I Piletti di Tomeazzi ridotti per Voce di Carpi
Maggio 2015
Bene, D’Orazi, tu asserisci di aver ritrovato arcani significati dietro
la vicenda di quelli che i Carpigiani non più giovani ricordano come i pilètt ed Tomeàasi, ovvero i due
fittoni che da sempre chiudono il portico di piazza Garibaldi verso corso Roma…
Ci hai scritto su uno dei tuoi quaderni storici su costumi e detti della Carpi
che fu. Ci vuoi riassumere qui il senso della sua scoperta?
«Intanto, lasciami descrivere il
posto, carico appunto di reminiscenze e modi di dire carpigianissimi…»
Prego.
«Gli storici pilètt o fittoni in marmo chiudono il portichetto detto dla Minghètta, quello che porta dalla
piazzetta verso San Francesco e così chiamato dal nome di una fruttivendola che
vi teneva bottega. Ce li avevano messi a fine Ottocento per impedire
probabilmente che nel portico entrassero birocci o altro. Sono sempre stati due,
anche se non si tratta di quelli originali. Proprio lì a fianco, sotto il
portico, aveva sede la bottega dei Tomeazzi che si autodefiniva “agenzia
giornalistica e libreria”, ma vendeva merce molto varia. E sempre nei pressi
c’era al Cafè èd Gigìin Caròobi,
molto frequentato per tutta la prima metà del secolo scorso. E sempre in zona,
a dimostrare che in piazzetta i locali funzionavano già molto prima che la
scoprissero i ristoranti e i caffè di oggi, c’era il Tre Corone…»
L’albergo…
«Ma anche ristorante, dove si
mangiava molto bene: cappelletti, lasagne, arrosti, bolliti che venivano
serviti con ricercatezza e stile. I Carpigiani ci andavano con tutta la
famiglia la domenica: un rito durato fino a tutti gli anni Sessanta»
Insomma, c’era un piccolo mondo, intorno ai pilètt ed Tomeàasi: ma andiamo avanti
«Eh sì, bastava dire Mò lè, da i pilètt èd Tomeàasi e tutti
capivano, anche se i Tomeazzi originali chiusero presto i battenti e dov’erano
loro ci aprì poi la tabaccheria che ora si trova in corso Roma»
E che cosa le ha fatto scattare l’idea che ci sia qualche cosa di
misterioso intorno ai due fittoni?
«Tutto risale a una chiacchierata
con il compianto Franco Bizzoccoli. Una volta mi raccontò che lui lo
frequentava il Cafè Caròobi. Lì ci
trovava i suoi amici e si giocava alla concia, un gioco a carte pernicioso che
richiede molta fortuna. Proprio per questo, mi disse che Gigìin Caròobi, su uno dei piletti, il 2 febbraio, giorno della Candelòora, accendeva sempre una candela
per càaia, come diceva lui, come
forma di scongiuro. Bizzoccoli mi confessò anche questo: “Gigìin sapeva quale dei due piletti portava sfortuna, e lo so
anch’io, ma non te lo posso dire”. Fatto sta che il giorno della Candelora,
detta anche Seriòola, Gigìin esponeva la sua candela. E poiché
i piletti erano esposti a mezzogiorno, lui diceva che quando il sole batte
sulla candela, significa che è più il freddo che deve ancora venire di quel che
è già venuto»
Questo nesso tra la fortuna, la candela e il meteo un po’ mi sfugge…
«Franco purtroppo se n’è andato
senza darmi altre spiegazioni, ma il tarlo mi è rimasto dentro, come la voglia
di risolvere questo piccolo mistero. Ho postato il quesito sul mio profilo Facebook
chiedendo se qualcuno sapesse qualche cosa di questa storia di candele,
scongiuri e stagioni»
E ci sono state risposte?
«Sì, quella di Renato Cucconi che
in dialetto mi ha spiegato che un pilètt
l’èera scuchèe e al purtèeva càia perché
i gìiven che un, in dal saltèerel, al gh ìiva lasée i cùcch (si diceva che
uno dei due piletti era scoccato e portava scalogna, perché uno, nel saltarlo,
ci aveva rimesso… i gioielli, ndt). E
allora sono andato a controllare una vecchia foto dei primi del Novecento e mi
si è accesa una lampadina: in effetti vi si vede uno dei due piletti… smichèe,
tranciato alla sommità, e non poteva che essere quello sul quale Gigìin accendeva la candela, perché
portava scalogna, come ben poteva dimostrare lo sfortunato saltatore»
Un rito, dunque, uno scongiuro che serviva anche come previsione del
tempo…
«Sì, perché il 2 febbraio è
importante: viene 40 giorni dopo Natale e precede di uno San Biagio, San Bièes cun la néeva sòtt al nèes, l’ultimo
mercante da neve. Ed è anche il giorno in cui si celebra la presentazione di
Gesù al tempio e la Purificazione di Maria Vergine. Insomma, un incrocio di
circostanze che fa del 2 febbraio, la Candelòora o Seriòola, una tappa importante dell’inverno, potendone decretare la
fine o i colpi di coda: per la Seriòla o
ch a piòov o ch a néeva o ch a nàas la viòola, o ancora per la Seriòola da l’invéeren a sémm fòora.
Quanto alle candele, la chiesa celebra questa giornata con la loro benedizione
perché simboleggiano l’accendersi della vita divina nei battezzati. E si
credeva che la candela, benedetta dal sacerdote, portata a casa e appesa sopra
il letto o infilata fra la biancheria nel cassettone, esercitasse influssi
benefici contro le forze del male»
Insomma, con un gesto fatto magari per propiziarsi la fortuna o esorcizzare
la scalogna al gioco delle carte, il buon Gigìin
cercava anche di capire di che natura sarebbe stato il restante periodo
invernale, e magari di propiziarselo un po’. Paghi uno e prendi tre: tutto molto
carpigiano.
«Mettiamola così, se credi…».
**
il testo originale è molto più completo e lungo
posso mandarlo a richiesta
dorry@libero.it
oppure potere mandarmi altre preziose testimonianze al riguardo
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