giovedì 23 luglio 2015

Ufff… Mò che chèeld! - Caldo estivo - Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano - Carpi



Prima stesura 9 luglio 2015                                   V06 del 17-8-2020

 

Ufff…  Mò che chèeld!  

Uffa che caldo

                                                                                    di Mauro D’Orazi

Uff… è una esclamazione che si pronuncia nel nostro dialetto, gonfiando più o meno le guance e sbuffando, con la quale si suole esprimere un senso di soffocamento per il caldo eccessivo.

È il caso proprio della nostra pianura padana, dove d’estate soffriamo giornate di caldo micidiale; senza un alito di vento, con un’umidità che arriva al 100%. Un sofòogh o sofòoch (un soffoco) come ben descrive la situazione una parola del nostro efficace dialetto. A pèer d èsser in ‘na laanda, sembra di essere in una terra ardente e desolata; lo stesso Guareschi, in un suo famoso incipit a Don Camillo, ci dice che siamo in una terra dove d’estate un sole spietato picchia martellate furibonde sui cervelli della gente, con tutte le conseguenze del caso.

Il carpigiano accaldato pronuncerà con la consueta pungente ironia: a m suuda la linngua in bòcca! Mi suda la lingua in bocca.

Oggi per difendersi dal caldo ci chiudiamo in casa con i condizionatori; un certo numero di pensionati vengono deportati nei freschissimi centri commerciali, oppure di sera si va in Piazzetta, nuovo punto vitalissimo di Carpi, dove per uno strano, ma molto apprezzato gioco di correnti d’aria, dalle 22 in poi si sta veramente bene, se si ha l’avvertenza di sedersi in certi punti di quest’area. Filossi spontanei si creano ogni sera, utilizzando a cerchio le sedie e panchine a disposizione

Ma una volta come si comportano i carpigiani per difendersi dal caldo?

Le opportunità non erano certo tante e si improvvisava coi pochissimi mezzi a disposizione. I ragazzi si arrangiavano come potevano; andavano a fare il bagno della Lama (Lama River nel gergo giovanile di allora), dove il Comune dava un minimo di attrezzatura e anche un bagnino (sono ancora note nella memoria i nomi epici di Turrini e di Ardore).

Si frequentava anche il Secchia o il laghetto (vicino a la bòtta) del Bacino della Bonifica a Quartirolo.

In tutti questi posti audaci maschietti improvvisavano prove di ardimento con tutti e gare di nuoto.

Il Comune organizzava anche colonie estive al mare a Ponte Marano e in montagna, ma anche a San Martino Secchia funzionava un affollato centro elioterapico. Un nome altisonante, benefico e salutare, che dava rispetto solo a pronunciarlo ed esaltava ciò che in realtà era in sé ben poca cosa.  Tutte iniziative a cui il sindaco Bruno Losi teneva moltissimo, anche come contributo per allontanare l’incubo della TBC, che fino mezzo secolo fa non scherzava.

Noi ragazzini andavano a giocare al Parco e lì c’era un barrettino dove vendevano i BIF, i ghiaccioli. Se eri fortunato nel bastoncino c’era una stella marroncina e ne vincevi un altro.

I carpigiani la sera i tulìiven arsòor (prendevano respiro, sollievo), occupando le decine e decine di tavolini di ben cinque bar in piazza, che era onorata dal parcheggio delle auto e che la rendevano viva. Ricordo i nomi degli esercizi: bar Milano, bar Dorando, bar Armagni, bar Roma e dall’altra parte della piazza il caffè Teatro

Mò a gh èera aanch al funtaani… in via Fassi, viale Carducci e il baracchino dal graniiti davanti ai necrologi èd fròunt al veschvèed.

Infine nei miei ricordi ci sono i bellissimi dopo cena con la mia famiglia sempre al Parco, ma stavolta presso la famosa baracchina di cocomere della nota famiglia Bencivenni. Alla frescura serale, sotto le fronde, si univa una fetta di cocomero gelato che era una delizia, un paradiso in terra.

Il benessere economico, esploso agli all’inizio degli anni ’60, ci consentiva anche questo piccolo lusso. C’era poi la questione del … garullo, ma questa è un’altra storia che ho raccontato in una diversa narrazione del nostro passato.

Con poco si toccava la felicità.

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