con la spada.
Cun brisscola spèedi a viins i gusadóor = con briscola spade vincono quelli che hanno successo con le donne. Cun brisscola bastòun a viins i caiòun = con briscola bastoni vincono invece i coglioni.
Con briscola coppe si ha: La maan di puòos = la mano dei ”puossi” (di coloro che sono dediti al bere smodato di vino).
Infine la maan di sgnóor = la mano dei signori, quando briscola è denari.
A briscola a 4 può succedere che chi deve distribuire le carte (il mazziere) millanti minaccioso: L è da quàand a suun nèe ch a n pèerd mìa al mè sèggn! = È da quando sono nato che non perdo il mio segno. Gli altri giocatori lo guarderanno con evidente commiserazione, mandandolo senza indugio… in cal pòost = in quel posto. 
Quando le cose per una coppia si mettono davvero male, uno dei giocatori potrà dire rassegnato: Pèers a s è pèers, èd viinser a n gh è vèers!! = Perso si è perso, di vincere non c’è verso.
La ṡughèeda dal cèrregh = la giocata del chierico, quando si gioca il 7, un numero che ricorda la fascia diagonale verde del diacono.
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Chèerta                         Sèggn
* Aas èd brisscola            labbra chiuse in fuori (quasi a lanciare un bacino)
* Trii èd brisscola             lieve deformazione della bocca
* Rè èd brisscola              occhi al cielo
* Cavàal èd brisscola                 alzata di una spalla
* Fantèin èd brisscola       punta della lingua fuori velocemente
* 7 èd brisscola               segno diagonale sul petto che accenna alla gambina del numero
* 7, 6, 5, 4 e 2 èd brisscola        pollice ed indice sfregati velocemente (dette fermini)
* Caaregh – Aas e Trii  rapida apertura delle labbra (amm! carico disponibile da mangiare)
  non di briscola               rigonfiamento guance (quando si è impegnati - A suun piin)
* Assenza di briscole        strizzatina d'occhio o occhi chiusi.
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Altre frasi e modi di dire carpigiani e delle zone vicine.

Dòunca … che brisscoli àan i ṡughèe ? Dunque… che briscole hanno giocato?
A iòmm faat (es)saanta. Tóorna mò a dèer fóora. Abbiamo fatto sessanta. Torna a distribuire le carte.
Tè, tè te t tiin in mèint i puunt e mè al brisscoli. Tu ti tieni in mente i punti, io le briscole.
A psiiven ṡughèer a chèerti scuacèedi. Potevamo giocare a carte scoperte.
Nuèeter ’sa fòmm ia ind al maas? Adèesa a vaagh a cuntèer. Noi quanto facciamo nel mazzo? Adesso vado a contare.
’Sa faan i lóor … dèinter ? Quanto fanno loro… dentro?
A gh òmm (es)santùun in maan. Noi abbiamo sessantuno in mano.
Chi stà a fèer (al chèerti)? Chi sta a fare (le carte)?
S a perdòmm quèssta, a vaagh a ca a pée. Se perdiamo questa, vado a casa a piedi.
Tè ! indù al fèe t l aas? Tu! dove lo fai l’asso?
A gh òmm viint in maan. Abbiamo vinto in mano.
Ii t sóolo ? (strichènnd ’n òoc’). Sei solo? (stringendo un occhio).
Se l aas l è ded sà a gh magnòmm al caaregh, s l è ded là a iòmm pèers. Se l’asso è di qua gli mangiamo il carico, se è di là abbiamo perso.
A suun in bulètta duura. Sono in bolletta dura.
A gh ò in maan trée flinnghi. Ho in mano tre scartine.
A gh è l aas in tèevla … andòmm a liss fin a la fiin. C’è l’asso in tavola… andiamo lisci fino alla fine.
A sii pròopia duu ṡugadurètt da staala (o da strapàas). Siete proprio due giocatoretti da stalla (o da strapazzo).
Te n sèe gnaanch tgniir al chèerti in maan. Non sai nemmeno tenere le carte in mano.
A psòmm dèer èggh a l’éelta. I vèdden (I gh àan in maan) tutt lóor. Possiamo darci a monte. Vedono (hanno in mano) tutto loro.
Ṡóoga ’na baasa, che po’ a la léev mè! Gioca una carta bassa che la alzo io.
Ṡóoga un caaregh ch al vaaga da pèr lò. Gioca un carico che vada da solo.
Se al chèerti i gh issen al maan, i t darèvven taant èd chi s-ciafòun! Se le carte avessero le mani, ti darebbero tanti di quegli schiaffi!
A sòmm a la cróoṡ. Siamo alla croce (al quarto e decisivo segno).
A ṡóogh un caaregh fèmmna (o maas-c’)? Gioco un carico femmina (o maschio)?
Bòoia caan, zio canta… mò che cuul !! I vèdden tutt lóor. Boia cane… ma che culo!! Vedono tutto loro.
A gh fa aanch al vaachi vóodi. Gli vanno bene anche le vacche non fecondate.
A fòmm dóo partiidi e la bèela, s la gh vóol. Facciamo due partite e la bella, se serve.
Nòota al sèggn (o raag’) pèr chi sà! Nota questa parte di una partita a favore di chi sa.
A gh dòmm ia viint al sèggn (o raag’)? Gli diamo vinto questa partita?
Mò ch cuul! Mò indù ‘ndèe v a caghèer? Ma che culo! Ma dove andate a cagare?
A ṡóogh un caaregh e tè te gh in mètt ’n èeter. Io gioco un carico e tu ce ne metti un altro.
A nn è mìa savéer queschè, uun al caata al brisscoli e cl èeter i caaregh! Non è saper giocare questo, uno trova le briscole e l’altro i carichi!
Al pèer al ritràat dal fantèin d còpp. Sembra il ritratto del fante di coppe (si parla di uno che è sempre col bicchiere in mano).
Vèe, a s vóol al quèert, viin èt? Ehi, ci serve il quarto, vieni?
La primma a Bulòggna i s la quistiòunen. La prima (parte di partita) a Bologna se la litigano.
Ciamèeres viint in maan. Chiamarsi vincitori in mano.
Ṡóoga quèll che al te stà mèel in maan.
Daa gh al duu ind al cuul!
Quàand a daagh fóora mè a dà fóora ’n ignoràant!
A sòmm a la bèela.
L’è ’na maan da sgnóor.
A iòmm pèers cun la ṡughèeda dal caaregh.
A gh ò in maan trée flinnghi.
Al sèe t quàant galètt a iò viint a cal ṡóogh chè?
Al gh à al còol lunngh ... al gh à al mèel dal ṡlungòun ... di chi vuol sbirciare le carte d'altri.
Te n sèe gnàanch stèer a guardèer!






Al cutècc’ - Il cotecchio
De rerum Coteci aut Ludus perfidorum
Sulle cose del Cotecchio, detto anche al ṡóogh dal tróoi

Io non sono mai stato un gran giocatore da carte, non sono tagliato e quando uno lo capisce, è meglio rinunciare. Però di fronte a un’ offerta di fare un partita a cotecchio non so dire di no. Infatti in questo gioco si è da soli, senza la rottura di dover rispondere a un compagno esigente e fastidiosamente critico nei tuoi confronti.
Il giocatore deve dunque rispondere solo a sé stesso e chi sbaglia paga subito e pesantemente gli errori commessi. Una breve premessa sulle regole a Carpi. Si gioca in quattro giocatori con le carte da briscola. Le regole sono simili a quelle del tresette, ma all’inverso; infatti il giocatore perdente è quello che realizza più punti. Lo scopo del gioco è quello di non prendere, ma si ha l'obbligo di rispondere al segno giocato. In ogni caso si deve effettuare però almeno una presa, altrimenti si è perdenti. A volte si possono creare tacite alleanze tra due giocatori per non permettere agli altri due giocatori di effettuare alcuna presa; in questo caso, il punteggio vale doppio. Si può verificare il raro caso di un giocatore che riesce a non permettere nessuna presa agli avversari; il punteggio viene triplicato per i perdenti. Le carte hanno un loro punteggio: gli assi valgono tre e le figure uno, chi fa l’ultima mano si fa carico di tre punti aggiuntivi.
In ogni partita i punti in ballo sono 35 (32 +3). Fino a 14 punti si paga una busca, fino a 17 = due, fino a 20 = tre, fino a 23 = 4, fino a 25 = 5; dopo i 26, ogni punto una busca. Terminata la partita si assegnano le busche solo a chi ha fatto più punti. I primi due che arrivano a 10 busche escono e perdono, ma se un giocatore arriva a 20 perderà solo lui. Il gioco ha tante varianti regionali e provinciali e di conseguenza tanti nomi: traversone, busche, rovescino, matassa, vinci-perdi, ass' e mazza, alla meno, tressette a non prendere, tressette a perdere e ciapa no. Della terribile variante carpigiana con il Pigugnino ne tratteremo alla fine.
La simbologia del gioco sta nel riuscire con abilità e fortuna a schivare i colpi e le responsabilità dell’esistenza umana.
Ma lo scopo sottile e intimo del gioco è il dileggio spietato dell’avversario, fatto sia dagli altri giocatori, ma anche dagli spigolisti autorizzati con diritto di parola. Il dileggio scatta in varie occasioni: quando uno va a venti e paga per tutti, quando uno prende su degli assi, quando uno paga molte busche in un singolo segno, ecc ... La derisione ha un esplicarsi corale e progressivo che si protrae nel tempo.
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Il noto scrittore carpigiano Carlo Alberto Parmeggiani ritiene invece, con autorevole parere, che il cotecchio, fra i veri giocatori, debba essere considerato il "gioco delle carogne, ovvero al ṡóogh dal tróoi", per cui ci vogliono delle autentiche e ferrate doti in questo senso. Infatti basta poco per cambiare di nascosto un'alleanza e dare addosso a chi è messo male in arnese, anche se è l'amico con il quale vai a donne, oppure in gita. Il cotecchio è sì, il gioco del dileggio, ma soprattutto è il gioco che genera un diabolico prestigio e stabilisce una gerarchia fra conoscenti o amici. Infatti il "tradito", il perdente, anche se bravo, e che magari fino a poco prima aveva goduto di rispetto e di alleanze sottaciute dai più pavidi e meno capaci, spesso e volentieri si allontana umiliato, da sconfitto, dai tavoli da gioco per giorni, se non per dei mesi interi. Il Parmeggiani ama ricordare, con grande soddisfazione, che quando mandò a venti il più grande giocatore che egli abbia conosciuto (Franco Benzi lo zio di Tito Ligabue, che in terza mano sapeva già chi aveva certe carte in mano), per la vergogna, il poveretto si rifugiò a San Remo per tutta l'estate, tornando poi a coda bassa a settembre inoltrato, deciso a fargliela pagare in ogni modo.
Il vero gioco, per i veri giocatori, dunque non consiste nel salvarsi dai "colpi e dalle responsabilità dell'esistenza umana", bensì nell'imporre la propria supremazia e il proprio prestigio sugli altri e soprattutto sul destino. Ciò anche quando questo non metta in mano che delle brutte carte per la vita. È filosofia e ferrea matematica applicata, dove una sola momentanea distrazione è sufficiente per perdere il controllo delle giocate altrui e scatenare un tracollo emozionale. Tracollo di cui gli altri, i più avveduti, i più bravi, i più carogna, ne approfittano in meno che non si dica. Questo avviene anche correndo magari a volte il rischio, come talora è capitato, di uscir fuori a far cazzotti. Chi gioca invece per solo salvarsi, lo fa per passatempo ed è spesso definito ironicamente "estroso", poiché dimostra di non capire il gioco, facendo giocate illogiche, se non addirittura strampalate. Ma tanto, dopo qualche "raggio", se costui non è cacciato via in malo modo, lui stesso si alzerà da solo e tornerà a casa, come se fosse andato al cine.
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Ma ecco alcune delle frasi tipiche carpigiane che caratterizzano il gioco dal cutècc’ (… o anche cutègg’ come ci informa Franco Bizzoccoli, rivelandoci la pronuncia arcaica in dialetto intra moenia … nell’antico borgo fra le mura):
Cuacèer = coprire. Bisogna fare almeno una mano (fèer ‘na maan). Se non si copre, si paga una busca, se i giocatori sono due, i punti sono altrettanti, fino al caso massimo e rarissimo dove un singolo giocatore fa cappotto.
Forse al Bar Mercato di Via Alghisi, si urlava .. "Te vèe pò a cuacèer da l'Adéele!" ... “Vai poi a coprire dall’Adele! ” . Era una frase ricorrente, con un palese significato di pratica sessuale, essendo questa Adele una nota e frequentata signora mercenaria di Modena, quando uno, nonostante gli sforzi non riusciva a fare una mano.
OppureTe vèe pò a cuacèer sòtt al pòordegh èd BorgNóov! cioè in Corso Fanti dove c’è il Vescovado.
Andèer a liss = andare liscio, un termine derivato e preso a prestito dalla briscola. Qui lo si può usare per il gioco di una carta bassa; se lo si fa poi in modo reiterato a s fa al ṡóogh dla lisòuna = si fa il gioco della “lisciona”. Ma espressione più corretta è tirèer al ṡóogh = tirare il gioco, cioè non si prende per diverse mani, in modo da far giocare gli avversari, sperando che le carte girino bene. Si tratta di una tattica furbastra e rischiosa; se le cose andranno male, si pagheranno parecchi punti. L’espressione pighèeres (piegarsi) ha lo stesso identico significato.
Fèer ṡóogh = Fare gioco. Quando un giocatore ha delle brutte carte alte, tenta da solo o in tacita compagnia di non far coprire almeno un avversario, che in tal caso pagherà almeno uno.
Quando hanno già coperto in tre, ed uno di questi cerca di far gioco e di non far coprire il quarto, gli altri due devono tenere ben presente che: “A gh è ‘na règola: a n s dà mìa ‘na maan a fèer ṡóogh pèr uun!= C’è un’altra regola importante ed è quella che quando si fa gioco bisogna sempre tentare di non far coprire due giocatori, facendo loro pagare ben due busche. Se invece solo uno non copre, certamente uno degli altri tre si sarà schivato almeno tre busche di mazzo.
Aas èd travèers = Asso di traverso. Sadica pratica di smollare un asso al poveretto che ha giocato per primo una carta di un seme a cui si è secchi. Di solito la mazzata viene accompagnata da una falsa e melliflua costernazione: “Oh, a m in despièeṡ!
Quando uno cerca di coprire con un asso, lanciandolo in apertura di mano, e semmai un altro ha il tre o il due secco, e quindi è costretto a prendere e farsi quindi l'asso (cosa sempre massimamente indigesta) gli dice, a mò di sfida e di consolazione personale: “Èt cuàac’ pò cun ‘na chèerta più éelta!” = copri poi con una carta più alta - e quell'altro gli risponderà: “Mò tèeṡ, te gh l avrèe sècch!” = ma taci che ce lo avrai secco, il due o il tre (intuendo naturalmente la verità).
ṡughèer ‘na dècima = giocare una carta decima. Dopo un paio di giri con lo stesso seme restano su almeno un paio di carte di quel tipo. Chi le gioca tenta di mettere in difficoltà un avversario, ma se nessuno prende, perché ha sbagliato i calcoli, saranno guai seri per il provocatore.
La decima franca è una carta che non può essere presa dagli avversari, perché è la più alta rimasta in gioco di un seme e nel caso di brutte carte, la sua presenza rende il possessore molto inquieto.
Il colpo della cento pistole - giocata suprema in danno altrui. Si tratta di una ironica citazione dumasiana dal romanzo I tre moschettieri “ Io mi avvicinai a lui, e siccome vidi che offriva cento pistole per un sauro ... ebbi perduto il mio cavallo con nove punti contro dieci (pensate che colpo!) “. La frase viene pronunciata con grande e sadico piacere, quando uno sprovveduto giocatore, verso la fine della partita, cala una “decima franca” e si becca tre assi di traverso, perché tutti sono secchi a quel seme. Se si verifica questo drammatico episodio, lo sbeffeggio sarà molto pesante con frasi del tipo: “ Óo, t èe ciapèe trii aas a cavàal a la schiina o ind al gruggn!” = Hai preso tre assi sulla schiena o sul grugno.
Alla fine degli anni ’80, ai tempi d’oro del Caffè Teatro gestito dal grande e sfortunato Vittorio Garzon, Giancarlo Tartari, detto Taras, ma anche Delon o Delone per la sua avvenenza a cànone inverso, nel gioco cotecchio era la vittima designata e costante di ogni partita: quasi tutti gli assi e le decime erano suoi. Da ciò nacque, con un colpo di geniale creatività di Mauro Prandi, questa frase ironica e memorabile derivata da un antico proverbio delle nostre zone : “Dio al s sèelva da la siilta e dal tròun e dal dècimi èd Delòun!” = Dio ci salvi dalle saette e dal tuono e dalle decime destinate a Delone, o da lui giocate in modo improvvido.
Ciàapa e pò tóorna = Prendi la mano e torna a giocare lo stesso seme. Regola aurea del cotecchio. In tal modo si cerca di rimanere secchi a un gioco o di non farsi trovare in mano con una decima.
Èsser sècch a un ṡóogh = essere secchi a un seme. Situazione molto favorevole che consente di scaricare di traverso sugli altri, assi o altre carte pericolose.
Andèer a déeṡ = andare a 10. Quindi perdere la partita.
Andèer a vèint = andare a 20. Queste eventualità è davvero il massimo della ignominia. Significa essere l’unico a perdere per tutti. Il dramma per lo sventurato è davvero grande. La notizia farà subito il giro della sala. Chiunque entrerà successivamente nel bar o nel luogo della partita, verrà immediatamente informato del grave fatto, rigirando il dito nella piaga: Óo incóo Giig’ l è andèe a vèint ! = Ohh oggi Gigi è andato a 20. E ṡò èd cal gnòoch a tóor èl pr al cuul = e giù di quel gnocco per prenderlo in giro. Il fatto, soprattutto se al ṡugadóor l è uun d ghiggna = cioè reputato un gran giocatore, resterà per giorni nella memoria e non mancherà chi alla prima occasione gli urlerà: Mò tèeṡ tè che l èeter dè t ii andèe a vèint! = Ma taci, proprio tu che l’altro giorno sei andato a 20.
Guèerda che t ii andèe a Nóov = Guarda che sei andato a nove busche. Al chè lo sfortunato giocatore, con finta e stizzita sicumera, risponde con prontezza: "A n gh è probléema !! DALCERO, al gh è stèe taant aan a Nóov!" = Non c'è nessun problema, tale DalCero (un residente immigrato nel vicino comune dal sud) c'è rimasto tanti anni a Novi di Modena!". Nel senso che gli altri giocatori non si illudano, prima di andare a 10 e perdere .. deve ancora passare un bel po' di tempo.
Dòop Nóov a gh è la Móoia = dopo Novi c’è Moglia. Una frase a doppio senso che in partita deve essere interpretata che quando si è arrivati a nove punti, la successiva e decima busca metterà lo sfortunato o incapace giocatore a mollo (a móoi) nella acqua.

Quando uno è già fuori (10 e passa punti) e due sono a 9, lì lì per uscire, il quarto giocatore potrà fare il furbo e prendere in giro gli avversari: Duu a Nóov e uun a la Móoia. Ovvero due a Novi di Modena e uno alla Moglia (cioè già nell'acqua, col culo bagnato). La battuta ... davvero notevole ... di origine ottocentesca era sempre citata dall'indimenticabile Mauro Prandi (elegante giocatore) e voleva tracciare un immaginario itinerario, dai riscontri però ben reali, da Carpi al Po. A piacere … sullo stesso tono ci si può sbizzarrire e aggiungere … T ii a la Zanzara, ristorante prima di Novi, al Puunt dla Préeda, per chi viaggia sulle 7/8 busche; mentre chi arriva a 20 busche, pagando per tutti, si indica, superata la Móoia, il mesto arrivo a S. Benedetto Po, con relativa immersione completa e infamante nell’acqua non certo profumata del Grande Fiume.

 Maagna, bèvv e tèeṡ e va a ciamèer Malavèeṡ!” Mangia, bevi e taci e va a chiamare Malavasi.
È una frase usata per far tacere qualcuno e indurlo finalmente a compiere un atto, ad esempio un bambino che continua a parlare anche col piatto pronto davanti e non si decide a mangiare
Malavèeṡ ... s la va bèin l è un chèeṡ! Malavasi ... se va bene è un caso.
Il Parmeggiani ci aiuta a risolvere il "mistero" di questi modi di dire legati al cognome Malavasi; nei suoi ricordi giovanili di giocatore di cotecchio con persone molto più anziane di lui, Malavèeṡ veniva spesso citato nella locuzione: "Ormàai t ii andèe da Malavèeṡ!" Questo succedeva durante una partita durante la quale un giocatore era ormai sul punto di andare fuori a 10 o, peggio, a 20 busche.
Si intendeva significare che per lui la partita era ormai finita, essendo stato, Malavèeṡ, a loro dire, un antico personaggio carpigiano (1800 ??) che di mestiere faceva al buṡèer, ossia il fossaiolo, il becchino al cimitero di Carpi.

Un’altra bella e tagliente frase ad effetto che si indirizza al disgraziato perdente da parte di uno della combriccola, ma assente al momento della disfatta e al quale è stata prontamente comunicata la lieta notizia, anche tramite cellulare, è questa:
Óo, a iò sintìi che su a la Sèera a tiira di bée vèint! A gh è da tgniires estricch!” (Oooh, ho sentito che su a Serramazzoni tirano dei bei venti - 20- ! C’è da tenersi ben stretti). Pur colto di sorpresa, prontamente lo sciagurato risponde … minaccioso e assetato di rivalsa: “ Stà atèinti … ch a n gh ò mìa la memòoria cuurta!” (Stai attento che non ho la memoria corta e prima o poi avrò la mia crudele vendetta!).
Nel caso vincano partita dei giocatori non reputati particolarmente abili, a scapito di personaggio esperti e blasonati, questi ultimi masticheranno molto amaro (per lesa maestà) e noteranno acidamente: “L’aaqua la va a la Sèera!” (l’acqua, contro natura gravitazionale, va dalla pianura a Serra Mazzoni che è in collina!)
Si può ricordare una scenetta che spesso si ripeteva nei caffé del centro e della piazzetta, fino agli anni '80, durante il gioco del cotecchio, allorquando un giocatore, chiamiamolo Mario, faceva una giocata delle più balzane e chi ci capitava sotto, Carlo, reagiva in questo modo:
Carlo: Tè te n sèe gniint ... T ii ’n ignoràant!
Mario: A nn ofènnder mìa ... Ignoràant te l vèe po' a diir a tò surèela!
Carlo: Óo, mòRRo ... Mè a n t ò mìa oféeṡ ... A n t ò mìa ditt t ii un cretèin! ... A t ò sóol ditt t ii ’n ignoràant ... ch a vóol diir che "Sei uno che ignora"...
E in quel modo si ristabiliva una pace armata al tavolo dei giocatori.
Il noto Mauro Prandi, raffinato giocatore di cotecchio, quando aveva a che fare con un tavolo di avversari non ritenuti particolarmente valenti, così sentenziava: "A gh è più pèss che aaqua!" (Ci sono più pesci che acqua, ne senso che è facilissimo gettare la rete o l'amo e fare una ottima pesca).
Può disgraziatamente capitare a cotecchio di sbagliare clamorosamente una giocata o di rifiutate, pur avendo il seme in mano (peccato massimo). Lo sventurato si può giustificare: "A gh iiva 'na chèerta frudèeda!" cioè .. avevo una carta foderata, nascosta e appiccicaticcia perfettamente sotto un'altra e quindi ... invisibile.
L’ineffabile e permaloso Mauro Prandi, già sopra ricordato, dopo aver sapientemente manovrato le carte, alla 6^ mano calava la "decima tremenda"; uno dei giocatori buttava con disappunto sul tavolo tutte le carte che aveva ancora in mano e prendeva su tutto con aria mesta. Al ché il nostro Mauro infieriva: "Plucc' ... la ranèina ind al palpùcc'!" (… la ranina nel palpuccio - pantano!)

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Nota storica, testimoniatami da Attilio Sacchetti: negli anni ‘70 nella sede del Club del Corso di Carpi era presente un grosso campanello di bronzo del diametro di 8 centimetri (scartato in chiesa per l'avvento delle Messe post conciliari); il barista avvisava con rigorose scampanellate quando uno sfortunato o incapace ṡugadóor era andato a 20 punti: provocando uno sbeffeggio generale.
Franco Bizzoccoli ricorda però che tale usanza fu ereditata dal cafè ustarìa “Garibaldi” in Piazzetta. Un locale che fu a lungo il più vecchio di Carpi. Nei primi del ‘900 il ritrovo fu dotato, per lo stesso scopo, di un apposito un campanello, regalato da don Bertani dla céeṡa dal Crisst al gestore Gigìin Caròobi. In altri locali, in mancanza, si picchiava rumorosamente sui bicchieri.
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In altre conventicole venivano, ma anche oggi, vengono tenuti specifici diari giornalieri, redatti con minuziosa cura su appositi registri o quaderni con annotati i vincitori delle Maglie Nere.
Ecco le foto eccezionali del “Registro Nero dei 20 punti” usato nella bottega di Tito Ligabue di Viale Carducci negli anni dal 1996 al 1998 e tenuto con certosina cura da Carlo Alberto Parmeggiani.

  

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Un giocatore di grande capacità come Fabiìn Carretti mi racconta, in confidenza, di avere l’abilità di ricordare e contare a mente le carte giocate e i punti nei mazzi di ogni giocatore, via via che le mani si dipanano. Ciò consentente di calcolare e calare con precisione i semi e le decime, cose fondamentali per non pagare o quanto meno pagare il meno possibile. Con la situazione sempre sotto controllo e con un appropriato smistamento degli assi e delle figure, l’astuto personaggio tenta sempre, quando è possibile, di far raggiungere lo stesso punteggio a due o tre avversari in modo che paghino, come da regola, doppio o triplo.
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Veniamo al cotecchio con il Pigugnino, che individua il fante di spade. L’etimo della parola pigugno non è chiara e, nonostante le ricerche compiute, sono arrivato al massimo all’ipotesi in cui il Parmeggiani suggerisce l’origine forse da pigòun. Un termine che nel dialetto della bassa indica il picchio, che fa i buchi negli scuri con grave disapprovazione e stracancheri al suo indirizzo del padrone che se li è pagati. È gioco di carte diffuso soprattutto in provincia di Modena, in particolare a Spilamberto e dintorni. Viene anche chiamato pigugno o pico (o, più raramente, pigo) oppure pigòggn e pigugnìin nei vari dialetti della zona. Prende il nome dal fante di spade (o di picche), che è appunto "il Pigugno" e che riveste un ruolo importante nel gioco. Ogni zona ha le sue regole, io narrerò SOLO del “mio cotecchio” che si giocava a Carpi negli anni ’60 al Parco (delle Rimembranze) èd fròunt a l uṡdèel = di fronte all’Ospedale Ramazzini e negli anni ’70, ai tempi delle medie, coi miei amici Millo, Giorgio, Giuseppe, Giamba, Biccio, ecc … . Se non ricordo male mi sembra che le uniche differenze fossero che anziché a 10 e 20 busche, si uscisse a 11 e 21.
A Carpi oggi tale versione è caduta in disuso, ma non ho mai capito il perché.
Al Parco due giocatori si mettevano a cavalcioni delle panchine bislunghe di cemento biancastro coi puntini neri (ancor oggi esistenti) e gli altri due di fronte ai lati lunghi, appoggiati in bilico sulla canna della bicicletta. Il gioco era molto duro e nulla veniva perdonato. Un contorno di ragazzi più giovani seguiva con attenzione e soggezione le partite dei più grandi. Tutti sempre attenti che non arrivasse il Vigile, cosa che provocava una veloce sparizione del mazzo (che altrimenti sarebbe stato subito sequestrato) e un fuggi fuggi generale. Pare fosse proibito giocare a carte, ma sinceramente non ho mai capito il perché.
A Carpi le regole, a netta differenza delle altre zone, sono uguali identiche al normale cotecchio, ma con in più l’incomodo del Pigugnino che deforma e modifica sostanzialmente il gioco e le sue strategie. Il fantino vale sempre due busche che sono a carico di chi lo fa malauguratamente proprio, tale giocatore può quindi essere diverso da chi paga le normali busche del giro; nel caso un giocatore non copra vale uno.
Gran parte del tempo delle partite era impegnato nelle operazioni del dare e del non prendere la famosa carta, in più c’era sempre il pericolo costante d ingugnèeres al Pigugnìin = ovvero … l’ingugno del Pigugno da parte di chi lo aveva in mano: una umiliazione davvero drammatica, dalla quale era difficile riprendersi psicologicamente con prontezza.
Ma in generale anche quando si rifilava il famigerato fantino, con meticolosa e chirurgica precisione, al giocatore messo peggio, si provocano sentimenti di odio risentimento e vendetta.
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Al Parco era anche in uso la crudele tradizione dal cutècc’ cun la scaarga (cotecchio con la scarica). Lo sventurato che andava a 20 doveva pagare pegno. Veniva fatto sedere a cavallo della panchina, gli si dava in mano il mazzo mischiato e coperto. Mentre, chino, scopriva una carta alla volta alla ricerca del Pigugnino, crudelmente gli altri giocatori lo battevano a mani aperte sulla schiena, finché la carta maledetta non veniva trovata. Mi è capitato solo una volta di assistere alla sconcertante scena, avevo 13 anni, ma mi è rimasto impresso in modo indelebile nella mente.
A m viin i ṡgriṡóor, sóol a pinsèer èggh !.
Fabiìn Carretti mi ha confermato la cosa, ricordandomi che lui era uno dei protagonisti di questa feroce usanza e che spesso in tre si mettevano d’accordo per giocare tutti contro tale Billy Dotti per farlo arrivare a 20 punti e somministrargli, con sadismo giovanile, la pena corporale prevista.
Sempre al Parco negli anni ’60, le partite venivano accompagnate da un sovradimensionato contorno di parolacce e di bestemmie, ciò per dimostrare che chi giocava era già “grande”; si usavano anche frasi grevi e stupidamente ridondanti del tipo: “A n t à da gniir domilla caancher, mas-cìin e femnèini, acsè i faan raasa e a t in viin un milièerd!
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È poi da segnalare, non a Carpi, ma in zone limitrofe, l’insana e idiota variante, nata in tempi più moderni, del così detto "Pigugno Etilico". Essa prevede l'assunzione di bevande alcoliche, in corrispondenza delle tradizionali busche; questa variante che in tutto e per tutto resta identica al gioco originale del luogo, si è diffusa particolarmente negli ambienti scolastici o generalmente negli ambiti comunitari.
**=M=**
Il Parmeggiani riguardo al Pigugno modenese, che a Carpi non si gioca quasi più e comunque con altre regole, se non per le feste di Natale, in cui si ha a che fare con donne e con bambini, ritiene che ciò sia accaduto perché a Modena e dintorni sono più "gentili" e meno assatanati (c'è chi dice più effeminati), dato che il loro modo di contare i punti, ossia le "busche" da pagare, è molto più attenuato e meno esoso. Infatti, fra i geminiani, che tu copra o non copra, che tu faccia 15 o 18 oppure 21, o 24, o 35 addirittura è sempre quella sola unica "busca" che tu paghi e che magari aggiungi al Pigugno, che ti è stato scaricato con lieve cattiveria o aggiungendoci una scusa. E quindi, a conti fatti, viene meno tutto il macheggio di alleanze sotterranee e di giocate strepitose da vero stratega, per far pagar di più chi hai deciso di punire o di mettere alla gogna. Cosa che invece a Carpi, città di commercianti, gagà, arrabbiati e avventurieri, continua ad avere un certo suo valore.
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Conclusione
I giochi del cotecchio e in particolare del Pigugno si devono usare se hai una persona con cui vuoi disgustarti. Un amico mi ha raccontato che un'estate coinvolse il padre e dei vicini di casa a giocare a pigugno; giocarono parecchio e sèinsa remisiòun. Un giorno, dopo l'ennesima partita finita ad aas èd travèers, uno dei vicini sentenziò: "St'èetra vòolta a ṡugòmm pò cun i curtée piantèe insimma a la tèevla … !”… “Quest’altra volta giochiamo poi coi coltelli piantati sul tavolo !”
Scherzava o diceva sul serio ???
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NOTE:
* Il vocabolario della Gallia Cisalpina e celtico di Pietro Monti - 1836 - Cisalpine Republic - 139 pagine dà il seguente significato al nome del gioco:
Cotecchio = legno tarlato / fradicio.
Forse per indicare il lento, ma continuo aggravarsi della situazione legata al punteggio dei giocatori (???).                  Si attendono conferme!!!






Lo joco de Cotecio







di
Anonimo Carpigiano


Parmeianus et Maurus HOratiorum invenerunt in tenebroso ac occulto loco A.D. MMXIII













Lo joco de Cotecio



Est lo joco de Cotecio per certuni uno joco in veritate moltissimo de intrigo et gaudjosamente ameno, si bene esso sia considerato, ne lo intendimento de le persone ammodo, uno joco abbominevole et plebeo, sendo pure stato ne li tempi antiqui nomato “Ludus perfidorum”, che vale a’ nostri giorni quanto lo dicere de “Joco de li bastardi et de le charogne”. Pererebbe adunque esser per li tali mal dicenti uno joco de lo basso popolo carpense, congruente a lo divertimento de’ charettieri, mechanici, homini per lo meno de fatica, tali quali esser sono li manovali aut li vuotafossi, li barbetonsori, li carpentieri, li cementarii, li fachini, et similiter homini blasfemi, et quindi uno joco da praticarsi de preferentia in buja taberna o pure in loco de equal malsana specie, a lo riparo da li sguardi de li infanti, de le femine pregne e de li timorati de Nostro Signore.
Per regula lo joco si have da facere intra quatro individui, seduti a’ lati de tabula quadrata, che solazzano se ipsi per lo medio de uno mazzo de quadraginta charte, dieci per ognuno, pittate in versicolori ne li quatro semi de spada, denara, copa
et bastone, de lo tipo de uso ne la contrada piazentina.
Scopo de lo joco de Cotecio est, ad modum, ignoto a molte persone. Per altri de li tanti versi de lo popolo minuto, ossia per li molti semplici et quindi nati bene ne le nostre palustridi contrade, est credenza che fatto joco non have proposito diverso de uno inocuo far trascorrere lo tempo in lieta et chiasosissima brigata, tanto quanto può essere uno modo de far giugnere sera, o vero la hora de lo pasto vespertino et indi la hora de compièta et de riposo per li sopra detti cementarii, vuotafossi, mechanici, et fachini. Altri tali, voltati forse a mala fede, sono de lo aviso che lo detto joco de Cotecio have come intento uno infame et volgare ludo de casa de piacere, viepiù praticato ne l’attesa de godere de’ favori de matura cortigiana, su lo quale pur ricade lo anatema de lo Santo Papa che risiede a Roma et de’ suoi reverendissimi vicarii, non sapendo perhoc, li Santi Padri, che lo Cotecio attira a più de una lanugine ordinaria de consunto meretricio. Altri invece sostengono esser lo Cotecio uno joco praticato con lo proponimento de dileggio de taluni figuri sconosciuti et anco de lo amico de baldoria et de bevuta. Altri tali anchora dicon de lo joco de Cotecio essere espediente exercitato


a fine de lucro disonesto, ne lo senso de pecunia non sudata, et a gabbo de vanesio jocatore, venuto fuorivia in terra nostrana, per assidersi a la tabula quadrata con modus jocandi baldanzito, et allo quale tanghero straniero, perlopiù villico o porcaro, in vero et se capaci, lo bravo jocatore, pur se scelerato, può sotrarre per scomessa, vietata da’ birri oltre che da papi, qualche soldo da la sua bigoncia rigonfia de ducati et bolognini.
C tutto ben essendo che, per ferrea regula de joco, ognuno de li quatro jocatori, non havendo amici compari et ne manco jocando le partite in copula quomodo aviene in altri jochi, have in animo de mettere a profitto de danario le facultà propie de ragione et de valetudine a contare le charte calate, et anco ne lo rapido scansare le trapole et li perfidi trabuchi che lo joco presenta per mano proditoria de li altri jocatori, che pure habbino la medesima pretesa de guadagno, sempre cheo loro non sieno li complici compagni de sopra detto scelerato.
Detto Joco de Cotecio have regole somilianti a lo più famoso joco detto “Treseptem”, si bene tali regole sieno adoptate per lo verso contrario, sicut dicere ne lo modo perverso, et ergo altresì vituperato da li homini de Santa Madre Ecclesia, sendo la chosa innaturale, idest contronatura. Questo perocché lo jocatore vinto est colui che numera più punti, et adunque più prese de charte, a fine de partita. Inoltre, a differentia de li vicini zeminiani modonesi, che hanno ridotto lo joco de Cotecio, che in quelle terre nomasi Pigugno, a passatempo per li garzoni de botega e per le donicciole che non trovano marito, tengasi tenuto per inteso che una regula fundamentale de lo su detto joco impone qualmente a ogni singulo individuo jocatore de accipere a se ipso almeno una jocata. Et quoque altra arcigna regula dispone che allo seme jocato da altri jocatori, a li quali est data la mano de giro, si deva respondere con charta de lo istesso seme, oviamente se lo seme da altrui jocato compare tra lo mezzo de le propie charte assegnate a cominciamento de partita. Etiam, se a fine de lo “ragio”, o vero partita, lo jocatore che non have proveduto a la debita presa, detta altrimenti “copertura”, si aspetti per lo tanto de vedersi computati tanti punti de poenalizatione, detti “busche” in modo volgare, quanti sono li jocatori che in eguale maniera habbino mancato la consegna de accipere a se ipsi almeno una singula mano.
De già detto si est de lo mazzo de charte de lo tipo in uso ne le terre piazentine. Or dunque ne consegue che da le dette charte si prende lo spunto de
contare li punti de pegno, asumendo come extremo lo totale valore de li punti de uno mazzo intero, vale dicere 32 punti, a li quali si giuntano 3 punti de scorno per la ultima presa per così giungere a quota 35, come da regula de joco.
Tenendo altresì vivo ne la mente che a pagar pegno ne lo joco de Cotecio est soltanto
colui che have computato lo major numero de punti et adunque lo major numero de prese a fine de partita, o pure son coloro che habbino contati un equale numero de
punti a fine de jocata et ergo, per regula de joco, duplicati aut triplicati. Et adunque


lo modo de la conta et de imporre quindi le sopra dette busche, in parlata carpijana, segue lo andazzo hic et hora riportato: Fino a 14 punti si patisce de 1 busca; fino a 17 se ne patiscono de 2; fino a 20 se ne patiscono de 3; fino a 23 se ne patiscono de 4; fino a 25 se ne patiscono ben 5 et, proseguendo più oltre lo contare 25, ogni punto majore comporta una “busca in dotazione, sed fino al limitare de le 15 busche, majorate de altre busche 3, ne lo caso de presa de la ultima mano.
Adunque a lo proponimento de giugnere a la conta de lo numero de punti conclusivo, have altresì da ricordarsi che ogni charta de lo mazzo have uno suo propio valore. Vale a dicere che de ogni seme de la charta, siasi de spada, de copa, de denara aut de bastone, lo asso vale punti 3, le figure, dette “charte vistide”, come lo Re, lo Chavaliere et lo Fante che hanno vestimenti de lo rango che loro compete, et lo due et lo tre de’ varii semi, li quali sono ignudi, valgono punti 1, mentre le altre charte, dette “flinghe” in lingua familiale, valgono un zero, adunque nulla come la aqua de malva sovra li ossi rotti o le ferute. Atque, in finis, lo jocatore che per mala jocata have havuto la disaventura de accipere per esso la ultima mano, vedesi assegnati punti 3, in agiunta a li altri fatti antecedentemente in corso de partita.
Lo joco de Cotecio in fine si conclude alor quando almeno due de’ quatro jocatori sopravanzano la soglia delle 9 busche per ciascuno, aliter alor quando pur anco uno soltanto jocatore sovrasta la vergognosa soglia de le 19 et in quello sventurato caso vassi ricordato che era pratica d’uso degli astanti spectatori de li tempi antiqui dimandare canzonando a voce alta: pro quibus verberat campana?... La quale dimanda in lingua vernacola nostrana vale quanto dimandare: Per chi sòunla la campana?... a lo indirizzo et a disdoro de lo mal capitato jocatore et a subtile et ridanciano godimento de li altri jocatori et convitati.


Antiqua Schola Carpensis Coteciourum cum et sine Pigugno A.D. 1729



    

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