Prima stesura 9 luglio
2015 V06 del 17-8-2020
Ufff… Mò che chèeld!
Uffa che caldo
di Mauro D’Orazi
Uff… è una esclamazione che si pronuncia nel nostro
dialetto, gonfiando più o meno le guance e sbuffando, con la quale si suole
esprimere un senso di soffocamento per il caldo eccessivo.
È il caso proprio della nostra pianura padana, dove d’estate
soffriamo giornate di caldo micidiale; senza un alito di vento, con un’umidità
che arriva al 100%. Un sofòogh o sofòoch (un soffoco) come ben descrive
la situazione una parola del nostro efficace dialetto. A pèer d èsser in ‘na laanda, sembra di essere in una terra
ardente e desolata; lo stesso Guareschi, in un suo famoso incipit a Don Camillo,
ci dice che siamo in una terra dove d’estate un sole spietato picchia
martellate furibonde sui cervelli della gente, con tutte le conseguenze del
caso.
Il carpigiano accaldato pronuncerà con la consueta pungente
ironia: a m suuda la linngua in bòcca! Mi
suda la lingua in bocca.
Oggi per difendersi dal caldo ci chiudiamo in casa con i
condizionatori; un certo numero di pensionati vengono deportati nei
freschissimi centri commerciali, oppure di sera si va in Piazzetta, nuovo punto
vitalissimo di Carpi, dove per uno strano, ma molto apprezzato gioco di
correnti d’aria, dalle
Ma una volta come si comportano i carpigiani per difendersi
dal caldo?
Le opportunità non erano certo tante e si improvvisava coi
pochissimi mezzi a disposizione. I ragazzi si arrangiavano come potevano; andavano
a fare il bagno della Lama (Lama River nel gergo giovanile di allora), dove il
Comune dava un minimo di attrezzatura e anche un bagnino (sono ancora note
nella memoria i nomi epici di Turrini e di Ardore).
Si frequentava anche il Secchia o il laghetto (vicino a la bòtta) del Bacino della Bonifica a
Quartirolo.
In tutti questi posti audaci maschietti improvvisavano prove
di ardimento con tutti e gare di nuoto.
Il Comune organizzava anche colonie estive al mare a Ponte
Marano e in montagna, ma anche a San Martino Secchia funzionava un affollato
centro elioterapico. Un nome altisonante, benefico e salutare, che dava
rispetto solo a pronunciarlo ed esaltava ciò che in realtà era in sé ben poca
cosa. Tutte iniziative a cui il
sindaco Bruno Losi teneva moltissimo, anche come contributo per allontanare
l’incubo della TBC, che fino mezzo secolo fa non scherzava.
Noi ragazzini andavano a giocare al Parco e lì c’era un
barrettino dove vendevano i BIF, i ghiaccioli. Se eri fortunato nel bastoncino c’era
una stella marroncina e ne vincevi un altro.
I carpigiani la sera i
tulìiven arsòor (prendevano respiro, sollievo), occupando le decine e
decine di tavolini di ben cinque bar in piazza, che era onorata dal parcheggio
delle auto e che la rendevano viva. Ricordo i nomi degli esercizi: bar Milano, bar
Dorando, bar Armagni, bar Roma e dall’altra parte della piazza il caffè Teatro
Mò a gh èera aanch al funtaani… in via Fassi, viale Carducci e il baracchino dal
graniiti davanti ai necrologi èd fròunt al veschvèed.
Infine nei miei ricordi ci sono i bellissimi dopo cena con la
mia famiglia sempre al Parco, ma stavolta presso la famosa baracchina di
cocomere della nota famiglia Bencivenni. Alla frescura serale, sotto le fronde,
si univa una fetta di cocomero gelato che era una delizia, un paradiso in
terra.
Il benessere economico, esploso agli all’inizio degli anni
’60, ci consentiva anche questo piccolo lusso. C’era poi la questione del … garullo,
ma questa è un’altra storia che ho raccontato in una diversa narrazione del nostro
passato.
Con poco si toccava la felicità.
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