Agente DIVO facente
di Pietro D’Orazi
C’erano molti indizi a conferma dell’ipotesi che nostro padre fosse davvero
un poliziotto seppure in borghese.
Innanzi tutto c’era quell’odore di cuoio/lucido/grassoperstivali, ovvero di
caserma, proveniente dall’armadio della cantina che conteneva una uniforme
ormai smessa in pelle nera da postodiblocco/motociclista di p.s., stile Sordi
ne “Il vigile”.
Vigile
motociclista (divisa simile al poliziotto motorizzato) [filmato 1]
Poi c’era quel suo portamento fiero che tanto ci inorgogliva quando si era
a passeggio; conosceva tutti e tutti lo conoscevano che sembravano incantati
più dal suo sorriso conciliante che dal fascino sprigionato dalla divisa
imprigionata nell’armadio.
Un’altra tessera del mosaico era in realtà
un tesserino verde oliva cimina, rilasciato dal Ministero, dove
appariva con tanto di baffi e in testa la tesa.
Possedeva un istinto tutto particolare per cogliere in flagrante la nostra
ingenuina fragranza, mentre magari si barriva sghignazzanti per telefono al
malcapitato di turno o si trappolava per strada con un portafoglio pieno di
carta usato da esca o si elaborava il rutto insolente.
Quel tipico fiuto che non aveva bisogno di una seconda impressione, che a
confronto era nulla l’olfatto di quel “vero e proprio cane-lupo-rintintin” con
tanto di ingombrante testone che sembrava la sella di una lambretta, in
compagnia del quale talvolta passava per casa quando era al lavoro,
impressionando la ziona e me.
Odierna
sella pullman con Ben
Se poi ci aggiungiamo che non ebbe pace finché non riuscimmo a permetterci
la Giulia Seppur Milletre TI (ma non proprio la
Giulia Super 1.6, dal culo ribassato di puledro spronato, in dotazione alla
forza pubblica) con cui percorrere la Cassia per mille miglia e una
ancora...
Giulia
Super 1.6 in piazza con Divo al volante,
mentre parla con (Sgagiadèin) Ermes Benetti
Anche il fatto che talvolta reclutava mio fratello e me, immagino per
coprirgli le spalle, quando era in servizio allo stadio (cheppalle insidiose!).
O l’addestramento cui ci sottoponeva la domenica mattina in piazza,
allorché ci toccava perlustrare quel vasto accampamento fatto di pannelli
bianchi, nebbia a banchi, passerelle e stand, che cingevano il castello ai bei
tempi dell’assedio export, quando al dodicesimo rintocco seguiva il boom
economico (che, invero, da casa nostra non si percepiva poi così forte) credo
sparato a SalveRegina dalla cannonica del Sannìcolò [filmato 2]:
perché la Fiera del Filato era un vero e proprio labirinto, col collega Filone
affiliato al Minotauro e di fili un sacco, di Arianna e non; poco ariana fu la
Twiggy casereccia che ci consegnò due cravatte tronche Trevira 2000, in fibra sintetica
non pettinata, in quanto hippie, i cui colori sgargianti avrebbero presto
influenzato la vernice del LUI 50&75 di Bertone, ma che al momento mal si
addicevano al paraorecchie incorporato nel mio berretto.
A proposito di
Beretta, probabilmente in casa c’era anche una pistola “che a essere prudenti
non si tocca”, senza caricatore, ben nascosta chissà dove nello sgabuzzino
(nella vecchia credenza, aprendo con cautela di molto il cassetto di sinistra,
in fondo, dietro alla cartella del rogito).O forse nel comodino in camera da letto.
Beretta mod 1934 di ordinanza della PS
E quel nostro cognome
oriundo, eventualmente così ordinario tra militari, ma che certo un poco
strideva nel registro di classe, fra quelli così schiettamente emiliani dei
compagni? Dunque quel cognome che faceva sorprendentemente rima strabaciata con
quello carpigiano di nostra madre (Bertolazzi), non era forse un altro indizio?
E che parte poteva avere quel quasi omonimo, non omino, amico fornaio,
direttore del tiro a segno? Che dietro a suoi grugniti, tra una croisette
ferrarese ed una baguette sciapò, si celasse il contatto giusto per la
resistenza francese,
tipo la Grande Fuga? Mai glielo Chiesi, che andò in ferie.
1944 Ricevuta Forno Chiesi per consegna al Campo Fossoli
Troppe quindi le
coincidenze, innumerevoli le tracce lasciate.
Purtroppo le nostre indagini non si poterono spingere oltre, perché la
nostra intelligence andò in riserbo.
Finché, in un tardo mattino di agosto, nel ritirare l’odiato pane locale
precedentemente ordinato da nostro padre presso un forno di turno, lessi sul
sacchetto stampigliato a lapis in caratteri cubitali e dialetto ingentilito:
PULISCIOTTO.
P.S.: pubblica
sicurezza (Polizia/forza pubblica).
p.d’o.:
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