Niente statue, siamo carpigiani !
(Gnìita statui, a sòmm carpṡàan !)
revisione V20 del 18-11-2014
Pubblicato su La Voce
marzo 2008
Caro Direttore (Florio Magnanini
di Voce),
quando fu inaugurata la statua metallica alla
Resistenza di fronte al cimitero, andai subito a vedere il catorcio arrugginito
costato, si dice, allora ben 140 milioni di lire; il prezzo eccessivo,
l’evidente bruttezza, il messaggio incomprensibile della sua significanza, le
facce sorprese e perplesse dei resistenti e dei loro discendenti col cappello
calcato in testa erano palesi, ma … c’erano i sacri principi da celebrare e
rispettare; nessuno, al di là di qualche sordo e impercettibile mugugno, disse
nulla; ora il manufatto giace non capito, pressoché ignorato e dimenticato.
Ancor prima, anche il “povero” Manfredo Fanti con la sua faccia, e
qualche altro attributo, di bronzo, fu alla prima occasione smarrito (voce
dialettale che sta per mandato via) dalla nostra piazza per nostra fortuna.
Luogo che aveva invaso con intemerata equina protervia, grazie alla civica e
incontenibile spinta dei mai sopiti valori risorgimentali; il generale, con
piedestallo e cavallone, venne elegantemente dirottato e abbandonato nel parco
fuori le mura a Porta Mantova: … stà mò
lè !
Già da allora, negli anni ’30, prendeva forma un misterioso assioma
presente nel DNA del carpigiano: un principio che poi verrà istituzionalizzato
definitivamente negli anni ’80: la Grande Piazza deve, per lo più e per quanto possibile,
rimanere vuota e deserta: ogni utilizzo, nell’inconscio più profondo e latente
dell’indigeno, pare offensivo come fosse un atto di lesa maestà a questa grande
superficie che arriva a identificarsi e sovrapporsi col carattere della nostra
città e dei suoi abitanti.
La statua della bella fanciulla Flora, certamente più affascinante del
generale, che ammiccava con morbide e liquide suadenze femminili nella
Piazzetta delle Erbe non ebbe, in tempi più recenti, sorte migliore; fu
anch’essa deportata per barbaro ordine del sindaco Cigarini, con atto
improvviso e proditorio (degno del Ratto delle Sabine) stavolta fuori Porta
Modena, fra le proteste e le petizioni, per un mai riottenuto ritorno, del
commediografo carpigiano Vittorio Salati.
La regola del “fuori porta”, cioè in altre parole … “Sì ! Ma fuori dal
Centro Storico !” … trova poi definitiva applicazione negli anni ‘80/’90 con la
sistemazione dei busti di Salvo D’Acquisto e del Bersagliere Italiano … dove ?
Ma naturalmente a Porta Barriera, vicino alla stazione dei treni, dove sorgeva
l’ultima delle tre porte abbattute.
Poi, a cadenze periodiche, si alza qualche voce di chi vorrebbe
spostate le steli del Mausoleo al Deportato nella più confacente e opportuna
collocazione del Campo di Fossoli, nel disperato tentativo di far loro
abbandonare l’incongruo ambito rinascimentale di Palazzo dei Pio; stridore che
appare ancor più evidente oggi, dopo il bellissimo lavoro di ristrutturazione
appena effettuato sul Palazzo.
Per non parlare poi di una costruenda statua dedicata a un tale nato a
Correggio, Dorando Pietri, uno che ha perso una corsa tanti anni fa; manufatto
di cui, detta proprio con il cuore, non si sente una gran necessità, anche
nell’ambito di un pirotecnico centenario rievocativo che piace solo a chi ha le
mani in pasta.
A Carpi tira dunque una brutta aria per statue e simili. Sembra quasi
sussista una damnatio loci, una maledizione nei loro confronti.
È la vicenda tragicomica delle Statue di Severi ne è l’ulteriore
testimonianza.
Sono anni che pochi continuano a parlare e straparlare di queste
opere, mentre ai più (ovvero alla stragrande maggioranza dei cittadini
carpigiani) non interessano assolutamente nulla e questo nel modo più totale e
completo. Secondo i pochi le Statue di Severi avrebbero effetti
addirittura terapeutici, taumaturgici, risollevanti, effervescenti,
ricostituenti, stimolanti, corroboranti, tonificanti, ecc … per il Centro
Storico di Carpi, che pare non rivitalizzarsi nonostante il nuovo intelligente
piano parcheggi, e a ricaduta, come ovvio, per la città tutta. Pensate che
potere teurgico e salvifico hanno queste statue: qualcuna potrebbe emettere
pure qualche lacrima o gocciolina di sangue.
Se si fosse trattato di statue del Canova o di una collezione di quadri
di Raffaello, Botticelli, Allegri o, per avvicinarci ai nostri tempi, di
Modigliani, Morandi o Picasso ... certamente i visitatori non sarebbero potuti mancare,
ma per vedere sublimi simulacri tridimensionali, riservati alla raffinata
comprensione e alla sottile sensibilità artistica (e scriviamolo una buona
volta !!!) di un esiguo numero di eletti, è proprio difficile immaginare, anche
con la migliore buona volontà e con la più fervida fantasia, file interminabili
di turisti che sgomitano e spingono per venire a Carpi.
Eppure sono ormai anni che se ne parla, se ne parla, se ne parla … di
queste benedette statue; una messinscena con una trama sfilacciata e confusa, a
tratti involontariamente comica, senza trascurare variopinte venature
misticamente ispirate e artatamente drammatiche: chi fa finta di capire, chi di
non capire, chi fa bolle di sapone, chi si erge indignato, chi si dissolve
guardingo, chi recita a soggetto, chi gioca a ping pong, chi pratica auto
erotismo a basso costo, chi inanella eleganti giri di valzer.
Ma i risultati per il momento sono solo due:
1) il neo Principe della Fondazione si sta divertendo come un matto,
sapendo molto bene di non esserlo e di avere lucidissimi disegni;
2) i pochi carpigiani, che seguono sbadigliando la vicenda, hanno ormai
i “cosiddetti” della dimensione e del materiale al pari di quelli
carpigianamente arci-famosi del gen Fanti, a cui più sopra, col dovuto patrio e
civico rispetto, si accennava.
Carpi, 22 marzo 2008
Mauro D’Orazi
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