di Mauro D’Orazi
versione iniziale 28 agosto
2012
v 19 del 1-10-2012
Stemma del Comune di Serramazzoni
Un
numero magico, il 18, ha
da sempre caratterizzato la distanza che ci separa (con i vecchi percorsi
stradali) da Serra: 18 km
da Carpi a Modena, altrettanti da Modena a Maranello (fine pianura), idem da
Maranello (inizio salita) alla Serra.
Un
po’ come il numero 54 che sono i chilometri che ci dividevano da Bologna,
Mantova e Parma, prima delle varie superstrade.
Nelle
righe che seguono racconteremo una di queste sfide epiche, attraverso la viva
testimonianza del protagonista, ancora una volta il nostro eclettico biciclista
Graziano Forghieri.
1981 Graziano Forghieri
Era il 29 luglio del 1981; un caldone sostenuto e umido si era
impadronito di Carpi e della Pianura Padana cun
un sòofoch tremènnd e treintòot grèed a l’ommbra.
Mia moglie era fuori Carpi per assistere sua madre che non stava
bene. Pranzo velocemente e raggiugo la tradizionale sede ufficiale di quegli
anni della nostra eterogenea compagnia: il Caffè Teatro di Vittorio Garzon in piàasa.
Il Caffè Teatro di Vittorio Garzon sulla destra
Quando arrivo, alle due meno un quarto, sento subito un vociare
misto a urla e risate; si stava discutendo su una di quelle questioni
puntigliose, ma assolutamente inutili e prive di senso, tipiche di un “bar
sport”. La tróoia èd tuuren (il
furbacchione di turno) l’aveva innescata in perfetta malafede per fèer muntèer su un quelchidùun (per far
montare su qualcuno), con evidente e immediato successo e fattiva
partecipazione di pubblico.
C’erano Giò Placàan, Franṡòun, un geometra di Modena di cui
oggi mi sfugge il nome, Gelati (Gelo) il socio Barry (Claudio Baraldi) e vari
altri avventori.
Il tema era di quelli classici, sul tipo di quanto è lunga la
nostra piazza e se si riesce a fare tutto il portico di corsa nel tempo dei 12
rintocchi di mezzanotte dl arlóoi dal
Castèel …
Era possibile che
uno, non preparato sportivamente, impiegasse meno di due ore in bici nel
tragitto tra il cartello stradale di Maranello e quello della Serra?
La discussione ferveva e qualcuno faceva troppo l’asino; io ho
fatto un rapido calcolo mentale: “Due ore, 18 km , 9 km all’ora … a gh la pòos cavèer (posso farcela) anche se non sono mai andato
in bici da corsa e soprattutto in salita.”
A quel punto proclamo solennemente: “A gh vaagh mè a la Sèera !
E a stàagh èeinter al dóo óori! (Ci vado io a Serra e starò dentro alle due
ore!)”
Qualche risolino e sbuffi increduli accolsero la mia sfida. “
Scommetto 50 mila lire! Adèesa a vdòmm
chi mòunta su! (Adesso vediamo chi monta su!)” continuai per dare
concretezza alla sfida.
La banconota da 50.000 lire dell’epoca
Gelati che era fra i più scettici e accetta subito di buon grado
la scommessa, convinto di vincere facilmente.
Detto e fatto … si organizza la cosa: un furgone per la bici, un
corteo di auto per gli spettatori.
Vado in negozio, a
despìcch (prendo giù) ’na Mondial
nóova, con il cambio, i pedali con la cinghia e al manubbrio da cuursa.
A infìi al gòmmi e a
cargòmm la biici seinsa gnaanch impinìir d aaqua la boraacia.
Il corteo arriva a Maranello verso le tre, còn un calóor … un calóor … ch a s cherpèeva e ch al fèeva gniir a
méeno al fièe (un calore così forte che faceva crepare e venire a meno il
fiato).
Smonto la bici e mi preparo; sono vestito in maglina bianca e
jeans, un abbigliamento assolutamente inadeguato; intanto il geometra si
approvvigiona di una bottiglia di acqua che si rivelerà provvidenziale. Era
tale la foga della sfida che non avevo nemmeno pensato a questi dettagli
importantissimi.
Monto e parto, ma dopo pochi metri mi accorgo che la bici non va
… è durissima … come frenata. Scendo e controllo i freni che non siamo bloccati
… tutto regolare! Finché uno degli amici al
m siiga in ’n’urèccia: “óo! umòun … l’è la saliida! Dàai mò! Adèesa a gh è da cucèer! (Oh! Carissimo … è la salita!
Adesso c’è da spingere)”
Intàant Géelo al m è
dedrée, al me guèerda e al ridd (mi è di dietro, mi guarda e ride
compiaciuto e con aria canzonatoria).
In effetti non avevo mai fatto una strada di montagna.
Mi faccio forza e riparto. E’ terribile! A pèer ch a m se s-ciàanca al cóor (sembra che mi si spezzi il
cuore). Un po’ sui pedali e un po’ a piedi, per riprendere fiato, però procedo.
Il furgone e le auto mi seguono in processione, fra sghignazzi,
urla, esortazioni.
Intanto Gelati al m è
dedrée cun la sò maachina e guarda e ride.
Il sole picchia forte! Fortissimo! Accecante.
Il geometra a un certo punto mi fa togliere la maglina, la
imbibisce d’acqua e me la fa mettere in testa come un turbante da indiano;
l’aspetto è semplicemente penoso, ma nonostante l’incontenibile derisione dei
presenti che mi burlano senza pietà, il refrigerio c’è, anche se presto la
scottina mi divorerà.
Gelati al m è sèmmper
dedrée a ridder.
Fatti pochi chilometri, sulla mia destra vedo due anziani
coniugi che stanno lavorando all’orto della loro casa.
La signora osserva divertita la mia bizzarra figura da indiano.
Io le chiedo: “A gh caala ancòrra
dimònndi a la Sèera ?(Mancano
molti chilometri alla Serra?)” Lei mi sorride e mi risponde con una pietosa
bugia: ”Al più al l à già faat! E fra un
pòo a gh è aanch al piàani èd Monṡambàan! Mò ée la ’na scumissa?” mi
domanda. “Sè!” rispondo io,
ansimando. E lé: “ óo … a n in paasa tutt i dè!”(Il più lo
avete già percorso e poi fra un po’ c’è un tratto di falso piano - Ma è una
scommessa? -Sì! – Ne passano spesso nella stessa situazione).
Riprendo a pedalare, ma dal
piàani mè a nn ò mìa vissti, pèr mè
l’éera sèmmper saliida (ma il tratto in piano non l’ho mai visto, per me era
sempre salita).
La carovana delle auto, visto che intralcia il traffico, decide
di precedermi e aspettarmi a la Funtanèina. Una
località con ristorante e un vasto spiazzo poco distante da Serramazzoni.
Il luogo è meta di motociclisti, ciclisti e famiglie in auto,
dove ci si ferma per arsurèeres
(rinfrancarsi con una breve pausa dopo una fatica); una fontana con acqua
fresca è sempre pronta a dissetare il pellegrino di turno.
Gelati al m è dedrée,
osserva e ride.
Si guarda bene dal seguire gli altri e al m rèesta tachèe al cuul (mi resta attaccato dietro), perché non
mi possa agganciare a un eventuale camioncino della frutta di passaggio.
Dopo l’ennesima curva, scorgo da lontano la Fontanina ; raccolgo
tutte le forze, tutte le energie rimaste e, sorridendo, passo davanti con
simulata disinvoltura ai miei amici che si sbracciano e lanciano urla di
sostegno. La gente guarda la scena stupita, chiedendosi: “Mò chi ée l po’ lelò?! Al campiòun d Italia? (Ma chi è costui? Il
campione d’Italia?)”
Appena passato lo spiazzo e il ristorante, arriva subito un
curvone sulla sinistra che mi nasconde alla loro vista. Ne voglio approfittare
per scendere a piedi e prendere fiato … a
suun distrùtt … desfàat ... a nn in pòos più!
A suun mòort! Ch a gh vèggna n asidèint a la Sèera , a chi la invintèeda,
al Cafè Teatro e a mè ch a suun muntèe su in sta scumissa dal caas!
(Maledico questo e quello e mi maledico io stesso per aver accettato tale
ardita scommessa!).
La stanchezza è tale che non riesco a sganciare il pedale e cado
rovinosamente e clamorosamente con tutta la bici direttamente dèinter ind al fòos.
A suun disprèe e
avilìi.
“E’ la fine!! A m tòcca dèer èggh a
l’éelta, a mucc’!” (Sono disperato e avvilito e ormai penso di rinunciare)
rimugino con immensa amarezza.
Intanto Gelati al m è
dedrée e guarda e ride.
Mentre faticosamente mi rialzo, a léev su i òoc’ (alzo gli occhi) e ho la visione di non so quale
indicazione stradale che mi dice “Serramazzoni
km 3,8” . A guèerd l arlóoi … a gh caala ancòrra 40
minùut al dóo óori (Guardo l’orologio e constato che mancano ancora 40
minuti allo scadere delle due ore).
Penso:” Dio bòun! A vaagh
su aanch cun agl’unngi!”(Caspiterina! Vado anche a costo di trascinarmi su con
le unghie!)
Intanto Gelati al m è
dedrée, mò però al ridd già un pòo méeno.
E difatti arrivo al cartello di Serramazzoni con circa un quarto
d’ora di buono.
La soddisfazione è davvero tanta, a m viin quèeṡi da piàanṡer, e le urla strepitanti dei carpigiani
accompagnano il taglio trionfale dell’agognato traguardo.
Ci fermiamo subito a destra in un bar ristorante su lunghe
palafitte.
Cerco di recuperare qualche forza e di bere.
Arriva Gelati e gli dico:” Mò
cum ée la che adèesa te n ridd più? T è pasèe la ridaróola? (Ma come mai
adesso non ridi più? Ti è passata la
ridarella? )”
Lui per tutta risposta … “pafff”
… mi sbatte nervosamente sul tavolo la banconota.
La banconota da 50.000 lire dell’epoca
Io gli faccio:” Mò alóora
te nn è mìa capìi! Mè a n l ò mìa faat pèr i sòold! Stasiira con questo
cinquantino festeggiamo al Caffè Teatro! (Ma allora non hai capito che non era
per i soldi, ma per una questione di principio!)”
Quella
sera c’erano tutti per celebrare la sudata vittoria, mancava solo uno.
Indovinate voi chi era?
Io
come mai non ero presente alla storica vicenda? Semplice! Ero a Misano Brasile
al mare con la mia famiglia e tornai solo il giorno dopo, il 30 luglio, per
ricevere tutti gli echi ancora vivissimi della vicenda.
Una
storia che in tutti questi anni ho sentito raccontare da Graziano, sempre con
grande partecipazione e passione, almeno 1.000 volte, in una affabulante
progressione filmico - verbale che gli è tipica nel racconto delle cose, tanto
che mi pare di esserci stato anche io quel pomeriggio infuocato alla Serra.
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