Nel 1979 Florio Magnanini, allora direttore di Tribuna
(settimanale di Carpi) raccolse questi ricordi di Buky, Giuliano
Bucchignoli (n 1946), che ricorda le sue avventure di ragazzino
spericolato e sprudintèe.
Le vicende narrate si erano svolte in alcuni oratori
cittadini e naturalmente al Parco nella stagione estiva. Ne esce un quadro vivo
e veritiero del clima di allora: bande, avventure, azioni spericolate o
malandrine, ecc… che hanno caratterizzato la vita di moltissimi ragazzini fino
anni ’60.
Io ho appena sette anni meno di Buky è già le cose che ho
vissuti io direttamente erano in parte cambiate; il boom economico e un
aumentato e più diffuso benessere avevano già un po’, un pochino, addolcito i
rapporti fra adolescenti.
Ecco la narrazione del nostro scavezzacollo.
Buky e i ragazzi
dell’Oratorio
Ti mancava sempre qualche cosa che gli altri avevano e
c'era sempre qualcuno che poteva fare le cose che tu non potevi fare.
Fra il '53 e il '60 stavo in via Battisti: una famiglia
povera in un quartiere di poveri. Mio padre faceva il muratore sotto la
I.E.C.A. mentre mia madre andava a rigovernare in casa di altre famiglie. Fin
da quando avevo sette - otto anni mi ero creato la fama di uno scavezzacollo,
di un caso difficile, ma mi comportavo come tanti altri ragazzini nelle mie
stesse condizioni, cioè senza un soldo, di quella povertà che c'era in
abbondanza in centro a Carpi, in Cantarana, in Borgofortino, in curta Santa
Chiara, in via Meloni. Eravamo quelli che crescevano e si istruivano nella
contrada, che si trovavano all'oratorio o nelle canoniche di San Francesco e
San Nicolò, al Parco d’estate, che venivano iscritti al patronato scolastico, perché
la famiglia proprio non ce l'avrebbe fatta a mandarli a scuola. Quelli, insomma,
che d'estate diventavano la parte più consistente delle varie colonie
organizzate dai preti o dal comune e che d'inverno, alle scuole elementari Fanti,
si ritrovavano tutti nelle medesime sezioni con le lettere spaventosamente alte:
Prima H, Seconda G, Quinta M.
Già, la scuola! Tutta Carpi andava alle Fanti e le classi
straripavano. Ne ho conosciuti di ragazzi, anche perché a passare le elementari
ho impiegato sette anni. Con me, ma anche con Forti e Campioli, i maestri erano
duri, cattivi, al punto che a qualcuno di loro anche oggi restituirei un po'
dei tanti ruchètt (rocchetti) che mi
hanno rifilato.
Stesso trattamento all'oratorio, dove ci trovavamo tutti, non
certo per vocazione religiosa, ma perché c'erano i bigliardini e il campo da
calcio e dove Don Nino Levratti ogni tanto mi lasciava andare una di quelle sue
sberle... Ero uno dei più irrequieti, insomma. Ma all'oratorio mi piaceva di
più che a scuola, perché c'erano meno divisioni e di lì ci passavano tutti,
anche i figli di papà.
1955 ca - Ragazzini carpigiani in
partenza per la colonia - in fondo la corriera pronta per la partenza
Era lo stesso ambiente che trovavo in colonia. Credo di
essere stato uno quelli che hanno fatto più colonia, a Carpi. l miei mi
mandavano via alla fine di giugno e tornavo a settembre e non mi venivano mai a
trovare. Ma io stavo bene ugualmente e mi divertivo da morire quando vedevo gli
altri, quelli i cui genitori venivano una volta la settimana, che quando il
papà e la mamma se ne andavano si mettevano a piangere come dei disperati.
Anni ’50 Colonia elioterapica a San Martino Secchia
Sì, perché in colonia non c'erano solo quelli come me, ma
anche ragazzi che stavano bene e che le famiglie mandavano via per abituarli a
vivere con gli altri, per staccarli dalle sottane della mamma o della nonna. La
differenza era che loro qualche soldo ce l'avevano sempre. Le ho fatte tutte,
le colonie: sono stato via con Don Tassi e con il Comune, San Martino Secchia, a
passo Rolle e a Ponte Marano. Non si pagava niente e mi sono sempre trovato
bene.
Ricordo gli scherzi tremendi che facevamo agli handicappati
che già a quei tempi provavano a inserire fra gli altri ragazzi. Non erano robe
da perversi: solo scherzi pesanti.
Il mio regno però era l'Oratorio dell’Eden in via Santa
Chiara. C’erano Campioli e Giorgio Maccari, Luciano Turchi che stava in
Castello e quelli del Pallamaglio, con Alfredo, Aristide (fióo dla Maria Ruṡnèinta) e Medardo, da Cantarana veniva Ivan
Baracchi. Era il nostro porto, il punto di partenza per le scorribande a Carpi.
Sì, scorribande da ragazzini sia ben chiaro. Si andava a fare arrabbiare Don
Enea, fregavamo i trucioli di ferro dalla fonderia vicino al parco, si rubava
da Brani (nota ditta di rottami ferrosi) e gli si rivendevano gli stessi pezzi
che gli avevamo sottratto buttandoli fuori dal muro del depositi, ci infilavamo
dentro al cinema Corso senza pagare il biglietto. Mangiare e fare qualche soldo
per avere quello che avevano gli altri: non so dire quanti ritagli abbiamo
fatto fuori alla pasticceria San Nicolò, mentre uno di noi teneva occupato
Camillo per comprare tre paste, o le caramelle che si grattavano dai tabaccai.
Quando arrivavano le giostre si stava dietro a Claudio
Vecchi (figlio del noto e ricco magliaio Solferino “Solfato” Vecchi) che veniva
sempre fornito di cento lire e di gettoni: in quel che modo si riusciva ad
approfittarne anche noi.
All'epoca della vendemmia era una festa: c'era l'assalto ai
trattori che sostavano in viale De Amicis carichi d'uva e in attesa di entrare
alla Cantina Sociale. Qualche grappolo e per la sera i sughi erano assicurati.
Vita di strada: sempre quelli, sempre la stessa banda. Gli
altri ragazzi, quelli che stavano un po' meglio e che al pomeriggio dovevano
"fare il compito" per la scuola, non venivano. Era perché non ne
avevano bisogno, o forse perché i genitori stavano bene attenti a che non
entrassero nelle "cattive compagnie". Ecco, io ero una "cattiva
compagnia"!
Per conto mio, poi, vendevo le frittelle di Cantòun
prima di andare a scuola e qualche volta anche il pomeriggio; erano soldi che
mi tenevo io, tolti quelli che davo al padrone. Così anche quelli che tiravo su
andando a dare il buon anno. Era la mia specialità e certe famiglie benestanti,
ricordo in particolare la Maria Nora (una delle prime magliaie di Carpi), era
come se mi aspettassero.
Il Parco, d'estate, prima di essere deportati in colonia,
era una vera riserva di caccia, per me e per la banda dell'oratorio. Lì
arrivavano anche da altri quartieri e venivano i ragazzi che d'inverno non si
vedevano mai in giro. Loro si compravano la palline di vetro e noi gliele
vincevamo al sèerc (al cerchio) o a picc’ e spaana (a picchio e spanna),
dove eravamo autentici maestri.
C'erano le mode, anno dopo anno, al Parco: una volta erano
i pattini a rotelle, un'altra le cerbottane, un'altra ancora le macchinine a
pedali o le manie di collezionare i
faciutèin (le figurine) o i cuercìin
(i coperchietti metallici a corona) delle bottiglie. E noi si riusciva sempre a
intrufolarci, a procurarci le stesse cose degli altri: quasi sempre con l'inganno
e qualche volta a sberle.
l capi? Qualcuno ce n'era di capi riconosciuti: lvaldo, per
esempio. Non aveva doti particolari: era semplicemente uno che si attentava. Attentarsi
voleva dire saper fare i tuffi alla Lama e andare sott'acqua, buttarsi dal terzo
piano di una casa in costruzione e centrare il mucchio di sabbia che c'era
sotto, non aver paura a scazzottarsi anche con i più grandi, essere scappato
davanti a un vigile o averle prese da qual che contadino per furti di mele o di
uva o essere stato inseguito per tutto il Parco da Giovanni Righi, che faceva
il custode."
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