Prima stesura 4-2-2012 V16
del 09-12-2017
Maria Cazzetta, Fra’ Cazzo da Velletri, Cacini, ecc
Grandi nullità mitiche
di Mauro D'Orazi
Voglio concludere i capitoli sulle misure del valore
delle persone e del contare poco o nulla con alcune figure retoriche; i loro
nomi pronunciati ed evocati nel discorrere per indicare particolari situazioni
dove c’è la presenza o si discorre di personaggi che pur di misero rilievo,
tuttavia vogliono apparire, emergere… cóome
l òoli bòun.
Alcune di esse sono tipiche del Lazio, regione di
origine di mio padre, ma trovano riscontro anche in Emilia Romagna. A Carpi
sostanzialmente non sono usate, ma spesso sentire al cinema o in TV, tanto da
diventare ugualmente conosciute e familiari.
Spazierò fra i due dialetti regionali per
approfondire queste tematiche che trovo spassose.
**
Per cominciare cito il grande Luigi Lepri che nel
numero di Repubblica del 3 marzo 2012 nella sua bella e divertente
rubrica di dialetto bolognese “DÌ BÈIN
SU FANTÈSMA!” così scriveva:
“Camminare o guidare
Per definire in dialetto un affare poco vantaggioso
c'è l'espressione - L é l
intarès ed Cazàtt (è l’interesse di
Cazzetto). Sull’origine di questo soprannome si racconta di un tale che demolì
la casa per guadagnare vendendo macerie, oppure vuotò ettolitri di vino nelle
fogne per vendere le botti che in quel periodo avevano prezzi alti. Nonno Iusfén, riferendosi a chi non vuole
una più ampia pedonalizzazione del centro storico, ha usato così il modo di
dire: Srèl Cazàtt ch’al vôl andèr in mâchina?
(sarà Cazzetto a volere andare in auto?). Luigi Lepri”
Leggendo
queste simpatiche righe ho pensato alla frase - L è l'interès èd Casètt! – che è riferita a uno sprovveduto che si prese questo soprannome
per aver fatto con convinzione cose estremamente sciocche e non conveniente.
Oppure si indica un imbecille Signor Nessuno che vuol dire a tutti i costi la
sua in una certa circostanza o questione: "A srà Casètt a vléer fèer un sèert lavòor!”
Mi
è anche subito venuto in mente un detto che diceva sempre mio padre (che veniva
dalla provincia di Viterbo):”fare i guadagni di Maria Cazzetta", nello
stesso identico significato menzionato da Lepri.
Chissà
da dove deriva questo curioso modo di dire, che, in presenza di bambini, mio
padre edulcorava in "Maria Calzetta".
**
Li guadaggni de Maria
Cazzetta (in
romanesco)
Maria
Cazzetta è un personaggio ipotetico e simbolico, il cui nome dispregiativo è un
eloquente segno di scherno; l'espressione viene usata per bollare un affare
solo in apparenza vantaggioso, ma che in realtà non lo è affatto. Ad esempio, quando
per risparmiare si acquista un'automobile usata, ma poi con le riparazioni di
cui necessita viene a costare quasi quanto un'auto nuova senza averne comunque
il valore.
Infatti…
“La roba vecchia resta sempre in mano ai fessi!”, altro proverbio di mio padre.
In
genere si usa commentare con la forma esclamativa: che bbèr guadaggno (oppure al plurale che bbèi guadaggni) de Maria
Cazzetta!
Ma
abbiamo anche "Maria Cazzit" che era una tizia che costruiva violini,
per poi bruciarli e usare la cenere per lavare i panni, così come al nòster Minèela al brusèeva i travètt per
vèender la sèendra.
*
Maria Cazzit comprava a 100 lire e rivendeva a 50!
*
Chi arde li mobbili pÈ fa' er carbone, fa
li guadagni dde Maria Cazzetta!!
* Il guadambio de Maria
Cazzetta... va a fa' la legna e se perde l'accetta.
In
ogni caso un antico e saggio proverbio ebraico diceva e dice: “Dove non c'è
guadagno la remissione è certa!”
**
Esiste
anche una variante bolognese, che ha anche una certa eco nel modenese.
CAZÀTT (Cazzetto) -personaggio di fantasia
Fèr l intarès ed Cazàtt. (Fare l’affare che fece Cazzetto); dicesi
di una speculazione che si è risolta in una perdita.
Il nome Cazzetto è già di per sé
significativo di minchione; se poi si aggiunge che questo tipo, a quanto si
dice, si evirò per fare dispetto alla moglie...
Altre azioni balorde che vengono
imputate a quel babbeo di Cazàtt:
- al
tré żå i mûr dla cà par vànnder äl mazêri (demolì la casa per vendere le
macerie);
- al
dèva dåu pîguer naigri pr ónna bianca (Scambiava due pecore nere per una
bianca);
- al
vudé al vén int la ciâvga par vànnder la bått (Vuotò il vino nella fogna
per vendere la botte).
***
Un
altro detto che mi ha sempre colpito e fatto sorridere è riferito a " Fra’
Cazzo l'abate" o " Fra’ Cazzo da Velletri"
Velletri
è una cittadina dei Castelli Romani piuttosto famosa per aver dato i natali a
questo tanto citato quanto ignoto frate Cazzo. Un nome piuttosto impegnativo,
che ha meritato al religioso una gloria imperitura.
Anche
qui siamo di fronte a un personaggio misterioso, ma simbolico. Il suo nome
viene pronunciato per mandare al diavolo uno e per enunciare un'infima
considerazione di una persona schiocca e contaballe.
È
un modo di dire. Tipo al citofono tu domandi: "Chi è?" e l'altro, che
dovrebbe essere conosciutissimo dall'interlocutore... ti risponde scocciato:
"Fraccazzo da Velletri!"
I
romani usano Fra' Càzzo da Velletri come risposta quando ritengono sciocca la
domanda dell'interlocutore.
D:
“E poi chi ha cambiato la ruota della macchina?”
R:
Fra' Càzzo da Velletri (chi altri vuoi che abbia cambiato la ruota della
macchina? Io, naturalmente!).
Per
indicare il giungere di persona sbruffona, si può dire: “È arivato Fra’ Cacchio
/ Fra’ Cazzo da Velletri!”:
Anche
in questo caso la frase può attenuare a piacere in "fra Cavolo
l'abate" * o "fra Cassio da Velletri" o "Frattazzo".
***
Fra’
Cazzo da Velletri è comunque una tipica figura immaginaria, conosciuta soprattutto
nella provincia laziale ove si narrano storie e racconti bizzarri ed astratti.
Nonostante
siano stati fatti studi e ricerche sulle origini di tale metafora, non si hanno
riscontri tangibili sulla reale provenienza. Resta quindi pressoché oscura la sua
vera origine.
Questa
figura così spesso ben rappresentata è divenuta oggi una sorta di iconografia
mitologica al pari degli elfi dell’unicorno, del minotauro o del ciclope, ma a
differenza di essi Fra’ Cazzo da Velletri (comunemente conosciuto perché sparatore
fandonie) non è impresso come immagine fisica o determinata. Infatti esso
assume di volta in volta forme e profili diversi, esso è cangiante,
camaleontico e può assumere i volti di chiunque, e chiunque può diventare di
colpo Fra’ Cazzo da Velletri; la mutazione è repentina e indolore, ma allo
stesso tempo mortificante. Infatti, una volta battezzati e divenuti Fra’ Cazzo
da Velletri è molto difficile poter cambiare stato e considerazione presso
altri.
Ma
come si diventa Fra’ Cazzo da Velletri? La metamorfosi è davvero semplice,
basta spararla grossa, è infatti sufficiente dire e o raccontare balle
gigantesche, come al ciavadaari
Silvio nazionale, o il suo figlioccio RenSi,
o come al ciacaròun Grillo. Si dicono
le più grosse che vengono in mente con viso franco e serio, anche ammantato da
un leggero sorriso ammiccante (del tipo “Tranquilli! Ci penso io!”). È
importante raccontarle però a più persone possibili e così facendo si arriva al
momento allegorico.
Il
problema per il tapino è che una volta guadagnata questa identità, si diventa
lo zimbello della comunità in cui si staziona, ma poco male, perché chi lo è…
non se ne accorge e seguiterà nei suoi sproloqui e figurette.
Chi
invece è in perfetta malafede, non se ne curerà minimamente.
**
Altre
tesi su Fra’ Cassio da Velletri
C’è
chi lo indica come personaggio mitico leggendario, frate che godeva fama di
guaritore.
La
principale leggenda racconta che Messer Nuccio Tornabuoi, essendosi invaghito
di Lisa, moglie del gonfaloniere di giustizia di Firenze Lapo dei Pazzi,
scommette che riuscirà a conquistarla. Per realizzare il sogno, sparge la voce
che Fra’ Cassio da Velletri è capace di mettere in fuga il demone della
lussuria dal corpo della donna. Quindi, fattosi passare per il santo frate,
circuisce la donna, e per curarla bene dice che ci vorrà parecchio tempo. La fa
sua per un anno intero, anche con la complicità di Lisa e con spese cospicue di
Lapo.
Viceversa,
nella leggenda otto/novecentesca del centro Lazio, Fra’ Cassio è un personaggio
non meglio definito, si cita di solito quando (come prima ricordato) qualcuno
ti chiede "Ma chi è?" e la risposta è scontata: "Fraccazzo da
Velletri !!"
In
verità pare fosse realmente un buon religioso, chitarrista ed organista nella
Roma del 1920.
**
Altre espressioni tipiche e molto diffuse a Roma (ma non esclusivamente) sono:
cazzàro (persona poco attendibile che tende ad amplificare narrativamente
la realtà; in politica ad es. RenSi);
cazzòne (individuo poco affidabile, propenso a giocare e scherzare anche
in consti poco opportuni, spesso poco sveglio dal punto di vista intellettivo);
rompicàzzo (persona molesta --> nun m'hai da rompe er càzzo);
cagacazzo (persona ancor più molesta,
che sempre godere nel creare problemi – di
rampèin - alla gente, anche per cose di minima importanza).
Le ultime tre si usano comunemente anche a Carpi
Frequentemente queste espressioni sono precedute
dal vocativo
'a ('a cazzaro! 'a cazzone!
'a rompicazzo). In questi casi è obbligatorio alzare il tono
della voce e allungare la vocale finale: 'a cazzarooooooooo!
Quando la frase inizia con 'a (ad esempio: 'a
fijodenamignottaaaaaaaa!) il vero romano deve poggiare la mano di taglio sulla guancia, o con il
palmo rivolto verso l'esterno (come nella foto qui sopra) o con il dorso
della mano controlaterale accanto alle labbra. Non fate l'errore di pensare che
questo serva per amplificare il suono: tale gesto va eseguito anche quando
l'interlocutore si trova a 5
centimetri da voi.
vedi
http://inwonderchat.blogspot.it/2012/03/il-vero-significato-di-sticazzi-e-di.html
***
Degni
di nota sono anche a Carpi: Bacuss, Brèega,
Pigone da Fossoli e Cacini che si sentono, anche da noi.
Bacùss
Espressione interessante, e diffusa in vaste zone, è quella... “
A sòmm in maan a Bacùss!” nel senso che si è in mano una persona
totalmente inaffidabile e certamente NON sobria. Chi è questo Bacùss
? Per me non ci sono dubbi: la derivazione è addirittura quasi bimillenaria e
non è altro che il dio Bacco delle libagioni e dei culti misterici dionisiaci
greci e romani.
Rimanendo sullo scherzo qualcuno aggiunge:
“Bacùss l èera al
fióol èd (S)Cocùss ch al se schisèeva i maròrun tramèeṡ a l uss!”… che
si schiacciava i gioielli in mezzo all’uscio.
Pigòun
da Fòosel
(Pigone da Fossoli)
Dovete
sapere che questo Pigone era persona famosissima, straordinariamente conosciuta
a livello mondiale e nella barzelletta che si racconta (che può essere tenuta
lunga a piacere e ad abilità del narratore) viene messo a confronto con
celebrità mondiali, che appaiono quasi degli sconosciuti di fianco a lui.
Finché si arriva all’acme della storiella, quando durante la visita ufficiale
di una primaria autorità religiosa a Fossoli, due, fra il foltissimo presente,
hanno questo dialogo:” Mò chi èel cl
umèin vistìi èd biaanch da tèes a Pigòun?” (Ma chi è quell’omino vestito di
bianco vicino a Pigone?)
Tralascio la risposta...
Brèega
Brèega è un personaggio dell'immaginario
romanesco, citato sempre come persona inesistente, come a dire "il signor
Nessuno", quando qualcuno omette di fare fede ad un impegno preso, o di
restituire qualcosa di dovuto, ecc…
Un
esempio fugherà ogni dubbio circa l'uso dell'espressione. Prendete un taxi e,
una volta giunti a destinazione, avvisate l'autista che avete dimenticato il
portafogli a casa: la sua legittima reazione potrebbe essere: “E mmò cchi mme paga, Brèega?” cioè "E ora chi mi paga? il signor
Nessuno ?”
Da
noi a Carpi, questo personaggio non poteva mancare nella nota storiella
divenuta anche un modo dire:
"Iit tè Brèega ?" “No! A sun al sòo garsòun!".
(Sei
tu Braga? – No! Sono il suo garzone!)
La
moglie del fornaio stava impastando, leggermente piegata in avanti e con il
culone in evidenza; il garzone arriva e glielo appoggia dietro senza tanti
complimenti. La donna dissimula in perfetta e interessata malafede di credere
che si tratti del marito Brèega.
La
frase si dice quando un fatto è di palmare evidenza, ma si finge a bella
apposta di non capire la situazione.
Cacìini
Mò chi ìit? Cacìini? Ma chi sei Cacini?
Ancor
meno:
Mò chi ìit? Al fióol èd Cacìini?
Ma chi sei? Il figlio di Cacini?
"Cacini"
è un'altra figura immaginaria, nata molto più recentemente di Brèega, citata stavolta ironicamente come
personaggio potentissimo e di grande abilità o forza.
Di
fronte a qualcuno che millanta o effettivamente porta a termine qualcosa di
grandioso, un'impresa che parrebbe impossibile, i commenti a Roma (spesso un
po' invidiosi) potrebbero essere: "E
cchi ssei? Cacini?", oppure "Ahò,
è arivato Cacini!", e così via, come dire "È arrivato
Superman".
Può
essere quindi riferito ad una terza persona ("Chi ssarà mmai? Cacini?", ecc…), ma non è mai utilizzato al
plurale.
Si
usava molto anche a Carpi, ma la frase oggi è datata e un po’ in disuso.
L’origine
del nome dovrebe essere questa:
Gustavo Cacini, attore di varietà, (Roma, 31 dicembre
1890 – Nettuno, 31 dicembre 1969) celebre per le battute in botta e risposta
con la platea.
Sbruffone,
pieno di sé e veloce nella battuta greve: così si presentava al pubblico ben
poco raffinato dei teatrini sporchi e fumosi della Roma di inizio secolo.
Era
un vero e proprio “bullo”, un comico che, per lavoro, esercizio e indole era
tra i pochi in grado di resistere a feroci attacchi degli spettatori, che al
tempo non risparmiavano insulti e provocazioni pesantissime.
Agli
inizi del Novecento fu un esponente di quelle forme di spettacolo che un tempo
si soleva definire come teatro minore, etichetta che identificava il teatro di
varietà, la rivista, l'avanspettacolo, ma anche le entrées dei clown nel circo.
Di
corporatura esile ed aspetto smunto, strabico e gibboso, si presentava in scena
con un lungo frac e calzoni che non gli arrivavano alle caviglie, sotto i quali
spuntavano scarpe di una misura spropositatamente grande. Il costume ridicolo
ben si accompagnava allo sgraziato vocione che possedeva.
La
sua caratteristica era quella di provocare la platea con un atteggiamento da
sbruffone, con le battute pesanti ed i doppi sensi. E d'altra parte il pubblico
a sua volta era solito "interagire" in modo non leggero con gli
attori di avanspettacolo, con duelli coloriti. Da qui la battuta entrata nel
parlare comune a Roma e non solo “Ma chi sei, Cacini?”, con riferimento alle
arie da bullo che l'attore assumeva in teatro, spacciandosi come il vero erede
di Primo Carnera.
Era
famoso anche per le sue canzonette sboccate, dove faceva grande uso di doppi
sensi ("O che frutto saporito è la banana, o che frutto delizioso è la
banana, la banana fa ingrassar"). Probabilmente fu proprio Cacini, in uno
dei suoi insuccessi, a meritarsi quel lancio di un gatto morto dalla platea
(probabilmente al teatro Trianon) poi ripreso da Federico Fellini nel film
Roma. Il lancio fu accompagnato da una voce anonima che, nel buio, gridò:
“Bècchete ‘sta gattata!”, tra l’ilarità del pubblico presente.
Cacini
non si perse d’animo e, chiedendo di illuminare la sala, raccolse il gatto
morto e, tenendolo in grembo, lo accarezzò rivolgendosi al pubblico della
galleria dicendo: “Pòra bestia… Ma nun
era mejio che de sotto te ce buttavi te?”
E, dopo una pausa “teatrale”, al culmine del pathos, aggiunse: “E dopo va’ a da’ torto ar vicinato, che fa
tutte quelle chiacchiere su tu’ madre!” Il teatro venne giù in un applauso,
decretando il trionfo del comico sull’anonimo lanciatore di gatti.
Nel
1926 calcò il palco del cinema teatro "La Fenice" di Roma e tra il
1927 e il 1928 presenziò più volte al Teatro Jovinelli. Altre sue ribalte
furono il Teatro Volturno, oggi non più esistente e il Morgana. Apparve l'ultima volta nel 1945
al Quattro Fontane interpretando il suo personaggio tragicomico nella rivista
«Soffia so...» di Garinei e Giovannini accanto alla grande Anna Magnani.
Alberto
Sordi ne parlò come del comico nero e lungo che pareva una penna stilografica:
mentre la platea lo bersagliava inferocita, perché non si divertiva per niente,
lui imperterrito continuava a ripetere: «Strillate, strillate, l'importante è
che si parli di me»...."
Era
solito concludere le sue smargiassate dicendo: "L'ho prese sì, ma quante
gliene ho dette!".
Si
disse che ottenne un cospicuo riconoscimento in tribunale per il ritornello
fascista “Faccetta nera, bell'abissina...” che era stato plagiato dalla sua “La
vita è comica presa sul serio, perciò prendiamola come la va…”
**
Mauro
D'Orazi
giustamente
l'amico scrittore Parmeggiani circa Maria Cazzetta mi fa notare l'appartenenza
di Bologna allo stato della Chiesa con possibili importazioni di detti
ecco
il testo del 9-3-2012
Caro Mauro,
tenendo
conto che in passato Bologna era una capitale dello stato pontificio e Viterbo
(con il centro Italia) era sotto la sua dominazione, Cazzett o Cazzetta forse
hanno origine da un modo di dire comune a quella storica area geografica,
presumibilmente romanesco.
Oltre
a Cacini che penso fosse un impareggiabile giocatore di carambola, ti ricordo
pure il detto:
"T en n i mia Fagìin o Mìcca!..." (espressione
che ancora si sentiva pronunciare nelle bocciofile della nostra zona, fino a
qualche decennio fa, verso giocatori che sbagliavano il punto o la bocciata,
essendo Fagìin (forse Faggini) e
Micca, due leggendari giocatori bocce, credo toscani. Saluti Carlo Alberto
Parmeggiani
**
9-3-2012 Luigi Lepri di Bologna (del DÌ BÈIN SU FANTÈSMA!):
Caro
Mauro,
risulta
anche a me che, come confermi, questo personaggio immaginario si Cazètt sia presente, con varie
derivazioni, anche in molti altri dialetti italiani dalla Lombardia, fino al
Lazio e forse anche più a sud.
Ovviamente
esistono tante varianti con cambi di genere e con aggiunta di nomi di
battesimo,ma la base di partenza è sempre costituita dall'identica radice cazz-
come per l'immaginario e noto "religioso fasullo" Fra' Cazzo da
Velletri.
Non
mi preoccuperei più di tanto del "da dove deriva", anche se mi pare
chiara l'origine da "cazzo" come per altri simili (testa di cazzo,
cazzone, cazzaccio, ecc.) usati in senso dispregiativo e per indicare soggetti
dalle varie caratteristiche negative.
Quindi,
volendo, credo che per l'etimo si debba cercare nella famiglia di
"cazzo" (caput?). Brega e
Cacini sono sconosciuti a Bologna, mentre Zega è presente in provincia (es.
Budrio).
Cari
saluti - Gigén Lìvra
*
9-3-2012 Graziano Malagoli (coautore del ns
dizionario di dialetto carpigiano):
Caro
Mauro,
una
lezione molto istruttiva!
Di
questo frate di Velletri ho già sentito parlare dai mio cognato romano de Roma. Quanto a Cacini, ti
assicuro che a Carpi è ben conosciuto e non di rado usato. Saluti Graziano
Malagoli.
Per chi non sa presto parla...........
RispondiEliminaNON TUTTI SANNO CHE I FRA' CASSIO
DA VELLETRI IN VERITA' SONO 2
Nella leggenda del centro Lazio, Fra’ Cassio è un personaggio
non meglio definito, si cita di solito quando qualcuno ti chiede
"Ma chi è?" e la risposta è scontata: "Fraccaxxo da Velletri !!"
In verità, il primo è un buon religioso, organista vaticano,
chitarrista e compositore nella Roma del 1920.
In FOTO due delle sue varie composizioni.
(Peccato che qui non vengono prese).....
Intorno al 1700 sarebbe vissuto un altro Fra' Casso (senza la "i") e che non fosse un religioso, ma uno studioso di erbe medicamentose, curava malati di gotta, di bile, dolori intestinali, cicatrizzava piccole ferite da combattimento ed aiutava le spose ad avere la maternità.
(Qui il film di Romano Gastaldi del 1973 ci ha giocato parecchio).
Gli antagonisti per disprezzare le sue doti di uomo giusto
iniziarono a manipolare il senso: "E chi sei Fraccasso da Velletri".
Viene ricordato come l'inventore delle pillole perché
somministrava le sue erbe inserendole in palline di farina e miele.
Le odierne "Palle di Fra' Casso" ricordano il suo motto: "L'erba giusta al momento giusto."
Queste moderne Palle ora manipolate sono di buon cioccolato ripiene di varie leccornìe, come: liquori, caffè, ciliegie, uva passa, nocciole, fichi secchi, ecc.
I moderni Baci, i Boeri o altri cioccolatini ripieni sono quindi i bis-pronipoti delle famose Palle di Fra' Casso.
Gestore del gruppo Facebook di Velletri "VOLSCOZOOM"