giovedì 9 ottobre 2014

Vecchia bottega - odori, ricordi - Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano - Carpi (Modena)



Prima stesura 10 Luglio 2014                                                                                                      v08 del 24-7-2014
Vecchia bottega
Odori, ricordi e materiali vari
di Mauro D’Orazi
Anni 70 - Una bottega di meccanico delle nostre zone

Quell’odore un po’ forte che prende entrando in certe botteghe. Un udóor antìigh èd ’na vòolta! Un afrore caratteristico di morchia vetusta e inacidita, sulle cose, sugli attrezzi, sul pavimento che ha assorbito, fra tanti piccoli crateri di martelli caduti, fra maledizioni e diochè diolà, ogni genere di fluido in decenni di onorato e continuativo servizio. Ma non fermiamoci al bancone, chiediamo all’amico biciclista di andare dietro, nel disordinato magazzino delle cose abbandonate, quelle che “prima o poi” serviranno o verranno a un certo buttate via, in orride discariche per essere poi recuperate da qualche avventuriero, senza amore né scrupoli, e poi essere spacciate in qualche sordido mercatino dell’usato.
Guardèe che bèela fursèela ruṡnèinta! A m cuntèint èd 80 euro! L’è marchèeda DEI ! (Guardate che bella forcella arrugginita! Mi accontento di 80 euro! È marcata DEI!)”
Avuto il permesso dal meccanico (con la faccia un po’ stupita: “Mò ée l séemo? Che lò?”), è sufficiente un attimo per tuffarsi lì dentro, tra selle consumate e lasciate lì per essere montate chissà dove e chissà quando, tra telai ancora avvolti in quella carta speciale per salvarne la verniciatura che da sotto ammicca lucente e antica, con un velo di polvere. Cerchioni appesi irraggiati di un alluminio ormai tutto coperto da una ruggine grigiastra.
Catena da bici di produzione estera

Quell’odore mi avvolge più forte che mai; è penetrante e sa di grasso irrancidito e stagionato di bicicletta, di oli da motorini trasformatisi col tempo in una disgustosa e appiccicaticcia… péeghla. Se chiudi gli occhi, da quell’effluvio stantio, vedi venir fuori una bicicletta a scatto fisso, non certo di quelle moderne: ma una di quelle da pista, di una volta, col manubrio lucente e coperto dal nastro solo sotto, dove andavano davvero le mani esperte dei pistard, perché se correvi forte era meglio star giù, giù più che potevi, senza appesantire di mezzo grammo in più la bici.
Anni ’60 Grandi velocisti da pista – Maspes e Gaiardoni
Oppure una bicicletta da passeggio, fiammante di carter cromato e sella in similpelle ancora nuova. Ti ricorda la bella ragazza di fine anni ’60; quella che ti piaceva tanto e aspettavi che passasse in bici con la mini per vederle le gambe e la fine delle calze di nylon color rosa carne. Mò ch lavóor! Mò ch meravìa! Visione irresistibile, da piacevolissimo peccato mortale, per altro mai redento! Mai rimesso!
 
La foto a dx è del 1973 dal film “Malizia” con il povero Alessandro Momo e Tina Aumont

Poi i pensieri si placano e si continua a frugare con gli occhi. Un manubrio in alluminio di pregevole fattura, di quelli fasciati in pelle che erano un lusso negli anni Ottanta. Cose da corridori professionisti raffinati. Roba che per cambiare la copertura dovevi ricorrere a un vero professionista del ramo.

Ancora scatole con caratteri antichi e carta oleata ad avvolgere i preziosismi di uno scatto a ruota libera Regina (al ruchètt, la róoda lìbbra) per bici da passeggio e un altro da corsa ancora intatto.
Mancano però le scatolette rosse e bianche degli ingranaggi da ruota libera cecoslovacchi, di produzione artigianale di alta scuola, impeccabili nelle tolleranze e nelle sfere. Manufatti di gran qualità, piccoli gioielli meccanici, la cui perfezione aveva resistito ed era sopravvissuta con classe e dignità al bieco regime comunista, dove la qualità poteva essere un elemento da nemici del popolo e della rivoluzione.
A farli girare fra le dita, sentivi lo stesso rumorino morbido, preciso, piacevole del tamburo di una pistola… tik… tik… tik. Perfetto!!!
Ma… un ricambio troppo buono e… contingentato. Introvabile, esaurito oramai da tempo.
1965 ca - Ruota libera della rinomata ditta Regina

Avete mai provato a chiedere a una vecchia bottega? Posso vedere che componenti hai di una volta? Quasi un viaggio interiore nel tuo più intimo passato legato ai mezzi a due ruote, agli strumenti meccanici.
Magari può venire fuori l’idea di una bicicletta nuova in stile antico. E senza neppure spendere troppo. Chissà la passione dove potrebbe portare? Per qualcuno potrebbe reiniziare ancora da un vecchio magazzino. Pieno di ricchezze e di ricordi da raccontare, ma anche (perché no?) da far rivivere con compiacente dolcezza e con assennato e misurato rimpianto.
1965 ca – catena per biciclette Regina
Il grande Agostini usava questa marca per le sue MV mondiali

Mettere le mani su quei vecchi pezzi, o su una vetusta bicicletta può essere una scuola di meccanica e vita di prim’ordine. Pensateci, a volte basta chiedere il permesso e l’aiuto dell’amico biciclista che è lì da quarant’anni sempre in mezzo a quell’odore di morchia. Un’essenza che gli si è permeata per sempre nella pelle e nelle sue mani mai del tutto ripulite, nonostante la l’efficace pasta Nelsen.
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Lucio Battisti cantava: "Son le cose che pensano ed hanno di te sentimento. Esse t'amano e non io. Come assente rimpiangono te. Son le cose prolungano te!"
Qualcun altro disse: "Siamo ciò che costruiamo!" Ovvero la nostra anima si fonde col pensiero della nostra mente, con il prodotto delle nostre mani. Non tutti però sono in grado di ascoltare "il respiro" degli oggetti carichi di lontane vibrazione, soprattutto chi pensa semplicemente e solo di "possedere"!

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