mercoledì 5 settembre 2012

Blouson Noir a Chèerp - a Carpi di Mauro D’Orazi


Blouson Noir a Chèerp
                                                                 di Mauro D’Orazi

Bozza da correggere e integrare                                     v 58 del 20-8-2012
Correzione del testo a gentile cura di Giliola Pivetti
Chi come me è stato appassionato motociclista sa di aver passato un periodo della propria vita nel quale si è accostato alla filosofia di vita dei famosi Blouson Noir di Marlon Brando, che abbiamo trovato nell’indimenticabile film il Selvaggio del 1953 del regista Lazlo Benedek 
        
Brando indossa un Perfecto Schott ancora in catalogo tale e quale ad allora.
 
I selvaggi … tutti col giubbotto
Tutti i ragazzacci in moto indossavano un giubbetto particolare che subito ti affascina sia per la foggia esteriore, ma soprattutto per il simboli dinamici e anticonformisti che esso veniva a rappresentare soprattutto per le giovani leve, che via via si susseguivano nelle generazioni.
Questo capo oramai è senza tempo, unisex e sempre molto fashion: era ed è un giubbotto in pelle nero, denominato  anche “chiodo”, forse per la sua versione chiodata preferita dai punk. La chiusura laterale con la zip, le cerniere sulle tasche e sulle maniche e gli automatici per evitare che l’ampio colletto sbatta alle alte velocità, lo rendono perfetto per i motociclisti.  Il chiodo ha fatto la storia della moda e del cinema, indossato da tanti personaggi del grande schermo e da leader di band rock. Ancora oggi non ha perso nulla del suo fascino originale e rimane il “pezzo” preferito di molte star. Si indossa a qualunque ora della giornata e si abbina ad un paio di jeans, come ad un abito elegante. Il modello originale si chiama Perfecto e fu commercializzato nel lontano 1928 dalla Schott Nyc.
L’indimenticabile Marlon Brando, protagonista del film, indossava uno Schott Perfecto 618 in pelle di cavallo. Arthur Fonzarelli, Henry Winkler, il mitico Fonzie della serie tv Happy Days, non lo abbandonava mai. John Travolta lo sfoggiava con brillantina e jeans con risvolto in Grease. Decorato con borchie e catene dalla generazione punk degli anni 70, era la divisa preferita di gruppi metallari quali i Ramones e i Sex Pistols. Fra le star lo preferisce ampio e comodo l’attrice Drew Barrymore, verde brillante Lily Allen, corto Megan Fox. Oggi non è molto cambiato rispetto alla sua versione originale, rimane più sagomato e aderente e spesso si colora di inaspettate nuances. L’originale viene ancora prodotto dalla Schott, ma in cuoio.
James Dean in blouson noir

Mia madre, appena io ebbi ottenuto la sospirata moto, me ne regalò uno, fattomi confezionare su misura dalla ditta di Petruzziello di Carpi; un capo che conservo ancora oggi nel mio armadio con religioso rispetto e gratitudine verso la genitrice. Tutte le volte che lo prendo in mano penso ai miei 74 kg di allora.
Ad ogni modo, per tentare di spiegare un po’ le cose ai profani, in tutti i giovani motociclisti imperversa un demone, un anelito irrefrenabile, quanto utopico, di conquista della libertà, di infrangere e rovesciare le regole.
Noi ometti siamo fatti così … fortemente appassionati, sempre più emozionati.
Non rispettare i limiti di velocità in primis, aprire le marmitte per fare casino, truccare i motori, andare in due in motorino, fuggire con successo da una pattuglia di vigili (cosa che ho fatto con grande soddisfazione sull’Adriatica a Misano negli anni ’80), non rispettare i sensi vietati, i semafori rossi e gialli, ecc …
Ma soprattutto violare le odiatissime zone pedonali, dove ti è vietato andare in moto e di conseguenza ti è impossibile farti vedere in tutta la tua potenza macho / meccanica da chi può invidiare il tuo potente mezzo. Se NON vai in piazza anche  le ragazze NON ti vedranno e questa è cosa gravissima per il tuo ego di motociclista. Negli anni ’70 con la moto si cuccava. Oggi però le mode sono molto cambiate e una ragazza se ti vede arrivare su un motone con carenatura e manubrio basso, al massimo ti può sputare con disprezzo sulla sella.
Ma in quegli anni era facile caricare una ragazza e avere un certo successo.
Poi le cose sono cambiate. Anche se le Ferrari e le Porsche hanno un loro positivo effetto anche oggi, a dir la verità.
La moto è libertà, vento in faccia senza casco, leggerezza, potenza, velocità, vibrazioni, musica delle marmitte, accelerazione mozzafiato, pieghe in curva; ma la moto è anche girare piano, prima di sera d’estate, con il motore che gira perfetto … tondo tondo; sei solo, in una delle nostre stradine di campagna e tenti di arrivare a raggiungere il tramonto che sta guadagnando l’orizzonte. Sei tranquillo, con un lieve sorriso (a bocca chiusa, se no ti entrano i moscerini), soddisfatto della tua condizione, senza pensieri, se non il godimento intimo e ineffabile di questi momenti.
Il motociclista tiene sempre la sua moto accanto a sé; se andavi al Caffè Teatro o al Bar Roma in piazza … LEI doveva essere posteggiata lì, a pochi metri da dove eri tu.
È per questo che non perdonerò MAI al sindaco dell’epoca, Cigarini, di averci chiuso la Piazza, nostro luogo pacifico raduno e incontro quotidiano, trasformandola per il 95 % del suo tempo in desolante contenitore vuoto e insensato.
Ogni ragazzo in motorino e in moto ha vissuto i suoi momenti di trasgressione, senza la quale sei e sarai solo un mèeS omm (un mezzo uomo). Insomma bisgnìiva fèer quel a l’avèersa per sintirees la vitta in da tò maan (Insomma bisognava far qualcosa alla rovescia per sentire al vita nelle tue mani). Ho subito pesanti reazioni da parte di mio padre alle “mie imprese”: mai una volta mi diede ragione! Anche se con il senno del poi forse non aveva torto.
Talora non erano grandi cose, anzi !!! All’una di notte, nel deserto assoluto, se devi girare a destra e ti fermi ad aspettare il verde di un inutile semaforo rosso… sei un povero imbecille.
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Ecco una testimonianza (una per tutte, una per tante) del giovane carpigiano / novese Davide Boldrin sui guai che passò dopo un episodio di “sana”, quando innocua ribellione giovanile.
2012 - Davide Boldrin - il protagonista della vicenda
Leggiamo le sue parole scritte da lui stesso, in un racconto emotivo che passa in continuazione dalla terza alla prima persona (quasi inconsciamente volesse estraniarsi da una vicenda che segnò la sua vita giovanile in modo sensibile) in una concitata narrazione.

Eravamo nel 1987. Il giovane Davide Boldrin abitava a Carpi, in via Aldo Moro 14. Ed era solito a frequentare la mitica Piazza Martiri. La grande piazza era zona a transito limitato, e la trasgressione più bella, a quei tempi, era riuscire a circolare in quell’area con motorini, vespe e moto, cercando di “fregare” i vigili urbani.
La vigilia di capodanno, alla sera verso le 23.30, Davide con i suoi amici Claudio e Cristian (che ora non è più tra noi … ) ebbero una bizzarra idea. Decisero di coprire le targhe dei loro 125 (2 moto e una vespa - la vespa PX 125 era la mia), di invadere la Piazza e, in caso di arrivo dei vigili urbani, di seminarli. Un progetto assolutamente inutile, quanto sconsiderato, ma che rappresentava sempre una prova di ardimento e di iniziazione per la vita futura. Ad un certo, però, punto arrivarono i vigili e noi non aspettavamo altro; iniziammo subito la nostra ASTUTA azione per dileguarci. Il Boldrino uscì lesto dalla Piazza per via Berengario, poi imboccò via Ciro Menotti contromano, convinto che i “cari” PRANDI e PAVESI (dopo imparai bene che erano loro …) si sarebbero fermati. Come no ?! Attaccarono la sirena, e lì, il fuggitivo capì che sarebbero iniziati guai seri. Arrivato in fondo, imboccai, sempre contromano, Corso Fanti. A quel tempo era transitabile e i due sensi di marcia erano divisi dal famoso mai abbastanza maledetto, “cordolo giallo “. Il mio piano strategico era quello di svicolare sulla destre nella stradina a fianco del Duomo (La Strèeta o Via Polmonite), dove c’è la residenza vescovile. Però a un certo punto sentii un’altra sirena, che mi distrasse dall’intento. La situazione era drammatica: alla mia destra, dall’altra parte del cordolo, c’era la pattuglia dei vigili urbani che incalzava, mentre dietro mi tampinava la Polizia di Stato. Arrivai fino quasi alla stazione dei treni. E li mi presero, tagliandomi la strada. Il punto che è mi fermai, ma poi ripartii … E via … in una fuga senza speranza. Corri! Corri!  Gas! Gas!
I vigili urbani mi erano dietro. La Polizia no: si erano diretti verso viale Manzoni, per prendermi tra due fuochi.  Il cuore mi batteva impazzito nel petto, finché, prima del passaggio a livello di Cibeno, i vigili mi tagliarono definitivamente la strada con la loro Ritmo, e stavolta non ci fu scampo.
  
I vigili Pavesi e Prandi e il Comandante Pulga

Prandi e Pavesi, dopo essersi accertati della mia identità, mi rimisero in sella e mi dissero: “Adèesa bàasta! Prendi la Vespa e vieni dietro a noi al Comando, PASSANDO PER LA PIAZZA, così fai vedere a tutti, che ti abbiamo preso !”
Dovetti sopportare anche questa umiliazione, riservata anticamente ai nemici sconfitti dai condottieri romani, trascinati e derisi dietro al carro del vincitore durante la parata trionfale.
Giunti al Comando, arrivò anche la Polizia, pronta per portarmi al gabbio. Ma i vigili, si opposero (e li ringrazio ancora …).  Dissero perentori: “A gh pinsèem nueter, a chì lò !” ( Ci pensiamo noi, allo sciagurato), annuendo con la testa. Subito chiamarono casa mia. Quando il mio babbo arrivò, aveva una faccia attonita e trasfigurata, che francamente, non avevo mai visto prima.
La mia Vespa rimase al Comando e restammo d’intesa (obbligata) che mi sarei dovuto ripresentare con mio padre nell’ufficio del Comandante PULGA la mattina seguente. Arrivato a casa, cla sìira lè, a n ò ciapèedì, sòota ed sòovra … a n sa mia quanti. (quella sera lì ne ho prese di sotto e di sopra, non so quante)
La mattina al Comando, Pulga parlò molto fermo con mio padre e insieme decisero di darmi una bella lezione. A quel tempo lavoravo. Il Comandante cominciò a elevarmi multe da 25.000 lire l’una, fino ad arrivare a un totale di 250.000 lire. Il mio stipendio si aggirava sulle 500.000 lire mensili. Mio padre suggerì inclemente: “Mmm ! E’ POCO, a l stàaga bèin più su!” (stia più su con la cifra). Arrivò a 350.000 lire. Ma mio padre: “ E’ ANCORA POCO!”. Insomma, arrivammo a 425.500 lire. E lì, il mio babbo, disse che era sufficiente, ma che, se fosse stato per lui, mi avrebbe dato tre stipendi di pene pecuniarie. Mi hanno assicurato che è stata la contravvenzione più alta mai erogata, tenuto conto dei tempi.
Pulga e il mio babbo l’avevano studiata bene per punirmi nel modo più adeguato. Poi, tornato a casa, fui messo “agli arresti domiciliari personalizzati” per qualche settimana.
Mio padre non era certo come tanti genitori di adesso che difendono sempre i figli! E scontai amaramente le mie punizioni.
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I garèin 

Un altro modo per scatenare le nostre energie erano in garini. Un vocabolo che deriva dall’analogo dialettale garèin e ha come espressione fèer un garèin. Cioè fare una gara clandestina (evitando vigili e polizia) contro un altro con la moto, per vedere chi va più forte o ha maggior ripresa da fermo; si tratta di vere prove di ardimento giovanile, spesso pericolosissime.
Chi ha un motorino o una moto prima o poi incontra e si confronta con un suo simile, ennesima trasposizione dell’archetipo interrogativo maschile di “Chi ce l’ha più lungo ?” 
Negli anni ’50 e ’60 i luoghi delle competizioni erano il primo tratto di via Cavata, la strada provinciale Carpi -  Ravarino per Limidi dal passaggio a livello in poi e il lungo rettilineo di via Griduzza dalla Statale Motta a Cortile, che partiva con una “morbida fila” di simpatici piopponi cipressini sulla destra.
1953 - In giacca e cravatta, Ennio Pellacani di esibisce di domenica in prove di velocità su Vespa nella curva dell’Osteriola.
Moto e motorini, ma anche auto, si affrontavano in continuazione soprattutto nelle sere estive. Il traffico era inesistente, di notte non c'era controllo e questa era una delle poche fonti di divertimento per i ragazzi di quegli anni.
Ai miei tempi (fine anni ’60 e anni ’70) invece era più di moda l’ampia via Peruzzi, appena costruita e in attesa di collegare le future piscine, oppure l’autostrada del Brennero già pronta, ma ancora da aprire al normale traffico.
Autostrada usata come pista da gara per grosse moto

Dopo gli anni ’90 invece funzionava perfettamente lo stradone dell’area industriale parallelo all’autostrada (viale dell’Agricoltura), di notte ASSOLUTAMENTE deserto, salvo le coppiette nascoste.
Auto, moto e motorini si affrontavano, si affrontano e si affronteranno senza posa, soprattutto nelle serate d’estate. Un fenomeno che non cesserà mai, essendo il desiderio di primeggiare insito nella natura umana.
Ma che significato effettivo può avere se una moto fa i 203 km / h e un’altra i 204 km / h ? Nulla, assolutamente nulla nell’infinita immensità dell’universo, ma aveva un valore incredibile a Carpi, in estate, negli anni ’70, quando si gareggiava senza posa nella larga via Peruzzi. Nelle gare clandestine la scarica di adrenalina è potentissima (anche per me che quasi sempre solo spettatore), perché si faceva qualcosa di nascosto, di proibito, di esaltante e quindi il pericolo sovreccitava l’organismo e i nostri sensi. Per non parlare poi del piacere stupendo di una effimera vittoria.
Alle 21 circa, all’imbrunire ci si trovava tutti all’inizio di via Peruzzi; in campo scendevano le moto più prestigiose dell’epoca, roba seria e costosa da dusèint a l’òora (roba da duecento all’ora): Honda 750, Guzzi Sport 750, Triunph Trident, Kawasaki 750, Suzuki, ecc.
Tutti senza casco … ovvio, con jeans e camiciola aperta.
Nel confronto era importante il mezzo meccanico, ma anche l’abilità del guidatore era fondamentale; il fattore umano poteva talora capovolgere la scala dei valori meccanici. Il dosare gas, frizione e freno era un’arte raffinata; uno queste sensibilità le possiede innate nel sangue, oppure non c’è nulla da fare.
La pratica affina le proprie doti, ma l’è al mandegh quel ch a còunta! (è il “manico” quello che conta).
Le sfide nelle alte cubature erano le più spettacolari, ma accanto a questi mostri a due ruote, c’erano anche garini con classi di moto più piccole con tutte le cilindrate possibili.
Si lottava di solito a coppie; il mossiere, degno del Palio di Siena, dopo aver faticosamente fatto mettere le moto sulla stessa linea, dava il via con un fazzoletto bianco, spesso con successive polemiche: “ Tè tì partìi primma!” “ Mò sa dìit ! An è mia vèera!” (Sei partito prima! - Ma cosa dici? Non è vero!)
Il percorso dritto e lineare si stendeva liscio liscio per circa 400 metri; veniva collocato un apposito segnale per il traguardo, che era un po’ anticipato per non andare a finire dritti diretti in campagna, visto che lo stradone finiva, dove oggi circa c’è la baracca di Scazza.
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Le sfide erano epocali e evidenziavano la punta di un iceberg di complesse teorie personali motoristiche e motociclistiche: due tempi / quattro tempi, catena / cardano, velocità / spunto, desmo / aste e bilancieri, rapporti corti o lunghi, Inglesi / Italiane / Giapponesi,  ecc …  Questioni a lungo dibattute, con interminabili discussioni assieme agli amici, dopo esperienze personali e attente letture della Bibbia del settore, l’autorevole (e allora unica sul mercato) rivista mensile MOTOCICLISMO.
Quanto ho sognato leggendo e rileggendo quelle pagine, corse a comprare in edicola i primi giorni del mese !
1971 Alcuni numeri della rivista MOTOCICLISMO
Dopo la sentenza sul campo di un garino potevano cadere principi consolidati o essere confermate verità assolute, ma le contese, le osservazioni, le scusanti non mancavano mai.
In altre città si gareggiava per soldi, ma a Carpi mai! Si metteva in gioco l’onore del proprio mezzo e le consolidate opinioni di ciascuno.
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Ad esempio in città sanguigne e veraci come Napoli si giocavano soldi … eccome! e pure i libretti delle moto: chi perdeva lasciava il suo mezzo all’avversario vincente.
Per capire il clima, ecco una preziosa testimonianza di un motociclista napoletano di quegli anni roventi:
“Negli anni '70 a Napoli le gare clandestine erano UNA VERA FOLLIA!!!
Nelle calde nottate estive si gareggiava presso il tunnel di Mergellina, oppure dopo il tunnel della Tangenziale in direzione Pozzuoli. Tanti motociclisti e curiosi si affollavano per vedere le famose TIRATE!
I protagonisti erano Agostino o' PAZZ, (al secolo Antonio Mellino) famoso per le sue gesta e pazzie in moto in tutta Italia, Vicienz ' Mezanott, Mario Kawasaki, Dino Buondonno, Mario De Luca e tanti altri.
Le moto erano Kawasaki 900, Honda 750 Four, Laverda 750, Norton Commando 750, BSA ROCKET 750, ecc. .
Molti di questi centauri appena ricordati ci hanno rimesso la pelle, oppure portano oggi il segno indelebile di quegli anni nel loro corpo martoriato.
Le potenze delle cosiddette MOTO PESANTI dell'epoca erano attorno ai 70 cavalli!
Figurarsi oggi fare le gare clandestine con Yamaha R1, Honda CBR 900, Suzuki 1.100 GSX-R, MV Agusta F4, ecc ... con le potenze più che doppie delle moto di allora!”
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A Carpi le sessioni di gara duravano circa un’oretta, poi qualche solerte cittadino chiamava i vigili, più altro per il casino del rombo dei motori. Spesso un’apposita vedetta riusciva in qualche maniera, segnalava l’arrivo della Forza e tutti di solito si dileguavano per tempo o si mettevano in innocente e silenziosa sosta; ma il divertimento per quella sera era finito.
I vigili non è che fossero tanto terribili, spesso si limitavano a disperdere quelli che sorprendevano, eliminando la fonte del disturbo e riguadagnando la pace collettiva. Una volta uno di essi, forse allo stremo della pazienza e dalla sopportazione anche per la calura estiva, consigliò scocciato: “ Ma perché (sottinteso …seccanti rompicoglioni) non andate più in là … in fondo … dove nessuno verrà a disturbarvi (ci).”
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Alcune volte c’erano delle trasferte fuori carpi ad esempio a Correggio, dove la passione per le moto era molto forte, anche grazie alla Scuderia Tartaruga di cross e al rinomato meccanico Onorio, ben fornito concessionario di marche primarie. Ma a Correggio però bisognava stare attenti, perché i locali lisciavano il pelo bene a modo, avendo moto ben truccate e preparate.
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Gianfranco Gigia Sgarbi è sempre stato un vero asso in campo motociclistico e di garini ne ha fatti e vinti a centinaia.
Ne ricorda in particolare uno di grande soddisfazione. Era metà degli anni '80, lui e un affiatato gruppo di bikers carpigiani andarono a Desenzano sul Garda.
Era giunta notizia che sulla costruenda tangenziale si svolgevano vere e proprie gare tra motociclisti provenienti da tutto il nord. Moto truccate, moto con carburatori da auto per aumentare le prestazioni, trasformazioni speciali e segrete, ecc  ... insomma c'era di tutto e di più.
Il gruppo arrivò sotto il ponte dove c'era già una piccola folla.
Gente appassionata, che scommetteva anche forte. I commenti e le banalità si sprecavano: "Questo fa i 300!" "Quello è imbattibile!" e via dicendo ...
Per farla breve, dopo un breve colloquio, E.F., che era del gruppo di carpigiani, consegnò a Gigia (che era il più bravo riconosciuto) la sua nuova SUZUKI 1100, allora una vera e propria bomba da 130 cv. A Carpi ce l'aveva anche Petruziello ed era uscita proprio per superare le più potenti moto dell'epoca.
La sfida era con il numero uno campione locale e naturalmente Gigia vinse di netto.
Fermate le moto lo sconfitto, molto sorpreso, chiese a E.F.: "Ma questa moto è truccata??" E lui con la più bella indifferenza che gli è consona in certi particolari momenti magici, rispose: " SÌ! HO MONTATO IL PORTAPACCHI!". L'attrezzo, infatti, faceva bella mostra di sé sulla coda della moto; quasi come un Imperiale su un'utilitaria usata per andare al mare.
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Millo al sgasadòor
Memorie di aneddoti di vita motociclistica
narrate e autorizzate da lui medesimo

1970 ca Emilio (Millo) Cerretti

Il “campione del mondo” dei garini a Carpi era Emilio (Millo) Cerretti, sgasatore animoso e inesauribile, competitore instancabile, piegatore coraggioso, pilota impetuoso e senza paura; conosciuto da tutti anche per la sua peculiare “eVVe” franco - parmense che gli conferisce da sempre un tocco signorile, eredità dell’illustre famiglia liberal - borghese del generone carpigiano a cui appartiene.
La famiglia Cerretti ha avuto illustri antenati legati al Risorgimento, ai Garibaldini e ai movimenti rivoluzioni dell’800.
Mi fa piacere ricordare, aprendo una breve parentesi, Celso Cerétti - Patriota italiano - internazionalista - massone - (Mirandola 1844 - Ferrara 1909), garibaldino dalla campagna del 1859 a quella di Digione (1870), e quindi volontario in Bosnia-Erzegovina durante l'insurrezione del 1875-77; esponente del primo socialismo emiliano, fu amico di Garibaldi e di Bakunin e svolse tra i due un'opera di proficua mediazione. Aderì all’Associazione Internazionale dei Lavoratori, sorta a Londra nel 1864 per volontà di Karl Marx e Frederich Engels.
In una lettera dai toni entusiastici, su tale associazione, inviata all’amico Celso Ceretti nel settembre del 1872, Garibaldi  coniò la nota frase: “L’Internazionale è il sol dell’avvenire”
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Millo non si tirava mai indietro da nessuna sfida o competizione. Ogni moto, che il nostro fuoriclasse ha avuto, è stata portata a un gradino in più del suo estremo, oltre i limiti progettuali, sempre alla ricerca e alla conquista delle prestazioni migliori possibili.
La sua dichiarazione ricorrente era: ”Mè a sun al Campiòun dal Mòond!” (Io sono il Campione del Mondo!), riferendosi alle numerose e svariate specialità in cui eccelleva e primeggia senza rivali tutt’ora. E di lui si potrebbero narrare centinaia di episodi eclatanti e clamorosamente fenomenali, di aneddoti pirotecnici e sesquipedali, di dispute e discussioni basate su elementi calibrati e precisi fin nei termini più infinitesimi, che hanno fatto di lui, nel corso degli anni, un conosciuto personaggio, vessillo assoluto di carpigianità.
Aveva iniziato la sua carriera con un bel Corsarino Scrambler 50 cc; il getto del carburatore e l’apertura della marmitte erano state le prime cose a essere modificate. Negli ultimi tempi dell’uso di questo motorino usava come silenziatore estemporaneo … na stròopa ed lègn (ramo di legno) che infilava o toglieva a seconda delle necessità e dell’orecchio dei vigili, in particolare Marìin Marchi che lo aveva preso costantemente di mira.
1967- 68  ca – Il bel Corsarino Scrambler 50 cc
posseduto da Millo Cerretti, Enrico Allegretti e Fabio Bonvento
1968  Guzzi Stornello 160  c c
Poi passò al Benelli 125 ss, al Guzzi Stornello 160, al MotoBi 250 e finalmente a una splendida Honda 750 marrone, che con la collaborazione di Graziano Forghieri “tirò”, come si dice allora, da Honda simil - corsa. La trasformazione consisteva nella sella e serbatoio di plastica pitturati in un zàal canaréin (giallo canarino), ludretti senza filtro ai quattro carburatori, getti adeguati alla batteria dei carburatori e un rombante quattro in uno; sul codone vennero poste due grandi scritte adesive ELF, marchio della benzina francese dell’epoca per vagheggiare l’importante gara motociclistica della 24 ore del Bol d’Or.
Ebbe per un breve periodo un Kawasaki 750 Mach IV 3^ serie, giallo e marrone, quello leggermente depotenziato e col forcellone allungato per renderlo guidabile e un po’ più sicuro. Questa moto passò poi a Lele Forghieri
1974 Kawasaki 750 Mach IV 3^ serie, giallo e marrone,
Infine nel 1976 ebbe una Benelli 750 6 cilindri grigia con la quale chiuse la sua carriera motociclistica con un incidente a Formigine, picchiando contro un furgoncino d un vecc’ imbambìi (di un anziano obnubilato) che non aveva rispettato una precedenza chiarissima. Io ero presente; l’impatto fu fortissimo, il furgone si ribaltò da un lato colpito dal casco e dalla testa di Millo. Lo sventurato formiginese uscì dal suo mezzo dall’alto, come da una botola di un carro armato, chiedendosi cosa fosse successo.
Millo se la cavò tutto sommato con poco, ma poi di fatto mollò la moto per darsi ad altre passioni.
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Benelli 125 SS
Sono rimaste nella leggenda i suoi garini in discesa dalla Serra a Maranello: zò a tutt gas cun al Benèeli sèintveintsinch (giù a tutto gas col Benelli SS 125), se non ricordo male in soli 11,30 minuti. La soddisfazione, una volta arrivato a Maranello, era di scendere velocemente dalla moto, metterla sul cavalletto, appoggiarsi di lato sulla sella e dimondi in fuga impierèes na paja (e molto in fretta accendersi una sigaretta).
Dopo poco (anche solo 10 secondi … per dire) arrivava il primo inseguitore trafelato e Millo, con algido aplomb, si portava la sigaretta alla bocca, con ampio e circolare gesto del braccio e della mano, aspirava lentamente e poi, “sbuffando” fuori il fumo della sua MalboVo Vossa, con studiata indifferenza, gli diceva:
Puffffffffffff … Ahh … t i già chè ? L’è sinch minut ch a t a spèet!” (Sei già qui ? Sono cinque minuti che ti aspetto!”). Sublime !
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Frutto di una scommessa nata una sera d’estate alla Pizzeria Tavernetta (dagli Incàaz) in via Galvani, di fianco a casa mia, fu anche un’altra prestazione da record: cartello di Serramazzoni - Bacino di Carpi (a sud della città sulla strada Romana) in soli 34,30 minuti, sempre col Benelli 125 cc. Una prestazione davvero ragguardevole, considerando il mezzo usato e il tempo necessario per l’attraversamento di Modena. Millo dichiarò che ce l’avrebbe fatta in 35 minuti, Paolo B. , Enrico P. , Paolo C. e non so più chi altri … erano di opposto avviso.
Millo sincronizzò il suo con gli orologi degli altri ragazzi, come si vedeva nei film di guerra, prima dell’entrata in azione. E iniziò la corsa contro il tempo con una partenza lanciata da Serra.
Uno dei cronometristi, Paolo B., tentò però ed ferèegh la tòorta (di imbrogliare) e tarò il suo orologio un minuto prima; così il tempo ufficiale risultò 35,30 minuti. Solo dopo un po’ la verità saltò fuori.
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Memorabile fu anche la sua disfida con Ugo Petruzziello e il suo bel Triumph Trident 750 viola con la banda di cuoio sul serbatoio.
La Triumph Trident 750 cc cominciò a essere prodotta nel 1971
Una moto di raffinato prestigio molto potente e con uno spunto ragguardevole,
ma con ancora tutti i difettoni delle moto inglesi. In foto in modello 1972 venduto a Carpi

Millo, con la sua Honda 750 Four riteneva di poter star davanti, sia pure di poco, alla prestigiosa moto inglese che a quell’epoca possedevano con orgoglio anche il gommista Reggiani, Claudio Caffagni e Gian Battista Paltrinieri; le discussioni teoriche e le pretattiche durarono parecchio tempo: nessuno voleva perdere.
Punto sul vivo, Millo intuì la soluzione giusta: fece aumentare da Graziano Forghieri i getti dei carburatori da 110 a 130; vennero tolti i cappellotti finali delle quattro marmitte; la mòoto l a bviiva e l a respirèeva mèi (la moto respirava e beveva molto meglio) e si ottenne un deciso miglioramento delle prestazioni.
La potenza e la ripresa aumentarono, ma fu necessario indurire le molle della frizione perché slittava sotto sforzo
Finalmente una sera in via Peruzzi si trovò l’accordo per un garino con Petruziello e Millo riuscì a prevalere! Ma lo sconfitto non era convito e chiese una seconda prova; a questo punto Millo gli rispose spezzante: “ Paganini non Vipete!
Il celebre violinista Nicolò Paganini, che rifiutò nel 1818 al Re di Sardegna Carlo Felice la ripetizione di un suo brano appena eseguito magistralmente, in quando, improvvisando con grande estro, ogni sua esibizione era irripetibile
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Molto curioso anche l’episodio con la moto della zio Carlo.
Carlo, fratello di suo padre Luciano, era un uomo molto tranquillo, dedito metodicamente alle sue incombenze quotidiane legate alla campagna. Ogni giorno andava nel suo fondo per adempiere alle azioni necessarie alla cura delle sue proprietà.
Tutte le mattine, durante la bella stagione, tirava fuori dal portone di via Matteotti il suo Moto Guzzi Stornello, attrezzato di parabriSa, paragambe (d’inverno), portaborse, borse, portapacchi ed elasticoni.
Forse lo Stornello era la moto più tranquilla del mondo, guidata dalla persona apparentemente più tranquilla del mondo.
1977 ca Carlo Cerretti sulla sua Moto Guzzi Stornello
Con un gilè scuro senza maniche, partiva con molta calma, adoperando una mano sola, quella sulla manopola del gas; l’altro braccio, inerte e stancamente a penzoloni, portato un poco dietro la schiena, seguiva l’effetto dolce dell’accelerazione. La prima marcia era come quella delle vecchie corriere di Valenti di una volta, serviva solo a fare i primi tre metri, e poi, in rapida successione, metteva le altre marce col pedale, non usando nemmeno la frizione, senza grattare grazie al bassissimo regime del motore.
L’andamento lento accarezzava e coltivava la morchia e le incrostazioni interne all’apparato motore, che, a forza di sedimentazioni stratificate, a un certo punto rischiava l’auto soffocamento.
Millo fece notare la cosa allo zio: “ Bisgnarèev deregh na tiradèina!” (bisognerebbe darle una tiratina! per pulire il motore.)
Dopo qualche insistenza, lo zio si arrese e gli affidò un po’ riluttante il suo prezioso mezzo. Millo non se lo fece dire due volte. Partì immediatamente a gaaS arbaltèe (con la manopola del gas aperta) e tirando le marce a più non posso.
La povera moto vide cose con non aveva mai visto prima.
Dopo un giretto di vari minuti, il motore era rovente, il collettore aveva perso la cromatura ed era diventato nero / violaceo. Lo zio aspettava il nipote con impazienza e preoccupazione e a un certo punto lo vide apparire in piena piega corsaiola, mentre affronta in pieno la curva a 90° di Via Mazzini / Via Matteotti.
La scena fu indimenticabile e di grande effetto con la marmitta che sfalistrava (sputava scintille) ed emetteva fuoco e fiamme.
Lo zio aveva gli occhi fuori dalla testa.
Ricostruzione della scena
Ma il motore girava allegro e rotondo, finalmente libero dalle incrostazioni del passato.
La “cura” di Millo aveva funzionato e come testimonia, ancora oggi,  orgoglioso “il riparatore” … la moto l’è andèeda come n arlòoi per èter sinch ann (la moto è andata come un orologio per altri cinque anni).
1996 In questa bella foto di Beppe Lopetrone, Millo è colto seduto in “Dogana”, davanti a casa sua, in Via Matteotti, con in mano la Settimana Enigmistica
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Piccolo siparietto.
Siamo ne1994 nel mezzo di un periodo un po’ movimentato della mia vita relazionale.
Per commentare la mia “attività” all’epoca effettivamente un po’ vivace, Millo davanti al Bar Teatro pronunciò questa mitica frase:
"… Na vòolta a gh eVa GianMavco Lansalott e FVanco Benaati ... adèesa a gh è D'OVazi ... ma peV mè l a n aVmàagn nisùun!!!"
Mentre con una smorfia di disgusto esprimeva questo sentenza lapidaria e senza appello, stava fumando il sigaro e alla fine della frase lo lanciò via con un "cricco" in modo sprezzante.
Una scena imitata e riproposta 1.000 volte da Martinez Ragno Martinelli.
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