giovedì 6 settembre 2012

Il Principato di Carpi e il Ducato di Modena - 2008 Martinelli & D'Orazi


Il Principato di Carpi e il Ducato di Modena

Pubblicato su Voce di Carpi 11-12-2008

Nel giugno ‘98  venne a Carpi Gianni Agnelli, invitato ad un convegno dal futuro successore Luca Cordero di Montezemolo, ai tempi Presidente della Confindustria di Modena.
Il Teatro Comunale, da poco restaurato, risplendeva orgoglioso dei morbidi e opachi riflessi dell’oro antico che adorna e impreziosisce il suo interno; una cornice d’antan rievocativa di un’epoca appena post risorgimentale (1861) che aveva sancito l’annessione del territorio estense al nuovo Stato unitario, manu militari e plebiscitaria, e il conseguente virtuale affrancamento, però, del Principato di Carpi dal Ducato di Modena.
Il teatro era colmo di tutta la gente elegante e vip di Carpi e Modena.
Davanti a quella folla, in religiosa attesa del Verbo, l’Avvocato servì, comme entrée, una delle sue battutine, che nascondevano in realtà acuminate e impietose sentenze.
Disse, con divertita noncuranza, guardandosi intorno:
“Non sapevo che CaVpi fosse la Capitale di Modena !”.
Un gelo sottile scese sulla platea, composta più da modenesi che altri.
Le ascelle di quelle camicie incravattate si bagnarono di freddo sudore e non certo per il clima afoso.
Nascosto nel buio di un palco di terza fila, nella mia qualità di intrufolato, non potendo trattenere il riso, implosi in uno sghignazzo.
Da altri palchi qua e là si udirono altre risate e qualche applauso, resi ancor più sonori dal ghiaccio della platea.
Ai Modenesi quel gelido aperitivo si bloccò nello stomaco, prima di tramutarsi in un mal di pancia, quasi acuto.
Gianni Agnelli, per storia personale, carisma e intelligenza rappresentava perfettamente la figura del Principe di Macchiavelli. Un uomo libero di dire ciò che pensava, con sapiente gusto di un mirato e soffice cinismo.
Non aveva quindi alcun motivo di arruffianarsi quel popolo di feudatari e vassalli, che attendeva diligente e ossequioso lo svolgersi ordinato di un palinsesto concordato e piatto.
Quindi, resosi conto del disagio provocato, l’Avvocato attaccò a parlare della situazione economica, quasi a voler somministrare un antispastico a quei poveri pazienti sofferenti.
La tensione si allentò e la traspirazione cominciò lentamente a normalizzarsi.
Che grande istrione!
Ma l’Avvocato aveva messo, forse senza saperlo compiutamente, il dito dentro una piaga antica e mai sanata.
I modenesi hanno sempre pensato di considerare Carpi una loro frazione, come anche Sassuolo e Vignola.
A quei tempi era iniziata da la lenta e inesorabile china in basso dei carpigiani, considerati fino ad allora sorta dei danarosi e un po’ grezzotti milanesi del basso destra Po.
Durante e dopo il boom degli anni’60 tutto il vecchio era stato gettato per far posto al nuovo, con uno sviluppo vorticoso e disarmonico che fece perdere di vista la propria identità e le proprie tradizioni.
In certi bar si sentiva la battuta:” S te ‘ n gh è mia un milièerd …  te  n ì nisuun !…”: I “béesi “ (i soldi) valevano più di tutto il resto. Mutò così anche il concetto di dignità pur di avere la giusta Mercedes.
In piazza poteva così andare qualsiasi disonesto, senza più sentirsi apostrofare con la battuta: “Tròoia, péega i debìit !”che un tempo suonava come l’insulto peggiore all’onore di una persona.
Poi la cuccagna finì quando la maglieria entrò in forte difficoltà, a causa del passaggio di consegne generazionale, del mutamento del mercato e della storia.
Se uno sviluppo è troppo rapido, se la ricchezza giunge in mano a gente di scarsa cultura, quasi come sorta di vincita di una lotteria, è fatale che la risacca riporti in mare ciò che aveva lasciato sulla spiaggia la grande onda che l’aveva preceduta.
E così i soldi dei magliari erano finiti in approdi più mirati: in borsa e nella pietra.
Modena aveva capito che era il momento di tentare la riannessione e così, complici gli stessi imprenditori carpigiani, era iniziata a tutti i livelli un processo di fagocitosi, nel segno della globalizzazione e della razionalizzazione di costi ed energie.
L’AIA (Associazione Imprenditori Abbigliamento) era stata svenduta in Confindustria e persino nel pubblico, vedi l’Ospedale Ramazzini, era in atto il processo di accorpamento e spoliazione.
La stessa sede vescovile ad ogni vacanza, sembrava dovesse essere assorbita dall’arcidiocesi modenese; non ché tale mancanza mi allarmasse più di tanto.
I carpigiani facevano l’esame di maturità classica o tecnica a MO e poi andavano all’Università a MO, al cinema a MO, al ristorante a MO, a ballare a MO, al night a MO, allo stadio a MO, a far spesa alla Standa sotto il Portico del Collegio a MO.
Carpi pareva quasi una città dormitorio e il suo simbolo una desolante e immensa Piazza deserta; la città si era come svuotata, mentre iniziavano lentamente le invasioni barbariche dal Pakistan, dal Maghreb, dall’Albania e infine dalla Cina.
Anche qualche straniero più avveduto, già agli inizi degli anni ’90, diceva che a Carpi non c’era niente. E aveva ragione.
Io non so se i miei concittadini abbiano mai sentito questa minaccia alla loro identità.
Io sì, memore delle ripetute parole dei miei familiari che dicevano di non essere servitori del “Duca Pasarèin”, come invece i modenesi (definiti in modo tagliente e non certo benevolo “Zemiaan” da San Geminiamo, patrono della città) lo sono da sempre.
Io non mi sono mai sentito modenese di periferia, ma carpigiano con tutti i pregi e difetti.
I nostri idiomi celtici, sia pure assonanti, sono troppo diversi.

dic 2008   Mario (Emme) Martinelli & Mauro D’Orazi

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