lunedì 23 settembre 2024

Sali, tabacchi e macubèin - botteghe di una volta - Mauro D'Orazi dialetto carpigano carpi

 

02-07-2022 prima versione                          v25 del 31-01-2023

Sali, tabacchi e macubèin

di Mauro D‘Orazi


 

La parola dialettale paltèin indica sia il negozio di tabacchi, che il rivenditore autorizzato … il tabaccaio stesso. Il nome deriva dal contratto di appalto che il titolare stipulava con lo stato, il ducato e successivamente il regno. Esiste anche il termine più moderno di tabachìin. Il mestiere di tabaccaio è sempre stato importante. Un punto di servizio indispensabile per la gente; una volta dispensava anche il sale, il chinino anti malaria, le marche e i francobolli.

Oggi tutto è cambiato e le tabaccherie sono diventate preziosi terminali per effettuare i pagamenti più disparati, facendoci evitare noiose file alle Poste, in banca, all’Aci, ecc …

La storia e l’attualità della tabaccheria in Italia affonda le sue profonde radici di storia a oltre 350 anni.

La lunga storia della tabaccheria inizia alla fine del Seicento a Roma dove papa Alessandro VII diede vita alla privativa sul tabacco e di conseguenza nacque la prima embrionale tabaccheria e la conseguente figura del tabaccaio. All’inizio del 1700 si ha la prima evoluzione, ovvero la tabaccheria viene accorpata alla somministrazione del mestiere del venditore di acquavite, per l’appunto chiamati acquavitari. In quell’ epoca la tabaccheria non si chiamava come tale, ma faceva parte dei mestieri ed era ritenuta utile per la distribuzione e il controllo di importanti strumenti di entrata per lo stato Pontificio. Alla fine del XVII secolo a Roma la tabaccheria è così diffusa da superare il numero dei forni e delle bettole. In un Italia, divisa in piccole Repubbliche, la tabaccheria è un’attività riconosciuta e ben considerata, citiamo per esempio un decreto di Ferdinando II, re delle due Sicilie, che impone dazi ai tabacchi per l’importazione da altri stati, lasciando libera la vendita di quelli coltivati all’ interno del Regno.

Agli inizi del ‘900 la tabaccheria viene utilizzata per la distribuzione del Chinino, importante sostanza per combattere i sintomi della malaria.

La tabaccheria viene subito individuata come un luogo di distribuzione ideale per la popolazione, in un’Italia affetta dalla malaria. La tabaccheria corre veloce ed infatti nell’anno 1901 contiamo già ufficialmente nel Regno d’Italia ben 28.000 tabaccherie. Un numero notevole che dimostra come la tabaccheria abbia già una spiccata capillarità con il territorio Italiano che tuttora persiste.


Il 1918 è un anno importante per la tabaccheria, infatti viene cambiata la denominazione con un regio decreto, le tabaccherie oltre a vendere Sali e Tabacchi dovranno vendere altri generi che lo stato ha assunto e assumerà in regime di monopolio.

La tabaccheria ha l’obbligo quindi anche di sostituire l’insegna, che fino allora riportava solo il simbolo di Sali e Tabacchi, successivamente invece si dovrà scrivere Rivendita di generi di Monopolio.

La tabaccheria sulla nuova insegna esporrà anche un numero che sarà assegnato ad ogni rivendita del comune di appartenenza. Insomma la tabaccheria si dota di un “numero di targa”. Per avere un’altra modifica all’insegna della tabaccheria si dovrà aspettare fino al 1956 e questa volta l’insegna della tabaccheria assume le stesse caratteristiche come la vediamo oggi, infatti l’amministrazione dei Monopoli di Stato diramano una circolare per tutte le tabaccherie che rende obbligatoria esporre la T bianca su sfondo nero. Un’altra piccola grande trasformazione dell’insegna che oggi conosciamo avviene nel 1984, quando vengono aggiunte anche la dicitura di vendite di valori bollati.

Altra piccola rivoluzione che oggi diamo per scontata è l’acquisizione da parte delle tabaccherie della raccolta delle giocate del Lotto, gioco antichissimo che in Italia ha una storia di quasi 400 anni. Nel 1987 entra a far parte del circuito della tabaccheria anche il gioco del lotto che viene esteso a quasi tutte le tabaccherie in Italia. Oggi la tabaccheria annovera un numero di servizi incredibilmente esteso, si possono ricaricare servizi, pagare bollette, acquistare un numero svariato di prodotti che vanno non solo dai generi di monopolio ma fino all’ apertura di una carta di credito.

Il ruolo che oggi ricopre ha un aspetto sociale che va al di là della mera vendita dei prodotti, ma offre un vero e proprio punto di riferimento per servizi utili ai cittadini. Insomma la tabaccheria negli ultimi 30 anni si è trasformata a tal punto che ormai la stessa parola … tabaccheria sembra veramente riduttiva.

In ogni caso questa preziosa bottega continua, trasformandosi, ad avere un ruolo fondamentale nella vita quotidiana di tutti noi.


Una vecchia tabaccheria degli anni ‘50

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La Manifattura Tabacchi

 


1955 ca - paltadóori, èd Chèerp

Al paltèin non è poi da confondersi con la parola paltadóora, che era l’operaia della manifattura tabacchi; a Carpi lo stabilimento era in via XX settembre dove oggi ci sono le poste; il poderoso edificio, abbattuto a metà anni ’70, era in origine la seconda sede della fabbrica di paglie e cappelli della famiglia Menotti. Anche in questo caso si chiama così perché il nome deriva da "appalto", quel lavoro veniva dato in appalto. La paltadóora fu una figura formidabile nella società carpigiana e modenese, in quando preannunciò concretamente e contribuì all'emancipazione della donna assicurandole un prezioso salario a vantaggio della famiglia.

Infatti la paltadóora lavorava e portava a casa il salario e poteva finalmente dire la sua in famiglia. Con il tempo il termine è stato accostato ad altre sfumature come ficcanaso, pettegola e malalingua, poiché era noto che al paltadóori durante l'orario di lavoro, mentre fabbricavano sigari e sigarette, tra di loro facevano chiacchere e pettegolezzi su tutto e tutti. Il segnale di mezzogiorno a Modena si chiamava al s-ciffel dla Pèelta; certamente ce ne sarà stato anche uno simile nello stabilimento di Carpi.

 

1960 ca folto gruppo di operaie della Manifattura Tabacchi di Carpi

Due parole credo vadano spese sul come era la vita di queste donne all’ interno della Manifattura Tabacchi e su cosa questa fabbrica rappresentò per l’economia carpigiana. Innanzitutto per la prima volta nella storia, anche le donne potevano avere un posto di lavoro fisso e regolarmente pagato (e questo denaro in più faceva davvero comodo ad una famiglia). Qualcuno potrebbe pensare che, in un ambiente così pieno di donne, non passasse giorno senza che vi fossero zuffe e litigi. In realtà queste cose accadevano raramente anzi, vi era tra le operaie un senso di solidarietà mai conosciuto prima di allora. Questo non per buonismo, ma semplicemente perché se si aiutava qualche collega che aveva bisogno, un domani in caso di difficoltà, le altre avrebbero fatto lo stesso. Quindi se una stava male, ecco le altre sbrigarsi per fare il suo lavoro e farla riposare.

 

Ma dove era la Manifattura Tabacchi di Carpi? Un luogo di cui oggi si è persa la memoria.

Era in via XX Settembre, in Tiradóora, dove ora ci sono le poste. Era stata la seconda sede della ditta Il Truciolo dei Menotti (la prima sede in viale Carducci e la terza in viale della stazione poi Marelli)

 


 


Ecco, in queste due splendide foto databili 1915 ca, la ditta Il Truciolo dei Menotti in Tiradóora, via XX settembre, che sarà la sede della Manifattura Tabacchi di Carpi dagli anni '20 fino agli anni '60 – ATTENZIONE, si nota sulla destra l’arco dell’Angelo abbattuto nel 1919!


1943 - personale della manifattura tabacchi di Carpi

da una terrazza dietro corso Cabassi e l'inizio di via Rodolfo Pio


1952 ca – cerimonia religiosa all’aperto, nell’ampio cortile della Manifattura Tabacchi di Carpi sita all’angolo di via Cesare Battisti (sul fondo nella foto) e via XX Settembre. Si notano Don Pio Tarabini al centro e la sig.ra Cora mentre legge, il poliziotto Marinelli.

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Giamiero De Giacomi (Carpi) ci ragguaglia: “La manifattura tabacchi di Carpi si dovette alla positiva azione del cav. Boselli, padre della signora Marina vedova Setti Antonio e madre di Setti Giovanni (poi ditta Tessilgraf di etichette).

Marina arrivò a Carpi portando in dote due bauli pieni di oggetti d’argento e dimenticò immediatamente le sue origini alto borghesi (il padre era direttore generale della manifatture tabacchi e amico di Mussolini); si rimboccò le maniche e con Bianca Bonfatti (in Saltini) e una terza famosa reśdóora carpigiana, Maria Bigarelli ved Nora poi Martinelli, si misero a fare le imprenditrici nei primi anni del dopo guerra. Fino a quando, separandosi le strade delle tre intraprendenti signore, si dedicò sino alla fine dei suoi giorni, 99 anni, alla società del marito, il Baschificio Setti.

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Al macubèin


Interessante è la parola ormai in disuso macubèin; essa indica il tabacco da fiuto in voga fino ai primi decenni del secolo scorso. Al tabàach da tirèer su cun al nèe.

 

Alfiero Malavasi (Carpi) ricorda che sua bisnonna aveva in tasca la tabachéera, che consisteva in una scatolina di latta piena di polverina marroncina.

Al macubèin era una pratica normale anche per le donne, dato che per loro era disdicevole fumare in pubblico, mentre la sniffatina si poteva fare senza destare scandalo.

L’odore di tabacco impregnava in modo disgustoso gli abiti di chi frequentava le fumose osterie. Al pussa èd macubèin era una frase che si usava per chi puzzava sgradevolmente di fumo rientrando a casa, talora anche ubriaco.


Tabacco da masticare – illegale in Italia dal 1992

Il tabacco si poteva anche masticare con effetti e sputazzi oggi non certo più sopportabili. Un tabacòun era un vecchio e puzzolente masticatore di tabacco, orribile a vedersi nel suo praticare.

 

La sigarètta

La sigarètta (diminutivo sigartèina) era chiamata anche pàaia (paglia). Daa m ‘na pàaia! Dammi una sigaretta! Al sigarètti i éeren dèinter al pachètt, ma si vendevano fino al 1968 anche sfuse.

Certi tabaccai carpigiani, cóome Mundée sotto il portico del Corso, per aprire il pacchetto e dare le sigarette sfuse, non usava forbici, ma tenevano l'unghia del mignolo molto lunga e usavano quella.

Daa m siinch nasionèeli sèinsa fiilter! Dammi cinque nazionali senza filtro. E il tabaccaio le estraeva da un pacchetto e le metteva in una bustina che veniva consegnata al cliente sparagnino. Per indicare il filtro non era raro sentire anche questa contrazione della parola in dialetto: fisster.

Paolo Arletti (Carpi) ricorda: “Tale Malavolti era il tabacchino con la bottega un po' prima dello stadio. Era reduce della prima Guerra Mondiale, gli mancavano tre dita e correva voce che si fosse sparato per non subire più quell'inferno.

Ogni mattina preparava sul banco piccoli contenitori di carta da giornale vecchio contenenti tre o cinque nazionali. A chi gli chiedeva una singola sigaretta rispondeva secco - Te vèe po' a dmandèer la al préet! La vai poi a domandare al prete! -“

 


Alcuni pacchetti di notissime sigarette di una volta

 

Le sigarette più pregiate, da ṡgnóor, erano agli americaani, che avevano avuto sempre più diffusione dal 1945 in poi, di pari passo con l’aumento del benessere a Carpi: al Caamel, al Malbòoro, al Muratti, ecc …

Negli anni ’70 era grande segno distinzione andare a ballare al Picchio Verde di via Pezzana con un pacchetto di Malboro rosse nel taschino ed estrarre al momento opportuno un sontuoso Dupont d’argento (regalo del babbo) per accendere una paglia che avevi offerto alla ragazza appena conosciuta. Clach! Tach! Si faceva un figurone! A seguire una profonda prima tirata e successivo sbuffo di fumo in uscita … da vissuto attore di Holliwood.


1970 – Uno splendido Dupont in argento

 

Sempre in quegli anni un accendino che aveva il suo fascini era lo Zippo, ereditato come moda dai soldati americani in Viet-Nam; la modalità di utilizzo era legata auna mossa avanti/indietro che consentiva, facendolo aderire al blue jeans, l'apertura e l'accensione dello stoppino. In estate il pacchetto veniva fissato all'altezza della spalla. utilizzando la manica ripiegata della "Fruit of the loom", rigorosamente bianca.

 

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Il tabacco del Moro

 

In questa sede di sostanze e odori forti merita una nota anche il tabacco del Moro.

Talora si sente minacciare qualcuno con la strana frase:

“A t al daagh mè al tabàach dal Mòoro” o anche Mòrro (con la doppia erre per accentuare la violenza dell’atto)! Ti dò io il tabacco del Moro!

Un modo di dire che è presente a Carpi, Modena, Milano e in tante altre zone d’Italia.

Significa: Ti dò un sacco di meritate botte! Adesso ti sistemo io! Te le dò di santa ragione per una giusta punizione! Può anche significare l’aver subito una pesante sconfitta: l à ciapèe al tabàach dal Mòoro !

Quindi è possibile che anche la severa intimazione..."Oooh Mòoro... stà chiéet! (Ehi amico! Stai quieto!) potrebbe derivare anch'essa dal tabacco del Moro.

Alessia Saltini (Carpi):” Mio nonno usava, infatti, la frase tipica: "Òoh… Mòoro!" nelle discussioni da bar, per intimare all'amico che aveva alzato i toni, di moderarsi un po'. Il detto si rifaccia all'intensità dell'aroma di quel tabacco, e, quindi, all'attribuire irruenza al soggetto al quale si conferisce questo epiteto.


 

Il tabacco del Moro in confezione moderna

È un modo di dire che deriva da un'espressione francese “passer à tabac, che il nostro dialetto ha personalizzato con una famosa marca di tabacco trinciato da fiuto o da pipa, fine e costosa, appunto "Il Tabacco del Moro". Ciò a differenza di quelli che, arrivando dalle piantagioni spagnole centrali e meridionali, si chiamavano come i paesi d'origine.

 

Dalla rivista francese "Beaujolet" apprendiamo: Dans le langage maritime, un "coup de tabac" était un violent coup de vent qui risquait d'abîmer le bateau. Ensuite, au XIXe siècle, le nom "tabac" a pris le sens de "volée, coup". Sa racine "tabb" signifie "battre, frapper". "Passer à tabac", veut donc dire frapper violemment une personne.

 

Questo tabacco provocava sensazioni orali decise e prendeva nome dal disegno di un giovane Moro sulla confezione, probabilmente da uno degli schiavi che lavoravano nelle piantagioni di tabacco in America

Ma c’è anche chi interpreta la frase in questo modo: trattandosi anche di tabacco da masticare, per il suo gusto forte e pizzicante, poteva rappresentare … un pugno … proprio in bocca.

Curiosamente, il detto, noto in vasti territori, a Casirate, in provincia di Bergamo, prende la seguente variante: "T al dó mé al tabàr dal Moro - ti do io il tabarro del moro, cioè un sacco di botte. Tabarro… dunque, non tabacco… e il Moro era un omaccione che portava sempre un bastone con sé nascosto sotto il tabarro!

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Al paltèin èd Curtiil èd Chèerp

 


 

Losi Arnaldo (Cortile di Carpi) ci dà questa preziosa testimonianza:

“Nei primi anni ‘60 compravamo i quaderni a Cortile nella tabaccheria gestita da Aldo Baraldi, un anziano signore, così almeno sembrava a noi bambini; era privo di una gamba, invalido di guerra. Per camminare, faceva uso di una stampella ascellare. Aveva sempre un'aria accigliata con noi ragazzini, irascibile e quasi sempre brusco nelle domande: - Sa vóot? -  come nelle risposte: - Alóora … èet finìi èd guardèer? - ... Pèr chi iin cal sigarètti ché? -  Raramente lo si vedeva in piedi, a causa della sua grave infermità.

La bottega del tabaccaio era posta subito dopo la cooperativa di Cortile. Composta da una sola una stanza stretta e lunga, ma ben adorna di "roba" di svariato genere, dai quaderni alle sigarette, dalle caramelle alle biglie, al buciini ...

I quaderni erano ben ordinati nello scaffale alla sinistra della poltrona imbottita del tabaccaio. Tutti impilati e suddivisi per classe.

I quaderni di prima, nella prima fila dei piani: nel primo comparto quelli a righe avevano le righe molto spaziate e quelli a quadretti nello scomparto accanto avevano i quadretti molto grandi per facilitare il compito degli scolari alle prime armi nello scrivere lettere e numeri.

Nella seconda fila i quaderni di seconda, suddivisi come quelli di prima. E così via fino alla quinta.

   

I bei quaderni Il Milione della De Agostini con cartina geografica

 

Mi piacevano le copertine dei quaderni, con la cartina delle regioni d'Italia o delle nazioni del mondo della De Agostini, con i monumenti delle città italiane oppure con figure geometriche regolari...

C'erano ancora i quaderni dalla copertina nera a buccia d'arancia e dal bordo rosso, che usavano i nostri genitori prima della guerra.

 


I famosi quaderni con la copertina nera

 

C’era la carta assorbente per asciugare la scrittura a inchiostro e per evitare le odiose macchie; in molti quaderni si trovava come ultima pagina prima della copertina e si separava a strappo grazie a una apposita linea semi tagliata a tratti. Dunque si staccava con un gesto deciso, tenendo il quaderno con una mano e la carta assorbente con l’altra. STRAAAPppp!  E la si conservava come segnalibro, dopo le operazioni di asciugatura della scrittura.

 


Un foglio di carta assorbente della rinomata ditta Pelikan

Tuttavia si potevano comprare sciolte e di vari colori o con pubblicità dei migliori inchiostri anche dal paltèin, che le teneva in un cassetto, sotto agli scaffali dei quaderni.


Sul banco, alla sinistra della sua poltrona, c’erano alcune scatole di legno, con il coperchio in vetro: mostravano così in bella evidenza i pennini per inchiostro. Erano tutti ordinati, quelli color ferro, quelli color argento, quelli color oro e quelli color ottone. Erano di varie forme: appuntiti, arrotondati, arrotondati con punta ...


 

Sull'altro lato, c'era il banco delle sigarette. Le sigarette erano tutte allineate e impilate dentro a una larga scatola di legno ingiallito suddivisa in scomparti: alfa, nazionali, esportazioni... con e senza filtro. Quasi attaccate al banco delle sigarette c'era una specie di casellario di legno, dal colore reso indefinito dall'usura e dal tempo per mostrare le biglie per il gioco dei bambini.


Nei riquadri si potevano ammirare e comprare le biglie suddivise per colore e per materiale. Le biglie in terracotta colorata. le famosissime bucìini èd prèeda e quelle di vetro, al vèedri, dai colori interni sgargianti e di grande effetto. Un'attrazione per noi bambini irresistibile.


 

Dietro al banco centrale, c'erano gli scaffali con i pacchetti di sigarette. Tutti ordinati con cura, con l'intento di mostrare il colore del pacchetto e il nome della sigaretta. Alcuni pacchetti di tabacco trinciato forte e di toscanelli completavano il quadro.

Quand'ero piccolo, si vendevano anche sciolte: due, tre, cinque ...

La norma in vigore fino al 1968 così recitava: - Per disposizione della Direzione Generale dei Monopoli di Stato il rivenditore è obbligato a smerciare a pezzi singoli soltanto le sigarette il cui prezzo non superi le 10 lire ognuna, cioè le sigarette Nazionali, Sax e Alfa. -

Il tabaccaio le metteva con cura in bustine bianche di carta sottile quasi trasparente. Le sigarette sfuse erano allora già pronte per la vendita, tutte allineate e impilate dentro ad una larga scatola di legno ingiallito suddivisa in scompartini: alfa, nazionali, esportazioni...

 

Negli altri scaffali a muro, sia sulla destra che sulla sinistra c'erano i dolciumi: caramelle, liquerizie, cioccolatini, torroni, gòmmi e bubleguum, sigarette di zucchero... Innumerevole varietà di caramelle colorate esposte in grossi vasi di vetro trasparenti. Mi ricordo le caramelle di menta verdi con zucchero e quelle di pomo. Le caramelle Elah avvolte in cartine marron-oro, le liquerizie arrotolate...

Quando entravo dal paltèin, aprivo la porta-vetro lentamente per lasciarmi avvolgere, un po' come dalla nebbia in autunno, dall'odore dolciastro della liquerizia e delle caramelle di gomma mescolato, con una dose quasi voluta, all'intenso, odore delle sigarette e del tabacco.

Si assaporava questo denso profumo, come fosse palpabile, e, mentre ti saziavi di quel profumi, lo sguardo cadeva immancabilmente sulle biglie, sulle liquerizie, sui chewing gum. Gli occhi correvano velocissimi su tutte quelle meraviglie colorate e non si riusciva a fermarli. Con la fantasia mi riempivo le tasche o la bocca di tutto...

Bei tempi! Che non torneranno più!”

***

Giannino, al paltèin dal Portèegh dal Graano

 


 

Chi si fosse trovato a passare alla fine di maggio 2015 per Carpi avrebbe visto una enorme A appiccicata alla vetrina di una tabaccheria.

La squadra di calcio del Carpi è andata (effimera apparizione) in serie A e la gioia di Giannino (titolare dell’esercizio una volta delegato al chinino, oggi al grattino) era esplosa all'inverosimile con l'aggiunta poi, di lì a poco di quella dello scudetto e di altri trofei alla Juve, sua squadra del cuore. Una vera apoteosi di esultanza, di emozioni, di soddisfazioni di vita!

Giannino ha appena compiuto 39 anni, è un uomo sano e sereno, un tifoso felice, ha moglie e tre figli, due maschi e una femmina, un buon lavoro, ecc… Vende sigarette, francobolli e… piccole gioie alla gente comune con i gratta e vinci!

Giannino è una brava persona. Ce ne fossero! Ma non si pone grossi dubbi esistenziali e, per paura di uscire dal seminato, non ha nemmeno mai assaggiato un piatto di spaghetti di soia cinesi. È andato per la prima volta all’estero l’estate scorsa e di fronte alla Torre Eiffel ha esclamato, un po’ sorpreso: “AH! Però, bella, ma credevo fosse anche più alta!”

***

A questo punto qualcuno fra coloro che mi leggono, comincerà a preoccuparsi della salute mentale di chi scrive queste righe e a chiedersi cosa c’entra tutto ciò con questo libro.

Faccio un collegamento a lungo respiro. Consentitemelo dopo aver ricordato e riportato nelle mie pagine tante e tante piccole simpatiche scemenze in dialetto. Ebbene Giannino è l’esatta corrispondenza nella nostra società attuale della figura di Papageno del Flauto Magico del grande Mozart.

Nella celeberrima opera, il protagonista Tamino è chiamato a grandi traguardi, sarà iniziato, libererà Pamina dal buio della notte, la farà sua e diventerà l’allievo/ successore del gran sacerdote Sarastro.

Papageno, invece, è uomo comune che si accontenta delle cose primordiali, di base. Il buono, il giusto: secondo il comune sentimento popolare. Inizialmente racconta qualche ingenua frottola per farsi grande, ma è un peccatuccio veniale e alla fine si rivelerà di buon cuore e anche piuttosto saggio.

Il “povero” (fra virgolette) Papageno (lato infantile di Tamino) ambisce a traguardi molto meno ambiziosi dell’eletto; innanzitutto deve guadagnarsi da vivere, catturando e rivendendo rari volatili, e poi desidera assolutamente trovare una Papagena come lui, per mettere su famiglia e avere tanti piccoli Papagenini.

Papageno è scaltro e pieno di inventiva, ma nel contempo è anche gran chiacchierone e, come tutti coloro che sono affetti da tale fastidioso problema (per le orecchie altrui), spesso non sa né discorrere, né tacere. Ha paura ed è timoroso davanti a troppe novità, che quasi sempre non riesce a capire.

A Papageno viene data la possibilità di accedere a stati di coscienza più maturi, ma non riesce a superare le prove di iniziazione e in particolare quella del silenzio, parlando e anche a sproposito.

Papageno, nella sua spontaneità semplice e incontenibile, non ce la fa proprio a tacere e le sue labbra vengono serrate da un lucchetto d’oro.

Nella figura di Papageno viene rappresentata la dimensione psichica di chi si sente ben inserito nella concretezza del reale e si accontenta di quello che la vita gli offre lì per lì; non pensa a una condizione umana più alta, a un avvenire intriso di altissimi principi. Papageno non intende per nulla operare grossi rivolgimenti nella sua pratica esistenza, tende perciò a escludersi dalle prove d'iniziazione, rappresentano più che altro un fastidio e un limite al proprio istinto naturale.

II silenzio e il dominio di sé, possono essere l'espressione della forza della coscienza e della saldezza dell'io.

Questa forza e solidità vengono richieste a Tamino, mentre Papageno, succube e tentato dai sensi, non è degno dell'iniziazione, anche se la sua figura di basso livello completa la solennità iniziatica del mondo di Tamino.

Pertanto Papageno rappresenta la paura naturale dell'uomo, che si ritrae dall'ascesi e dallo sforzo di elevazione della vita; egli non ha lo scopo di andare nella notte, di rischiare la morte verso più alte mete e si accontenta del fatto di pensare, con un’alzata di spalle, che: "Ci sono molte persone come me! Forse la maggioranza!"

Quando gli viene comunicato, con compunta solennità, che non ha superato le prove iniziatiche, il suo atteggiamento è di tranquilla noncuranza, mista a una punta di dispregio verso chi lo ha giudicato.

NON dimentichiamolo, in questa sua semplice, ma fondamentale constatazione, ha dalla sua parte l’umanità ordinaria, cioè la maggior parte delle persone di buon senso e di positiva volontà!

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Quasi tutte le mattine con qualche amico, ci fermiamo più che volentieri a chiacchierare nel negozio di Giannino; è un po’ fuori mano, ma diventato piacevole punto di incontro per gossip, battute, frizzi e lazzi.

Giannino è un istrione e ogni mattina recita a soggetto, scherza e straparla simpaticamente.

Giannino però ogni tanto ci sente discorrere, in modo sintetico e per sottintesi, di strani (falsi) appuntamenti per la serata; è curioso come lo erano le “Donne curiose” della commedia di Goldoni, che volevano sapere dove sparivano i loro uomini alcune sere.

A un certo punto sbotta: “A m piesrèev savèer indu andèe a la sìira?” Mi piacerebbe sapere dove andate alla sera? Si attenta a chiedere in dialetto, con compiaciuta ignoranza e sbuffante malizia.

Noi seri seri, vedendo che è caduto in trappola, gli rispondiamo rivelandogli cose fra le più inverosimili: traffici di valuta per milioni di euro con paesi esteri, incontri a scopi sessuali ambigui, rapporti coi servizi segreti di mezzo mondo, complotti contro il Vaticano, studi sul terrapiattismo, ecc… Giannino ci guarda scuotendo la testa e ci manda al diavolo sempre con efficaci frasi dialettali.

Andèe bèin a dèer via al cuul! Deficìint ch a n sii èeter!”

NON capisce, ma soprattutto non potrebbe capire, NON VUOLE capire… nemmeno se gli dessimo un minino di spiegazioni… le nostre sono “cose” troppo lontane dal suo sentire.

Giannino è felice nella sua vita di sana ordinarietà, non cerca soddisfazione in esoterici piani paralleli esistenziali.

“Sei il nostro Papageno!” Gli dico sorridendo. “Ehh?! E tè t ìi un caiòun!” Replica lui, guardandomi stupito: non comprende e io di certo non gli spiego nulla. Eppure sarebbe semplicissimo dare un occhio a qualche pagina di internet; cosa che però non farà mai.

È felice così! Perché porsi nuovi problemi?

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Ma… noi GRANDI   filosofi al massimo grado… lo siamo anche noi… felici?

Noi chiamati agli alti destini di Tamino! Noi che ci vediamo assegnati nomi e titoli altisonanti.

Noi…   chiamati alla purezza, alla santità e alla diffusione del pensiero e degli ideali di libertà di saggezza nel mondo, nella società. Il destino di Tamino ci appartiene; ci è stato attribuito da un alto (e nel contempo intimo) disegno, che perseguiamo (per ispirazione e intuito) pur senza mai riuscire a comprenderne adeguatamente la sua interezza e la sua complessa e completa verità.

Ma sarà proprio vero che siamo chiamati a questi supremi e ineluttabili compiti? Soprattutto quelli estremamente gravosi di portare i nostri grandi ideali nella società. Chi ci dà la convinzione di essere superiori a Papageno e all’amico Giannino? Che presunzione! Che alterigia!

Tamino è l’eroe che attraversa l’oscurità, rischiando la morte per arrivare al celeste piacere dell’iniziato. Egli insegue la sua Gerusalemme Celeste. Egli rappresenta il principio della coscienza attiva che deve essere messa in funzione e che deve affermarsi nella lotta con le forze oscure dell’inconscio. Egli è alla caccia del tesoro, della pietra preziosa, che è simbolo dell’ampliamento di coscienza, che è poi il profitto di ogni iniziazione.

Papageno non è in grado di partecipare all’alto volo spirituale di Tamino, ma non è che non subisca una trasformazione, solo che essa avviene nell’ambito di un mondo naturale, non tanto inferiore, ma che si limita a vibrare con una frequenza più grossolana. Una dimensione che è certo meno intellettualmente raffinata, ma allo stesso tempo di certo umanamente positiva.

Una risposta potrebbe essere di considerare il mistero superiore dell’iniziazione (che è per pochi), come il colmo della stessa forza d’amore per la vita, che anima il mondo più prosaico di Papageno.

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Giannino è soddisfatto della sua vita (salvo quando perde la Juve… obivius), il suo concreto umanesimo ha semplici e solidi principi.

Mi chiedo se lo sono anche io… soddisfatto e felice, avvolto dalla certezza del dubbio e spesso pesantemente ricurvo, come un punto interrogativo vivente, sulle mie titubanze di verità; VERITÀ che intuisco, corteggio, inseguo, ma che drammaticamente sono umanamente destinato a NON raggiungere MAI (invece come vorrei) nella sua completezza, ma sempre con larga e incerta approssimazione.

 

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