Chiamare le
galline
e altre cosine
EDIZIONE AMPLIATA
di Mauro D’Orazi
prima stesura del 27
ott 2012 v 70 del
08-04-2013
In collaborazione col gruppo “Conosci il dialetto
carpigiano” di Facebook
Revisione del testo di Graziano Malagoli e Luisa
Pivetti
Norme di trascrizione del dialetto
Le norme di trascrizione
adottate dal
“Dizionario del dialetto
carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Tabella per facilitare
la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat, scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e chiusa e prolungata véeder, créedit, pée
i i come in italiano bissa,
dì
ii i prolungata viiv, vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’ , òoc’
cc’ c dolce e intensa (come in faccia) cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch, spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’, alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come in oggi) puntègg’, gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh, siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma,
s-ciòoch
**
Avvertenza: Sono
state raccolte testimonianze di Carpi e di tanta altre zone italiane
Chiamare le galline
e altre cosine
La tematica di questa piccola ricerca può sembrare
insignificante; piccole cose non troppo degne di essere ricordate.
Ma se si riflette un attimo, si capisce subito che
dietro a questi ingenui richiami ci sono storie e tradizioni di generazioni,
probabilmente di secoli.
Ciò che abbiamo sentito dalla nonna, essa stesso lo
aveva appreso dalla sua e così via. Si tratta dunque di minuscoli reperti
“archeologici” della tradizione.
L’allevamento domestico delle galline era molto
diffuso, sia in campagna che in città. Anche in giardino a casa mia c’era un
pollaio fino ai primi degli anni ’60 e ne conservo un vago ricordo.
Poi arrivò moderno regolamento di polizia urbana che
vietò per igiene e molestia (l’insistente canto di qualche galletto) questo
antico uso.
Valeva la pena di fissare anche questi ricordi sulla
carta, come testimonianza di un passato al quale non possiamo che guardare con
nostalgia. Ho aggiunto anche qualche curiosa nota e un paio di gustosi
aneddoti.
**0**
Oscar
Clò (Campogalliano) - Sua nonna
quando era ora di dar da mangiare alle galline usciva in cortile e ripeteva:
"Jiin, jiin, jiin! " e
tutte le galline gli arrivavano intorno.
Luciana
Tosi (Carpi - Budrione) - L a gh à ’na fòoto d sò nòona ch la pèer cal
ritràat chè insimma!!! Lée la li ciamèeva acsè:"Còoochi ... còoochi ... còooochi!" E lóor i rivèeven subìtt.
William Lugli (Limidi di Soliera) - Ricorda una zia ch la dgiiva: ”Piriii ... piriii ... pirii!”
Mauro
Magri (Carpi) al gh à in meint che
sò siina (la zia) la giiva aanca lée:
"Pirii, pirii, pirii..."
Paolo
Pasini (Carpi) - Sò nòona la ciamèeva: “Chè ... chè ... chè!”
Claudia
Soliani (Carpi) - Sua madre dice
tutt'ora: "Ciciun saa ... ciciun
saa!"
Enzo
Crescenzio Luongo (carpigiano di
origini meridionali) - Sua madre invece usava:"Pirin, pirin, pirin!" Era partenopea e non conosceva il
dialetto di Carpi, ma le galline si sa ... erano e sono poliglotte !!!!
Deanna
Bulgarelli (Carpi - Migliarina) - Sua
nonna le chiamava:"Ciini, ciini!"
Lo stesso modo usato dalla nonna di Giliola Pivetti
(Carpi).
Nicola
Gavioli (Carpi) riferisce che sua
nonna chiamava:"Pulii, pulii,
pulii..."
Marzia
Sala (Carpi)- "Còoochi, còooochi, còoochi!" Detta
a mò a di cantilena onomatopeica, l'è la
versiòun ch a la cgnuus aanca mé.
Mauro
D’Orazi (Carpi) per i pulcini c’è
il classico: “Pio, pio, pioooo, …” …
per chiamarli.
Giorgio
Rinaldi (Vignola – Folclore
contadino) - sua nonna le chiamava così:"Póoti, póoti, póoti, ..." (La “o” stretta e la "t"
col "falso raddoppiamento" settentrionale). Alla lettera, il richiamo
potrebbe essere così tradotto: "Bambine, bambine, bambine .../ puttine - putèini /piccoline".
Desidera a tal proposito far notare un parallelismo
basato sull'affettuosità e quindi l'importanza attribuita all'animale tra il
definire il maiale "ninètt"
o "ninèin", cioè
animaletto, animalino (animale per eccellenza) e le galline "póoti",
cioè piccolette, bambine.
Luciana
Nora (carpigiana, oggi risiedente
vicino a Cà de Frari) e che qui sotto vediamo raffigurata in una foto della
prima metà degli anni ’50, ha chiesto a una sua attuale vicine come chiama le
sue galline:” Ci, ci, ci, ci … Pio, pio,
pio …” Un richiamo ripetuto fino a quando non le
ha radunate tutte nel pollaio per pasturarle e chiuderle per la notte.
Luisa
Pivetti (Carpi - San Marino) ricorda
che nella frazione di San Marino dove abitava, sua nonna radunava le galline con
questo richiamo:"Cin, cin, ciiin, ciiin,
ciiin! ... ". Luisa ritiene che possa essere un'abbreviazione fonetica
di " Cinni, cinni, cinni, cinni,
cinni! " (voleva forse dire piccole, piccole ... venite qui?). ma per
far uscire l'uovo: "Còoooco, còoco,
còoco!" (notare la differenza.)
Stelio
Gherardi (Novi di Modena) nel suo
bel libro Memorie Novesi 1990 alla voce (che riporto con la grafia carpigiana) vèers
commenta ed elenca vari richiami.
Ilario
Piraccini (Castiglione di Cervia)
ha sentito anche "Pigùuu, pigùuu, pigùuu!"
Carlo
Niccolai (Toscana) la mia nonna
toscana usava “Piro, piro, piro, piro … “
Marina
Zoffoli (Riccione) ricorda che sua
nonna Ida usava: “Pi, pi, pi ... Taaaa ... Pi, Pi, Pi, Pi ... Taaaaaa ..."
Vito
Olive sua nonna pugliese: "Nè titì,
nè titì ...".
Laura
Tripaldi (Calabria): "Cuti
cuti cuti ... cuti cuti cuti ... tè tè ... cuti cuti cuti..."
Tiziano
Casoli a Trebbio di Montegridolfo
si diceva e si dice ancora: " PI, pi, ta ..."
Moreno
Balzoni (Forlì) racconta che
vedendo queste foto gli è tornato alla in mente un aneddoto che si racconta
dalle sue parti. Una contadina ogni mattina procedeva alla conta delle galline,
mentre dava loro da mangiare: "Cooochii, cooochii ... cinq e quattr ...
ott! ... Epù il mi galini i gli era nov! ... Còòchii, còòchii ... " Non si
è mai saputo di preciso, se nottetempo, qualcuna sia rimasta preda della faina
o di qualche ladruncolo.
**
Una caratteristica del mondo contadino era quello di
usare una specie di linguaggio tramite il quale ci si metteva in comunicazione
(attraverso una particolare musicalità) con gli animali domestici e da cortile
per chiamarli, rabbonirli, incitarli o scacciarli:
per pulcini - cirì,
cirì, …
per anatroccoli - àni, anì, …
per tacchini o faraone - pirì, pirì, …
per maiali - gòogi,
gòogi, …
per cavalli - ìii,
ìii, … (per partire o accelerare), lèe,
lèe, … (per lo stop, féerm èt).
A questo proposito Gherardi ci ricorda che l’ ‘ìii per incitare il cavallo è uno
straordinario esempio di continuità col latino. Per dire andare i latini
dicevano IRE e per esprimere l’imperativo “Vai!” o “Andate!” usavano “I”.
Sono perciò oltre 2.000 anni che i cavalli vengono
incitati allo stesso modo
Primi anni ’50 - Luciana Nora,
assieme alla madre,
alle prese con un’aggressiva
chioccia
Chioccia con due pulcini … al caldo
Inizi anni ’50 - La nonna di Luisa
Pivetti, Lugli Anna, da tutti chiamata Nòona
Nèina (nonna Annina), mentre dà da mangiare alle sue galline a San Marino
in Via Cavata, sull'aia, sulla quale si sgranava granoturco, si seccava grano e
… si ballava.
Alcide
Boni (Carpi) racconta che la zia in
campagna quàand la ciamèeva al galèini la
dgiiva:"Còochi, còochi, còoochi
..." Dòop trée vòolti èl gh éeren
tutti adòos.
Fiorella
Urbini (Carpi) ricorda quando era piccola che i suoi avevano un piccolo
fondino a Limidi gestito da una famiglia di mezzadri con cui avevano un
rapporto di amicizia; la reṡdóora
quando dava da mangiare alle galline, diceva: "Co cococococo, co cococococo …" varie volte.
Tiziano
Pace Depietri (Carpi)
segnala ch a gh è anch:"Coo-coo-coo-coo-coo-coo
..." o anche "Ciri-ciri-ciri...
ciriii!"
Erminio
Ascari (Carpi, di origini
reggiane) segnala: "Cooo, cooo,
cooooo! Pio, pio, piooo! Pùii, pùii, pùiiii!"
Matteo
Bocciolesi (reggiano di
origini suzzaresi) ricorda che sua nonna di Suzzara chiamava anatre, galline,
colombi tutti con una frase: "Papìin,
papìin, papìin, ciciuni sà, m-m-m". I "papin" sono le
anatre; le "ciciuni" sono le galline, m-m-m è il verso gutturale del
piccione ... e l'aia si riempiva!
Graziano Malagoli (Carpi) ha sempre sentito sia: "Còochi, còochi ..." che "Cò, cò, cò ... e “Pìo, pìo,” per i pulcini.
Anna
Maria Ori (Carpi) ricorda che quando
era piccola a Montecreto Mamma Maria (*)
le chiamava con: "Piita, pita, pita
...". Un richiamo ripetuto tre volte e molto in fretta, con la “i” più
lunga la prima volta.
È curioso come ci sia in tutte o quasi le frasi
ricordate l’uso della “i”, forse per una sensibilità particolare di questi
animali al suono acuto.
Anche i gatti vengono chiamati con la “i”:"Mimìiiin, mimìin ...".
(*) Mamma Maria era la nonna dei Cappellini che ospitavano la famiglia Ori.
Anna Maria la considerava un po' come una nonna acquisita. Era equilibrata,
dava soggezione, ma sapeva far capire le cose con uno sguardo. e ci voleva
bene, lo capivamo dalle attenzioni concrete che ci riservava. Le galline erano
in un metato (edificio per seccare le castagne) in un piccolo castagneto nella
località La Vartara, a circa due chilometri e 150/200 m di dislivello, in salita, dal
paese. Lei ci andava tutti i giorni, due volte al giorno, due salite e due
discese, per aprire il pollaio e richiuderlo, lasciando le galline libere di
razzolare in giro – ladri non ce n’erano, allora! Conosceva così bene la
strada, o meglio le scorciatoie anche disagevoli che prendeva, che lavorava a
maglia per tutto il percorso, col gomitolo in tasca del grembiule. E non faceva
maglioni, ma calzini, di cotone bianco, con un gioco di ferri sottili, del n 1
al massimo, e si fermava solo quando doveva fare i calati o gli aumenti, del
calcagno o della punta, per contare le maglie e fare un lavoro “giusto”. Non
sapeva leggere né scrivere, ma le calze le sapeva fare!
**=M=**
È bene chiamarle, ma ancor meglio è mangiarle.
A tal proposito, questo proverbio calza a meraviglia
:
" In faat d urtàaia, a preferìss la pulàaia"
(dissertando sugli ortaggi, io preferisco il pollame). Ossia: meglio una buona
gallinotta arrosto, che un cavolo lesso!
**=M=**
Luciana
Nora già direttrice del Museo
etnografico di Carpi ricorda ill pane conservato dalla cena della Vigilia di
Natale e che aveva caratteristiche “magiche” poteva essere usato anche per preparare
una zuppa di brodo di gallina da somministrare alla puerpera come primo pasto
dopo aver partorito. Si credeva così di proteggere e aiutare la donna e
stimolare la monta lattea.
Una gallina era anche uno dei regali offerti alla
puerpera dalla madre: di penna bianca se non si volevano porre limiti alla
prolificità, di penna nera se si sperava di ridurla o interromperla.
**
Covata di galline
Alberto
Guidorzi - esperto di
"cose" contadine (Sermide - MN)
La reṡdóora
di campagna tutte le sere controllava,
prima di chiudere il pollaio, se tutte le sue galline erano rientrate; la
mattina, prima di rilasciarle libere per l'aia, provvedeva alla “palpata”
(termine non scientifico) che consisteva nel sentire con la punta del dito, se
vi era un uovo pronto per la deposizione. Se lo riteneva imminente, teneva la
gallina confinata nel pollaio, finché non aveva deposto, se invece giudicava
che per la consistenza del guscio si andava al giorno dopo, la lasciava uscire
dal pollaio assieme a quelle che avevano già fatto il loro dovere di ovaiole.
Tra l’altro conoscendole una per una, la
reṡdóora aveva molto bene sotto controllo al situazione.
L'isolamento serviva per impedire che le galline
deponessero le uova in anfratti esterni nascosti della corte, cosa che portava
al rischio della loro scomparsa.
La reṡdóora teneva sotto costante controllo la produzione di
uova del proprio pollaio.
Poteva capitare che nelle ceste di deposizione del
pollaio mancasse qualche uovo, già previsto. Allora ricorreva ai tanti
ragazzini liberi di scorrazzare in corte e conoscitori di tutti gli anfratti
esistenti per trovare il posto dove la gallina aveva deciso di lasciare l'uovo.
Quasi una caccia al tesoro! I ragazzini erano anche invitati a osservare le
galline che cantavano lontano dal pollaio, perché era probabile che lì intorno
qualcuna di loro avesse deposto un uovo. Immancabilmente il premio era un uovo
sbattuto da bere, vera leccornia insperata!
**=M=**
1954 - Nonna con galline
**=M=**
Al
còoregh pèr la ciòosa e i pulṡèin
Nella stupenda foto (che segue) degli anni ’50 si
può notare l'abbigliamento delle bimba con maglioncino 4 stagioni, di lana per
la primavera - estate -autunno ed inverno. La differenza la faceva la
gonnellina, per la primavera e l'estate, mentre per l'autunno e l'inverno
c'erano i pantaloni o tutt'al più le calze pesanti sotto il solito gonnellino.
Il caschetto tipo Caterina Caselli è la conseguenza
di uno spiccio taglio casalingo realizzato in economia con scodella da
caffelatte collocata sulla testa.
Da notare la catenina al collo, regalo da Cresima
degli zii ed il braccialetto, sempre a cura degli zii, dato in qualche altro
anniversario o caduta di denti. La cosa più bella però è l'espressione della
bimba che, complice la sua paffutaggine, risulta essere tra lo stupito e lo
stordito, tra l'indeciso e l'impietrito di fronte agli animaletti. Il bimbo
sembra fotografato in mutande, una consuetudine abbastanza normale all'epoca,
porta il solito maglioncino 4 stagioni in lana.
Questa foto può essere capita nella sua essenza solo
da chi nato prima del boom economico di Carpi e dell’Italia in generale. Si
vede in questa immagine un trascorso vissuto con una ingenuità e naturalezza
che forse, oggi, difficilmente si ritrova nei bambini.
Considerazioni fatte assieme a Vanni Fregni (Carpi)
1950 - Al còoregh pèr
la ciòosa e i pulṡèin
**=M=**
1948 - Carpi - Giliola Pivetti
davanti a un còoregh cun i pulṡèin
Cambiamo pennuti
Anni
’50 - La reṡdóora la ciàama l'òoca: “Andòmm
a diṡnèer!”
(La
massaia chiama l'oca: “Andiamo a pranzo!”)
Òochi e ucaròun
Al Prìmm d’Avrìil tutti a
gli òochi i vaav in gìir
Anni ’50 - Luisa Pivetti a 9 anni
con la sorella Ornella a Milano in Piazza Duomo
**=M=**
Pularìa di Adriano Boccaletti di
Novi 1990
La pularìa o la pulàaia sono parole dialettali che stanno a indicare l’insieme
degli animali di un pollaio. Di giorno si disperdono nell’aia a cercare ogni
sorte di cibo e alla sera fanno ritorno nel loro rifugio.
I rifiuti importanti venivano tenuti per il maiale,
così le galline (ruspanti, cioè che grattano il terreno per trovare alimento) si
dovevano arrangiare.
Solo per completare l’ingrasso a un certo punto si
dava loro degli scarti di granaglie.
Un pulaaster, un pulastrèin, unna pulastrèina, unna
pulastrèela sono polli,
gallinacci giovani; questi termini vengono usati ironicamente anche per
indicare ragazzi e ragazze.
Un pulaaster indica anche una persona sciocca e ingenua, facile da raggirare
Un pularóol è un commerciante che si dedica più che all’allevamento, alla
compravendita dei polli, spesso barattando merci e beni vari.
La pulèina è assieme degli escrementi dei polli, usato come
concime.
**=M=**
Aragosta e … pulaaster
Si narra che alcuni anni fa un nonno contadino
carpigiano, abituato solo ai nostri cibi tradizionalissimi, fosse stato
costretto ad affrontare una "bella" crociera per accontentare la
moglie e i figli, questi ultimi autori del prestigioso, ma non troppo
desiderato, regalo.
La crociera, come logico, si svolgeva in ambienti
raffinati, dove abbondavano mangiari strani e moderni.
L'uomo, abituato da una vita al suo semplice e collaudato
ambiente campagnolo, non era proprio a suo agio in queste soffici e lussuose
atmosfere e ormai da vari giorni mal sopportava, sbuffando e brontolando, la
nuova ed esotica dieta; tuttavia abbozzava per non creare imbarazzi. Ma un
pomeriggio un addetto dell'equipaggio, ch a l girèeva un pòo dunèina,
chiese con voce flautata al gruppo di turisti carpigiani: "Questa sera lo
chef propone una gustosa alternativa fra aragosta e piatti con pollo. Vogliate
ordunque comunicarmi cortesemente le vostre preferenze, in modo da organizzare
al meglio le dîner pour le soir."
Aragosta e … pulaaster
Il nostro nonno non se lo fece dire due volte,
scattò in piedi dalla sedia, cóome s al gh iss avùu 'na mòola sòtt al
cuul, alzò la mano e urlò:" PULAASTER!!"
**=M=**
I
lèeder èd galèini
Durante i furti notturni da parte di lèeder èd galèini, gli animali non venivano certo chiamati, ma erano
catturati in silenzio e al buio, mentre avevano gli occhi ancora chiusi.
Divenne famosa negli anni ’50 una coppia di ladruncoli
che utilizzavano una tecnica particolare: a
gh éera l infurnadóor. I due ladretti facevano un buco in una parete del
casotto del pollaio, oppure passavano direttamente dal burlèin (sportellino) dal
pulèer. Uno di essi teneva un sacco
aperto e l'altro, tale Fiaschìin, vi infilava
cautamente un lungo bastone allo stesso modo in cui si introduce una paletta in
forno da pane o da pizza. Tich … Tich …
Toccava delicatamente le zampe di una gallina, questa al buio sentiva un nuovo
appoggio, cambiava posizione e si aggrappava al bastone. A questo punto l infurnadóor al "desfurnèeva (sfornava)" e al cavèeva fóora piàan piàan al pùi che finiva subito nel sacco.
Anche Carlo Lodi (Carpi) conferma questo singolare
metodo: aveva un amico più vecchio di lui che, durante la guerra, ogni tanto si
arrangiava in quel modo. Era una tecnica efficace che funzionava bene, diceva
lui.
Molto nota è anche la sfortunata e più che altro leggendaria
avventura capitata a due piccoli malfattori che nottetempo avevano praticato un
buco nel pollaio per potere rubare qualche pennuto.
Uno dei ladri mise dentro la testa per capire dove
allungare la mano. Il problema era però che il contadino, stanco di altri furti
subiti, era all’erta dentro al pollaio con in mano un robusto bastone.
Appena vide il ladro introdurre la testa gli menò
fra naso e bocca una secca e violenta bastonata.
Lo sventurato, colto di sorpresa, cacciò un urlo e nel
contempo uscì dal buco con una mano sulla bocca.
Il complice non capiva: “Mò ’s’ è sucèes??” chiese più volte.
Riavutosi un attimo dall’intenso dolore, sempre con
la mano sulla bocca sanguinante, rispose al compare: “Va dèinter tè, ch a m scaapa da ridder!”
La frase, nella più diffusa variante “Va avaanti tè, ch a m scaapa da ridder!”,
si è trasformata in un modo dire e viene usata comunemente come tipico
atteggiamento nei confronti di un'enunciazione di un'idea altrui, forse bella,
forse utile, ma particolarmente onerosa o non priva da pesanti negative controindicazioni.
In pratica vuol dire: "Sì! Certo ! Ma fallo prima tu ...".
Anche l’espressione “ladro di polli o di galline”
definisce personaggi di infimo spessore qualitativo umano.
**=M=**
**=M=**
Modi di dire in dialetto
Una persona che è ben
sistemata in un buon posto di lavoro si può definire … l è bèin pularèe, nel senso
che ben sistemato in un confortevole pollaio, dove ha di chè mangiare, bere
sotto un sicuro tetto. L è bèin pularèe in Comòuna, in baanca o in
Fundasiòun (è ben collocato in
Comune, in banca o in uno dei ben retribuiti consigli di amministrazione della Fondazione
della Cassa).
L è un bastòun mèerd: è un bastone usato per rimescolare i pozzi
neri o simili fetidi luoghi; definisce una persona molto difficile da trattare
e che va presa solo per il giusto verso (quello non sporco … ovvio, evitando
gli spricchi), altrimenti si è certi che ci saranno da pagare delle conseguenze
poco piacevoli.
Ma
c’è un ulteriore grado di gravità in questa categoria di definizioni ed è
quando si indica qualcuno come: L è un bastòun da pulèer - È un
bastone da pollaio. In questo caso al personàag’ l è dimònndi, mò pròopia
dimònndi descòomed; infatti tale bastone, essendo completamente disteso
nel recinto delle galline, è sporco completamente in tutta la sua lunghezza e
non si sa dunque come prenderlo in mano senza sporcarsi.
A n s sà da che còo ciapèer èl (non si sa
assolutamente da che parte prenderlo). Trattare positivamente con costui sarà
pertanto un’impresa disperata.
In ṡnèer a s
impinìss d óov al pulèer; in gennaio si riempie di uova il pollaio.
Cus èel
ch al pulèer? Cos’è questo pollaio? Inteso come come gran confusione. Fèer
dal pulèer … fare schiamazzi.
1930 – Contadina con le
sue galline
A suun
piin cóome 'n óov … sono pieno come un uovo, dopo un lauto pranzo.
Al gaal
dal pulèer è la persona più
autorevole in un gruppo. Deriva dal fatto che il gallo del pollaio è l'unico
maschio tra le galline. Infatti abbiamo ... andèer d acòord cóome duu gaal
ind al pulèer. Si è in competizione come due galli in un pollaio; non è
possibile la coesistenza pacifica.
Se al
gaal l è mutt, pulèer a t salùtt, se il gallo è muto, pollaio ti saluto. Se il
gallo non canta, non vi è futuro per il pollaio.
L è
argiulìi cóome un galètt, essere vivace come un galletto in piena
gioventù.
Un galètt (galtèin, galtinèin) indica
un ragazzo vivace, svegli ardito. Al fa al galètt còn tutti al ragaasi ...
corteggia tutte le ragazze senza alcun timore.
Mentre
i
galètt sono gridolini acuti graduati di un bimbo di pochi mesi. Sèint
mò che bée galètt ch a fa al putèin! Senti che begli urletti fa il
piccolino.
La pèer
‘na ciòosa in covva, sembra una chioccia che sta covando; una frase che si
riferisce a una donna dall’aspetto dimesso
Imberièegh
cóome ‘na ciòosa, ubriaco come una chioccia. Per far sì che una chioccia allevasse
pulcini non suo rimasti orfani, la reṡdóora dava da mangiare al pennuto del
pane bagnato nel vino in modo da confondere i suoi sensi con l’alcol. La povera
gallina ubriaca camminava caracollando.
Ciuseèr, chiocciare … termine
scherzoso riferito a chiacchiere fitte, fitte, fitte di donne, che parlano di
tante cose assieme senza pause e sovrapponendosi in continuazione l’un l’altra.
Quàand
i àan finìi (mò dòop un bèel pòo) i iin tutti cuntèinti, aanch se nisunna à
capìi gniint!
Quando
hanno finito di chiacchierare (ma dopo un bel po’) sono tutte contente, anche
se nessuna ha capito niente.
Pusèer
cóome ‘n unndeṡ, puzzare come un uovo marcio. Se si traduce questa frase dal
dialetto si è facilmente indotti a riferirsi al numero undici, che invece NON
c’entra nulla. Il significato della parola unndeṡ, inndeṡ o enndeṡ, come risulta dai
vari modi di dire delle nostre zone, è infatti … indice. Si tratta di un uovo vero o di legno, detto
appunto "indice", che era quello che un tempo la resdṡdóora lasciava
nel nido, affinché le galline andassero tutte e sempre lì a fare l'uovo e non
in altri posti sparsi, col rischio di perdere il loro prezioso deposito.
È
facile comprendere che dopo alcuni giorni l'uovo "indice" prendeva un
"profumo" caratteristico di marcio.
Òogni
cuvèeda la gh a al so unndeṡ, ogni covata ha il suo uovo marcio; la frase
può essere riferita anche a una figliolanza numerosa, dove qualche rampollo può
risultare con dei difetti fisici, mentali o caratteriali
Ciacarèer cóome ‘na
ciòosa - ciusèer
(Parlare come una chioccia -
chiocciare)
Magnèer cóome un pulṡèin, mangiare come un pulcino, ovvero pochissimo.
Móoi cóome un pulṡèin, bagnato come un pulcino appena uscito dall’uovo.
L è próopria un pulaaster (o un pùi), è proprio un giovane
pollo, una persona ingenua facile da ingannare.
‘Na bèela
pulastrèina (pulastrèela, galinèela), riferito a un’avvenente giovane ragazza che
si vorrebbe ghermire a concupiscenti desideri.
Fèer
cuacìin, è l'azione del pulcino che si rannicchia sotto la chioccia.
A la
fèesta a m pièeṡ fèer un cuacìin a lèet primma d alvèer èm. La domenica mi piace
starmene rannicchiato nel calduccio del letto per un po', prima di alzarmi.
Imberièegh
cóome 'na ciòosa, ubriaco come una chioccia. Quando alle chiocce veniva dato pane inzuppato
nel vino, perché accettassero, senza accorgersene, pulcini di altre covate da
allevare.
La pèer
'na ciòosa in còvva, sembra una chioccia che sta covando. La frase si
riferisce a una donna dimessa e di atteggiamento schivo.
Le lè ch
al còvva quèel! È lì che cova qualcosa. Quando persona se ne sta seduta rannicchiata,
mogia mogia; la febbre e i brividi stanno arrivando.
A gh
caala sóol al laat èd galèina, gli manca solo il latte di gallina. Si tratta
di una persona privilegiata che ha tutto, gli manco solo l'impossibile.
Questioni
di
argiulidùura … la galèina vèecia la vóol al galètt nóov; questione
di ripresa di vitalità … la donna vecchia vuole un compagno giovane.
Fèer la bòcca
a cuul d galèina, quando fa una smorfia di disappunto, fastidio, disprezzo
stringendo il centro delle labbra verso l'esterno.
Pèr Paasqua e pèr Nadèel, òogni galèina al sò pulèer … per Pasqua e per Natale ogni gallina al suo
pollaio. Nelle grandi occasioni si torna in famiglia.
La gallina faraona (la faravòuna),
considerata la sua provenienza dall’India, si chiamava anche la dinndia.
I contadini la portavano per Natale in città, già plèeda, a
chi aveva fatto loro importanti favori o dato preziosi consigli.
Pulèer
Un’usanza particolare delle nostre campagne del
secolo scorso prevedeva che la madre della puerpera regalasse, fra i vari doni
offerti in questa circostanza, una gallina. Doveva essere di penna bianca, se
non si volevano porre limiti alla prolificità, di penna nera se si sperava di
ridurla o interromperla.
Anni ‘60 - La massaia con le sue
galline
Mercato dei polli - Piazzale
Ramazzini a Carpi - anni '50 - Il sig. Veroni, noto pollivendolo di Fossoli col
fazzoletto al naso. Abitava in Via Remesina detto "Vròuna al pularòol"!!
1965 Scuola di campagna - lezione
all’aperto
1960 Nonna e nipotina con le
galline - Il nonno dietro al lavoro
1960 - Una bambina osserva curiosa
una giovane gallina
**
Oltre ai polli e altri pennuti,
c’era naturalmente anche il maiale a cui dar da mangiare …
anni 60 - Famiglia con maiale e
galline
**=M=**
Le radiazioni atomiche possono
portare singolari conseguenze!!
Nessun commento:
Posta un commento
grazie