Al baagn
ind la mastèela
***
foto del 31-12-1933
Dialogo fra Vanni Fregni
e me,
nati a Carpi nel 1953.
di Mauro D’Orazi
Prima stesura 14-4-2010 V39 del 19-04-2013
Norme di trascrizione
e aiuto alla lettura del dialetto
Graziano Malagoli autore, assieme a
Anna Maria Ori, del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011, ha curato il coordinamento complessivo
del testo, la grafia delle frasi e delle parole in dialetto secondo le Norme di
trascrizione, finalmente codificate, per la stesura del dizionario stesso.
Graziano Malagoli, Anna Maria Ori,
Giliola Pivetti e Luisa Pivetti hanno contributo alla revisione del testo e
della sintassi.
Le Norme di trascrizione adottate sono quelle di
pag. XXII del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011” di cui, qui di seguito, si riporta il testo integrale.
“Il
vocabolario adotta una trascrizione delle voci e della fraseologia modellata
sulla grafia italiana, seguendo una tradizione lessicografica che ha quasi
sempre impiegato adattamenti a tale grafia. In particolare, si segue il sistema
di trascrizione semplificato messo a punto dalla Rivista italiana di
dialettologia. Lingue dialetti società.
Le
vocali i, a, u sono rese come in italiano, mentre la pronuncia aperta di
e, o è indicata con un accento grave, la pronuncia chiusa con uno
acuto; il fenomeno della lunghezza vocalica è particolarmente marcato nel
carpigiano e per indicarla si è scelto di ripetere la vocale, sprovvista di
accento, onde evitare l’accumulo di segni diacritici sovrapposti, come – nella
tradizione – il circonflesso o il trattino: bièeva, butéer, fagòot,
arióoṡ (e così per i, a, u: sintìir, cavàal, futùu).
Le vocali è, é, ò, ó sono distinte solo sotto accento, mentre in
posizione atona sono segnate e, o.
L’accentazione
si indica con l’accento grave, salvo i casi citati di é, ó (dove
tale accento denota anche la chiusura della vocale), quindi ì, ù, à: ad
es. scarnìcc’, fisù, bacalà.
Di
norma, per semplicità, non si accentano le parole piane (ad es. bussta),
ma soltanto quelle che hanno l’accento sull’ultima (arvùcc’) e sulla
terzultima sillaba (ṡàberia); allo stesso modo, di norma (escluse alcune
forme verbali come dà, fà, dì) non si accentano le parole monosillabiche
(csa, al), a meno che contengano é, ò accentati per indicare la
qualità aperta o chiusa (mé, èl, bòll).
Per
indicare sempre con sicurezza le semivocali, senza complicare la grafia con
segni estranei al sistema italiano (ad es. usando j), si avverte che,
nella parola, i, u a contatto con vocale hanno valore di semivocali, in
caso contrario recano l’accento (mìa, tùa).
Sono
rese come in italiano le consonanti p, b, t, d, m, n, r, l, v, f. Per le
palatali e le velari si adottano le norme grafiche italiane. Le affricate
palatali sono indicate con c, g davanti a e, i: ad es. ducèer,
bòocia; con ci, gi davanti ad a, o, u: ad es. ciàapa,
baciòoch, paciùugh, gianèin, giocaatol, argiulìi;
con c’, g’ davanti a consonante e in fine di parola: ad es. òoc’,
curàag’. Le occlusive velari vengono indicate con c, g davanti ad
a, o, u: ad es. catèer, còpp, cun, galupèer, góob,
guàast, (tuttavia – questa volta in ossequio alla tradizione – si è
usato il segno q per aaqua, daquèer e simili); con ch, gh
davanti ad e, i, di norma davanti a consonante e in fine di parola: ad
es. bachètta, bèech, béegh, sanghnèer, stanghèer,
lèegh, liigh, brighèer. Per quanto riguarda le sibilanti
dentali, come è noto l’italiano non distingue graficamente tra sorda e sonora:
seguendo l’esempio di alcuni vocabolari
nazionali,
indichiamo con s la sorda e con ṡ la sonora: ad es. baṡèer.
La
laterale palatale è resa con gli davanti ad e, a, o, u: ad es. striglièer,
butigglia, manigliòun; con gl davanti ad i e in
fine di parola: ad es. ègl’idèi. Quanto alle nasali, abbiamo – oltre a m,
n – la palatale gn, tutte rese come in italiano, anche in finale di
parola: ad es. fuggna, paagn, staagn.
Le
consonanti intense vengono indicate, come in italiano, mediante il
raddoppiamento della consonante semplice: ad es. bagaiètt, aluminni;
in caso di digrammi, come in un paio di esempi già visti (butigglia, fuggna),
viene raddoppiata soltanto la prima lettera.
Infine,
quando un nesso grafico non rappresenta un unico suono, ma la successione dei
suoni indicati dalle singole lettere, esso viene sciolto con l’inserzione di un
trattino: ad es. s-ciòop, s-ciafòun, s-ciflèer.”
Tabella per facilitare
la lettura
a a
come in italiano vacca
aa pronuncia
allungata laat,
scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e
aperta e prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e
chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e
chiusa e prolungata véeder,
créedit, pée
i i come in italiano bissa,
dì
ii i
prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o
aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o
aperta e prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o
chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o
chiusa e prolungata vóolpa,
casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u
come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u
prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c
dolce (come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c
dolce e intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c
dura (come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g
dolce (come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g
dolce e intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g
dura (come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s
sorda (come in suono) sèmmper,
sòol, siira
ṡ s
sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun,
s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
Al baagn ind la mastèela.
Costumi di un tempo e altre amenità
Revisione del testo di Giliola Pivetti e Graziano Malagoli
Premessa: da un iniziale scambio
di memorie personali e familiari, è nata questa raccolta di ricordi e
considerazioni sull’evoluzione dei costumi della nostra società.
***
Dorry: Negli anni ’60 (ma in
epoche precedenti ancora peggio) se cadevi in bici o in motorino, ma anche a
piedi, poi a casa rischiavi pure di prenderle.
Infatti immancabilmente la
prima domanda era: “E al brèeghi ? (sottinteso … Cun quèel chi costèen”)”
Una volta con un tuo
omonimo, caro Vanni, che stava sotto i portici del Corso, ebbi a litigare e lui,
in un assalto irruento, mi ruppe gli occhiali (che portavo già a 5 anni).
Fu una vera tragedia in
casa, sia per l’increscioso accaduto che per il costo da affrontare per la loro
sostituzione.
Vanni: ... e sì! … Si andava al Parco e questo bastava
per poter stare fuori diverse ore. Si facevano 1 o 2 km a piedi, attraversando strade, oppure in bici, anche
qui senza alcun controllo da parte dei genitori che erano impegnati a lavorare.
Bei tempi, quelli, meno lacci e lacciuoli e più autonomia e, anche, più
responsabilità. Le regole erano chiare, se cadevi dal motorino, come era
successo a me, e ti stracciavi i pantaloni e ti sbucciavi il gomito e il
ginocchio, tornando in casa, oltre al dolore, ti beccavi due scappellotti: uno
per i pantaloni e uno per le sbucciature. Era normale, la mia responsabilità
era quella di stare attento a quello che facevo, se sbagliavo venivo punito. Al
giorno d'oggi il bimbo viene caricato sull'ambulanza, si cerca di scoprire se
la colpa è d'altri, si fa una denuncia verso ignoti, si tagliano amicizie, se
il motorino è del figlio di amici, e si fa fare un anno di analisi al figlio ...
Quello che dici sui pantaloni è verissimo:
“Papà sono caduto, anzi … mi hanno fatto cadere!”.
E lui "E i pantaloni? Si sono rotti? Li abbiamo
appena comprati!"
La priorità era per gli aspetti economici dei
bilanci familiari.
Per il resto si girava liberi e senza troppi
problemi.
**
Dorry: Anche a casa tua al sabato facevano fare il bagno nella mastella ?
Dorry: Anche a casa tua al sabato facevano fare il bagno nella mastella ?
**
Vanni: Certo, il sabato sera, chissà perché la sera, c'era
il bagno da fare dentro la mastella. Ho vaghi ricordi di quando, veramente
piccolo, la bacinella la mettevano sul tavolo ... successivamente era sul
pavimento, vicino alla stufa per via del caldo, e finito il "bagno" c'era
l'asciugatura, con l'asciugamano di cotone rasato e piacevolmente un po’ ruvido
che, essendo stato steso da tèes a la stua, era rovente sulla
pelle ...
**
Immagini carpigiane di città del 1935 e 1945 - bagnetti nella mastella
Dorry: Noi al sabato pomeriggio in cucina.
Siamo nel 1960 circa … al saabet dòop praanṡ mia zia Valentina e mia madre preparavano la
mastella di ferro zincato nella cucina dell’appartamento in affitto nella corte
dietro a Palazzo Gandolfi in Corso Fanti 40. Faceva il bagno prima mio
fratellino Pietro di quasi due anni e poi io, con la stessa acqua che era stata
scaldata con un pentolone sul fornello alimentato a bombola a gas.
In inverno avevo tre magline di lana: una sporca da
cambiare, una da mettere, e unna lavèeda da sughèer. Una volta
facevo lo stupidino, a iò ciapèe trapìcch e caddi clamorosamente
dentro la mastella dopo aver fatto il bagno. La cosa accadde quando ero già
mezzo vestito e per rimediarmi da vestire, dovettero mettermi la maglia sporca,
perché la terza era ancora ad asciugare.
Solo chi ha vissuto queste storie, può capire certe
cose. Il GRANDE salto di qualità irripetibile degli anni '60 e 70. Si era in
crescita continua.
Sembrava che non ci si dovesse fermare più. Chi
nasceva negli anni ‘80 - '90 pensava che tutto fosse scontato e dovuto ... Tre
bagni pèr ca. Poi sono arrivati gli anni 2000 e per la prima volta i
figli non sono più riusciti facilmente (anzi … a s va a cuul indrée) a
superare la qualità di vita dei genitori.
Allora le nostre famiglie ci hanno fatto diplomare o
laureare; si trovavano dei buoni posti per tutti. Oggi i ragazzi fanno molta
fatica a studiare con convinzione, i costi di mantenimento e di frequenza sono
altissimi e quando finiscono, dopo due decenni e oltre di studi, trovano lavori
non dignitosi, o sottopagati, o addirittura nulla. E nelle famiglie si vive
ormai troppo spesso cun i béesi vèec’, quìi miss vìa ‘na vòolta. Ma quanto
dureranno?
**=M=**
La tinozza di legno si chiama suióola, mentre quella in
ferro zincato … mastèela. Entrambe erano di uso comune della vita domestica sia
in città che in campagna.
Nei modi di dire troviamo: a n in magnarèvv (o a n
in brèvv) ‘na suióola. Ne mangerei o ne berrei una grande quantità.
**=M=**
In campagna la stalla era considerata l'ambiente più
caldo della casa. Si usava per fare il bagno ai bambini, un tempo entro la
tinozza di legno, poi nelle mastelle zincate.
Nei mesi freddi era raro che i bambini, piccoli o
grandicelli che fossero, avessero l'occasione di fare il bagno. L'insidia di
una malattia polmonare era sempre fortemente temuta e quando colpiva spesso non
perdonava. Nelle stalle, durante l'inverno, per la presenza delle bestie si
creava un tipico calore umido, mischiato a una vasta gamma di odori che, fondendosi
insieme, formavano il cosiddetto udóor de staala (o èd
stalèin) che penetrava nei vestiti e nella pelle delle persone che
frequentavano quel luogo.
Non di rado la biancheria pulita veniva messa a
scaldare sul dorso di qualche vacca; la cosa viene raccontata anche nelle
testimonianze di vita che seguono!
Ciò portava a una immediata distinzione e
discriminazione ... olfattiva fra chi era di città o di campagna.
Anni ’50 - Due immagini del bagno del sabato nella tinozza di legno e
in metallo nelle stalle delle nostre zone
**=M=**
Altre testimonianze di vita dell’epoca
Renato Cucconi (Carpi) ricorda che la mastèela l'éera èd fèer ṡinchèe,
la
suióola (come nella foto) l'èera d lèggn, quindi al
ragasóol al fa al baaggn ind la suióola, la reṡdóora óoltre al baaggn la gh
fèeva dèinter aanch bughèeda.
Tosca
Bartoli (Carpi) ricorda che per lei
che abitava in campagna, il bagno d'inverno si faceva nella stalla e i
vistìi pulìi si mettevano sulla schiena di una mucca al caldo per
dar loro un certo tepore. Quando oggi racconta questi episodi al nipotino
di 8 anni, lui le chiede stupito:"Mò … dabòun!"
Oggi la cosa ci sembra davvero incredibile.
Jolanda Battini, straordinaria attrice e poetessa carpigiana, ama
raccontare divertita che lei era la seconda di tre figlie in famiglia; quando
facevano il bagno nella mastella tutte e tre usavano la stessa acqua. La prima,
la più piccola, era la privilegiata, ma a un certo punto la terza per età e
primogenita aveva brontolato perché a lei toccava sempre l'acqua più sporca. Il
rimedio scelto fu che la più piccola e la più grande avrebbero fatto a turno la
prima entrata e così lei, che per età era quella di mezzo, lo doveva fare
sempre comunque nell'acqua sporca.
Erminio Ascari mi scrive: Caro Dorry hai ben raccontato il
bagnetto in città naturalmente per grandi e piccoli. In campagna cambiava
soltanto il palcoscenico, ma la ""commedia" era la stessa. Io mi
alzavo al mattino presto, non mi ricordo il perché, ma era sempre presto. Avevo
la camera ad ovest della casa, un edificio enorme e molto lungo. Esiste
tutt'ora e si può vedere dietro le scuole elementari di Budrione. Anche
d'inverno a s partìiva in patàaia e, dopo un lungo ma veloce percorso,
arrivavo dentro la stalla che era sul lato est. Lì, dietro a qualche mucca, si
faceva il bagno dèinter a la suióola d lèggn. Sè! Pròopria quèlla da fèer bughèeda!
A volte succedeva che si facesse la doccia aanch cun i spricch èd pissa dla vaaca.
A quei tempi per espletare certe necessità, che anche allora non si potevano
fare per corrispondenza o per interposta persona, bisognava fare il giro della
casa; immaginati quando pioveva o nevicava che comodità e piacevolezza! A quei
tempi il cosiddetto bagno si chiamava cèeso. Nessuno si lamentava ed era
sottinteso che rientrava tutto nella normalità.
Circa la libertà goduta dai bambini era molto ampia.
Noi eravamo molto liberi, partivamo al mattino (escluso il periodo scolastico)
in compagnia e si andava a giocare a palline o altri giochi per tornare poi a
pranzo e ripartire il pomeriggio. Ora tutto questo è impensabile!
Giliola Pivetti, già vice sindaco di Carpi, racconta che per lei al
baagn ind la mastèela è collegato a un episodio di prepotenza di sua
madre. Aveva sei anni e voleva andare a una bicicletta a una bicicletteta al
sabato pomeriggio organizzata dai Pionieri (gli scout comunisti degli anni ’50 ...).
Anni ’50
- Tessera dei Pionieri
Sua madre però non si fidava a lasciarla andare da
sola … troppo piccola! E nel contempo non aveva tempo di accompagnarla, presa
come era dalle faccende domestiche; così trovò la soluzione di metterla nella
mastella, dicendole che prima doveva fare il bagno.
La lasciò immersa per un tempo infinito e poi le
disse con falso rammarico che era ormai troppo tardi per andare.
Una vera vigliaccata da adulti e tanta impotenza
della bimba. Oggi però sua madre nega ...
Anche a Brunella Sacchetti (Carpi) facevano fare il bagno
della mastella in cuṡèina in simma al lavandèin. La sua famiglia viveva in un
appartamento con una sola camera e la cucina. Il bagno non c'era e a gh
éera sóol al cèeso in comuniòun cun èetri siinch famìi. Dòop
soquàant aan i àan faat aanch la dòccia, mò sèmmper in comuniòun. (C’era
solo un cesso in comunione con altre cinque famiglie. Dopo vari anni fu
allestita anche una doccia, ma sempre da usare in comune).
Anni ’60
- Acqua scaldata al sole per il bagno in campagna
Oscar Clò (Campogalliano) mi scrive: “Caro Mauro, secondo me
è la suióola
non è il mastello (mastèel o mastèela) di legno, ma un semplice
secchio (suióol o suióola: maschile e femminile fa lo
stesso). Quella di ferro zincato per noi a Campogalliano è la cadinèela.
Se poi vogliamo trovare attinenza con suióola per indicare il mastello
grande di legno, c’è quest’altro termine che mi sembra più adeguato e che è sàai .
Comunque, come si vede i termini per indicare oggetti molto simili, perlomeno
nell’uso, sono tanti e tutti intercambiabili, senza che il loro significato
venga stravolto.”
Renato
Corsi (attore dialettale carpigiano
e felice marito della Dafne) ha questi significativi ricordi:
“ Nei primi anni ’50 a casa mia, come in tante
altre, non c’era il bagno.
La mia abitazione era composta a piano terra da una
grande cucina e da una sala e nei piani superiori le camere da letto; poi c’era
il cortile con la cantina e con la bugadèera; in quest’ultima a gh
èera al cèeso in comùun. Di notte quàand a gnìiva di biṡòggn a s druvèeva al
bucalèin (quando venivano dei bisogni si adoperare il pitale) e poi lo
si metteva fuori dalla finestra.
Quando poi c’era il bagno da fare al sabato
pomeriggio, era necessario attrezzare la casa adeguatamente. Si tirava una corda
legandola a due ganci, uno a fianco della finestra e uno vicino all’uscio. Si
mettevano sopra della coperte, come per stendere, e così si divideva la cucina
in due.
Una parte c’erano la stufa e il lavandino, mentre dall’altra
si poteva condurre una vita del tutto normale con mobili, divano, tavolino,
sedie, radio, ecc …
I turni igienici erano per noi bambini al sabato
pomeriggio, mentre alla sera quando i piccoli erano a letto, stava agli adulti.
La vasca da bagno era un grosso mastello di legno
(detto suióola), dove ci si metteva seduti. Una volta immersi,
capitava che i bambini si lasciassero andare a irresistibili emissioni d’aria;
l’acqua insaponata ribolliva … blub … blub … blub …
e fu lì che inventammo inconsapevolmente …
l’idromassaggio.”
Giorgio Boccolari (Rubiera): "Non stento a credere che la
roba èd sòtta si stendesse sulle mucche per riscaldarla nelle sere
invernali. Nei primi anni '60 al Corni di Modena ricordo che i ragazzi della
campagna avevano un pungente odore di stalla che, peraltro, molti di loro
nemmeno
percepivano tanto era connaturato al loro vivere quotidiano."
Glauco
Baccarini (Carpi ariosa) ci dà
questa preziosa testimonianza:
"All'inizio degli anni '50 abitavo cun
la mé famìa èd camaràant ind al budghìin èd Quartiróol, dove ora c'è il
caseificio. Lavarsi non era cosa semplice come adesso; a casa mia c'erano tre
soluzioni legate ai recipienti ... al sóoi, la suióola e la mastèela.
Al sóoi
era di legno, ai miei occhi di bimbo era immenso. Io, fino a sei anni ci stavo
dentro senza vedere fuori dal bordo. Al sóoi si usava per fare i grandi
bucati, per le lenzuola soprattutto. Fare bucato era un’operazione complessa ed
era sempre un gran avvenimento.
Il bagno si faceva da mia nonna che abitava poco
lontano, a la Pèesa Palóoti, sotto il grande portico, dove poco prima le donne avevano
lavato i panni. La frequenza era di una volta al mese ed era l'occasione per
lavare anche i capelli, con la lisciva (l'alsìa). Era un'acqua un po'
grigiastra, ottenuta facendo bollire la cenere in un sacco fatto con un
lenzuolo (al sindréer).
Io avevo due cugine un po' maggiori e un cugino più
giovane; subito nell'acqua pulita scaldata cun al fugòun, si lavavano le due
cugine assieme, aiutate dalle rispettive madri, poi nella stessa acqua era il
turno con mio cugino. Non so perché, ma era sempre una mia zia a lavarci e
l'acqua era ancora calda per la grande quantità che era stata impiegata e per
il legno dal sóoi, che aiutava a conservare la temperatura; il sapone
era quello da bucato. Chissà che PH aveva ?
In tempi successivi la mia famiglia si trasferì in
una casa propria in affitto e allora il bagno lo si faceva la domenica mattina
dentro la suióola èd lèggn, vicino alla stufa. L'acqua si scaldava
sulla stufa economica,con una pentola sopra i cerchi. In più a s
druvèeva anch l'aaqua dla caldirèina, che era un apposito recipiente parte
integrante della stufa, collocato a lato.
Talvolta però in inverno ero dalla nonna e allora ci
si lavava nella stalla nel seguente ordine: prima mia cugina più grande, poi
l'altra cugina e noi maschietti tenuti a debita distanza per motivi di “genere”,
anche se allora non capivamo ancora il perché. Siccome era proibito, bisognava
gioco forza provare lo stesso a guardare a costo d un quèelch scupasòun.
Quando arrivava il mio turno, l'acqua era profumata,
perché le bimbe i druvevèen un pèes èd savòun còumper, tòolt al budghìin
(adoperavano un pezzo di sapone compero, preso al botteghino). Ma per me e il
mio cuginetto più piccolo il sapone era ancora quello del bucato.
In estate a casa mia veniva esposta al sole la
mastèela in lamiera zincata, dove io venivo lavato e strigliato quasi
tutte le sere e dove dopo i miei si lavavano i piedi prima di andare a cena.
A gh éera pò al baṡlòot, che si teneva dentro al lavandino. Lì tutti si
lavano le mani guardandosi bene dal buttare via l'acqua. Essa, infatti,
rappresentava un bene prezioso ed era stata portata su dalla cucina con un
secchio grande: quattro rampe di scale da 15 gradini ognuna.
Iniziavo a lavarmi io e poi i miei genitori.
Ora tutto cambiato, ma la felicità di quei giorni la
ricordo sempre con grande commozione."
1958 - Bagno nella mastella d’estate con l’acqua scaldata al sole
Primo Saltini (Limidi): "Da piccolo abitavo a Limidi ed ho
avuto un’infanzia spensierata, felice e meravigliosa; in effetti non mi rendevo
conto della miseria nera che c’era nella nostra famiglia, anche perché non
avevo sott'occhio riscontri per fare per dei paragoni in meglio.
Al
bagn in se stèss al fèeven èd cèer! (il bagno come tale lo facevamo di rado). Non ricordo quante volte al
mese, ma mia madre ci teneva alla pulizia e il suo motto madre era: Psèe
ind i ṡnòoc' e ind al cuul, mò pulì! (Con pezze di stoffa sulle
ginocchia e sul posteriore, ma puliti!
Nella bella stagione c’era sempre un mastello fuori
al sole per riscaldare l’acqua per tutta la famiglia. Quando era ora di
lavarsi, mia madre la gh iiva da currer d intóorn a la tèevla pèr ciapèeres (doveva
rincorrerci intorno alla tavola per prenderci. D invèeren invece
andavamo nella stalla dei nostri vicini e tante volte al baagn ind la mastèela al s fèeva
insèmm ad altri miei amici bimbi della famiglia dei contadini. La mia
famiglia era di camaràant e a n gh iiven gnaanch la staala; a s
duviiva andèer in prèest aanch èd quèlla lè! (eravamo una famiglia di
braccianti agricoli e non avevamo certo la stalla; si doveva andare a prestito
anche di quella!) Allora era così, c’era
più unione e solidarietà tra la gente e ci si aiutava uno col l’altro … sèinsa
taanti fòtti. Si stava insieme anche pèr sparamièer dla lèggna
che era sempre molto poca
Siccome la stalla era distante dalla cucina, c'era
anche il problema del trasposto dell'acqua calda. Bisognava state attenti,
perché i bimbi piccoli, lasciati soli, potevano anche rischiare di annegare
nella grande mastella. Dopo alcuni bambini lavati l'acqua era da cambiare,
anche perchè le donne cercavano di usarne il meno possibile. Ciò dipendeva dal
fatto che l'aaqua spòorca l'éera da vudèer ind al sulchèeri (era da
vuotare nei canalini scolo della stalla), che poi si riversa nel pozzo nero. Il
contadino non era molto contento se c’era da vuotarlo troppo spesso.
Per pulirci si usava il sapone, quèll caṡalèin,
esclusivamente fatto in casa pèr fèer bughèeda. Ma allora andava
bene per tutto, perché al ṡgurèeva dabòun e la ruṡṡna la gniiva vìa
bèin.
Adèesa
a gh n è di savòun ... finn tròop! Uun pèr la ghiggna, uun pèr al cuul, al saampo pèr i cavìi, l amorbidèint pèr i pée,
al pi-acca dóols e quèll amèer; e pò al còoton fiòoch pr agl’urècc’, la préeda poróoṡa
pr al carnùmm, al pre bèerba, al dòopo bèerba, al gèll, ecc ... mò quàanti ciavèedi!
Ciirca
pò al cèeso ... noi abitavamo
in una specie di corte, dove c’erano due famiglie di mezzadri e èetri
dóo èd camarànt. Nella prima famiglia c’erano in ben 22 persone tra
grandi e piccoli e nell'altra sette; la mia era di sei e l'altra, di
Gavióo, di sette (i Gavioli erano quelli che poi sarebbero subentrati
nella ferramenta Davoli a Chèerp sòtta al Pòordegh dal Gràan).
Un totale di una quarantina di persone con la disponibilità èd
duu cèeso dedrée da la ca.”
Luisa Pivetti (Carpi): “Anche noi facevamo il bagno nella stalla,
tutte quante nella stessa acqua. Eravamo cinque sorelle per cui l'ultima, la
più grande, era solita lavarsi nella sporcizia delle altre, anche perché il
bagno non si faceva tutte le settimane ... ma ogni due-tre!
L'acqua veniva scaldata sulla stufa poi versata
nella suióola.
Questo recipiente si usava anche per il bucato
leggero quindicinale. Quello pesante delle lenzuola a s fèeva deintèer al sóoi
ogni due/tre mesi, preferibilmente in primavera - estate, per poi asciugarlo
steso sull'erba.
Per l'igiene quotidiana veloce a s druvèeva al baṡlòot
oppure l'èelbi. Per le parti intime il più adatto era al
bucalèin che permetteva privacy e acqua pulita.
Noi eravamo tutte donne alle quali non era concesso andèer
a la
Laama o in Sèccia.
Fortunatamente avevamo davanti a casa un bel fossato in cui i miei genitori
posero una grande pietra levigata (un pridòun), dove, nella bella
stagione, ci si godeva un lavaggio all'aperto.
Lì finalmente si poteva ṡnadrasèer senza carestia
di acqua; come detergente si usava il sapone fatto in casa. Ovviamente si sceglievano
le ore tarde per evitare occhi indiscreti, benché a quell'epoca i passanti
fossero molto rari.
Oggi disponiamo di due/tre bagni, acqua calda
sempre, mille prodotti per la pelle, facciamo due docce al giorno e il medico
dice di ... limitare, perché il troppo lavare toglie la protezione naturale
alla cute!
Ecco i due estremi. Chè a n s èggh ciàapa màai!
“
Al parulèin èd raam, la suióola èd
lèggn e l’aasa da lavèer
Tiziano (Pace) Depietri (Carpi) ha bene in mente quando d'estate i suoi i mitiiven
fóora la mastèela al sóol, che poi veniva usata per il bagno suo e del
fratello. Ma quando era estate, il bagno preferiva andarlo a fare a la
canalèina èd còo da la Ramṡèina.
Un bèel tinàas pèr descriclèer
Pace!
Conoscendo la corporatura di Tiziano Pace forse più
che ‘na
mastèela o ‘na suióola … biṡgnìiva un graan bèel tinàas!
**=M=**
Al savòun da bughèeda èd ‘na vòolta
e nel 1959 il
sapone Camay che seduceva tre volte
1954 - Pubblicità RUMIANCA del sapone al latte.
1945 -50 - Quattro significative immagini della pubblicità del sapone
Palmolive
**==M==**
La bella lavanderina
La bella lavanderina che lava i fazzoletti
per i poveretti della città.
Fai un salto, fanne un altro,
fai la giravolta, falla un'altra volta,
(variazione: fai la riverenza, fai la penitenza)
guarda in su, guarda in giù,
dai un bacio a chi vuoi tu!
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