Il prof. Ottorino SAVANI
Un Maestro
- Un Amico - Un Esempio
a cura
di Mauro D’Orazi
(testo del 1994 più volte revisionato
e ampliato - 28-09-2014 – v21)
Scrivere del nostro Professore, in un momento in cui
da pochissimo non è più tra di noi, è certamente difficile, anche se lo stimolo
a ricordare, a ricostruire nella mente cose del passato diventa ancora più
irresistibile.
Carpigiano,
quando lo vedemmo per la prima volta, ritornava a casa, da un lungo soggiorno
nella dotta Bologna, dove aveva insegnato con merito all'Istituto Magistrale
"Laura Bassi" dal 1950 al 1968.
Fu
appunto nell'ormai lontano ottobre di quell'anno che entrò nella nostra classe
(la II^ A) del Liceo Scientifico di Carpi ... e dritto dritto nella nostra
vita. Fummo la prima classe dell'istituto che il Professore portò fino alla
quinta, al fatidico esame di maturità. Eravamo una classe formata da studenti
delle più varie estrazioni sociali e familiari provenienti da Carpi e dai più
importanti comuni limitrofi. Una classe che non sarebbe mai stata molto unita,
come invece altre dello stesso periodo, ma che nel corso degli anni avrebbe poi
finalmente scoperto o riscoperto e apprezzato le singole personalità dei suoi
componenti, per stringerli assieme indissolubilmente per tutta la vita. Uniti,
ognuno con le proprie diversità, volenti o nolenti, da tante grandi e piccole
sensazioni e da punti fermi che sarebbero diventati sempre più evidenti e
indispensabili per capire il perché del nostro essere, del nostro modo di
pensare, delle nostre scelte di vita e di lavoro.
Uno
dei punti forti di questa strana unità è stato proprio il nostro Professore col
quale passammo gli ultimi quattro anni del corso.
Lo
avremmo imparato a conoscere ben presto come persona di vasta … immensa
cultura, ma di ancora più grande umanità, riservatezza e modestia.
Il
Professore non si era mai sposato e la sua vita è stata dedicata
all'insegnamento, alla conoscenza delle discipline classiche ed in
modo speciale e simbiotico alla musica. Il trascorrere del tempo, la consuetudine
quotidiana, crearono un rapporto speciale fra lui e i suoi studenti, un diverso
relazionarci che non è mai cessato, anche dopo il conseguimento del diploma.
Le
sue conoscenze e le sue capacità mnemoniche erano impressionanti: capacissimo
di sciorinare in un attimo una dozzina di date, con annessi fatti e riferimenti
relativi alla letteratura italiana o latina, scatenando in noi studenti grida e
veri e propri cori di ammirazione e stupore.
Era
evidente che non erano pure e sistematiche dimostrazioni di freddo nozionismo
(tanto vituperato a quei tempi), ma chiari segnali, punta di un iceberg, che
dimostravano l'esplicarsi di una vocazione a un'esistenza dedicata
all'approfondimento e alla prese di intimo possesso di quelle materie che
diventarono, assieme alla musica, aspetti fondamentali della sua ragione di
essere e di vita.
"Nessuno sfuggirà!!!" ripeteva
minaccioso all'indirizzo di alcuni incalliti renitenti a sottoporsi alle
interrogazioni su Dante o di letteratura latina; materie che, soprattutto alla fine
dei quadrimestri, portavano a un singolare fenomeno, che lui ironicamente
definiva e paragonava alla Sinfonia degli Addii. Egli faceva riferimento a una
singolare composizione di Haydn, che vedeva una lenta, silenziosa e programmata
uscita degli orchestrali dalla sala di esecuzione del brano, così come lo era
quella degli studenti dalla classe.
Ogni
tanto qualcuno di noi più impertinente chiedeva spiegazioni e particolari su
alcuni episodi della sua vita privata, di cui eravamo venuti a conoscenza per
vie traverse: la straordinaria laurea ottenuta col massimo dei voti e la lode
nel febbraio del 40, quasi un mese prima di compiere solo 21 anni; le prime
supplenze in quell'anno presso il liceo carpigiano; lo studio del pianoforte
con qualche esibizione giovanile (dopo la guerra e la prigionia non riprese più
gli studi musicali). La guerra che l'aveva visto tenente e poi prigioniero per
quasi due anni in Polonia e poi in Germania.
Fu
in quell’epoca, nel 1942, che, ricevuti ordini superiori perentori di fucilare
dei disgraziati prigionieri russi, riuscì a evitare di eseguire la drammatica
imposizione, a rischio della stessa vita. Il suo ufficiale superiore gli diede ordine perentorio di
passare per le armi tre soldati sovietici; egli si rifiutò e si mise poi seduto
su un ceppo di legno, a leggere brani della Divina Commedia, che, in mini
formato, si portava sempre dietro. Attendeva stoico e rassegnato le inevitabili
ripercussioni sulla sua testa della dura disciplina militare. Per sua fortuna, che quella volta non coincise
proprio con le sorti nazionali, quel giorno ci fu una violenta offensiva russa
e un repentino ripiegamento del fronte italiano nella sua zona operativa. C’era
altro di cui preoccuparsi. E tutto per fortuna fu dimenticato.
Per
i mesi di fronte di guadagnò una croce al merito. Il Professore in Russia si
ammalò di pleurite, fu rimpatriato e ricoverato a Vignola.
Dopo
la guarigione, il ten. Savani, fu inviato a Monaco di Baviera, perché aveva una
buona conoscenza del tedesco. Fu impiegato al comando di tappa, che era
frequentato in particolar modo dai marinai in transito degli equipaggi dei
sommergibili della Base Atlantica in Francia. Ebbe modo in quel periodo di
frequentare con estrema prudenza un professore universitario anti nazista.
Il
Professore, dopo l’armistizio, fu catturato il 9 settembre del 1943 a Monaco di
Baviera. A questo proposito in classe raccontò che lui era l'ufficiale
responsabile di un dislocamento di italiani e quando entrarono i nazisti per
farlo prigioniero, dopo il rifiuto di passare con loro, gli sequestrarono la
pistola d'ordinanza tenuta (notate lo spirito guerriero) nascosta in un
cassetto. Il Professore aggiunse con candore e con un espressione che ancora ben
ricordiamo che mai e poi mai e poi mai gli era balenata in testa l'idea di
utilizzare l'arma in dotazione!
Il
professore ebbe come compagno di prigionia il maestro elementare Enzo Righi; si
incontrano per puro caso in uno smistamento di prigionieri italiani a Cestocova in Polonia. Il M° Righi si sentì chiamare. “Enzo!
Enzo!”. E così da quel momento in rimasero sempre assieme, cosa davvero rara in
quanto i tedeschi, quando vedevano due ufficiali italiani legare in amicizia
per crudeltà provvedevano a dividerli subito. “Offizielle italienische, Scheiße!” urlavano i carcerieri.
I
due trassero dalla reciproca compagnia grande conforto in quei momenti
difficilissimi. Il maestro Righi ricorda che in quei due terribili anni il prof
Savani gli insegnò tantissime cose. Savani conosceva la lingua tedesca, cosa
che portò qualche vantaggio.
Erano
nella baracca n 18 del Campo di Concentramento di Beniaminowo in Polonia, ai
confini della Bielorussia. Con loro niente meno che il grande Giovannino
Guareschi poi famoso scrittore; in altre vicine baracche altri personaggi di
rilievo: il noto avvocato di Modena Odoardo Ascari, il futuro rettore della
Cattolica di Milano Giuseppe Lazzati, il celebre caricaturista umorista Giuseppe
Novello (capitano degli alpini, che aveva rotto l’assedio della sacca di Nikolajewka – 26-1-1943), il futuro segretario del PCI Alessandro Natta, il
filosofo esistenzialiste Enzo Paci, il tenente di vascello Giuseppe
Brignole, il primo a essere insignito nella 2^GM nel giugno-luglio del 1940 della medaglia
d'oro al Valor Militare, ecc…
Nella baracca 18 il capitano degli alpini Giuseppe Novello
dormiva nel castello in legno sopra Guareschi; entrambi monarchi, alla mattina
canticchiavano l’Inno Reale e facevano l’alza bandiera utilizzando una
banconota che portava l’effigie del Re.
Per
vincere la depressione, la noia, ma soprattutto la gran fame e il freddo
intenso (anche meno venti), si organizzavano conferenze a livello universitario
su i più svariati temi.
Guareschi
nel suo libro postumo “Il grande diario” che tratta del periodo di prigionia, a
pagina 340 si legge: “Domenica 27 febbraio 1944 – tempo grigio … Morte del
padre di Savani (lo ha saputo dopo tre mesi).”
A
Sandbostel furono internati anche tecnici, radiotecnici e chimici, che
riuscirono a nascondere, riparare, e in alcuni casi realizzare radioricevitori
di fortuna per poter seguire l'esito della guerra e informare gli sfortunati
compagni di prigionia, costituendo l'ossatura di una straordinaria Resistenza
alle continue angherie degli aguzzini. Grazie a quei ricevitori la speranza
continuò a sorreggere l'animo dei prigionieri.
Utilizzando
la più grande inventiva dell’ “italiano”, arrangiarono una radio (battezzata
col nome di Caterina) che consentiva loro di sentire le notizie di Radio Londra,
cosa proibitissima! C’era chi ascoltava e chi poi doveva diffondere le novità.
Il
servizio era così efficiente che i prigionieri seppero dello sbarco in
Normandia ben tre giorni prima dei tedeschi del campo.
Nella
sezione destinata agli Internati Militari Italiani le serie di baracche erano
disposte intorno a un "laghetto", una pozza di raccolta per l'acqua
piovana. Al "laghetto" dedicherà più pagine Guareschi, ma rimarrà
famoso per le barchette di carta che gli internati vi "vararono",
dopo aver appreso grazie alle radio clandestine la notizia dello sbarco alleato
in Normandia.
I
due carpigiani rifiutarono sempre l’adesione alla R.S.I., così come la quasi
totalità degli internati.
Savani
e Righi condivisero i seguenti campi di prigionia:
Cestocova (P) dal 1° ottobre all’8 novembre 1943;
Beniaminowo
(P) dal 10 novembre 1943 al 30 marzo 1944;
Sandbostel
(D) dal 2 aprile 1944 al 2 febbraio 1945;
Wietzendorf
(D) al 2 febbraio al 16 aprile 1945 – LIBERAZIONE.
La
liberazione per il lager di Wietzendorf avvenne, all’improvviso alle 17,31 del
16 ’aprile del 1945; il maggiore Cooley (scozzese) alla testa di un reparto di
carri armati irruppe nel recinto spinato e urlò: “Siete liberi!”
Ma
per rientrare ci vollero parecchie settimane; innanzitutto la fine della guerra
il 9 maggio, poi il rientro in Italia in successivi scaglioni dal 18 luglio al
30 agosto.
Savani
e Righi rientrarono a fine agosto. Il treno però si fermò a Pescantina, piccolo
paese a nord-ovest di Verona; oltre, a causa dei bombardamenti alla linea
ferroviaria, non si poteva andare.
Appena
scesi dal convoglio: sorpresa! C’era un camioncino che aspettava i carpigiani
per portarli a casa. C’era un autista dell’Onarmo (Opera Nazionale di Assistenza
Religiosa e Morale degli Operai) di
Carpi, mandato in loco alla bisogna da don Ivo Silingardi, un prete di fede, ma
anche d’azione e di concretezza. A Pescantina abitava una famiglia di carpigiani
che diventò una sicura base di appoggio per gli i vari autisti che si
alternarono in questo compito di recupero. C’era disponibile un camioncino
Renault, residuato di guerra, e altri mezzi che furono forniti da “La Carpi”.
Savani
e Righi si dichiararono come carpigiani e così poterono approfittare del
provvidenziale passaggio per tornare finalmente a casa.
La
guerra per loro era davvero finita.
**
Chiusa
la triste e dolorosa parentesi del conflitto mondiale, Savani riprese poi la
sua attività di insegnamento.
Il
Professore, interrogato molto spesso su questi fatti, si schermiva, arrossiva
in volto, poi, dopo ripetute insistenze, finalmente ci concedeva il racconto di
qualche aneddoto, narrato sempre in modo misuratissimo e con molta ironia.
Audacemente
e segretamente scartabellando negli archivi della segreteria del Liceo (per
altro mai tenuti sotto chiave) due studenti della classe prima della nostra (ma
qui le versioni discordano) avevamo imparato la sua data di nascita (2 marzo
1919) e così negli ultimi anni del nostro corso per quel giorno veniva sempre
preparata qualche sorpresa augurale.
La
classe più anziana della nostra, per prima si presentò, ragazze e ragazzi, in
aula con grande solennità addirittura in abito da cerimonia.
Il
Professore rimaneva sempre imbarazzato e stupito, ma, penso, in cuor suo, molto
molto contento: a ben guardare la sua famiglia siamo stati anche noi.
Questa
celebrazione si è poi tramandata e consolidata, anno dopo anno, classe dopo
classe, fino ad arrivare al leggendario episodio dell'ultimo compleanno prima
del pensionamento nel 1978.
Quel
giorno il programma fu organizzato da un piccolo, ma ben determinato, nucleo di
ex studenti e fu ingaggiata addirittura la Banda Municipale di Carpi che prese
posto nel cortile del liceo assieme a numerosissimi allievi degli anni passati.
Anche io ero presente; NON POTEVO MANCARE!
Un
grande striscione campeggiava con la scritta breve, ma più che mai eloquente:
"GRAZIE OTTORINO". Verso le undici, al segnale convenuto, la banda attaccò con un
bene augurante "Va' pensiero". Il Professore si
sporse subito dalla finestra, per ritirarsi nervosamente sconcertato; riavutosi
dalla grande sorpresa, uscì poi in cortile a salutarci fra gli applausi
scroscianti dei tanti presenti. Il fatto ebbe notevole risalto sui giornali
dell'epoca e l'episodio è stato anche riportato sul libro dedicato al 50°
anniversario del liceo.
Socialista
da sempre, visse la sua militanza in modo interiormente e idealmente convinto,
ma sempre un passo ... o due … indietro a coloro (tanti) che sgomitavano per
arraffare posti e privilegi. Con lui era certamente vera l’antica frase: “Passa
un socialista! Passa un galantuomo!”. Evitò accuratamente di mettersi in
mostra, declinando cortesemente, ma con fermezza, i vari possibili incarichi
che gli venivano offerti. Mi confessò di vivere con grande imbarazzo e amarezza
la devastante e sciagurata fase craxiana, che poi portò sostanzialmente alla
fine del socialismo in Italia.
Una
volta in pensione, il Professore ha trascorso il tempo dedicandosi ai pochi
amici intimi, tra i quali ricordo con piacere il mio maestro delle elementari
Ivo Lodi, all'ascolto della musica e alla lettura, o meglio rilettura, dei
classici. Riceveva frequentemente e con gioia visite e telefonate dei suoi
studenti, ricordando di ognuno di noi episodi e particolari e seguendoci con
attenzione nell'evoluzione delle nostre esperienze di vita successive al liceo.
Prima
che insorgessero seri problemi di salute, non di rado, al pomeriggio, lo andavo
a prendere in auto e lo portavo a casa mia, dove gli proponevo l'ascolto delle
mie ultime "scoperte" nel campo della musica classica, dovute ad
un’esplosione di una mia vocazione tardiva, quanto irresistibile per Mozart, Hendel,
Beethoven, il melodramma, ecc ...
Il
Professore ascoltava con piacere e grande attenzione, davanti a una sobria
tazza di tè, regalandomi commenti, giudizi e facendomi notare sfumature che non
sarebbero forse mai state colte dal mio orecchio duro e profano.
E
di quelle preziose ore conservo un bellissimo e incancellabile ricordo,
paragonabile ai tempi e agli anni di Curta Santa Chiara.
Carpi,
14-4-94
Mauro D'Orazi
P.
S. : Un grazie particolare al maestro Enzo Righi per i suoi preziosi ricordi!
***
Alcuni
ricordi e testimonianze
Roma,
13-01-2014
MEMORIES. SAVANI
BIRTHDAY: “Scrivo queste poche righe solo per rivendicare l'idea e la prima
attuazione dei compleanni di Ottorino Savani, consuetudine poi proseguita per
generazioni di liceali carpigiani fino al pensionamento del professore più
amato di Carpi. Nell'anno scolastico 1971-72 Ascari Brunella ed io passavamo le
ore di religione, da cui eravamo esonerati, in sala professori, dove
ingannavamo il tempo facendo le scalette per Radio Capodistria e snasuplando negli schedari della scuola
lasciati incustoditi. Fu lì che trovammo la data di nascita del “malcapitato” e
organizzammo il primo happening tutti nascosti dietro la lavagna.
Caro Mauro, non so se te l'ho mai
raccontato. Forse sì. Negli anni novanta, quando già gli avevano diagnosticato
il tumore lo incontrai al bar Sirlady di via Berengario, vicino a casa di
entrambi. Io ero già a Roma, ma tornavo a casa nei week-end in quanto mia
moglie e mia figlia non si erano ancora trasferite. Facemmo una lunga
colazione, mi fece molti complimenti rinnovando l'apprezzamento per la mia
scrittura (cosa che detta da un colosso come lui a un pluribocciato, mi piacque
molto) e mi disse di avere un tumore. La cosa che ricordo più chiaramente fu
che mi disse: "Se tornando a Carpi ti diranno che sono morto, riferisci
tranquillamente che mi dispiace molto dovermene andare!". ”
**
Nota di Fabio Martinelli (Il Ragno) - preparatore atletico squadre di
calcio
“Catanzaro, 21-01- 2014
Ciao Dorry,
ho letto le tue righe sul NOSTRO PROFESSORE e ti dirò che mi sono
commosso. Vuoi per l’età, vuoi per la nostalgia dei bei tempi andati. Volevo
anche aggiungere che anche a noi raccontò, con la sua consueta timidezza, mista
a levità, l’episodio drammatico della sua cattura dopo l'8 settembre 1943.
Savani è stato veramente un MAESTRO! Una
PERSONA MERAVIGLIOSA!
Fu la nostra classe, la 5^A del 1978,
che in primis organizzò i festeggiamenti, portando, tra l'altro, la banda a
scuola e issando sopra il portone d'ingresso del liceo (allora in Curta Santa
Chiara) uno striscione con la scritta:
GRAZIE OTTORINO. Custodisco gelosamente le foto originali di quella grande
occasione. Fu anche della nostra classe l'idea del regalo della bicicletta. Mi
ricordo ancora benissimo che gliela facemmo spianare tra due ali di studenti ed
ex plaudenti lungo la strada dove abitava, via Filippo Lippi. Sempre quel
giorno del compleanno (l'ultimo prima della pensione) facemmo anche preparare
una grande torta di cioccolata, dove facemmo scrivere una delle sue frasi più
note e ripetute in classe:''Semel in anno licet insanire!''
"Una volta all'anno è lecito fare cose pazze, ma una sola volta e NON tutti
i giorni come fate voi!"
Mi piace ricordare un altro episodio personale.
Pochi anni dopo la maturità, lo incontrai in pasticceria da Mailli, allora
sotto i portici di corso Cabassi, dove a lui piaceva andare. Lo abbracciai affettuosamente
con la mia solita allegria e bonomia; lui sorridendo mi disse, testuali parole:
'Martinelli quando vedo te, vedo la
vita!''
Sono parole che mai e poi mai potrei
dimenticare! Lo abbracciai, commosso, con più forza ancora; lo ringraziai di
tutto, quasi scusandomi della mia poca voglia di studiare negli anni del liceo.
Ma con quelle parole, non solo mi aveva abbondantemente perdonato delle mie
negligenze, assolto dalle mie mancanze e intemperanze giovani, ma mi aveva insegnato ancora!
Dorry, ti ringrazio per avermelo ricordato
in modo così vivo ed efficace.
Lui e i tanti piccoli, ma
incancellabili episodi di quegli anni.
Scusami ma ti saluto perché mi si
stanno inumidendo gli occhi.
A presto Ragno Martinez”
**
Ecco la versione di Florio Magnanini
(direttore di Voce) dell’episodio in Russia che ci ha colpito tutto per la sua
coraggiosa umanità; il libro fu pubblicato nel 1991 col professore vivente e in
perfetta salute mentale.
L’episodio NON fu smentito dall’interessato,
al quale indirizzo, ancora una volta la mia più grande ammirazione.
Il racconto ha qualche particolare
diverso da quello che ho narrato in premessa, ma la sostanza è quella
Mauro D’Orazi
Tratto dal libro "Non c'è più vino" di Gianfranco
Imbeni e Florio Magnanini - 1991
La guerra dell'umanista
Ottorino
Savani
Un episodio sfavillante è incastonato
nella età verde del professor Ottorino Savani, l'insegnante di lettere forse
più amato che la città ricordi.
La cornice è quella della guerra delle
armate italiane dal fronte russo nel rigido, tragico inverno del 1942-43.
Vallata del Don (o, forse, del Dnjepr).
Il giovane Savani è un tenentino - non immaginiamo quanto fragile nella lunga
figura di intellettuale - caricato di tutte le responsabilità impostegli dal
grado.
La consegna è perentoria, inevitabile
nella logica di un possibile ripiegamento in guerra: gli italiani non debbono
fare prigionieri!
Accade purtroppo che i nostri soldati
catturino alcuni militari sovietici sbandati. L’ordine del colonnello al
tenente Savani è imprescindibile: si proceda alla fucilazione sul campo.
Ma Ottorino Savani ha sposato la
saggezza dell’umanista, non la “ragionevolezza” del belligerante, e si rifiuta
di eseguire l’ordine.
Si siede, tranquillo, su un ceppo di
betulla ed estrae un libriccino.
È un’insubordinazione che in quei
frangenti terribili si paga con la vita.
Il colonnello, il volto tirato dall’ira,
s’avvicina minaccioso al suo tenente. Ma la sua collera s’affloscia quando
scorge l’opera che Savani sta leggendo: è la Commedia di Dante ne1l’edizione in
sedicesimo della Hoepli con copertina in cartapecora.
L’avvenimento riportato è certo. Ma
ancor più autentico è il pudore rispettoso di chi, colpito dalla veridicità
dell’aneddoto e ammirato dalla tempra dell’uomo, non osa interpellarlo su quel
lontano, luminoso episodio.
Ottorino
Savani
Un gentiluomo in cattedra
di Pietro
Marmiroli - 1994
Fra
gli uomini di cultura che hanno animato la vita cittadina a partire dal
dopoguerra quello che ha dimostrato una maggior vocazione pedagogica è stato il
professor Savani, un modello irraggiungibile di didattica per tutta la
generazione di giovani insegnanti usciti dal '68.
Era
un uomo amabile, di garbo e misura, un intellettuale della grande tradizione
liberale.
L’aspetto
longilineo e dinoccolato nascondeva a fatica le sofferenze subite nel campo di
concentramento, di cui non parlava per pudore.
Il
suo modo di atteggiarsi, disponibile e gentile, faceva pensare più ad un
adolescente ingrigito, che non a un uomo maturo.
Aveva
mantenuto negli anni il candore e gli slanci dei giovani, coi quali era sempre
in sintonia. Portava come loro i capelli a spazzola.
Lui
riusciva a calmare anche i ragazzi agitatissimi dei primi anni Settanta, quelli
della contestazione, con la forza
della persuasione, senza mai alzare la voce o fare ricatti morali.
Se
era il caso usava un'ironia molto paterna per sedare i conflitti e le discussioni
oziose dei leaders. E loro si sentivano un po’ come tanti figli, ancor più che
allievi .
Il
giorno del compleanno del professore al Liceo era per tutti una festa.
Per
il Savani's day la scuola si bloccava
per celebrare unita il Maestro.
L’anno
della pensione i ragazzi gli regalarono una bicicletta nera, di cui andava
molto fiero; precedentemente il dono fu un impianto stereo, per ascoltare la
musica classica, che lui amava tanto.
E
ne era anche particolarmente competente, ma non se ne gloriava, anzi.
In
quel giorno di festa si mobilitava un po' tutta la contrada Curta Santa Chiara,
dove c’era allora la sede del Fanti.
Uscivano
in strada la moglie del custode, la signora Lucia, la sorella del prete, Don
Rossetti, signora Framura.
Il
fornaio De Caroli, quello d'angolo in corso Fanti, faceva in quel giorno
un’infornata di gnocco in più, speciale, solo per il Liceo.
Ma
Ottorino non voleva schiamazzi e odiava l’esibizionismo per cui tutto doveva
essere fatto senza troppo clamore, perché altrimenti il professore si sarebbe
dispiaciuto del disturbo arrecato alla comunità scolastica e ai residenti, che
invece erano tutti ben felici di festeggiarlo. I suoi studenti lo sapevano e
trattenevano un po’ la loro esuberanza e gioia.
Ottorino
era un uomo schivo, ma generoso di sé, disponibile con loro, collaborativo con
i colleghi. Metteva la sua grande competenza al servizio di chi la chiedeva,
scuola o città che fosse. Era un uomo inserito nella sua città e per questo
partecipava attivamente alle iniziative pubbliche, prestando consulenze
culturali preziose nella gestione del teatro, della musica, della cultura
carpigiana in genere..
Neppure
il lavoro gli pesava tanto, perciò continuò a fare tante cose anche dopo che
aveva abbandonato la scuola, avendo raggiunto la pensione.
I
suoi allievi, che nel corso degli anni intanto erano diventati dei
professionisti, approfittando del fatto che lui adesso aveva più tempo libero
di prima, quando doveva organizzare il suo lavoro scolastico, ora gli
invadevano quotidianamente la casa, con le loro visite, assidue ed affettuose,
prolungate.
Ma
il professore, come Socrate, non ha mai voluto scrivere di sé, né ha affidato a
nessuno dei suoi studenti qualche taccuino che conservasse una memoria della
sua opera e del suo pensiero e si portato via, alla sua morte, il segreto della
sua straordinaria personalità.
**
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