martedì 23 giugno 2015

Agente DIVO facente di Pietro D’Orazi - Carpi - A nostro padre

Agente DIVO facente
di Pietro  D’Orazi
C’erano molti indizi a conferma dell’ipotesi che nostro padre fosse davvero un poliziotto seppure in borghese.
Innanzi tutto c’era quell’odore di cuoio/lucido/grassoperstivali, ovvero di caserma, proveniente dall’armadio della cantina che conteneva una uniforme ormai smessa in pelle nera da postodiblocco/motociclista di p.s., stile Sordi ne “Il vigile”.     
Vigile motociclista (divisa simile al poliziotto motorizzato) [filmato 1]
Poi c’era quel suo portamento fiero che tanto ci inorgogliva quando si era a passeggio; conosceva tutti e tutti lo conoscevano che sembravano incantati più dal suo sorriso conciliante che dal fascino sprigionato dalla divisa imprigionata nell’armadio.
Un’altra tessera del mosaico era in realtà un tesserino verde oliva cimina, rilasciato dal Ministero, dove appariva con tanto di baffi e in testa la tesa.

Possedeva un istinto tutto particolare per cogliere in flagrante la nostra ingenuina fragranza, mentre magari si barriva sghignazzanti per telefono al malcapitato di turno o si trappolava per strada con un portafoglio pieno di carta usato da esca o si elaborava il rutto insolente.
Quel tipico fiuto che non aveva bisogno di una seconda impressione, che a confronto era nulla l’olfatto di quel “vero e proprio cane-lupo-rintintin” con tanto di ingombrante testone che sembrava la sella di una lambretta, in compagnia del quale talvolta passava per casa quando era al lavoro, impressionando la ziona e me. 

Odierna sella pullman con Ben

Se poi ci aggiungiamo che non ebbe pace finché non riuscimmo a permetterci la Giulia Seppur Milletre TI (ma non proprio la Giulia Super 1.6, dal culo ribassato di puledro spronato, in dotazione alla forza pubblica) con cui percorrere la Cassia per mille miglia e una ancora...  
Giulia Super 1.6  in piazza con Divo al volante, mentre parla con (Sgagiadèin) Ermes Benetti

Anche il fatto che talvolta reclutava mio fratello e me, immagino per coprirgli le spalle, quando era in servizio allo stadio (cheppalle insidiose!).
O l’addestramento cui ci sottoponeva la domenica mattina in piazza, allorché ci toccava perlustrare quel vasto accampamento fatto di pannelli bianchi, nebbia a banchi, passerelle e stand, che cingevano il castello ai bei tempi dell’assedio export, quando al dodicesimo rintocco seguiva il boom economico (che, invero, da casa nostra non si percepiva poi così forte) credo sparato a SalveRegina dalla cannonica del Sannìcolò [filmato 2]: perché la Fiera del Filato era un vero e proprio labirinto, col collega Filone affiliato al Minotauro e di fili un sacco, di Arianna e non; poco ariana fu la Twiggy casereccia che ci consegnò due cravatte tronche Trevira 2000, in fibra sintetica non pettinata, in quanto hippie, i cui colori sgargianti avrebbero presto influenzato la vernice del LUI 50&75 di Bertone, ma che al momento mal si addicevano al paraorecchie incorporato nel mio berretto. 

A proposito di Beretta, probabilmente in casa c’era anche una pistola “che a essere prudenti non si tocca”, senza caricatore, ben nascosta chissà dove nello sgabuzzino (nella vecchia credenza, aprendo con cautela di molto il cassetto di sinistra, in fondo, dietro alla cartella del rogito).O forse nel comodino in camera da letto.

Beretta mod 1934 di ordinanza della PS

E quel nostro cognome oriundo, eventualmente così ordinario tra militari, ma che certo un poco strideva nel registro di classe, fra quelli così schiettamente emiliani dei compagni? Dunque quel cognome che faceva sorprendentemente rima strabaciata con quello carpigiano di nostra madre (Bertolazzi), non era forse un altro indizio?
E che parte poteva avere quel quasi omonimo, non omino, amico fornaio, direttore del tiro a segno? Che dietro a suoi grugniti, tra una croisette ferrarese ed una baguette sciapò, si celasse il contatto giusto per la resistenza francese, tipo la Grande Fuga? Mai glielo Chiesi, che andò in ferie. 
1944 Ricevuta Forno Chiesi per consegna al Campo Fossoli

Troppe quindi le coincidenze, innumerevoli le tracce lasciate.
Purtroppo le nostre indagini non si poterono spingere oltre, perché la nostra intelligence andò in riserbo.
Finché, in un tardo mattino di agosto, nel ritirare l’odiato pane locale precedentemente ordinato da nostro padre presso un forno di turno, lessi sul sacchetto stampigliato a lapis in caratteri cubitali e dialetto ingentilito: PULISCIOTTO.

P.S.: pubblica sicurezza (Polizia/forza pubblica).
p.d’o.:  
  
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