venerdì 10 maggio 2013

Fionda e arco - dialetto carpigiano



La sfrummbla
di Mauro D’Orazi

Prima stesura 26-02-2013                                                        V26 del 05-04-2013

Pubblicata su Voce di Carpi n 11 del 14-3-2013
Fionda

Voglio ricordare uno dei giochi più popolari tra i bambini di una volta, soprattutto per i maschi. Mi riferisco alla sfrummbla, cioè alla fionda, che più che giocattolo era una vera e propria arma di difesa e offesa. Quanti fanali e quanti vetri sono andati in frantumi, grazie a questo micidiale strumento. Un oggetto proibitissimo in casa mia, soprattutto perché mio padre era un poliziotto e non voleva certo guai dai figli per sciocchezze del genere.
Le difficoltà tecniche che si incontravano per costruire una buona fionda. Per prima cosa bisognava trovare il ramo giusto a Y (al cavalètt), frutto di apposite spedizioni in campagna. Doveva avere la grossezza, la consistenza e la biforcazione più corretta per legarci gli elastici, che di solito si ottenevano da certe camere d'aria particolari che si conservavano gelosamente.
A n éera mìa faacil truvèer èl ind al fatèssi giùssti.  Dal vòolti a gh e vliiva di bée dèe. Al lèggn l andèeva pò stagiunèe e tutt tirèe còn un véeder pèr fèer èl gniir bèel liss. Non era facile trovarlo delle fatte giuste. Delle volte ci volevano dei bei giorni. Il legno andava poi stagionato e tutto tirato col bordo di un vetro tagliente per farlo venire bello liscio e adatto alla mano del tiratore.
Di solito si usava il legno di olmo che aveva della biforcazioni adatte all’uso successivo.
Un altro modo di approvvigionamento era trovare il pezzo adatto fra le fascine da bruciare.
Poi serviva il pezzetto di cuoio che doveva contenere il sasso. Ci si poteva far aiutare dalla complicità di qualche scarpolino, ma di solito erano poco propensi a perdere tempo con noi ragazzi. Oppure ti arrangiavi da solo con ago e filo pèr sistemèer al capusóol: ma che fatica! … spesso inutile. Se non si era un po’ esperti il risultato era quasi sempre indecente e l’attrezzo finiva fuori uso dopo pochi tiri.
Si andava in cerca di scarpe vecchie pronte per essere gettate via, sperando di trovare la linngua (la linguetta sotto l'allacciatura) ancora in buono stato; si tagliava questo pezzettino di cuoio e lo si usava per fare al capusóol dla sfrummbla, incidendo due piccole aperture ai lati per far passare e fissare gli elastici.
Nota: al capusóol era anche il rinforzo in metallo che si metteva nella punta delle scarpe per farle durare di più, assieme al bròochi che invece erano i chiodi che si mettevano sotto le suole sempre aumentarne la durata. Un tempo le scarpe erano un bene costoso e da tutelare. Quante foto d’epoca abbiamo visto dei primi del ‘900 con i ragazzini che giravano a piedi nudi, sia in campagna che in città!
Con invidia invece ammiravo la produzione dei ragazzi più grandi, che creavano esemplari davvero belli ed efficienti.  
Molto pregiati erano poi degli elasticoni bruni di pura para a sezione quadrata; sviluppavano uno potenza incredibile. In dialetto l’attrezzo così potentemente dotato prendeva il nome di sfrummbla a quadertòun.
Questi ambiti elastici si trovavano a pagamento per qualche decina di lire nella bottega di Alcide Palmati in Corso Fanti ed erano molto più potenti delle camere d’aria.
Trovati finalmente tutti i pezzi si procedeva all’assemblaggio, spesso con la complicità del tuo gruppetto di amici. Si andava a casa di qualcuno che aveva i genitori fuori, altrimenti al Parco su una qualche panchina. Il legno si levigava al meglio per adattarlo alla mano; si incidevano due scanalature per fissare le strisce di gomma. Si usava per unire il tutto dove necessario con un filo robusto da calzolaio avvolto strettamente. E finalmente lo strumento era pronto per le prime prove.
A questo punto non restava che procurarsi i sassi adatti, belli rotondetti, ben calibrati in rapporto alle dimensioni della fionda e farne una buona provvista da mètter in bisaaca. Non di rado il peso tendeva a far scendere le braghette
Circa i proiettili, oltre i sassi, c’erano però altre due varianti ancora più pericolose.
Si potevano tirare le castagnole, che erano delle bombette grosse come una castagna. Si compravano in armeria e nelle cartolerie, ad esempio da Romano sotto il portico di Corso Fanti di fronte a Palazzo Gandolfi; avevano un avvolgimento di carta spessa in vari colori, dentro c’era povere esplosiva unita a minuto brecciolino. Il colpo violento sul terreno, di solito fra le gambe delle ragazze per carnevale, provocava attrito, scintille e una conseguente rumorosa, quanto innocua deflagrazione.
Se la castagnola però veniva tirata contro il muro di una casa con una fionda l’effetto era ancora più eclatante e divertente. Esilarante era vedere le facce spaventate e stupite degli abitanti delle case che si affacciavano alle finestre per capire cosa stesse succedendo. Bisognava però essere molto veloci a fuggire per evitare spiacevoli conseguenze e ritorsioni.
L’altro di tipo di munizione era davvero micidiale; lo si otteneva andando di nascosto nei cantieri delle case in costruzione, senza farsi beccare dai muratori. Si cercavano i tondini in ferro, che servivano come anima del cemento armato, poi, con la tronchesa presente sul posto, si tagliavano tanti pesanti dadini di un centimetro cubo circa.
Vi lascio immaginare l’effetto devastante e criminale di tali proiettili con una fionda dotata di robusti elastici.


Si cercavano poi le zone adatte e gli obiettivi su cui esercitare la mira e calibrare la fionda. Come target si andava dai coperchi dei camini sui tetti, ai lampioni, ai bicirèin, i boccolotti bianchi in vetro-ceramica isolanti dei pali e fili della luce, ai cartelli stradali, alle lucertole, agli uccelli e fino anche a compiere veri disastri (vetri di case, la testa di un bambino, ecc …) che poi causavano di conseguenza la confisca e la distruzione della fionda da parte di maestri e genitori, nonché la giusta l’erogazione di pene corporali punitive.
Quando si tornava a casa, rientrando dal Parco, la fionda veniva conservata clandestinamente; celata sotto la maglietta, veniva subito nascosta in fondo a un cassetto o dietro i volumi di SandRocan della tua libreria.
Ma quando uscivi casa, sempre dopo aver tenuto la fionda sotto la maglietta, non vedevi l’ora di esibirla con l’orgoglio di un pistolero del west con la bici al posto del cavallo.
C’era anche un altro modo per ottenere una fionda di prima qualità: andare sempre nel negozietto Palmati. Proprio lì, dove si trovavano anche gli elasticoni quadrati.
C’era solo un problema: il costo! Un esborso davvero proibitivo per le tasche di un bambino degli anni ’60: da 1.500 lire per il modello più semplice e ancora di più per i modelli più sofisticati. Che desiderio bruciante! MAI realizzato!
Tanto che l’anno passato, frequentando i banconi di una fiera dell’elettronica, per l’altro pieni anche di prodotti cinesi di ogni genere, ho visto un bel mucchio di fionde con la loro bella scatola, fatte magnificamente in tondino di ferro appositamente ricurvato e verniciato, con un elastico meraviglioso … ripeto … MERAVIGLIOSO: 5 euro? Sì! Solo 5 euro! Non ho resistito e l’ho presa subito.
Tornato a casa, volevo regalarla con solennità e orgoglio al figliuolo di un mio amico, che per temperamento se la sarebbe certamente goduta … con imprese audaci e prove di ardimento. Bhèe! Non ci crederete: mi hanno ASSOLUTAMENTE proibito di dar sfogo alla mia disinteressata ed entusiasta generosità. “Guai a te s te fèe un lavóor dal gènner!!!”
Maha!??! Il mondo è proprio cambiato !!
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Fra i più grandi sfrumbladóor degli anni ’40 del secolo scorso, ricordiamo Lino Corradini, detto Badoglio, poi emigrato in Canada, micidiale cun al  pirètti e  i lampiòun.
Ma anche Gianni Chiesi, della Banda della Piazzetta; di lui si narra una vicenda mirabolante. Nel 1944 i Tedeschi usavano per le ricognizioni degli aeri leggeri foderati in tela, detti Cicogna; un giorno il nostro se ne trovò a tiro uno che volava a bassa quota e lo perforò con un perfetto colpo di fionda.
Il piccolo aero fu costretto a effettuare urgenti riparazioni e, non si sa come, il provetto tiratore fu individuato e convocato con tutta la banda dalle autorità per la strapazzata del caso.
L'aereo tedesco da ricognizione Fiesler Storch, detto Cicogna

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Renato Corsi (attore carpigiano) ricorda:” Gli elastici per la fionda si andavano a comprare non solo da Palmati, ma anche da Mantovani Gomma in Corso Alberto Pio; questi ultimi però erano  di color nero.
Si andava anche a rompere le scatole a un qualche gommista per avere delle camere d’aria da auto usate, perché gli elastici erano molto più potenti di quelli delle bici.
D intóorna al cavalètt dla sfrummbla si avvolgevano gli elastici di scorta; sempre pronti per un rimpiazzo alla veloce e un ripristino offensivo dell’arma.
Una volta dovevo finire di assemblare ’na bèela sfrummbla, ma mi mancava al capusóol, il pezzo di pelle destinato a contenere il sasso.
Ebbi la brillante idea di tagliare una lingua di una scarpa di padre.
A quel tempo le scarpe erano un bene prezioso, non come oggi che se trovano a prezzi stracciati.
Quando la domenica dopo mio padre fece per mettersi le scarpe e vide lo scempio commesso, capì subito che era stato io.
Al mé dè unna d cagl’uunti, che a distanza di 60 anni a gh l ò ancòrra in mèint cóome adèesa.

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Vi sono alcuni modi di dire in dialetto inerenti al tema.
Andèer a sfrummbla, andare molto velocemente con un scatto iniziale molto energico.
Magnèer a sfrummbla, mangiare molto velocemente.
Al pèer ‘na a sfrummbla, sembra una fionda, riferito persona molto dinamica
(S)fiunderèes, precipitarsi velocemente il un determinato posto
Sfrumblòun, questa parola definisce un ragazzo che consuma velocemente la roba che indossa o che usa. La madre al figlio, osservando le scarpe nuove già logorate: “ T ii pròopria un sfrumblòun!”.
Sfrummbel, in fretta e furia, velocemente.
Sfrumblèer, atto del tirare e/o colpire con la fionda.
Sfrumblèeda, un tiro di fionda.
Sfrumblèerers, atto del precipitarsi, buttarsi a capo fitto, fiondarsi in un luogo … giù per le scale.
Al (La) tirèeva cóome ‘na sfrummbla, modi dire evocanti organi sessuali in piena e performante azione.
La gh à dóo gàmmbi ch ii perèen un cavalètt da sfrummbla. Ha due gambe che sembrano un telaio da fionda, cioè arcuate e storte.  O duu s-ciavaróo  (pioli da sedia), se sono piccole e sottili.

Fionda da www.etimo.it

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L’èerch èd scòddṡi
(L’arco)

Un’altra esperienza la facemmo con del materiale estremamente pericoloso: le stecche o bacchette (al scòddṡi dl’umbrèela = le costole) molto flessibili di acciaio provenienti da ombrelli rotte o dismessi o bellamente … fregati.


Si legavano strettamente col fil di ferro di seguito due o tre stecche, si incurvava il tutto e si inseriva fra due capi una corda e … l’arco era pronto. Come frecce naturalmente di usavano delle altre bacchette che per la loro conformazione avevamo anche ai capi una rientranza che consentiva di incoccare bene. Con allenamento e perizia si piantavano nel tronco degli alberi. L’operazione produceva dei rumori affascinanti e indimenticabili … fissssschh  … stoookkk!
Pensate se fosse arrivato per fatale errore nell’occhio di un compagno di giochi!

La libidine maggiore l’avevamo lanciando la bacchetta di metallo in alto, tra i fili della luce. Quando l’asta toccava contemporaneamente due fili, il tutto andava in corto e si sprigionavano scintille, sfrigolii e “sfriggimenti”. La nostro gioia di sconsiderati era immensa, soprattutto quando poi si esaminavano i silàach  e si constava che il metallo della stecca si era un po’ fuso dove aveva toccato i fili.
La fortuna ha voluto che non succedesse mai niente.

Renato Cucconi (Carpi) racconta: Nuèeter ragasóo èd via Ròmma e via Marco Meloni, subìtt dòop la guèera, cun al scòddṡi dagl’umbrèeli a gh fèeven i éerch da tirèer al frècci. Al frèecci i éeren dagl’èetri scòddṡi; a gh fèeven la puunta da un còo cun un saas e un martèel.
Cun un gèss a s fèeva un séerc’ in un purtòun èd lèggn e a s divertiiven a fèer i céentro. Cal ṡòogh chè l éera dabòun pericolóoṡ e s a s n acurgiiva al padròun dal purtòun t iiv da vèdder che vulèedi, se no i éeren bòoti e chèels ind al cuul. Se pò i l gniiven a savéer i tóo, óoltre al sequèester dl éerch, i éeren èetri bòoti da òoreb.
Noi bambini di Via Roma e Via Marco Meloni, subito dopo la guerra, con le astine degli ombrelli facevano gli archi da tirare le frecce. Le frecce erano della altre stecche; facevamo loro la punta da un lato con un sasso e un martello.
Col gesso si faceva poi un cerchio in un portone di legno di una abitazione e ci si divertiva a fare centro.
Questo era un gioco davvero pericoloso e quando se ne accorgeva il padrone del portone, dovevi vedere che volate, se no erano botte e calci in culo. Se poi lo venivano a sapere i tuoi, oltre al sequestro dell’arco, arrivavano botte da orbi.

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