La sfrummbla
di Mauro D’Orazi
Prima stesura 26-02-2013
V26 del 05-04-2013
Pubblicata su Voce di Carpi n 11 del 14-3-2013
Voglio ricordare uno dei giochi più popolari tra i
bambini di una volta, soprattutto per i maschi. Mi riferisco alla sfrummbla,
cioè alla fionda, che più che giocattolo era una vera e propria arma di difesa
e offesa. Quanti fanali e quanti vetri sono andati in frantumi, grazie a questo
micidiale strumento. Un oggetto proibitissimo in casa mia, soprattutto perché
mio padre era un poliziotto e non voleva certo guai dai figli per sciocchezze
del genere.
Le difficoltà tecniche che si incontravano per
costruire una buona fionda. Per prima cosa bisognava trovare il ramo giusto a Y (al cavalètt), frutto di
apposite spedizioni in campagna. Doveva avere la grossezza, la consistenza e la
biforcazione più corretta per legarci gli elastici, che di solito si ottenevano
da certe camere d'aria particolari che si conservavano gelosamente.
A n éera mìa faacil truvèer èl ind al fatèssi giùssti. Dal vòolti a gh e vliiva di bée dèe. Al lèggn
l andèeva pò stagiunèe e tutt tirèe còn un véeder pèr fèer èl gniir bèel liss. Non era facile trovarlo delle fatte giuste. Delle
volte ci volevano dei bei giorni. Il legno andava poi stagionato e tutto tirato
col bordo di un vetro tagliente per farlo venire bello liscio e adatto alla
mano del tiratore.
Di solito si usava il legno di olmo che aveva della
biforcazioni adatte all’uso successivo.
Un altro modo di approvvigionamento era trovare il
pezzo adatto fra le fascine da bruciare.
Poi serviva il pezzetto di cuoio che doveva
contenere il sasso. Ci si poteva far aiutare dalla complicità di qualche scarpolino, ma di solito erano poco
propensi a perdere tempo con noi ragazzi. Oppure ti arrangiavi da solo con ago
e filo pèr sistemèer al capusóol: ma che fatica! … spesso
inutile. Se non si era un po’ esperti il risultato era quasi sempre indecente e
l’attrezzo finiva fuori uso dopo pochi tiri.
Si andava in cerca di scarpe vecchie pronte per
essere gettate via, sperando di trovare la linngua (la linguetta sotto
l'allacciatura) ancora in buono stato; si tagliava questo pezzettino di cuoio e
lo si usava per fare al capusóol dla sfrummbla, incidendo
due piccole aperture ai lati per far passare e fissare gli elastici.
Nota: al
capusóol era anche il rinforzo in metallo che si metteva nella punta
delle scarpe per farle durare di più, assieme al bròochi che invece
erano i chiodi che si mettevano sotto le suole sempre aumentarne la durata. Un
tempo le scarpe erano un bene costoso e da tutelare. Quante foto d’epoca
abbiamo visto dei primi del ‘900 con i ragazzini che giravano a piedi nudi, sia
in campagna che in città!
Con invidia invece ammiravo la produzione dei
ragazzi più grandi, che creavano esemplari davvero belli ed efficienti.
Molto pregiati erano poi degli elasticoni bruni di
pura para a sezione quadrata; sviluppavano uno potenza incredibile. In dialetto
l’attrezzo così potentemente dotato prendeva il nome di sfrummbla a quadertòun.
Questi ambiti elastici si trovavano a pagamento per
qualche decina di lire nella bottega di Alcide Palmati in Corso Fanti ed erano
molto più potenti delle camere d’aria.
Trovati finalmente tutti i pezzi si procedeva
all’assemblaggio, spesso con la complicità del tuo gruppetto di amici. Si
andava a casa di qualcuno che aveva i genitori fuori, altrimenti al Parco su
una qualche panchina. Il legno si levigava al meglio per adattarlo alla mano; si
incidevano due scanalature per fissare le strisce di gomma. Si usava per unire
il tutto dove necessario con un filo robusto da calzolaio avvolto strettamente.
E finalmente lo strumento era pronto per le prime prove.
A questo punto non restava che procurarsi i sassi
adatti, belli rotondetti, ben calibrati in rapporto alle dimensioni della
fionda e farne una buona provvista da mètter in bisaaca. Non di rado
il peso tendeva a far scendere le braghette
Circa i proiettili, oltre i sassi, c’erano però
altre due varianti ancora più pericolose.
Si potevano tirare le castagnole, che erano delle
bombette grosse come una castagna. Si compravano in armeria e nelle cartolerie,
ad esempio da Romano sotto il portico di Corso Fanti di fronte a Palazzo
Gandolfi; avevano un avvolgimento di carta spessa in vari colori, dentro c’era
povere esplosiva unita a minuto brecciolino. Il colpo violento sul terreno, di
solito fra le gambe delle ragazze per carnevale, provocava attrito, scintille e
una conseguente rumorosa, quanto innocua deflagrazione.
Se la castagnola però veniva tirata contro il muro
di una casa con una fionda l’effetto era ancora più eclatante e divertente.
Esilarante era vedere le facce spaventate e stupite degli abitanti delle case
che si affacciavano alle finestre per capire cosa stesse succedendo. Bisognava
però essere molto veloci a fuggire per evitare spiacevoli conseguenze e
ritorsioni.
L’altro di tipo di munizione era davvero micidiale;
lo si otteneva andando di nascosto nei cantieri delle case in costruzione,
senza farsi beccare dai muratori. Si cercavano i tondini in ferro, che
servivano come anima del cemento armato, poi, con la tronchesa presente sul
posto, si tagliavano tanti pesanti dadini di un centimetro cubo circa.
Vi lascio immaginare l’effetto devastante e
criminale di tali proiettili con una fionda dotata di robusti elastici.
Si cercavano poi le zone adatte e gli obiettivi su
cui esercitare la mira e calibrare la fionda. Come target si andava dai
coperchi dei camini sui tetti, ai lampioni, ai bicirèin, i boccolotti
bianchi in vetro-ceramica isolanti dei pali e fili della luce, ai cartelli
stradali, alle lucertole, agli uccelli e fino anche a compiere veri disastri
(vetri di case, la testa di un bambino, ecc …) che poi causavano di conseguenza
la confisca e la distruzione della fionda da parte di maestri e genitori,
nonché la giusta l’erogazione di pene corporali punitive.
Quando si tornava a casa, rientrando dal Parco, la
fionda veniva conservata clandestinamente; celata sotto la maglietta, veniva subito
nascosta in fondo a un cassetto o dietro i volumi di SandRocan della tua libreria.
Ma quando uscivi casa, sempre dopo aver tenuto la fionda
sotto la maglietta, non vedevi l’ora di esibirla con l’orgoglio di un pistolero
del west con la bici al posto del cavallo.
C’era anche un altro modo per ottenere una fionda di
prima qualità: andare sempre nel negozietto Palmati. Proprio lì, dove si trovavano
anche gli elasticoni quadrati.
C’era solo un problema: il costo! Un esborso davvero
proibitivo per le tasche di un bambino degli anni ’60: da 1.500 lire per il
modello più semplice e ancora di più per i modelli più sofisticati. Che
desiderio bruciante! MAI realizzato!
Tanto che l’anno passato, frequentando i banconi di
una fiera dell’elettronica, per l’altro pieni anche di prodotti cinesi di ogni
genere, ho visto un bel mucchio di fionde con la loro bella scatola, fatte
magnificamente in tondino di ferro appositamente ricurvato e verniciato, con un
elastico meraviglioso … ripeto … MERAVIGLIOSO: 5 euro? Sì! Solo 5 euro! Non ho
resistito e l’ho presa subito.
Tornato a casa, volevo regalarla con solennità e
orgoglio al figliuolo di un mio amico, che per temperamento se la sarebbe
certamente goduta … con imprese audaci e prove di ardimento. Bhèe! Non ci
crederete: mi hanno ASSOLUTAMENTE proibito di dar sfogo alla mia disinteressata
ed entusiasta generosità. “Guai a te s te fèe un lavóor dal gènner!!!”
Maha!??! Il mondo è proprio cambiato !!
**=M=**
Fra i più grandi sfrumbladóor degli anni
’40 del secolo scorso, ricordiamo Lino Corradini, detto Badoglio, poi emigrato
in Canada, micidiale cun al pirètti e i lampiòun.
Ma anche Gianni Chiesi, della Banda della Piazzetta;
di lui si narra una vicenda mirabolante. Nel 1944 i Tedeschi usavano per le
ricognizioni degli aeri leggeri foderati in tela, detti Cicogna; un giorno il
nostro se ne trovò a tiro uno che volava a bassa quota e lo perforò con un
perfetto colpo di fionda.
Il piccolo aero fu costretto a effettuare urgenti
riparazioni e, non si sa come, il provetto tiratore fu individuato e convocato con
tutta la banda dalle autorità per la strapazzata del caso.
L'aereo tedesco da ricognizione
Fiesler Storch, detto Cicogna
**=M=**
Renato Corsi (attore carpigiano) ricorda:” Gli elastici per la
fionda si andavano a comprare non solo da Palmati, ma anche da Mantovani Gomma
in Corso Alberto Pio; questi ultimi però erano
di color nero.
Si andava anche a rompere le
scatole a un qualche gommista per avere delle camere d’aria da auto usate,
perché gli elastici erano molto più potenti di quelli delle bici.
D
intóorna al cavalètt dla
sfrummbla
si avvolgevano gli elastici di scorta; sempre pronti per un rimpiazzo
alla veloce e un ripristino offensivo dell’arma.
Una volta dovevo finire di
assemblare ’na bèela sfrummbla, ma mi mancava al
capusóol, il pezzo di pelle destinato a contenere il sasso.
Ebbi la brillante idea di
tagliare una lingua di una scarpa di padre.
A quel tempo le scarpe
erano un bene prezioso, non come oggi che se trovano a prezzi stracciati.
Quando la domenica dopo mio padre fece per mettersi le scarpe e vide lo scempio commesso, capì subito che era stato io.
Al mé dè unna d cagl’uunti, che a distanza di 60 anni a gh l ò ancòrra in mèint cóome adèesa.
Quando la domenica dopo mio padre fece per mettersi le scarpe e vide lo scempio commesso, capì subito che era stato io.
Al mé dè unna d cagl’uunti, che a distanza di 60 anni a gh l ò ancòrra in mèint cóome adèesa.
**=M=**
Vi sono alcuni modi di dire in dialetto inerenti al
tema.
Andèer a sfrummbla, andare molto velocemente con un scatto iniziale
molto energico.
Magnèer a sfrummbla, mangiare molto velocemente.
Al pèer ‘na a sfrummbla, sembra una fionda, riferito persona molto dinamica
(S)fiunderèes, precipitarsi velocemente il un determinato posto
Sfrumblòun, questa parola definisce un ragazzo che consuma velocemente la roba
che indossa o che usa. La madre al figlio, osservando le scarpe nuove già
logorate: “ T ii pròopria un sfrumblòun!”.
Sfrummbel, in fretta e furia, velocemente.
Sfrumblèer, atto del tirare e/o colpire con la fionda.
Sfrumblèeda, un tiro di fionda.
Sfrumblèerers, atto del precipitarsi, buttarsi a capo fitto, fiondarsi in un luogo …
giù per le scale.
Al (La) tirèeva cóome ‘na sfrummbla, modi dire evocanti organi sessuali
in piena e performante azione.
La gh à dóo gàmmbi ch ii perèen un cavalètt da
sfrummbla. Ha due gambe che
sembrano un telaio da fionda, cioè arcuate e storte. O duu s-ciavaróo (pioli da sedia), se sono piccole e sottili.
Fionda da www.etimo.it
**=M=**
L’èerch èd scòddṡi
(L’arco)
Un’altra esperienza la facemmo con del materiale
estremamente pericoloso: le stecche o bacchette (al scòddṡi dl’umbrèela = le
costole) molto flessibili di acciaio provenienti da ombrelli rotte o dismessi o
bellamente … fregati.
Si legavano strettamente col fil di ferro di seguito
due o tre stecche, si incurvava il tutto e si inseriva fra due capi una corda e
… l’arco era pronto. Come frecce naturalmente di usavano delle altre bacchette
che per la loro conformazione avevamo anche ai capi una rientranza che
consentiva di incoccare bene. Con allenamento e perizia si piantavano nel
tronco degli alberi. L’operazione produceva dei rumori affascinanti e
indimenticabili … fissssschh … stoookkk!
Pensate se fosse arrivato per fatale errore
nell’occhio di un compagno di giochi!
La libidine maggiore l’avevamo lanciando la
bacchetta di metallo in alto, tra i fili della luce. Quando l’asta toccava
contemporaneamente due fili, il tutto andava in corto e si sprigionavano
scintille, sfrigolii e “sfriggimenti”. La nostro gioia di sconsiderati era
immensa, soprattutto quando poi si esaminavano i silàach e si constava che il metallo della stecca si
era un po’ fuso dove aveva toccato i fili.
La fortuna ha voluto che non succedesse mai niente.
Renato Cucconi (Carpi) racconta: Nuèeter
ragasóo èd via Ròmma e via Marco Meloni, subìtt dòop la guèera, cun al scòddṡi
dagl’umbrèeli a gh fèeven i éerch da tirèer al frècci. Al frèecci i éeren dagl’èetri
scòddṡi; a gh fèeven la puunta da un còo cun un saas e un martèel.
Cun un gèss a s fèeva un séerc’ in un purtòun èd lèggn
e a s divertiiven a fèer i céentro. Cal ṡòogh chè l éera dabòun pericolóoṡ e s
a s n acurgiiva al padròun dal purtòun t iiv da vèdder che vulèedi, se no i éeren
bòoti e chèels ind al cuul. Se pò i l gniiven a savéer i tóo, óoltre al sequèester
dl éerch, i éeren èetri bòoti da òoreb.
Noi bambini di Via Roma e Via Marco Meloni, subito
dopo la guerra, con le astine degli ombrelli facevano gli archi da tirare le
frecce. Le frecce erano della altre stecche; facevamo loro la punta da un lato
con un sasso e un martello.
Col gesso si faceva poi un cerchio in un portone di legno di una abitazione e ci si divertiva a fare centro.
Col gesso si faceva poi un cerchio in un portone di legno di una abitazione e ci si divertiva a fare centro.
Questo era un gioco davvero pericoloso e quando se
ne accorgeva il padrone del portone, dovevi vedere che volate, se no erano
botte e calci in culo. Se poi lo venivano a sapere i tuoi, oltre al sequestro
dell’arco, arrivavano botte da orbi.
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