giovedì 6 settembre 2012

Il prof. Ottorino SAVANI - Un Maestro - Un Amico - Un Esempio. - di Mauro D'Orazi - Carpi - dialetto carpigiano


Il prof. Ottorino SAVANI
Un Maestro - Un Amico - Un Esempio
a cura di Mauro D’Orazi
(testo del 1994 più volte revisionato e ampliato - 28-09-2014 – v21) 
Scrivere del nostro Professore, in un momento in cui da pochissimo non è più tra di noi, è certamente difficile, anche se lo stimolo a ricordare, a ricostruire nella mente cose del passato diventa ancora più irresistibile.
Carpigiano, quando lo vedemmo per la prima volta, ritornava a casa, da un lungo soggiorno nella dotta Bologna, dove aveva insegnato con merito all'Istituto Magistrale "Laura Bassi" dal 1950 al 1968.
Fu appunto nell'ormai lontano ottobre di quell'anno che entrò nella nostra classe (la II^ A) del Liceo Scientifico di Carpi ... e dritto dritto nella nostra vita. Fummo la prima classe dell'istituto che il Professore portò fino alla quinta, al fatidico esame di maturità. Eravamo una classe formata da studenti delle più varie estrazioni sociali e familiari provenienti da Carpi e dai più importanti comuni limitrofi. Una classe che non sarebbe mai stata molto unita, come invece altre dello stesso periodo, ma che nel corso degli anni avrebbe poi finalmente scoperto o riscoperto e apprezzato le singole personalità dei suoi componenti, per stringerli assieme indissolubilmente per tutta la vita. Uniti, ognuno con le proprie diversità, volenti o nolenti, da tante grandi e piccole sensazioni e da punti fermi che sarebbero diventati sempre più evidenti e indispensabili per capire il perché del nostro essere, del nostro modo di pensare, delle nostre scelte di vita e di lavoro.
Uno dei punti forti di questa strana unità è stato proprio il nostro Professore col quale passammo gli ultimi quattro anni del corso.
Lo avremmo imparato a conoscere ben presto come persona di vasta … immensa cultura, ma di ancora più grande umanità, riservatezza e modestia.
Il Professore non si era mai sposato e la sua vita è stata dedicata all'insegnamento, alla conoscenza delle discipline classiche ed in modo speciale e simbiotico alla musica. Il trascorrere del tempo, la consuetudine quotidiana, crearono un rapporto speciale fra lui e i suoi studenti, un diverso relazionarci che non è mai cessato, anche dopo il conseguimento del diploma.
Le sue conoscenze e le sue capacità mnemoniche erano impressionanti: capacissimo di sciorinare in un attimo una dozzina di date, con annessi fatti e riferimenti relativi alla letteratura italiana o latina, scatenando in noi studenti grida e veri e propri cori di ammirazione e stupore.
Era evidente che non erano pure e sistematiche dimostrazioni di freddo nozionismo (tanto vituperato a quei tempi), ma chiari segnali, punta di un iceberg, che dimostravano l'esplicarsi di una vocazione a un'esistenza dedicata all'approfondimento e alla prese di intimo possesso di quelle materie che diventarono, assieme alla musica, aspetti fondamentali della sua ragione di essere e di vita.
"Nessuno sfuggirà!!!" ripeteva minaccioso all'indirizzo di alcuni incalliti renitenti a sottoporsi alle interrogazioni su Dante o di letteratura latina; materie che, soprattutto alla fine dei quadrimestri, portavano a un singolare fenomeno, che lui ironicamente definiva e paragonava alla Sinfonia degli Addii. Egli faceva riferimento a una singolare composizione di Haydn, che vedeva una lenta, silenziosa e programmata uscita degli orchestrali dalla sala di esecuzione del brano, così come lo era quella degli studenti dalla classe.
Ogni tanto qualcuno di noi più impertinente chiedeva spiegazioni e particolari su alcuni episodi della sua vita privata, di cui eravamo venuti a conoscenza per vie traverse: la straordinaria laurea ottenuta col massimo dei voti e la lode nel febbraio del 40, quasi un mese prima di compiere solo 21 anni; le prime supplenze in quell'anno presso il liceo carpigiano; lo studio del pianoforte con qualche esibizione giovanile (dopo la guerra e la prigionia non riprese più gli studi musicali). La guerra che l'aveva visto tenente e poi prigioniero per quasi due anni in Polonia e poi in Germania.
Fu in quell’epoca, nel 1942, che, ricevuti ordini superiori perentori di fucilare dei disgraziati prigionieri russi, riuscì a evitare di eseguire la drammatica imposizione, a rischio della stessa vita. Il suo ufficiale superiore gli diede ordine perentorio di passare per le armi tre soldati sovietici; egli si rifiutò e si mise poi seduto su un ceppo di legno, a leggere brani della Divina Commedia, che, in mini formato, si portava sempre dietro. Attendeva stoico e rassegnato le inevitabili ripercussioni sulla sua testa della dura disciplina militare. Per sua fortuna, che quella volta non coincise proprio con le sorti nazionali, quel giorno ci fu una violenta offensiva russa e un repentino ripiegamento del fronte italiano nella sua zona operativa. C’era altro di cui preoccuparsi. E tutto per fortuna fu dimenticato.
Per i mesi di fronte di guadagnò una croce al merito. Il Professore in Russia si ammalò di pleurite, fu rimpatriato e ricoverato a Vignola.
Dopo la guarigione, il ten. Savani, fu inviato a Monaco di Baviera, perché aveva una buona conoscenza del tedesco. Fu impiegato al comando di tappa, che era frequentato in particolar modo dai marinai in transito degli equipaggi dei sommergibili della Base Atlantica in Francia. Ebbe modo in quel periodo di frequentare con estrema prudenza un professore universitario anti nazista.
Il Professore, dopo l’armistizio, fu catturato il 9 settembre del 1943 a Monaco di Baviera. A questo proposito in classe raccontò che lui era l'ufficiale responsabile di un dislocamento di italiani e quando entrarono i nazisti per farlo prigioniero, dopo il rifiuto di passare con loro, gli sequestrarono la pistola d'ordinanza tenuta (notate lo spirito guerriero) nascosta in un cassetto. Il Professore aggiunse con candore e con un espressione che ancora ben ricordiamo che mai e poi mai e poi mai gli era balenata in testa l'idea di utilizzare l'arma in dotazione!
Il professore ebbe come compagno di prigionia il maestro elementare Enzo Righi; si incontrano per puro caso in uno smistamento di prigionieri italiani a Cestocova in Polonia. Il M° Righi si sentì chiamare. “Enzo! Enzo!”. E così da quel momento in rimasero sempre assieme, cosa davvero rara in quanto i tedeschi, quando vedevano due ufficiali italiani legare in amicizia per crudeltà provvedevano a dividerli subito. “Offizielle italienische, Scheiße!” urlavano i carcerieri.
I due trassero dalla reciproca compagnia grande conforto in quei momenti difficilissimi. Il maestro Righi ricorda che in quei due terribili anni il prof Savani gli insegnò tantissime cose. Savani conosceva la lingua tedesca, cosa che portò qualche vantaggio.  

Erano nella baracca n 18 del Campo di Concentramento di Beniaminowo in Polonia, ai confini della Bielorussia. Con loro niente meno che il grande Giovannino Guareschi poi famoso scrittore; in altre vicine baracche altri personaggi di rilievo: il noto avvocato di Modena Odoardo Ascari, il futuro rettore della Cattolica di Milano Giuseppe Lazzati, il celebre caricaturista umorista Giuseppe Novello (capitano degli alpini, che aveva rotto l’assedio della sacca di Nikolajewka – 26-1-1943), il futuro segretario del PCI Alessandro Natta, il filosofo esistenzialiste Enzo Paci, il tenente di vascello Giuseppe Brignole, il primo a essere insignito nella 2^GM nel giugno-luglio del 1940 della medaglia d'oro al Valor Militare, ecc…
Nella baracca 18 il capitano degli alpini Giuseppe Novello dormiva nel castello in legno sopra Guareschi; entrambi monarchi, alla mattina canticchiavano l’Inno Reale e facevano l’alza bandiera utilizzando una banconota che portava l’effigie del Re.
Per vincere la depressione, la noia, ma soprattutto la gran fame e il freddo intenso (anche meno venti), si organizzavano conferenze a livello universitario su i più svariati temi.
Guareschi nel suo libro postumo “Il grande diario” che tratta del periodo di prigionia, a pagina 340 si legge: “Domenica 27 febbraio 1944 – tempo grigio … Morte del padre di Savani (lo ha saputo dopo tre mesi).”
A Sandbostel furono internati anche tecnici, radiotecnici e chimici, che riuscirono a nascondere, riparare, e in alcuni casi realizzare radioricevitori di fortuna per poter seguire l'esito della guerra e informare gli sfortunati compagni di prigionia, costituendo l'ossatura di una straordinaria Resistenza alle continue angherie degli aguzzini. Grazie a quei ricevitori la speranza continuò a sorreggere l'animo dei prigionieri.
Utilizzando la più grande inventiva dell’ “italiano”, arrangiarono una radio (battezzata col nome di Caterina) che consentiva loro di sentire le notizie di Radio Londra, cosa proibitissima! C’era chi ascoltava e chi poi doveva diffondere le novità.
Il servizio era così efficiente che i prigionieri seppero dello sbarco in Normandia ben tre giorni prima dei tedeschi del campo.
Nella sezione destinata agli Internati Militari Italiani le serie di baracche erano disposte intorno a un "laghetto", una pozza di raccolta per l'acqua piovana. Al "laghetto" dedicherà più pagine Guareschi, ma rimarrà famoso per le barchette di carta che gli internati vi "vararono", dopo aver appreso grazie alle radio clandestine la notizia dello sbarco alleato in Normandia.
         
I due carpigiani rifiutarono sempre l’adesione alla R.S.I., così come la quasi totalità degli internati.

Savani e Righi condivisero i seguenti campi di prigionia:
Cestocova (P) dal 1° ottobre all’8 novembre 1943;
Beniaminowo (P) dal 10 novembre 1943 al 30 marzo 1944;
Sandbostel (D) dal 2 aprile 1944 al 2 febbraio 1945;
Wietzendorf (D) al 2 febbraio al 16 aprile 1945 – LIBERAZIONE.

La liberazione per il lager di Wietzendorf avvenne, all’improvviso alle 17,31 del 16 ’aprile del 1945; il maggiore Cooley (scozzese) alla testa di un reparto di carri armati irruppe nel recinto spinato e urlò: “Siete liberi!”
Ma per rientrare ci vollero parecchie settimane; innanzitutto la fine della guerra il 9 maggio, poi il rientro in Italia in successivi scaglioni dal 18 luglio al 30 agosto.
Savani e Righi rientrarono a fine agosto. Il treno però si fermò a Pescantina, piccolo paese a nord-ovest di Verona; oltre, a causa dei bombardamenti alla linea ferroviaria, non si poteva andare.
Appena scesi dal convoglio: sorpresa! C’era un camioncino che aspettava i carpigiani per portarli a casa. C’era un autista dell’Onarmo (Opera Nazionale di Assistenza Religiosa e Morale degli Operai) di Carpi, mandato in loco alla bisogna da don Ivo Silingardi, un prete di fede, ma anche d’azione e di concretezza. A Pescantina abitava una famiglia di carpigiani che diventò una sicura base di appoggio per gli i vari autisti che si alternarono in questo compito di recupero. C’era disponibile un camioncino Renault, residuato di guerra, e altri mezzi che furono forniti da “La Carpi”.

Savani e Righi si dichiararono come carpigiani e così poterono approfittare del provvidenziale passaggio per tornare finalmente a casa.
La guerra per loro era davvero finita.
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Chiusa la triste e dolorosa parentesi del conflitto mondiale, Savani riprese poi la sua attività di insegnamento.
Il Professore, interrogato molto spesso su questi fatti, si schermiva, arrossiva in volto, poi, dopo ripetute insistenze, finalmente ci concedeva il racconto di qualche aneddoto, narrato sempre in modo misuratissimo e con molta ironia.
Audacemente e segretamente scartabellando negli archivi della segreteria del Liceo (per altro mai tenuti sotto chiave) due studenti della classe prima della nostra (ma qui le versioni discordano) avevamo imparato la sua data di nascita (2 marzo 1919) e così negli ultimi anni del nostro corso per quel giorno veniva sempre preparata qualche sorpresa augurale.
La classe più anziana della nostra, per prima si presentò, ragazze e ragazzi, in aula con grande solennità addirittura in abito da cerimonia.
Il Professore rimaneva sempre imbarazzato e stupito, ma, penso, in cuor suo, molto molto contento: a ben guardare la sua famiglia siamo stati anche noi.
Questa celebrazione si è poi tramandata e consolidata, anno dopo anno, classe dopo classe, fino ad arrivare al leggendario episodio dell'ultimo compleanno prima del pensionamento nel 1978.
Quel giorno il programma fu organizzato da un piccolo, ma ben determinato, nucleo di ex studenti e fu ingaggiata addirittura la Banda Municipale di Carpi che prese posto nel cortile del liceo assieme a numerosissimi allievi degli anni passati. Anche io ero presente; NON POTEVO MANCARE!
Un grande striscione campeggiava con la scritta breve, ma più che mai eloquente: "GRAZIE OTTORINO". Verso le undici, al segnale convenuto, la banda attaccò con un bene augurante "Va' pensiero". Il Professore si sporse subito dalla finestra, per ritirarsi nervosamente sconcertato; riavutosi dalla grande sorpresa, uscì poi in cortile a salutarci fra gli applausi scroscianti dei tanti presenti. Il fatto ebbe notevole risalto sui giornali dell'epoca e l'episodio è stato anche riportato sul libro dedicato al 50° anniversario del liceo.
Socialista da sempre, visse la sua militanza in modo interiormente e idealmente convinto, ma sempre un passo ... o due … indietro a coloro (tanti) che sgomitavano per arraffare posti e privilegi. Con lui era certamente vera l’antica frase: “Passa un socialista! Passa un galantuomo!”. Evitò accuratamente di mettersi in mostra, declinando cortesemente, ma con fermezza, i vari possibili incarichi che gli venivano offerti. Mi confessò di vivere con grande imbarazzo e amarezza la devastante e sciagurata fase craxiana, che poi portò sostanzialmente alla fine del socialismo in Italia.
Una volta in pensione, il Professore ha trascorso il tempo dedicandosi ai pochi amici intimi, tra i quali ricordo con piacere il mio maestro delle elementari Ivo Lodi, all'ascolto della musica e alla lettura, o meglio rilettura, dei classici. Riceveva frequentemente e con gioia visite e telefonate dei suoi studenti, ricordando di ognuno di noi episodi e particolari e seguendoci con attenzione nell'evoluzione delle nostre esperienze di vita successive al liceo.
Prima che insorgessero seri problemi di salute, non di rado, al pomeriggio, lo andavo a prendere in auto e lo portavo a casa mia, dove gli proponevo l'ascolto delle mie ultime "scoperte" nel campo della musica classica, dovute ad un’esplosione di una mia vocazione tardiva, quanto irresistibile per Mozart, Hendel, Beethoven, il melodramma, ecc ...
Il Professore ascoltava con piacere e grande attenzione, davanti a una sobria tazza di tè, regalandomi commenti, giudizi e facendomi notare sfumature che non sarebbero forse mai state colte dal mio orecchio duro e profano.
E di quelle preziose ore conservo un bellissimo e incancellabile ricordo, paragonabile ai tempi e agli anni di Curta Santa Chiara.

Carpi, 14-4-94         
                                                                          Mauro D'Orazi

P. S. : Un grazie particolare al maestro Enzo Righi per i suoi preziosi ricordi!

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Alcuni ricordi e testimonianze

Nota di Ruggero Po  giornalista RAI
Roma, 13-01-2014
MEMORIES. SAVANI BIRTHDAY: “Scrivo queste poche righe solo per rivendicare l'idea e la prima attuazione dei compleanni di Ottorino Savani, consuetudine poi proseguita per generazioni di liceali carpigiani fino al pensionamento del professore più amato di Carpi. Nell'anno scolastico 1971-72 Ascari Brunella ed io passavamo le ore di religione, da cui eravamo esonerati, in sala professori, dove ingannavamo il tempo facendo le scalette per Radio Capodistria e snasuplando negli schedari della scuola lasciati incustoditi. Fu lì che trovammo la data di nascita del “malcapitato” e organizzammo il primo happening tutti nascosti dietro la lavagna.
Caro Mauro, non so se te l'ho mai raccontato. Forse sì. Negli anni novanta, quando già gli avevano diagnosticato il tumore lo incontrai al bar Sirlady di via Berengario, vicino a casa di entrambi. Io ero già a Roma, ma tornavo a casa nei week-end in quanto mia moglie e mia figlia non si erano ancora trasferite. Facemmo una lunga colazione, mi fece molti complimenti rinnovando l'apprezzamento per la mia scrittura (cosa che detta da un colosso come lui a un pluribocciato, mi piacque molto) e mi disse di avere un tumore. La cosa che ricordo più chiaramente fu che mi disse: "Se tornando a Carpi ti diranno che sono morto, riferisci tranquillamente che mi dispiace molto dovermene andare!". ”
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Nota di Fabio Martinelli (Il Ragno) - preparatore atletico squadre di calcio
“Catanzaro, 21-01- 2014
Ciao Dorry,
    ho letto le tue righe sul NOSTRO PROFESSORE e ti dirò che mi sono commosso. Vuoi per l’età, vuoi per la nostalgia dei bei tempi andati. Volevo anche aggiungere che anche a noi raccontò, con la sua consueta timidezza, mista a levità, l’episodio drammatico della sua cattura dopo l'8 settembre 1943.
Savani è stato veramente un MAESTRO! Una PERSONA MERAVIGLIOSA!
Fu la nostra classe, la 5^A del 1978, che in primis organizzò i festeggiamenti, portando, tra l'altro, la banda a scuola e issando sopra il portone d'ingresso del liceo (allora in Curta Santa Chiara)  uno striscione con la scritta: GRAZIE OTTORINO. Custodisco gelosamente le foto originali di quella grande occasione. Fu anche della nostra classe l'idea del regalo della bicicletta. Mi ricordo ancora benissimo che gliela facemmo spianare tra due ali di studenti ed ex plaudenti lungo la strada dove abitava, via Filippo Lippi. Sempre quel giorno del compleanno (l'ultimo prima della pensione) facemmo anche preparare una grande torta di cioccolata, dove facemmo scrivere una delle sue frasi più note e ripetute in classe:''Semel in anno licet insanire!'' "Una volta all'anno è lecito fare cose pazze, ma una sola volta e NON tutti i giorni come fate voi!"
Mi piace ricordare un altro episodio personale. Pochi anni dopo la maturità, lo incontrai in pasticceria da Mailli, allora sotto i portici di corso Cabassi, dove a lui piaceva andare. Lo abbracciai affettuosamente con la mia solita allegria e bonomia; lui sorridendo mi disse, testuali parole:
'Martinelli quando vedo te, vedo la vita!''
Sono parole che mai e poi mai potrei dimenticare! Lo abbracciai, commosso, con più forza ancora; lo ringraziai di tutto, quasi scusandomi della mia poca voglia di studiare negli anni del liceo. Ma con quelle parole, non solo mi aveva abbondantemente perdonato delle mie negligenze, assolto dalle mie mancanze e intemperanze giovani, ma mi aveva insegnato ancora!

Dorry, ti ringrazio per avermelo ricordato in modo così vivo ed efficace.
Lui e i tanti piccoli, ma incancellabili episodi di quegli anni.
Scusami ma ti saluto perché mi si stanno inumidendo gli occhi.
                                                            A presto Ragno Martinez”
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Ecco la versione di Florio Magnanini (direttore di Voce) dell’episodio in Russia che ci ha colpito tutto per la sua coraggiosa umanità; il libro fu pubblicato nel 1991 col professore vivente e in perfetta salute mentale.
L’episodio NON fu smentito dall’interessato, al quale indirizzo, ancora una volta la mia più grande ammirazione.
Il racconto ha qualche particolare diverso da quello che ho narrato in premessa, ma la sostanza è quella
                                                                 Mauro D’Orazi
Tratto dal libro "Non c'è più vino" di Gianfranco Imbeni e Florio Magnanini - 1991
La guerra dell'umanista
Ottorino Savani

Un episodio sfavillante è incastonato nella età verde del professor Ottorino Savani, l'insegnante di lettere forse più amato che la città ricordi.
La cornice è quella della guerra delle armate italiane dal fronte russo nel rigido, tragico inverno del 1942-43.
Vallata del Don (o, forse, del Dnjepr). Il giovane Savani è un tenentino - non immaginiamo quanto fragile nella lunga figura di intellettuale - caricato di tutte le responsabilità impostegli dal grado.
La consegna è perentoria, inevitabile nella logica di un possibile ripiegamento in guerra: gli italiani non debbono fare prigionieri!
Accade purtroppo che i nostri soldati catturino alcuni militari sovietici sbandati. L’ordine del colonnello al tenente Savani è imprescindibile: si proceda alla fucilazione sul campo.
Ma Ottorino Savani ha sposato la saggezza dell’umanista, non la “ragionevolezza” del belligerante, e si rifiuta di eseguire l’ordine.
Si siede, tranquillo, su un ceppo di betulla ed estrae un libriccino.
È un’insubordinazione che in quei frangenti terribili si paga con la vita.
Il colonnello, il volto tirato dall’ira, s’avvicina minaccioso al suo tenente. Ma la sua collera s’affloscia quando scorge l’opera che Savani sta leggendo: è la Commedia di Dante ne1l’edizione in sedicesimo della Hoepli con copertina in cartapecora.
L’avvenimento riportato è certo. Ma ancor più autentico è il pudore rispettoso di chi, colpito dalla veridicità dell’aneddoto e ammirato dalla tempra dell’uomo, non osa interpellarlo su quel lontano, luminoso episodio.


Ottorino Savani
Un gentiluomo in cattedra
                                                     di Pietro Marmiroli - 1994

Fra gli uomini di cultura che hanno animato la vita cittadina a partire dal dopoguerra quello che ha dimostrato una maggior vocazione pedagogica è stato il professor Savani, un modello irraggiungibile di didattica per tutta la generazione di giovani insegnanti usciti dal '68.
Era un uomo amabile, di garbo e misura, un intellettuale della grande tradizione liberale.
L’aspetto longilineo e dinoccolato nascondeva a fatica le sofferenze subite nel campo di concentramento, di cui non parlava per pudore.
Il suo modo di atteggiarsi, disponibile e gentile, faceva pensare più ad un adolescente ingrigito, che non a un uomo maturo.
Aveva mantenuto negli anni il candore e gli slanci dei giovani, coi quali era sempre in sintonia. Portava come loro i capelli a spazzola.
Lui riusciva a calmare anche i ragazzi agitatissimi dei primi anni Settanta, quelli della contestazione, con la forza della persuasione, senza mai alzare la voce o fare ricatti morali.
Se era il caso usava un'ironia molto paterna per sedare i conflitti e le discussioni oziose dei leaders. E loro si sentivano un po’ come tanti figli, ancor più che allievi .
Il giorno del compleanno del professore al Liceo era per tutti una festa.
Per il Savani's day la scuola si bloccava per celebrare unita il Maestro.
L’anno della pensione i ragazzi gli regalarono una bicicletta nera, di cui andava molto fiero; precedentemente il dono fu un impianto stereo, per ascoltare la musica classica, che lui amava tanto.
E ne era anche particolarmente competente, ma non se ne gloriava, anzi.
In quel giorno di festa si mobilitava un po' tutta la contrada Curta Santa Chiara, dove c’era allora la sede del Fanti.
Uscivano in strada la moglie del custode, la signora Lucia, la sorella del prete, Don Rossetti, signora Framura.
Il fornaio De Caroli, quello d'angolo in corso Fanti, faceva in quel giorno un’infornata di gnocco in più, speciale, solo per il Liceo.
Ma Ottorino non voleva schiamazzi e odiava l’esibizionismo per cui tutto doveva essere fatto senza troppo clamore, perché altrimenti il professore si sarebbe dispiaciuto del disturbo arrecato alla comunità scolastica e ai residenti, che invece erano tutti ben felici di festeggiarlo. I suoi studenti lo sapevano e trattenevano un po’ la loro esuberanza e gioia.
Ottorino era un uomo schivo, ma generoso di sé, disponibile con loro, collaborativo con i colleghi. Metteva la sua grande competenza al servizio di chi la chiedeva, scuola o città che fosse. Era un uomo inserito nella sua città e per questo partecipava attivamente alle iniziative pubbliche, prestando consulenze culturali preziose nella gestione del teatro, della musica, della cultura carpigiana in genere..
Neppure il lavoro gli pesava tanto, perciò continuò a fare tante cose anche dopo che aveva abbandonato la scuola, avendo raggiunto la pensione.
I suoi allievi, che nel corso degli anni intanto erano diventati dei professionisti, approfittando del fatto che lui adesso aveva più tempo libero di prima, quando doveva organizzare il suo lavoro scolastico, ora gli invadevano quotidianamente la casa, con le loro visite, assidue ed affettuose, prolungate.
Ma il professore, come Socrate, non ha mai voluto scrivere di sé, né ha affidato a nessuno dei suoi studenti qualche taccuino che conservasse una memoria della sua opera e del suo pensiero e si portato via, alla sua morte, il segreto della sua straordinaria personalità.
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