Personaggi di Carpi
Prima stesura 23-11-2013
V34 del 01-10-2014
Bozza
in perfezionamento
Gli altri
sognan
se stessi
e tu sogni
di loro
(da un verso di Fabrizio De Andrè)
***
Personaggi
di Carpi
di Mauro D’Orazi
in collaborazione e
con le testimonianze
di Franco Bizzoccoli
foto di Lorenzo Barbieri, Alcide Boni, Alcide
Palmati, Romano Cavaletti e altri
Norme di trascrizione e lettura del
dialetto
Le norme di trascrizione
adottate dal
“Dizionario del dialetto
carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Tabella per facilitare
la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat, scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè, sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e chiusa e prolungata véeder, créedit, pée
i i come in italiano bissa,
dì
ii i prolungata viiv, vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’ , òoc’
cc’ c dolce e intensa (come in faccia) cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch, spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’, alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come in oggi) puntègg’, gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh, siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma,
s-ciòoch
Gli altri sognan se stessi
e tu sogni di loro
(da un verso di Fabrizio De
Andrè)
Personaggi di Carpi
di Mauro D'Orazi
in collaborazione e con le testimonianze
di Franco Bizzoccoli
Un contributo fondamentale a questa
ricerca è stata data dal carissimo Franco Bizzoccoli; un amico, un personaggio
indimenticabile che putroppo è scomparso il 14 luglio 2014, portandosi via un
bel pezzetto di Carpi.
Franco non era uno scrittore,
annota Florio Magnanini, il direttore di Voce di Carpi, ma uno straordinario
affabulatore. Era capace di riassumere in un soprannome (in un scutmàai), in un aneddoto (in ‘na stòoria), in una definizione (in un dìit), sempre rigorosamente in dialetto, un’intera esistenza,
un personaggio, un capitolo di storia cittadina, una situazione familiare. È
per questo che difficilmente si trovano tracce autografe dei suoi racconti, ma
solo tante testimonianze orali, ascoltate e messe per iscritto da altri.
Fra gli spunti preferiti per le sue
evocazioni c’erano le figure tipiche di Carpi, coloro, per contrappunto
notissimi, che avevano scelto la marginalità, con modi di vivere e di essere
(quasi) spontaneamente alternativi. Tutti questi singolari personaggi
attraevano Franco Bizzoccoli per la loro “umanità” senza le mascherature
dell’ipocrisia. Ne stimolavano la sua natura di arvèers e gli faceva per certi
aspetti ammirare la dignità che conservavano al di là della loro spesso
miserevole condizione di vita. Tutto ciò in alternatica a una città del boom incessantemente
indaffarata e in preda a un desiderio sprudintèe
di successo e di soldi.
***
Franco ha visionato e corretto il
testo e i capitoli di questa ricerca, contribuendo a dare un taglio che fosse
il più obiettivo possibile. Questo per raccontare persone “speciali” che la
gente tende a NON voler mai capire veramente, a causa delle loro inconsuete (e
ai più incomprensibili) scelte di vita.
Ricordo di Franco
Franco Bizzoccoli, Il MARINAIO, Al marinèer, era
un personaggio carpigiano reale, ma che sembravava uscito dall’epica e
avventurosa fantasia di Hugo Pratt. A lui ho dedicato il mio secondo libro La Ruscaróola èd Chèerp DUE; questo
perché per me Franco rapprensentava il “genius loci” di Carpi, la sua essenza
più antica e incorrotta.
La Ruscaróola èd Chèerp DUE
Passare il suo severo esame sul
dialetto e sulle tradizioni della nostra città era FONDAMENTALE per me e lui
non si è mai tirato indietro, controllando, correggendo e suggerendo. Dovevo
superare la sua sospettosa diffidenza, dovuta ai limiti della mia discendenza
carpigiana (solo il 50%).
Mi ha raccontato un’infinità di
storie:
dal nonno fabbro e massone (che gli
fece quasi da padre, essendo rimasto orfano presto), che lo educò alla libertà
e al libero pensiero, ai sui tanti viaggi da marinaio in tutto il mondo;
dal palombaro sminatore di porti,
alla Legione Straniera;
dal canale di Panama, al “signor
Fish” carpigiano in Africa;
dalla lotta contro la bieca
dittatura greca, alla frequentazione dei migliori registi e attori italiani
degli anni 70- 80, al gioco d’azzardo al fumo di ogni tipo di tabacco; ecc…
ecc…
Lo spirito anarchico irriducibile,
la sua strenua opposizione alle ingiustizie, al perbenismo del potere e alle
menzogne istituzionali lo hanno sempre caratterizzato. Era ciò che si dice a Carpi
un arvèers, un rovescio. Socialista, radicale,
presidente del Circolo del Libero Pensiero; capace, come minacciosamente spesso
minacciava, di influenzare il voto e l’opinione èd sesèint culatèin èd Chèerp (di seisento gay di Carpi).
Puntualmente ogni XX settembre (anniversario
della Presa di Roma al Papato) faceva mettere una corona sulla lapide in Piazza
posta sul Torrione degli spagnoli, a nome del Circolo del Libero Pensiero
Giordano Bruno di Carpi, un misterioso e non ben delineato club libertario -
esoterico; un’incombenza, un dovere morale che aveva ereditato dal compianto
avv Borelli 30° g .
Una vita densa e avventurosa che me
lo ha fatto considerare a buona ragione il nostro “Corto Maltese” carpigiano.
Corto Maltese
Il suo narrarre affabulante ci ha
sempre affascinato con storie di mare, di viaggi in paesi lontani, di incontri
strabilianti, di missioni speciali in Indocina, nei mari del Mediterraneo e in
Africa.
Facendo roteare a mezz’aria il suo
indice sinistro, ornato con orgoglio dell’anello massonico del nonno (con la
squadra e compasso), raccontava, descriveva, pennellava situazioni e personaggi,
rievocava, illustrava, ecc… con una ricchezza di particolari che sembrava di
essere lì, quando succedevano le cose, mentre la prua della petroliera tagliava
l’oceano atlantico o i mari dell’oriente.
Non c’era posto che il nostro
marinaio non avesse visitato.
Non c’era persona famosa che non
avesse incrociato.
Non c’era cosa o storia che non
sapesse sulla nostra città.
E in effetti di Carpi e dei
carpigiani al savìiva tutt: vìtta,
mòort e miraacool.
Mi ha sempre dato il suo
appassionato contributo sulle vicende carpigiane, descrivendo luci e ombre dei
vari personaggi, anche i particolari che NON si potevano scrivere.
Mi ha regalo, a me più giovane,
nato dopo la guerra, le storie e lo spirito intimo di una “vecchia” città che
ormai non c’è quasi più, ma sulla quale è appoggiata la realtà d’oggi, anche se
in pochi riescono o possono ricordarlo.
A lui è dedicato anche un modo di
dire, quasi una laurea honoris causa
meritata sul campo:
“Al l à ditt Bisochèel!” (Lo
ha detto Bizzoccoli!)
Nel senso che, quanto riferito su
una certa faccenda o individuo, era certo la verità e … “e più
non dimandare!”, citando Dante.
Anche perché LUI, Franco, c’era! C’era
di sicuro, o, se non c’era, si trovava comunque molto vicino!
Non era un uomo perfetto, anzi…
aveva mille difetti e diecimila debolezze.
Il caustico Mauro Prandi lo
chiamava Frank Monozoccolo, perché “l’altro” lo aveva perso in una qualche
concitata concia.
Ma aveva centomila qualità e un
milione di pregi; cose, queste ultime, che compensavano abbondantemente il
bilancio del suo essere, della positività di uomo di libero persiero e azione
che intende lasciare un mondo almeno un po’ migliore di come lo aveva trovato.
Una moglie, due figlie, una madre
che ha amato tantissimo; un cagnone, la Tata, mastino napoletano, che era una
di famiglia.
**
Ci ha lasciato il 14 luglio 2014,
il giorno della Presa della Bastiglia, un evento storico di riscatto dell’uomo
a cui lui teneva moltissimo. Liberté, Égalité, Fraternité (Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) era il
trinomio, il motto sacro della Rivoluzione Francese, ma anche il suo.
Nella sua ultima, tragica e
dolorosa notte, la frase che ha ripetuto cento volte con insistenza, come
estremo lascito ai sui familiari, è stata: “Un solo pensiero mi ha guidato: LA
LIBERTÀ!”
Mauro D’Orazi 14-7-2014 che si onora di essere
stato suo amico.
da VOCE di Carpi
14 luglio 2014 – All'età
di 84 anni Franco Bizzoccoli, Il Marinaio, si è spento nelle prime ore di
questa mattina, all'ospedale Ramazzini dove era stato ricoverato per un
aggravamento delle condizioni di salute. Figura notissima in città, vigile in
pensione, Bizzoccoli aveva alle spalle un'esistenza avventurosa, vissuta come
marinaio della marina mercantile e come combattente nella Legione straniera tra
Indocina e Africa, prima di stabilirsi definitivamente nella propria città
d'origine. Spirito libero e anarchico militante, fra i fondatori del circolo
del Libero Pensiero, aveva stretto numerose amicizie negli ambienti romani del
cinema, a partire dal regista Giuliano Montando e dall'attore Gian Maria
Volontè, arrivando a recitare in due film dello stesso Montaldo –
"L'Agnese va a morire” del 1976 con Ingrid Thulin e "Il giocattolo”,
del 1979, insieme a Nino Manfredi – e "Maledetti vi amerò” di Marco Tullio
Giordana, del 1980. Da militante, ebbe un ruolo nel sostegno e nella
liberazione di Alexis Panagoulis, l'ufficiale greco imprigionato e torturato
dai colonnelli dopo il colpo di stato del 1966. In città era
divenuto un simbolo della carpigianità, un custode della memoria, uno degli
ultimi testimoni della vita al campo di concentramento di Fossoli dove aveva
lavorato da garzone di muratore, oltre a rappresentare un riferimento contro
ogni forma di sopruso e un pungolo costante per i poteri locali.
Introduzione di Franco Bizzoccoli
Foto del 1985 - Franco Bizzoccoli
un prezioso
testimone di fatti ed eventi carpigiani
Franco Bizzoccoli (Carpi) esprime una posizione e una testimonianza
diretta che ci tiene a distinguersi nettamente da tutte le altre che ho ascoltato
sugli “strani” personaggi che descriverò in questa ricerca. Come punto
essenziale Franco vuole ricordare e tutelare la dignità di persone particolari,
come ad esempio di Mezzanotte.
Onesto Lazzaretti, l’uomo sorridente col fiore sul cappello, era un vagabondo,
ma non ha mai steso la mano o elemosinato per chiedere la carità, non si è mai
… mai umiliato a chi aveva di fronte; così come lui hanno vissuto del loro, pur
gramo, lavoro Piccinini (il raccoglitore di cartone), la Mariina Trintèina con suo
banco ambulante, l’Amaalia di scatlòot (Amalia Bulgarelli degli scatolotti) o la
Corinna
èd Bòun (di Boni - sorella del fotografo Severino Boni) che si
dedicavano alla raccolta di roba vecchia, stracci e a piccoli piccolissimi
commerci, ecc …
Descrivere
queste persone con svilimento, cattiveria o superiorità è stato lo stolto vezzo
di alcuni carpigiani mediocri che, nella loro ansia interiore di emergere dal
grigiore delle loro piatte e spente esistenze, si divertivano in malafede a
considerare queste persone delle infime macchiette da deridere con compiaciuto
disprezzo per sentirsi vanamente superiori. È un’abitudine contadina del volgo,
dell’ignorante, del cretino, dell’illetterato, dell’invidioso che porta a
caratterizzare chi è “diverso” o in modo ridicolo o in modo negativo.
1960 ca L'Amaalia di scatlòtt
Amelia Bulgarelli era molto amante del lambrusco ed
era assidua frequentatrice dell'Osteria Longarini in San Rocco; dietro in
secondo piano Ezio o Erio Goldoni i famosi gemelli identici di pelo rosso.
1975 ca – L’Osteria Longarini in San Rocco,
ormai chiusa e pronta per la demolizione
Romano Cavalletti (Carpi) ricorda: “Da ragasóol, 11/12 anni, a fèeva al garṡòun in ’na butèega èd gènner
alimentèer di Forte Roversi e Giuseppina
Salvaterra. A la siira a partiiva in
biciclètta pèr andèer a Miarèina andànnd pèr San Ròoch. Dal vòolti a s icuntrèeva
l'Amaalia: puvrètta! la gniiva fóora da l'usterìa èd Longarini èd fròunt a la manifatuura. Sicóome l'aaqua
la nn èggh piaṡiiva mìa dimònndi, l’éera sèmmper un pòo imbalèeda e alóora la
gniiva carghèeda insimma al só cariulèin e purtèeda a ca sua.”
1960 ca la Corinna èd Bòun (di Boni - sorella
del fotografo Severino Boni)
Gloria Pantaleoni (Carpi) ricorda che si pettinava così, perché diceva
che se la guardavano davanti... era una, mentre da dietro, con un piccolo
pipullo, ... era un'altra.
Bizzoccoli continua la sua ricca testimonianza: La gavetta di
Mezzanotte non era un cappello o una ciotola dell’elemosina; quella gamella gli
serviva per andare alla cucina popolare per avere la minestra. Era l’ECA,
l’Ente Comunale di Assistenza, che forniva questo servizio ed era gestito da
Amelio Turchi (detto Turcìin), con Contardo Ferrari che
gestiva la cucina. I cuochi erano due: Berto e al pèeder èd Romanciina.
Piazzale Re Astolfo - al ṡóogh dal balòun – alla sinistra
della foto a piano terra al posto dell’attuale finestra, c’era un portone con
la Mensa del Povero.
Meṡanòot
era uno spettatore
coprotagonista passivo, ma attento osservatore di questo tipo di società, in
cui lui stesso era costretto a vivere. Ma non era il mendicante e tanto meno il
clochard parigino: era un vagabondo!
Gli piaceva il vino, ma a nn éera mìa ’n imberiagòos, ma non era un ubriacone.
Meṡanòot non era né ridicolo, né negativo; non apparteneva a
queste due categorie. Era un “angelo” che passeggiava leggero fra la folla.
Non
chiedeva niente, non ha MAI chiesto niente!
Quàand
a gh éera di cretèin che con
appagato spregio dicevano: “Óo Meṡanòot … “ col solo scopo di
prenderlo in giro, tentando di “nullificarlo”; lui si limitava a rispondere
dolcemente con un ineffabile sorriso.
Meṡanòot
te n l èe màai visst andèer in biciclètta o muntèer in simma a un baròos o a
cavàal; l à sèmmper girèe istèe e invèeren … a pée. Non lo si è mai visto andare in bicicletta o
montare un su ub biroccio o a cavallo, era sempre a piedi. D’estate con una
giacchetta ṡliiṡa e d’inverno cun un tabàar che gli aveva regalato
l’avv. Germano Tunèel (De Pietri Tonelli (repubblicano e anarchico), figlio
del fondatore del Ricovero del Viandante.
Il
suo percorso era: la Casa del Viandante in Cantaràana, al ṡóogh dal balòun
(Piazzale Astolfo) dove c’era la cucina popolare, i giardini comunali con
l’incontro con i piccioni, la casa dell’avv. De Pietri Tonelli.
L’avvocato,
vedendolo, allora gli domandava: “Onèesto cum andòmm ia?” E gli
stringeva la mano. Poi facevano i lavori di giardinaggio insieme. Mentre l’avv.
Tonelli studiava o lavorava, Meṡanòot svolgeva qualche lavoretto
di pulizia o piccola manutenzione, ma MAI dietro ordine, solo per sua volontà.
Il
fondatore Tonelli aveva anche disposto una precisa clausola con la quale si
disponeva che il Ricovero del Viandante dovesse essere tenuto in funzione,
finché ci fosse stato un’ospite e quindi finché il Lazzaretti fosse stato vivo.
Con
percorsi non troppo chiari, negli anni ’60, fu invece di fatto soppresso (anche
assieme alla Casa del Povero di Galasso Bezzecchi) e unito ad altre Opere Pie;
l’edificio fu venduto a una persona di comodo. Così Mezzanotte dovette
trasferirsi al Ricovero Tenente Marchi, che allora aveva sede nel padiglione
dietro l’Ospedale, a ovest.
Lì
godeva di ospitalità, ma con piena libertà di entrare e uscire dalla struttura.
Meṡanòot
al deṡgniiva dal Vrée, luogo
natale della moglie, ma era originario di Soliera, aveva abitato Cavezzo e a
Rovereto; quest’ultima una località da dove veniva anche al maat Panèin (il matto
Panini), che stava in Bevdéer (via Cesare Battisti) e che una volta murò la porta
di casa del fratello per dissidi familiari.
Meṡanòot si era sposato con una donna di Rovereto di Novi;
rimasto vedovo (si presume), per un certo periodo si accompagnò a Carpi con
un’altra donna; non era un’unione di sesso, ma di affetto, di calore umano, di
condivisione dell’indigenza; insomma tutto un discorso particolare che sèert
sumèer èd Chèerp (certi somari di Carpi), che ironizzavano malamente su
questi personaggi, non possono certo capire e non capiranno mai.
Convisse
dunque in Cantaraana con una signora che aveva già un figlio, che fu
compagno di scuola di Bizzoccoli alla fine degli anni ’30.
Questi
personaggi avevano poi dei luoghi franchi, dei portoni particolari, allora
sempre aperti, in cui si potevano sedere e appartare: la casa del cinema Fanti
in via Mazzini, dove stava la madre di Bizzoccoli, tutte le case di Corso
Alberto Pio che davano anche su via Rovighi, cioè le case degli ebrei ecc …
Lì
si poteva vedere quest’umanità marginale trovare sosta, un minùut èd rèechie (un
minuto di pausa).
‘Na
vciina cun i cavìi biàanch, la
Magheritèina che usava domandare l’elemosina con la frase: “Pèr ‘na
pastlèina pèr la mé Armandèina, ch la stà mèel da murìir a l uspidèel!”(per
una pastina per la mia Armandina che sta male da morire all’ospedale).
Piccinini che frugava e mangiava le verdure buttate via di
scarto; a tale proposito Plicio Pelliciari annunciava: “Il ristorante è
aperto!” e aveva Piccinini sotto casa ch al magnèeva in mèeṡ al russch (che
mangiava quello che trovava in mezzo agli scarti del pattume).
Ma
anche Piccinini non ha mai domandato niente, non ha mai elemosinato!
Anche
la Mariina
Trintèina col suo banchino su ruote, o l’Amaalia di scatlòot ch l andèeva
a véeder (andava a vetri), o la Corinna èd Bòun che, col suo
perenne cappello di paglia in testa, andava a stracci.
Questo
perché facevano delle attività particolari, che consentivano loro di vivere,
pur nella povertà.
“Meṡanòot
a nn è nisùun! La Marina Trintèina … cla puòosa! L’Amaalia di
scatlòot cla sèmma!”
Erano
frasi per irridere superficialmente e stupidamente queste persone;
esprimevano
il meschino compiacimento del povero nel vedere un altro povero, messo peggio di
lui … diverso. Si distorceva la realtà solamente per pura e inutile cattiveria.
**0**
Meṡanòot
Onesto
Lazzaretti
vagabondo
in Carpi
Note raccolte da Mauro D’Orazi
Revisione del testo di Graziano Malagoli
Mezzanotte!!
Meṡanòot
! Onesto Lazzaretti al stèeva in Cantaraana con la
convivente e il figlio di lei.
Uomo mite e pacifico,
parlava poco ed era quasi sempre solo.
Un
nome di battesimo che fu un programma ben rispettato. Un uomo pacifico e ben
voluto. Un uomo libero, non un mendicante; non un pezzente, ma un vagabondo.
Ma
ve lo ricordate ... che personaggio … sempre col “fiorlino” (cun al fiurlèin) ...
sul cappello?
Fu
l’ultimo ospite dal Ricòover èd Cantaraana (Ricovero del Viandante
di Via Brennero). L’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) fu l’ultimo
proprietario dell’immobile e lo denominò negli anni ‘60 “La Casa del
Viandante”. Questa istituzione benefica
era stata voluta da Tomaso De Pietri Tonelli (conosciuto come Magnòun
Tunèela), vecchio proprietario dello stabile, per ricordare un suo zio
sacerdote nel 1800 che si era dedicato in modo particolare ai senza casa e ai
girovaghi istituzione.
**
Le
notizie su di lui non sono tante e quelle poche esistenti vanno svanendo.
Ho
raccolto tutto ciò (poco) che ho trovato e alcuni particolari biografici sono
confusi.
Lazzaretti Onesto, figlio di fu Leandro e Chierici Catterina; nato a Soliera il
30/07/1887; coniugato con Rebucci Florinda a Novi di Modena in data
21/03/1931;
deceduto a Carpi in data
28/03/1970.
Come
residenza risulta immigrato dal Comune di Cavezzo il 24/11/1931;
residente
dal 21/04/1936 in v. Brennero 45 (Casa del Viandante);
" dal 19/05/1961 in v. Cattani 4 (breve
sistemazione provvisoria);
" dal 30/06/1961 in v. S. Giacomo 2
(Casa di Riposo Ten. Marchi).
|
**
In
centro a Carpi, c’era una specie di mensa del povero nell’angolo in fondo al
Castello nel Gioco del Pallone, a sinistra subito dopo l’arco delle ex Carceri,
guardando con le spalle alla Sagra.
Lì
era un punto fisso di rifocillamento per al nòoster Meṡanòot ed è da quelle
parti che mi è capitato spesso di intravederlo, mentre girava per il vicino
giardinetto comunale o era seduto a godersi il sole su una panchina, come per
altro di vede nelle foto.
A
questo proposito, senza la sensibilità di Alcide Palmati non avremmo nemmeno la
sua pacifica e tranquillizzante immagine, raccolta in alcune foto davvero
significative.
**
Primi del ‘900 Via XX Settembre, ora via Giacomo
Matteotti.
Fotomontaggio di Alcide Palmati con una possibile torretta.
Fotomontaggio di Alcide Palmati con una possibile torretta.
Ecco una poesia di Cinzio Micheli, Micin, su
questo personaggio
(la grafia
è quella originale del poeta):
MEZANOT
V’siv mai dmandé acsé, in quatr’e
quatr’ott,
chi s’sia cal tip chi ciàmen Mezanott?
An gh’è gninta d’mel, per quest an
v’togh la stìma;
... per qui ch’n’al cgnuss, infati, a
gh’fagh sté rìma:
Barbéta bianca,
in dal capel i fior,
l’è seimper suridèint
e d’boun umour,
cun una pèla bianca
ch’a fa voja,
e lissa cum’un pann
tolt da la smoja.
Giachèta slisa
e la gavèta in man,
e quest l’è Mezanot
per qui ch’n’al san.
Al s’ved po’ tutt i gioren vers mesdè,
in fila, cun pasinsia certusèina,
a tor la mnestra chelda a la cusèina;
ma dla gavèta, ahimè, an gh’ved mai al
fond,
perché pian pian col pass un po’
marchè,
al porta cal puchin ch’al s’è vansèe
ai clomb chi al spetn’in circol sul
segrè.
Per st’francescàn filosofo carbsàn
n’esist po’ festa o gioren da lavor;
per lò l’è festa al dè ch’al s’cambia
al fior.
Seinsa cunter, s’capiss, che la più
bèla
L’è quand’al voda ai clòmb la so
gamèla.
E ades che bein o mel v’l’ò presentè,
serchè d’eser gentil sa l’incuntrè,
perché truvèren
n’eter fat acsè,
as suda al sèt camìsi in chi teimp chè.
Micin - Cinzio Micheli
**
Anche
Ciccio Guerrino
Siligardi à dedicato a Meṡanòot una sua poesia, illustrata
dal pittore carpigiano Pain (Igino Pagliani).
(la grafia
è quella originale del poeta):
Curiosità
La
fièssca o mòssca
Meṡanòot portava una barbetta bianca a pizzetto; in
carpigiano antico questo ornamento del viso prendeva il nome di fièssca
(pizzetto al mento), ma qualcuno la chiama anche mòssca.
“Al
gh à la fièssca!”
Talora
il nome poteva venire deformato bonariamente in … fiaschètta.
Illustri personaggi storici col pizzetto:
Vittorio Emanuele II e Napoleone III
**
Alcune note,
testimonianze e ricordi di carpigiani
Le
testimonianze che seguono sono state raccolte direttamente da me; esse si
basano su ricordi diretti di varie persone che hanno incontrato il nostro
singolare concittadino. Ci posso essere affermazioni anche in forte
contraddizione fra di loro, ma non ho voluto scartare nulla. Infatti, al di là
di un certo limite, io non
sono in grado di appurare le verità sempre più lontane nel tempo e lascio
pertanto al lettore l’onere di arrivare alle proprie conclusioni.
Oramai
sono più di 40 anni che ci ha lasciato ed è difficile trovare notizie su questo
singolare personaggio che Dante Colli nel suo libro “A gh è di bée chèeṡ” - ed.
Il Portico 2008 – così definisce:“Mezzanotte una presenza quotidiana che
richiamava i carpigiani all’essenzialità della vita e alla bellezza ben
simboleggiata dalla costante presenza di un fiore sul cappello.”
Io
stesso mi sono poi fatto queste domande e ho trovato solo parziali risposte:
“Ma
perché lo chiamavano così? Perché non aveva una famiglia, un lavoro o un
reddito anche minimo?”
Non
ho trovato dati precisi e netti, ma per fortuna sono emersi ricordi e
testimoniane di vari carpigiani, che lo hanno ancora bene in mente con affetto.
Anche
mio padre, che era un poliziotto piuttosto duro e non amava certo i vagabondi,
quando parla di lui lo faceva con simpatia, apprezzando il suo spirito di uomo
libero e nel contempo … onesto.
Oggi,
appena chiedo alle persone giuste qualche notizia … IMMANCABILMENTE … queste
accennano subito a un sorriso, fra il dolce e malinconico, al pensiero di
quella persona così semplice e amabilmente stramba, che nella sua vita certo
non deve aver mai fatto delle male azioni verso il prossimo.
Per
ciascuno degli interrogati, il primo ricordo è il fiorellino che
portava sempre, quasi un omaggio rispettoso alla bellezza e alla perfezione
della natura.
Un “fiorlino”
Il
soprannome di Mezzanotte pare che molto semplicemente gli derivasse dal fatto
che era sempre in giro anche di notte e non andava quindi mai a letto presto,
comunque sempre dopo … mezzanotte. Era un tipo solitario, sempre gentile e
misurato; di statura media, i tratti del viso erano gradevoli e distinti e si dice
fosse figlio di una persona culturalmente elevata per i tempi.
Si
guadagnava da vivere con piccoli lavoretti presso le varie famiglie che spesso
lo premiavano con un piatto di minestra o con del vino che non disdegnava di
certo.
16
novembre 2010 - Mauro
Magri: A casa mia nel cortile in viale Nicolò Biondo si fermava
spesso, perché mio nonno "l'Americano", aveva sempre del buon salume
e dell'ottimo Lambrusco pigiato coi piedi nella nostra cantina a due scale
sottoterra. Spesso l'abbiamo portato a casa, perché era in condizioni un po’
precarie ...
10
febbraio 2012 - Emidio
Bosco: Me lo ricordo bene, veniva spesso a casa nostra e mia nonna
gli faceva rastrellare la ghiaia del giardino poi gli dava un piatto di
minestra o di pasta asciutta che lui si faceva mettere nel suo gavettino
militare!
1968 Meṡanòot, il barbone romantico che
portava sempre un fiore fresco sul cappello, dorme su una panchina del giardino
di via Matteotti, dietro al teatro; morì a 82 anni nel 1970 - Foto di Alcide Palmati.
1
febbraio 2012 - William
Vaccari –
A propòoṡit èd Meṡanòot a vóoi cuntèer
èv quèssta !!
Al sóori èd via Menòoti, ch i duviiven
imbutiglièer, i àan dmandèe a Meṡanòot èd purtèer 'na damigiàana d vèin al
cunvèint còn un cariulèin. A chi tèimp là, primo dopoguerra, al strèedi i nn
éeren mìa asfaltèedi e a gh éera ancòrra i giaròun èd fiùmm. Fatalitèe, intàant
che Meṡanòot al cucèeva al carióol pèr fèer la cuurva da via Berengario a via Menòoti,
‘na róoda la s è impuntèeda e al carióol l à tòolt al trapìcch. La damigiàana
l'è caschèeda e la s è ṡbraghèeda e tutt al vèin l è andèe pèr tèera. Meṡanòot,
amante del nettare di Bacco, sèinsa
pèerder un secònnd, al s è ṡachèe pèr tèera e l à serchèe èd ricuperèer più
vèin ch al psiiva, ciucènnd èl diretamèint d in mèeṡ ai giaròun. Quàand a s
diiṡ la prontèssa d riflèes !!!
A
proposito di Mezzanotte voglio raccontarvi questa.
Le
suore di Carità di via Menotti, che dovevano imbottigliare, domandarono a
Mezzanotte di portare una damigiana di vino nella loro sede con un carriolino.
A quei tempi, subito dopo il ’45, le strade non erano asfaltate ed erano
lastricate coi sassi di fiume. Fatalità volle che mentre Mezzanotte spingeva il
carrettino per fare la curva da via Berengario a via Menotti, si impuntò una
ruota e tracollò. La damigiana cadde, si ruppe e il vino si sparse per terra.
Mezzanotte che non disdegnava di sicuro il “succo d’uva”, senza perdere un
secondo, si è steso per terra e ha cercato di recuperare più vino che poteva,
aspirandolo con la bocca in mezzo ai sassi. Che prontezza di riflessi!)
8
settembre 2013 - Maurizia Besutti:
Mè a m arcòord, aanch s a iéera
cichiina, ch al pasèeva cun la sò gavètta vèers meṡdè e chi psiiva al gh l'impiniiva
d un mèsschel èd paasta. Al s ciamèeva ONESTO LAZZARETTI, al stèeva in BORGFURTÈIN,
minnga luntàan da ca mìa e mè al vdiiva de spèss. Dal bèeli vòolti dal vièel
Nicolò Biondo i al purtèeven a ca sùa, ch a l ne saìiva più andèer èggh da pèr
lò.
(Mi
ricordo, anche se ero piccola, che passava con la sua ciotola verso mezzogiorno
e chi poteva gliela riempiva di un mestolo di pasta. Si chiamava Onesto
Lazzaretti, stava in Cantaraana, non troppo lontano da casa mia e lo vedevo
spesso. Non di rado da viale Nicolò Biondo lo guidavano a casa sua, perché non
sapeva più andarci da solo.)
9
ottobre 2013 – Graziano
Forghieri ricorda di essere cresciuto con questa persona; nel primo
dopo guerra la sua famiglia abitava in via Mazzini, sopra l’ex Cinema Fanti.
Spesso era nel loro cortile a fare piccoli lavoretti: legare le fascine,
portare la legna su in granaio usando cesta e carrucola. Spesso la madre di
Graziano, Edera Baracchi, lo premiava con un piatto di minestra.
Era
di carattere mite e gentile, ma Graziano narra di un episodio particolare.
D’estate col caldo, durante le proiezioni dei film al Cinema Fanti, i gestori aprivano la porta nel cortile interno, per dare un po’ di refrigerio agli spettatori accaldati, proteggendo però la visione da parte di estranei con una tenda pesante; qualcuno del cinema controllava sempre che non entrassero degli abusivi.
D’estate col caldo, durante le proiezioni dei film al Cinema Fanti, i gestori aprivano la porta nel cortile interno, per dare un po’ di refrigerio agli spettatori accaldati, proteggendo però la visione da parte di estranei con una tenda pesante; qualcuno del cinema controllava sempre che non entrassero degli abusivi.
Una
sera Graziano e suo fratello Lele, che tra l’altro erano proprio nel cortile di
casa loro, stavano sbirciando una porzione di schermo dalla fessura della
tenda; arrivò d’impeto Beppe Mailli per cacciare i ragazzini bruscamente, in
malo modo.
Il
caso volle che fosse presente alla scena Meṡanòot, il quale inaspettatamente
prese il malcapitato per la camicia, sotto la gola, intimandogli rabbioso: “S te
tòcch chi ragàas, a t maas! (Se tocchi questi ragazzi, la metti male!”
10
ottobre 2013 - Carlo
Alberto Parmeggiani narra che il vecchio Meṡanòot era molto
ghiotto di fischietti in brodo coi fagioli; un piatto che distribuiva l’ECA
(Ente Comunale Assistenza, la mensa dei poveri in castello di fronte all’ex
OMNI); con un trapano però aveva fatto un buco al centro del cucchiaio che
teneva sempre dentro a un taschino della giacca pronto alla bisogna; questo
accorgimento gli consentiva di per poter mangiare i suoi fischietti e i suoi
fagioli asciutti, lasciando nella gamella il brodo con cui venivano serviti che
evidentemente non gradiva proprio.
10
ottobre 2013 - Corrado
Cattini mi racconta che all’ECA c’era anche qualche tavolo per
sedersi, ma Mezzanotte preferiva consumare il suo pasto all’aria aperta su una
panchina dei vicini giardino o dietro l’abside della Sagra, dove c’era una
specie di fossato. Il nostro si sedeva al bordo del fossato con le gambe a
penzoloni dentro e lì, forse nel punto più antico di Carpi, consumava con
serenità la sua razione.
Cartolina dei primi del ‘900 con
l’abside della Sagra
11
ottobre 2013 - Gianni
Manfredini ci dà una versione diversa dell'aneddoto della damigiana:
“Meṡanòot
era un tipo veramente singolare; gli capitò di trasportare, con un carrettino,
una damigiana di vino piena. La stava portando a casa dell'Avv. De Pietri
Tonelli, quando, per causa di un ribaltamento, la damigiana cadde e si ruppe. Imperterrito
Onesto si mise a sedere per terra e comincio a raccogliere i cocci grossi del
vetro e berne il contenuto. Io da ragazzino rimasi a guardare la singolare scena,
che non dimenticherò mai.”
In
oltre un suo ritratto era presente al Museo Civico.
11
ottobre 2013 - Umberto
Cattini aveva uno zio di Carpi che gli raccontava spesso un aneddoto
di Meṡanòot
che lo vedeva coinvolto in una sbornia colossale. Aneddoto che seppur breve e
forse banale nel suo svolgimento mi è sempre rimasto impresso per l'umanità e
la dignità che esprimeva.
Mezzanotte
non era certo un ubriacone alcolizzato; ma il vino era uno dei suoi pochi piaceri
e ne aveva l'occasione non si tirava certo indietro. Si racconta di Lazzaretti
che, nottetempo, non si sa bene in che maniera, ebbe modo di intrufolarsi nei
locali della Cantina Sociale, dove fu ritrovato dal personale il mattino
seguente, nella vasca del mosto, completamente ubriaco. All'invito rivoltogli
di andarsene immediatamente (Tóo t su e va fóora!) lui, con
grande garbo e per nulla preoccupato, avrebbe risposto che gli sarebbe piaciuto
corrispondere positivamente a tale intimazione, ma purtroppo non era in grado
di farlo.
11
ottobre 2013 - Franco
Maria Losi:" Io, allora, andavo a scuola dove ora c'è oggi la
Biblioteca Loria. Molte volte sostavo nei giardini dietro il teatro. Lì vedevo
spesso Mezzanotte, perché veniva a prendere da mangiare alla mensa dietro al
castello. Parlava poco. Credo di averlo sentito pochissime volte dire qualcosa.
Noi, ragazzini, per farlo parlare, gli chiedevamo spesso del fiore che portava
sul cappellino. Rispondeva da par suo: con
un sorriso.
12 ottobre 2013 - Tiziano Lugli ricorda che Mezzanotte aveva un suo tour per
ricevere il vino; passava alla Trattoria Magnani in via Petrarca, dove gli
offrivano 3 o 4 pèecher èd lambrùssch (bicchieri di lambrusco), passava poi
alla cantina dei Gibertoni un po' più avanti, per arrivare alla Cantina
Sociale, in via De Amicis, dove nei giorni fortunati gli davano una brocca da 5 litri.
Fra via De Amicis e via Petrarca,
Lugli e gli amici giocavano a pallone e Mezzanotte cerca di inserirsi, ma in
ciarèina (ebbro) spesso al caschèeva pèr tèera. Dopo un po'
all'improvviso, sfinito, si buttava nel pratino sotto gli alberi e si
addormentava di botto. Dormiva un'ora per terra e poi, quando si svegliava, la
sua preoccupazione più grande era quella di raggiungere la propria abitazione,
per mettere - solo provvisoriamente - in salvo quanto non aveva ancora bevuto.
14 ottobre 2013 - Dario D'Incerti:
"Ricordo quando tornando da scuola (andavo dalle Suore e quindi per me si
trattava di attraversare la piazza e i giardini pubblici) all'ora di pranzo lo
trovavo spesso seduto sulle scale (che sono uguali a quelle di casa di mia
nonna in via Matteotti), intento a mangiare dalla sua gamella un po' di
pastasciutta che mia nonna o mia zia Romea, gli avevano dato. Non ricordo di
essermi mai chiesto come mai non lo invitassero a tavola, perché il suo aspetto
lo rendeva inequivocabilmente "altro" da noi, "borghesi" e
di "buona famiglia", ma il fatto che lo si facesse entrare comunque
tra le mura di casa, significava che era una persona inoffensiva, bisognosa
d'aiuto, di cui non bisognava aver paura.
14 ottobre 2013 - Gianfranco Guaitoli:
"Mezzanotte me lo ricordo anch'io da ragazzino che dava da mangiare ai
colombi e stava sempre preferibilmente al sole seduto su una panchina. Aveva un
pizzetto alla moschettiera e mi è sempre sembrato che facesse il barbone per
sua volontà, per scelta di vita."
7 novembre 2013 - Romano Cavaletti
mi racconta un aneddoto un po’ più cruento: “Meṡanòot lo
incontravo spesso in giro per Carpi, sempre riconoscibile da un fiore fresco
sul cappello. Era solito dare da mangiare ai colombi nel giardino dietro al
teatro, vicino alla mensa popolare; aveva però con sé un pesante piombo da
muratore; quando il piccione gli si avvicinava in perpendicolare … TuK ! … mollava il peso che tramortiva
il volatile; sarebbe poi stato cucinato a dovere e mangiato. “
Ecco un filo a piombo d'epoca
utilizzato dai muratori per erigere a regola d’arte muri, colonne, ecc ... è
accompagnato da un oggetto in legno tarulì sul quale viene avvolta o
srotolata, a seconda della necessità, la corda ovviamente legata al piombo per
svolgere la sua tipica funzione gravitazionale.
18 novembre 2013 - Giorgio Masini:
“Nel 1956 il Comune stava rifacendo le fognature in centro e in via Andrea
Costa erano stati depositati, sotto il portichetto, dei tratti di grosse
condotte in cemento da collocare poi sotto la sede stradale. Meṡanòot si era abituato, quasi come
Diogene, a passare le notti estive a dormire dentro a questi tubi. A sera
inoltrata arrivava e aveva il vezzo, camminando, di far scorrere verticalmente la
punta del suo bastone sulle serrande delle botteghe sotto il portico,
provocando un tipico rumore a ripetizione. Quando lo sentivamo, in famiglia si
diceva - Sèint mò che Meṡanòot al va a lèet! (Senti che
mezzanotte va a letto!) - ".
25
febbraio 2014 Paolo
Vandelli (Carpi): Quàand a ièera
cichìin e a stèeva ind la ca dla Taparlèina, pròopia in faacia al Dòom cun al só
bèel segrèe, a vdiiva spèss Meṡanòot còn la sò gamèela ch al dèeva da magnèer
ai clòmmb ch i l cgnusiiven bèin e ch i n gh iiven mìa paùura de stè umarèel; i
gh vulèeven tutt d atóorna pèr magnèer quèel ch al gh dèeva dla sò mnèestra.
Quando
ero piccolino e abitavo in Piazza nella casa della Taparlèina, proprio in faccia al Duomo con suo bel sagrato, vedevo
spesso Mezzanotte con la sua gamella che dava da mangiare ai colombi. Loro
conoscevano bene e si avvicinavano senza paura a questo omino; gli volavano
tutti attorno per mangiare quello che gli dava dalla sua minestra.
**
In questo quadro del 1965, il
pittore carpigiano Giorgio Pedrielli interpreta efficacemente il ritratto Meṡanòot - (proprietà di
Mario Brani - Carpi)
**
Fine anni ’60 - Meṡanòot
mentre dà da mangiare ai colombi nei giardinetti
dietro al teatro comunale – Foto di
Alcide Palmati
Il poeta, scrittore e
collezionista Alcide Palmati ha dedicato del 1970 questi versi a Meṡanòot, dopo
la sua scomparsa, ispirandosi anche alla foto che gli aveva scattati poco tempo
prima:
«MEZZANOTTE»
Nel mezzo d'ogni giornata
messa da Dio in sulla terra,
soleva qui venire a pascolare . . .
i suoi colombi, un tale da noi chiamato
«Mezzanotte» !
Da dove fosse sbucato un giorno,
che cosa avesse fatto nella giovinezza,
nessuno di noi lo aveva mai saputo.
Passava spesso per le vie
e sotto i portici del nostro paese,
cantando e fischiettando
vecchi motivi della lontana sua giovinezza.
E qui come a una festa,
col fiorellino in bocca o sul cappello,
briciole di pane nelle mani aperte al dono
che pure lui da altri aveva avuto in dono !
Ora non è più !
Addio «Mezzanotte»,
con la tua dipartita qualcosa è morto nel nostro
cuore !
**
Sempre Micin
con un’altra sua poesia su Meṡanòot
(la grafia è quella originale del
poeta)
UN TRAPASS
A l eter dè a s n andè
la faat fagot
cal tip che a Cherp
il ciameven Mezanot;
cal tip dal piss d argint
da tutt cgnussù.
S n andèe in surdèina
acsè, cum l era gnù;
cun lò a spariss l'ultma
bela figura.
Un ver amigh di fior
e dla natura.
Infati al gh iva al begh
che, brut o bel,
tutt l aan purtèva un fior
in dal capel.
S n è andèe, puvret,
in dla stagioun più chera:
al teimp dla fiuridura,
in primavera.
Per lò, partir seinsa
pser vedr i fior,
dev eser stè a na peina
un gran dulor ...
Se incoo stè vias te l fè
seinsa capel
e al naster tutt sguarì
dal fior più bel
in doo te vè adessa, di fior
ti n cat a miera!
E in mèes a di prèe
d'eterna primavera !
Perchè quel ch a sta lassù,
ch l a nota i tutt i trapass,
sta pur sicur ch a n
sbaglia mai al pass!
Micin
Pipi e il Bar Scacco Matto
di Fabrizio Pederzoli e Mauro D’Orazi
Foto di Alcide Boni
revisione a cura di Graziano Malagoli e Giliola
Pivetti
stesura iniziale 01-01-2013 v26 26-03-2014
Alla
fine degli anni ’70, Sergio Pederzoli era il titolare del Bar Scacco Matto (***) di Viale Guido Fassi che, con il Bar Stadio,
rimaneva aperto praticamente tutta notte (orario di chiusura dalle ore 1,00
alle ore 4,00 con le pulizie del locale nell’intervallo).
Il
Bar Scacco Matto doveva il suo nome a praticanti e maestri nel gioco degli
scacchi, ma era frequentato da molteplici categorie di persone: turnisti del
lavoro, cacciatori e pescatori che facevano colazione al mattino presto, medici
ed infermieri del vicino Ospedale di Carpi.
1976 Pipi (Fantini) in Piazza con l’inseparabile
pipa e il cappello da spasèin
(foto di Alcide Boni)
Tra
le tante persone negli orari più strani frequentava il bar un personaggio
caratteristico tale Alfredo Fantini, da tutti conosciuto come Pipi (o Pippi) Fantèin. Era facile incontrarlo tutti i giorni in piazza e
vicino al Comune, con la pipa in bocca (da cui il soprannome) con un consunto e
lurido berretto grigio, calcato in testa, “simil vigile”, ma che era poi un
dismesso da spazzino regalatogli da chissà quale burlone. Spesso si dilettava a
dirigere con ampi gesti delle braccia un traffico di veicoli che non esisteva
se non nella sua mente, con una grande passione per ... il buon e abbondante bere.
1980 Pippi dirige la Banda cittadina di Carpi
(foto di Alcide Boni)
All’evenienza
si dedicava con perizia a dirigere anche la banda cittadina in giro per le
strade della città. Aveva il viso paonazzo e la punta del naso ancor più
arrossata, segni più che evidenti di recenti e ripetute bevute.
1976 Pipi dirige il traffico in
Corso Cabassi cun al s-ciflèin da viggil
(foto di Alcide Boni)
**=M=**
Una
mattina all’alba entrò nel bar Scacco Matto col naso già particolarmente arrossato
ed esclamò:
"Ciao Sergio, daa m un bicéer d biàanch, mò èd cal bòun! (Dammi un bicchiere di
bianco, ma di quello buono!)"
Nei
bar del tempo era consuetudine mescere a singoli bicchieri vini e anche bibite
economiche gasate. In quest’ultimo caso si trattava dell’indimenticabile spuma, prodotta in improbabili gusti e
sgargianti colori anche a Carpi dalla ditta Casarini, Marri & Mazzucchelli
in Via Trento e Trieste.
Marche di spuma
La spuma è una bibita analcolica soft drink a base di acqua
gassata, zucchero, quantità variabili di caramello e aromi vari (tra cui, succo
di limone, infuso di scorze di arancia, rabarbaro, vaniglia, spezie varie); il
termine, generico, risale ai tempi in cui esistevano molti produttori locali di
bibite gassate, per cui il nome delle singole marche era meno importante di
adesso. Il termine è equivalente all'anglosassone "soda"..
La
spuma al cedro era forse la più richiesta, ma c’erano anche all’arancia, al
ginger, al chinotto e al limone. Ne esisteva poi una speciale bianca al
moscato: una vera ciofeca, mal colorata, che tentava disperatamente di
ricordare il vino dolce.
Sergio,
preoccupato di gestire la situazione che è sempre critica quando c’è la
presenza di un ubriaco in un locale pubblico, rispose a Pipi:
"A m è sóol rivèe ’na partiida èd
vèin biàanch. Adèesa a t al faagh sintìir, acsè te m dii pò cum al t sèmmbra. (Mi è appena arrivata una partita di vino bianco.
Adesso te la faccio sentire e poi mi dici come ti sembra)".
Pipi
prese il bicchiere, ne osservò il colore già poco convincente, ma il sapore lo
era ancor meno. Seppure ubriaco, dopo averne appena sorseggiato un poco, con
una smorfia si rivolse al gestore, piuttosto arghgnèe (imbronciato, disgustato):
"Sergio! Pèr pòoch te l aabi paghèe, i t àan
ciavèe! (Per poco che tu l’abbia pagato ti hanno fregato!)"
1982 Alfredo Fantini detto
Pipi in un ritratto di Matteotti Franco, detto Correggio
**
(***) Pietro Arcolin ricorda bene il bar Scacco Matto,
avendolo frequentato fin dagli anni iniziali con la famiglia Bulgarelli, i
vecchi Adelmo e Elisa, il figlio Francesco che diede il nome al bar. Era il
1964 e tennero l'esercizio fino al ‘72; poi passò alla famiglia di Sergio
Pederzoli. Lì si sono formati i gruppi di scacchisti di Carpi: il dott.
Pollastri, Pedrielli, Massari, Marco Giovanardi, Pietro Arcolin, Amadei,
Guaitoli. Parteciparono a molti tornei e vincendo a Reggio Emilia un torneo
nazionale a squadre per non classificati. L'apertura mattutina delle 4 portava
a incontri "meravigliosi" di personaggi di tutti i tipi più strani e
particolari. Pederzoli istituì anche ogni anno una gara podistica per gli
avventori,con mangiata finale.
**
Alcide Boni (autore delle foto) ricorda che Alfredo
Fantini era detto Pippi. Negli anni '70, frequentava tutti i bar del centro,
avendo un'autonomia breve, a causa dell'alto consumo al chilometraggio. Una
mattina andò al Caffè Teatro, al banco c'era il papà di Vittorio Garzon,
Danilo, un uomo piuttosto rustico e dai modi decisi. Gli chiese col suo idioma
di origine veneta:" Cossa ti vòl,
Pippi? (Cosa vuoi ?)” E lui: "Daa
m un cafè corèet graapa!" (Dammi un caffè corretto con grappa!)” Ma
Danilo, constatando il suo stato etilico più che evidente, gli rispose che non
glielo avrebbe servito corretto, ma solo normale.
"Fa
gniint! Dà chè listèss! (Fa niente! Da qui lo stesso)" Allora Danilo
gli preparò il caffè; Pippi mise una mano nella tasca del suo sudicio e
sdrucito cappotto e tirò fuori una bottiglietta di grappa semi piena e poi
borbottò:"Bèe! S te n m la dèe mìa
tè ... la coresiòun, a gh la mètt mè! (Se non me la dai, la correzione ce
la metto io !)” Così corresse abbondantemente il caffè e se lo bevve soddisfatto
e tranquillo.
1974 - Danilo Garzon
serve un Martini a un allegro avventore del Caffè Teatro
“No Martini! No party!”
(foto di Alcide Boni)
**M**
L’aneddoto di Pipi al Bar Scacco Matto ricorda molto quello
di Guaitlòun.
Difficile dimenticare la figura di Erio
Guaitoli, tipografo e gran brava persona. Negli anni ’70 lo si riconosceva facilmente
dai capelli bianchi e dall’eterno purillo blu scuro che indossava. Gli piaceva
raccontare di essere stato allievo della scuola professionale di don Benatti
(sottolineando e calcando: cal bòun
… però!! - per distinguerlo da altri omonimi), un ottimo
sacerdote che operò a Carpi in aiuto dei ragazzi nei primi del ‘900, facendo in
modo che imparassero una professione artigianale, che li avrebbe tolti dall’indigenza
nella vita adulta senza arte, né parte.
Don Benatti cal bòun
Erio narrava con allegra e divertita
rassegnazione alcune vicende capitate al padre Guaitlòun, dovute
alla allora molto nota debolezza del genitore nell’eccedere col lambrusco.
Prima della guerra si tenevano sempre al già
citato teatrino LUX le rappresentazioni di una commedia a cura del Circolo di
Filodrammatica di Carpi. Quella sera il teatro l éera piìin a martlètt, senza un posto libero. La
scena si ambientava in un osteria; naturalmente tutto era finto, compreso il
vino che era una brodaglia chimica di color rosso. Erio era un valente attore
dilettante e faceva la parte dell’oste. A un certo punto arrivò dentro al
teatro, nella semioscurità della sala, un omone in tabarro traballante, che
cercava invano da sedere. Era suo padre Guaitlòun … già in ciarèina (ubriaco). Vide sulla scena
un tavolo e qualche sedia libera. Con andatura molto incerta, fra le risate del
pubblico, piano piano raggiunse il palcoscenico, scalando con fatica i gradini
che lo separavano dalla platea. Finché, fra il divertimento generale, esclamò
fra lo stupito e il soddisfatto: “Mò vè! Mò vè … ch i àan avèert ’n’usterìa nóova!” (Ma
guarda che hanno aperto una nuova osteria). Al tòoṡ ’na scraana, al dà un cóolp cun la maan al tabàar e al s mètt a
séeder. (Prende una sedia, da un colpo con la mano al tabarro per
assestarlo e si siede, senza riconoscere il figlio truccato). “Óoo ! Ṡuvnòot purtèe m mò da bèvver!”
(Giovanotto! ordunque portate da bere!). Il figlio, imbarazzatissimo, pensò di
assecondarlo, sperando che poi se ne andasse via, ma non trovò niente di meglio
che versare l’intruglio di scena. Il vecchio prese il bicchiere e cominciò a
bere lentamente, ma dopo pochi istanti sputò fuori schifato il liquido e poi
diretto all’oste lo ammonì: “Óoo al
mè umarèel, stèe mò atèinti che cun cla ròoba chè … cum a ii avèert a … srèe!!!”
(Caro il mio omarello, state attento che a servire questa schifezza, come avete
fatto presto ad aprire questo nuovo locale, altrettanto velocemente dovrete
chiudere). Naturalmente venne giù il teatro.
Sempre Guaitlòun nel ’44 era uno
dei pochi che non rispettava il coprifuoco imposto dagli occupanti; tuttavia i
tedeschi, incontrando questo uomo barcollante e pensando certamente ai loro usi
e costumi beverecci, erano molto tolleranti. Una sera lo incontrano sotto al
portico di piazza e il nostro fece loro: “Spetèe mò ch a v caant ’na romaanṡa!” (Aspettate che vi canto
una romanza) e quelli divertiti “ Ja! Ja!”
Con ritmo cadenzato e voce baritonale … allora
attaccò:
“♫ Ooh rondinella pellegrina / che vai ballando
sera e mattina / chi maagna al pèerṡegh / al chèega la rumèela! ♫ ” (Chi mangia
la pesca/ deve poi cagare la romella!). Ubriaco sì, ma non tanto da non far
loro un auguraccio simbolico e in prospettiva molto doloroso.
Quando Erio si sposò, pèr diir la bulètta ch a
gh éera, per dire quanti pochi soldi c’erano allora, partì in viaggio
nozze in bicicletta con la moglie sulla canna. Meta: al Vrée (Rovereto di Novi), dove il prete del luogo li avrebbe
ospitati. Giunti a destinazione, era il giorno della festa del paese e c’era
moltissima gente. A un certo punto Erio notò un fitto assembramento con gente
che sghignazzava: al centro del nutrito rughlètt (gruppo di persone) era suo padre Guaitlòun
che ubriaco fradicio teneva un irresistibile concione alla folla …
Prima stesura 11-11-2013 V 19 del 26-03-2014
Galileo da
Sant’Antonio Sozzigalli …
Scope per
tutti!
L’ultimo
venditore ambulante di scope
a cura di Mauro
D’Orazi
collaborazione al testo di Graziano
Malagoli e Anna Maria Loschi
Galileo
(detto anche Leo) Bruschi era nato
a San Possidonio, ma viveva a Sant’Antonio Sozzigalli …
Volava anche a Carpi sotto i portici con la sua bici
attrezzata e il carriolino; pedalava con slancio alzandosi sui pedali, spesso
con la testa girata all’indietro per rispondere, da par suo, alle battute dei
miei concittadini, poco propensi ad accettare gli “strambi”.
Pedalava e urlava in dialetto e in italiano con la
sua voce forte e potente per offrire le sue mercanzie ormai fuori dal tempo granèedi,
malgarèini, spastòun, in particolare le scope e gli spazzoloni, con grevi,
quanto efficaci battute a doppio senso … appunto sullo “scopare”.
Tutti prodotti marginali che in una Carpi del
superboom, dei pidocchi rifatti, delle 1.001 Mercedes e dei tanti supermercati non
avevano più alcun senso; ma lui c'era lo stesso con la sua bici con i cassoni dietro,
stracarichi di cose che prendeva presso l’incredibile bottega del “Qui c’è tutto!”…
ma proprio tutto: la leggendaria Righètt èd Limmid.
Se non ricordo male penso di averlo visto in
attività fino alla prima metà degli anni ’80 (morì nel 1992). Più che vendere
amava scambiare. Se prendevi una scopa, te ne offriva subito una seconda: “Tóo
aanch quèssta! Prendi anche questa!”.
Come facevi a dirgli di no, anche se non ne avevi
bisogno?
C'era sempre qualcuno che lo prendeva in giro, lo
provocava bonariamente, ma lui aveva la risposta prontissima e alla fine … al
fèeva su giurnèeda.
Si alzava ancora una volta in piedi sui pedali, uno
scatto e via verso un’esistenza forse grama, ma libera.
**
Ecco, su questo singolare personaggio, una
magistrale nota di Guido Malagoli, originario di Modena, ma insegnante
elementare a Soliera (dove risiede) per tantissimi anni:
“Caro Dorry, voglio darti una foto che un fotografo
di Soliera, Giuliano Teritti, ha
regalato a me, dopo che avevo scritto quattro righe su un personaggio
"speciale" che abitava a Sant Antòoni Susigàal: Galileo,
l'uomo delle scope e dell'ombrello, l'uomo che domandava a tutte le donne se
volevano sposarlo e che si accontentava di qualcosa da mangiare, una camicia,
due guanti ... un regalo qualsiasi e se comperavi una scopa … ti rilasciava una
ricevuta scritta su una paginetta di quaderno.”
“Galileo
Anni ’70 Galileo e la sua aziendina in bici - foto
di Giuliano Teritti
Se Fellini lo avesse conosciuto, lo
avrebbe certamente scritturato come comparsa ne "La strada" insieme a Giulietta Masina. Se De Sica lo avesse
conosciuto, lo avremmo visto volare in cielo, verso il Duomo, insieme ai tanti
barboni del "Miracolo a Milano".
Io lo ricordo così. Esile ed affilato nel
volto, mani grandi, occhi pungenti e indagatori in uno sguardo dolce. Grandi
guanti sfilacciati, il berrettone di lana, un po' sciarpa e un po'
passamontagna, le maniche lunghe fino alle dita o corte al polso. E la sua
bicicletta. Chiamarla bicicletta è riduttivo. Era la sua casa, l'ufficio, il
laboratorio, esposizione e vetrina, banco di vendita.
Un mazzo di scope, spazzoloni e piumini,
ben legati da solida fune, sporgevano verso l'alto da ampi tasconi laterali di
legno appesi alla bicicletta o al carriolino con tanto di targa e insegna dipinta
a mano, che aveva adottato negli ultimi anni. In caso di pioggia o di sole
cocente, apriva il grande ombrello nero che restava diritto ed irremovibile per
l'accorta e calibrata tensione di alcune cordicelle collocate nei punti giusti.
Le antenne paraboliche e rotanti dei Voyagers
spaziali sono poca e semplice cosa al confronto. Uomo Galileo, venditore
ambulante. Che gran nome ti hanno dato! Lui era "importante!".
"Questa è dura, questa va bene. Prendi questa che è giusta. Prendine
due."
Conoscitore di scope e di uomini. Meno di
donne. Ne cercava una per fare la sua compagna: "Aanch vèddva!".
Quando gli volevi dare più soldi, si scherniva, insisteva per darti il resto e
se non lo aveva, ti scarabocchiava una ricevuta. Ricordo i suoi biglietti -
ricevuta arabescati con un tremolante pennarello rosso: anticipatore
coscienzioso della riforma tributaria "Visentini", l'odierna
petulante ricevuta fiscale.
La sua vita è stata lezione per noi,
uomini del suo tempo che ci affanniamo a costruire "eventi" particolari,
a far carriera, a competere con gli altri e non facciamo che disordinare la
nostra vita opulenta. Per lui esisteva il mondo e le sue leggi eterne e
cosmiche come il levarsi del sole e il tramonto. Anche il lavoro che aveva
scelto, gli assomigliava stupendamente: era amico di se stesso e in sintonia
con gli altri.
Ti ricordo spesso, amico Galileo,
galantuomo. Tu e tutti gli altri "Ligabue" di queste nostre contrade
avete capito la magia delle cose, silenziosi sognatori. Non avete sofferto
l'inferiorità, le nevrosi, il fallimento, ma avete costruito ogni giorno di più
la trama della vostra vita interiore. Se San Pietro avrà bisogno di spazzoloni,
scope e piumini, sa a chi rivolgersi.
Guido
Malagoli”
**
Primo
Saltini (Limidi e Carpi) ricorda:
"Era di Sant’Antonio (Sozzigalli); veniva anche a Carpi a fare
rifornimento per poi rivendere il suo materiale a Sozzigalli e andava anche ind al
ca a vènnder al sóo malgarèini e simili; al fèeva al porta a porta
come si direbbe adesso! Passava sempre davanti a casa mia negli anni dal 1956
al ‘61 nelle ore più impensate con il suo carico sulla bici e tante volte
trainando il carriolino ricolmo di tutto quel che aveva da rivendere. Era una
persona cordialissima e di solito sorridente, anche se dava da intendere che
avesse sempre la testa tra le nuvole. Cosa che non era sempre vera. Non si
arrabbiava mai, anche alle frasi un po' “pese” che tutti noi ragazzini al suo
passaggio gli lanciavamo per canzonarlo. Lo ricordo con affetto, così come
nella foto, con la berretta di lana piantata in testa."
Siriano
Masetti (Carpi) ricorda: "Aveva
un modo tutto suo di come propagandare i suoi prodotti: scope, ecc ...; poi,
altro reparto: saponi, ecc ...; poi, altro reparto. L'ho sentito anche una
volta dire col parroco di Sozzigalli, Don Erio Eleuterio Gazzetti, che gli
sarebbe voluta anche una moglie. Voleva forse che mettesse qualche buona
parola. Abitava a Sozzigalli ed era assistito dal Comune di Soliera, che lo
aiutava anche per l’approvvigionamento delle famose scope.
Francesco (Gheri) Abruscato (Carpi) è stato in contatto con Leo: ”Eravamo fra
il 1982 e ’83, fui assunto provvisoriamente ai Servizi Sociali del Comune di
Soliera e uno dei miei assistiti era proprio Galileo. Un tipo davvero originale
… quasi un “Ligabue”, per fare un paragone calzante.
Quando
vendeva la sua roba si presentava così:
- Siori e siore, BUONGIORNO! Sono
Galileo e canterò per voi! –
Poi
si metteva a cantare una sua speciale e sincopata versione di Bella Ciao,
ripetendo ossessivamente alcune parole del testo e facendo poi un saltino come
per sbloccare un disco incantato.
Oltre
alla sua nota attività di venditore di scope, si dedicava, a Carpi e a Soliera,
anche a ungere le serrande negozi per agevolarne lo scorrimento. L’operazione
veniva svolta alla buona e dietro piccolo compenso o offerta di generi vari.
**
Maura Stradi (Soliera) si ricorda che nel sua cittadina c'era,
nel dopoguerra, un venditore di castagnaccio, di pasquèina e di mistòochi
(o mistuchiini)
che andava in campagna a vendere la sua merce calda ai contadini e aveva
attrezzato la bici per la bisogna; purtroppo non abbiamo delle foto. Era
soprannominato al ṡio (lo zio) .
Aveva
una robusta bicicletta con due panieri di vimini di forma ovale col manico (duu
còoregh) uno davanti e uno dietro, ovviamente su due portapacchi, dove
teneva le sue specialità: gnocco di castagne, pasquina, zucca cotta al forno e
patate dolci americane. Al gnòoch, alto 5 centimetri, era
tagliato in profumati blocchetti cubici, delizia dei bambini più fortunati che
lo comperavano prima di andare a scuola. Ricopriva i cesti con un panno nero,
tipo militare (non si conosce il coefficiente di pulizia). Era un tipo magro,
gioviale, giostrava il mestiere con allegria, amico dei bambini. Chi lo ricorda
dice che nel dopoguerra poteva avere una sessantina d'anni. Qualcuno mi ha
riferito che aveva anche un piccolo commercio di scarpe usate, legate alla
bicicletta, che raccoglieva nelle case e portava in giro per eventuali
acquirenti.
**
Altri
personaggi solieresi e località limitrofe, dediti al commercio ciclistico erano
al
Gaalo, specialista in granatine, e Ciapanuvvel, per prodotti di
merceria.
***
Il più antico personaggio di cui abbiamo una foto: Cacàan
1975 ca – Bici del custode NON autorizzato – Piazza
di Carpi – portico del vescovado. Si tratta di
1985 - nella foto di Acide Boni vediamo Barile (il
primo ragazzo di Don Zeno Saltini), spazzino comunale, al lavoro in Piazza a
Carpi.
Sempre Barile
negli anni ’20 insèmm a la Clementòuna cun la pippa in bòcca
Al
cariulèin da ròobi vèeci o da
strasèer
di solito trainato da una bicicletta.
In
questa foto degli anni'70 nel giardino di S. Nicolò Silvio Cavazzuti, detto Ciocolatèin,
che faceva il calzolaio in via Sbrillanci. Nei momenti liberi faceva anche il
robivecchi.
Rivestiva
anche l'importante incarico di “segretario” di Orcede Bellotti che faceva lo
scrivano all'anagrafe del Comune in centro e anche alla Poste, quando erano nel
cortile del castello … naturalmente.
L'inverno
lo passava all'ospedale e Ciocolatèin gli portava la roba da
cambiarsi e altre cose. Orcede, il cui vero nome era Rodolfo Po, aveva un modo
tutto suo di presentarsi, faceva una piroetta e diceva circa così: "Eccomi
sono Orcede Bellotti! A n suun né bèel, né brutt a sunn Blòot!”
Era un vero personaggio e su di lui si conoscono decine di aneddoti e battute.
**
L’attuale
società è impostata sull’usa e getta, sullo spreco; si tende a dare poca
importanza alle cose, al loro riuso o conservazione.
Un
criterio di spreco che assolutamente non esisteva fino agli anni ’60, quelli
precedenti al nostro cosiddetto boom economico, dove nulla veniva buttato via e
quando una cosa era proprio inutilizzabile veniva presa da una strana e
pittoresca categoria di persone: i robivèeci. Personaggi molto
particolari che diventavo presto molto noti sia in città che in campagna.
Si
raccoglieva di tutto: i metalli in primis, ma anche vetro, lana da materassi,
capelli di donne in trecce tagliate, mobili vecchi, ecc …
Costoro
giravano, come si vede in varie foto di questa ricerca, per le strade cun
uun barusèin (carriolino) spesso trainato da una bicicletta; andavano
sia a
la séerca (alla cerca), che su precisa chiamata. Spesso segnalavano la
loro presenza con urla o frasi con brevi e geniali cantilene, che li ponevano
subito all’attenzione delle persone. Venivano anche incaricati di leggeri o
piccoli trasporti, in alternativa ai birocciai che invece curavano i carichi
pesanti.
Con
l’avanzare del progresso qualcuno arrivò anche a motorizzarsi con idonei
motocarri a pianale marca Alpino o successivamente Ape Piaggio. Molto spesso
con cane senza guinzaglio, li seguiva docilmente e senza creare guai.
I
robivèeci hanno avuto anche
loro una specifica evoluzione e finale scomparsa; hanno girato per Carpi fino
agli anni ’80, dedicandosi negli ultimi tempi alla raccolta dei numerosi
cartoni che venivano lasciati di fianco ai cassonetti. Erano gli scatoloni di scarto
dei tantissimi laboratori di maglieria, confezioni e terzisti in genere.
A
un certo punto, però, quasi improvvisamente, con la dipartita fisica degli
ultimi rappresenti di questa singolare categoria, queste figure sono
completamente sparite.
In
una società a misura umana, i robivèeci e i strasèer svolgevano
tante piccole attività di raccolta e supporto, dalla quale traevano un
sostentamento non proprio sostanzioso, ma che permetteva loro di vivere una
povertà dignitosa e non di rado di consentire ai figli un’istruzione che poi
avrebbe consentito loro un’esistenza diversa.
Il
materiale ferroso e i metalli pregiati: rame, ottone, ecc … venivano rivenduti
a peso alla Ditta Brani, che aveva la sede con un ampio spiazzo di deposito in
Via Manzoni, in precedenza in via Andrea Costa.
Fine anni ’60 - Piccinini il Piazzetta con
carrettino e cartoni
1974 Piccinini in via XX Settembre
Primo Saltini (Carpi) ricorda un detto carpigiani: “è più
vèec’ Picciniini o la sò camiiṡa! è più vecchio Piccinini o la sua
camicia che indossava da tempo immemorabile, rigorosamente senza lavarla.
Luisa Pelliciari (Carpi) ricorda che Piccinini era detto Piccio; rovistava tra i rifiuti del
cassonetto del mercato e quando suo padre, Plicio, tornava dall'ufficio, gli
chiedeva la Repubblica per leggere le quotazioni di Borsa. Gli interessava
tutto quello che riguardava l'Economia.
Gianni Ferrari (Carpi) racconta: Piccinini al gh iiva 104 aan quàand l è mòort, al dgiiva agl'inferméeri della
casa protetta ch al gh iiva di anticorpi cóome di caar armèe tedèssch.
Luigi Burani (Carpi): Ho conosciuto Piccinini ... mi portava il cartone
in via Nuova levante; sotto il piano del suo carriolino c’era sempre una
bottiglia di vino pronto per i momenti di sete.
Tiziano Pace Depietri (Carpi)
ricorda che si andava a lavare nel canale in via Ugo da Carpi; si dice che dopo
la sua morte siano stato trovati parecchi soldi.
Daniele Bussetti ha bene in mente che da piccoli eravamo i diretti
competitor di Piccinini e dei suoi colleghi; la sua banda di ragazzi, che aveva
la base nella vecchia falegnameria in fondo a via Bixio, si accaparrava i cartoni
per prima.
**
Io
ricordo di averne incontrati parecchi di questi strani individui; la loro
presenza era costante nelle nostre strade. Mi viene in mente ad esempio un
omino, piccolo piccolo che si chiamava Ognibene e che era soprannominato Rangìin,
cioè che si arrangiava, forse perché propenso a dedicarsi anche a raccolte non
proprio autorizzate di beni altrui.
Lo
scrittore Carlo Alberto Parmeggiani
racconta che il termine rangìin o rangingìin passò per
antonomasia nel linguaggio infantile e adolescenziale col detto "T ii
pròopia un rangingìin colòmmbo! Te graàat e te scaap vìa cóome un clòmmb!
(Gratti e scappi via come un colombo)”, inteso come epiteto ammollato a persona
lesta nel minuto e amicale freghereccio, sempre in voga nel nostro Principato.
A
margine ci piace ricordare che rangigìin è pure un termine
dialettale che indica il piccolo esile ragnetto che sciabatta lungo le pareti
della casa, indice peraltro di sanità dei muri, già che se altrimenti fosse,
con l'umidità la ragnatela, che il rangigìin si perita di fare,
sarebbe in proporzione pesante come un tendone del Circo Medrano.
C’era
poi Radamèeṡ,
forse il più noto; aveva il viso rotondo con un naso importante, pochi capelli
e cappello di paglia (al paiarìss), di statura medio alta
e con un po’ di pancia.
Arrivava
col suo carriolino, gridando i suoi famosissimi i suoi gli annunci
pubblicitario vocali, a grossolana rima baciata, urlati e cantilenati lungo le
contrade per avvertire del suo imminente passaggio:
“Dònni!
Dònni! A gh è al straseèr!! Gh ii v di cavìi, di òos, dal fèer, dal pèesi da marchéeṡ, dal véeder? Mè a tòogh su tutt …
dònniiiiii!!?? (Donne! Donne! C’è il robivecchi! Avete dei
capelli - trecce tagliate -, delle ossa o del ferro, degli assorbenti usati,
del vetro?? Io prendo su tutto .. donneeee !!)”.
Curioso
notare come anche a Modena usassero una frase del tutto simile: “Straz, oss e cavì, beli dann s a gh n avì!”
Radamèeṡ mandava un messaggio semplicemente stupendo ed
efficace; così tanto che, nonostante il tempo passato, esso è ancora ben
presente nella memoria di molti concittadini.
Chissà
quanti di questi bizzarri personaggi hanno attraversato le strade di Carpi?
Gente certamente non comune, che vissero esistenze di sofferenza e di fatica,
ma anche di grande libertà, senza padroni, senza orari, gioendo alla fine della
giornata di una semplice bottiglia di vino in qualche osteria o bar.
Ettore Pinazzi (Carpi) ricorda che il calzolaio in centro Biondi
prendeva in giro Radamèeṡ e gli diceva: "T ìì pròopria un tibidàabi!".
Parola inconsueta anche per il dialetto che significava... ciocapiàat.
**
In
queste foto degli anni ’70 di Alcide Boni, vediamo la biici dal vendidóor èd
rumlèini; si tratta Ercolino Palmieri detto appunto Rumlèina
o Rommel con riferimento al noto generale tedesco. In piazza, al cinema, allo
stadio al vindiiva i sóo scartusèin (vendeva i suoi cartoccini) fatti
a cono con carta di giornale riempiti con i semi di zucca salati.
**
1960
- Ecco la foto del deposito di Mario Galli detto Mariòun - robivecchi
detto anche Baabo Bèelo e Nèeṡ (e)schiss, o anche solo Schiss, per lo strano naso che
appariva schiacciato, monco, quasi che glielo avessero mangiato.
Al
gh iiva la sua aziendina, come
si vede nella foto, in via Catellani, angolo viale dei Cipressi, èd
frount a l ingrèes secondaari dal scóoli e dal curtìil di frèe èd San Nicolò
– di fronte all’ingresso secondario delle scuole medio A. Pio, dove adesso lì è
stata costruita una casa moderna.
Precedentemente
a questa collocazione, svolgeva la sua attività in via Nova, in un locale confinante
con l’osteria di Cimbro Saetti.
L
andèeva in giir cun al sò cariulòun, al carghèeva de tutt! Era sempre in giro col suo carriolone a pedali a
trasportare cose di ogni genere.
Al
pariiva uno scheletro con su di
straas, sembrava uno scheletro con addosso degli stracci; era
macilento, ma aveva due braccia cun la dòppia nervaduura; nella sua
vita non deve aver goduto gran ché .
Mi
ricordo che nel 1961 venne a casa nostra in via Galvani 18 per caricare la
cucina economica, ormai inutile dopo la messa in opera del termosifone; mi
impressionò sia per la strana faccia e l’esile corporatura, ma anche per la
forza delle sue braccia. Da solo caricò la non leggera stufa sul carriolone; ho
crudelmente davanti agli occhi, come fosse adesso, la sua espressione sbuffante
di dolore, il suo corpo come scricchiolare, gli occhi strabuzzare, quasi a
voler uscire dalle orbite … mentre con grande sforzo effettuava questa
operazione.
**
Il
mestiere di stracciaio anche nella ricca Carpi è durato parecchio; con la sua
bici e il suo carriolino prendeva su di tutto: stracci, ossa, capelli e in
cambio poteva dare sapone, soda, pettini e aghi, occorrenti per le massaie.
Le
giovani per racimolare un po’ di soldi tagliavano i lunghi capelli per venderli
a quell’uomo che le consolava, dicendo loro: “Dàai che in pòoch tèimp i tóornen
a crèsser! (Coraggio che i poco tempo tornano a ricrescere!)”
Trecce tagliate
Gianni Manfredini (Carpi) racconta che Mario Galli, durante la visita
del Duce a Carpi nell’estate del 1941, fu mandato a controllare la linea
ferroviaria per evitare eventuali sabotaggi. Durante tale servizio, essendo
posizionato vicino ad una vigna per tutto il giorno, mangiò molta uva; al
rientro sulla corriera era seduto sopra … sull'imperiale. Ma all'improvviso lo
colsero grandi dolori di pancia: gli scappava e fu costretto a farla dove si
trovava ... il tutto cominciò a colare dall'alto verso il basso, sopra i
finestrini della corriera.
Anni ’70 questa donnina spinge a fatica il suo
carriolino alla fine del mercato del giovedì in piazza a Carpi; abitava in Cantaraana
e aveva una sorella che la aiutava; per Santa Lucia mettevano sempre il loro
banchetto mobile con tanti giochi con sotto il portico di Corso Fanti.
1975 ca Carpi - Al cariulèin èd Miimo. Foto di
Alcide Boni
Il
mezzo era adatto al trasporto di cose vecchie e carichi vari
Anni
'70 N H Fermo Grillenzoni detto Mimo o anche Sigòlla; era aiutante del
prete del cimitero di Carpi (sullo sfondo delle immagini), prima don Sala e poi
don Berni; era solito inveire con "Ch a t vèggna ... !! " quando
veniva preso in giro gridandogli ... Sigòlla, con riferimento a un
arlóoi buugh (un orologio farlocco) che gli era stato rifilato in un
lontano passato.
Anni ’70 - Mimo assistente di don Sala
**
Ecco come lo ricorda Voce
di Carpi
con il contributo di Franco
Bizzoccoli
VOCE del 30 giugno 2011
L'addio a "Mimo" ultimo personaggio della Carpi dialettale
- Grillenzoni aveva 84 anni
Carpi - Si sono svolte sabato 25 le esequie di Fermo Grillenzoni,
nobiluomo discendente di uno dei casati più antichi della città, scomparso a 84
anni. Alla famiglia Grillenzoni, citata nel catasto urbano del 1472 e i cui
esponenti hanno ricoperto anche cariche pubbliche, è intitolato un settore
dell'Archivio storico comunale dove sono conservati documenti relativi
all'amministrazione dei beni, carteggi e stampe dal 1311 alla seconda metà
dell'Ottocento. Lui, Fermo Grillenzoni, era figlio di Luigi, titolare di una
bottega da fabbro dietro la Cattedrale, dove sorge ora la Bottiglieria e nella
quale lavorava con gli altri due figli, Pietro e Romano, tutti raccolti in un
soprannome familiare - i Giubèin - di
cui si ignorano le origini.
Il solo che, per le sue condizioni di salute, non lavorò mai nella
bottega da fabbro fu proprio Fermo. La prossimità della bottega paterna ne fece
un frequentatore assiduo del Duomo e un beniamino del vescovo Virgilio Federico
Dalla Zuanna, prima di diventare quella figura di chierichetto portatore di
croce, immancabile complemento alle esequie affidate a don Dante Sala. Proprio
in quella veste la sua immagine resta scolpita nel ricordo di generazioni di
Carpigiani, consapevoli che con la scomparsa di Fermo Grillenzoni, per tutti
Mimo, se ne va l'ultimo dei personaggi tipici espressi dalla città.
***
"È morto il mio amico Mimo" ricorda
Franco Bizzoccoli non senza un velo di commozione nella voce e nello sguardo,
mentre evoca il compagno degli anni dell'adolescenza e l'abituale frequentatore
di casa sua, dove per anni, alle 7 del mattino, si è recato a informarsi su che
cosa ci fosse per pranzo, annunciando la propria preferenza per cappelletti in
brodo, pollo e salsina di contorno, oltre al bensòun e un bicéer èd vèin. Gli
anni del ricordo sono quelli precedenti lo scoppio della guerra, quando
l'estate radunava davanti al Duomo torme di ragazzi di quello che non era
ancora il centro storico, perché non c'era la periferia e Carpi era tutta lì. A
suo modo, Mimo l'aveva ben chiaro questo tratto urbanistico, se è vero che
ancora anni dopo, davanti ai componenti del gruppo di artisti, intellettuali e
mormoratori che tutti chiamavano "Cremlino", li salutava uno a uno
con un deferente "Adìo, sgnóor Bisi. Adìo sgnóor Plicio",
finché non arrivava a quello cui negava il saluto "... perché
te t ii dla Cagnóola, te nn ii mìa èd Chèerp!"
(perché sei della Cagnola - via Sergio Manicardi, non sei di Carpi!) con
riferimento alla via Sergio Manicardi, unica contrada fuori del perimetro un
tempo occupato dalle mura cittadine.
Tornando a quelle estati dell'anteguerra, dal Duomo i ragazzi si
avviavano verso porta Barriera e poi alla ferrovia e, imboccato lo stradello
Corbolani, raggiungevano la Lama, il lido della Carpi del tempo e di tanti anni
successivi. Lungo quell'itinerario, in corso Cabassi li spaventava l'abbaiare
di Turco, il cane della famiglia Cortesi che solo con Mimo si ammansiva.
Sì, perché Mimo aveva addosso quella diversità psichica che gli
conferiva una strana capacità di comunicare, pur nelle sue difficoltà
espressive. Era la stessa caratteristica che lo faceva ben volere dalla cerchia
degli amici, ferocemente determinati a proteggerlo da tutti gli intrusi che di
quel ragazzo un po' strano avessero voluto farsi gioco. Solo a loro, insomma, e
a nessun altro, era permesso combinargli qualche scherzo, perché sapevano anche
volergli bene.
Quello, fra gli scherzi, che ha fissato per sempre il personaggio
di Mimo, è la storia della cipolla.
Accadde la volta che il padre gli regalò l'oggetto dei suoi
desideri, atteso per anni: un orologio da polso. Prese a mostrarlo agli amici
con orgoglio, fino a che uno di loro, che i ricordi di Bizzoccoli identificano
in Nereo Gibertoni detto Bagiòot, gli buttò lì un beffardo
"... m l è ’na sigòlla" (ma è una cipolla, appunto, sinonimo di
orologio di poco valore).
Fu come se gli avessero demolito un sogno. Andò su tutte le furie,
prorompendo in urla e invettive irriferibili e per anni diventerà un gioco
collettivo e un po' crudele gridargli dietro "Miimo, sigòlla!",
sapendo che quella sola parola bastava a mandarlo in escandescenze. Quando poi
lo si vedeva aprire con don Sala i cortei funebri in abito da chierichetto e
con la croce, il gioco acquistava connotati ancora più perfidi, perché
sussurrargli Sigòlla in quei momenti significava infrangere in un colpo solo
la composta solennità delle esequie e provocare una inarrestabile sequela di
imprecazioni che lambivano anche il Cielo. Per non dire delle reazioni fisiche,
come quella volta che, per punire il malevolo sussurratore della parola
maledetta, lo inseguì con il crocefisso brandito come un randello.
Con Don Sala infatti faceva liti furibonde, anche durante i
funerali e mentre faceva finta di dire le preghiere giurava degli accidenti al
prete.
Fino agli ultimi anni ha mantenuto la caratteristica di prorompere
all'improvviso in uno sbraitare quasi tenorile che durava per interi tratti di
via Berengario o corso Fanti mentre vi transitava in bicicletta o a piedi. Vi
si avvertiva qualche cosa di diverso dalla semplice reazione a una provocazione
stupida: era come l'urlo disperato e inoffensivo di un uomo buono, diverso e
indifeso che ora non c'è più.
**
Vanni
al
spasèin tutte le mattine presto tiene pulito con alto senso del dovere
e cura amorevole Corso Alberto Pio e dintorni. Parla spesso ad alta voce … da
solo; ma parla a se stesso, come mi ha gentilmente comunicato,
rispondendo a una mia domanda diretta (Mò cun chi ciacàar èt, Vanni?)
Forse
dovremmo farlo più spesso anche noi …
Prima stesura 22-04-2012 V28 del 20-06-2014
La Mariina Trintèina
di Mauro D’Orazi
gentile revisione di Giliola Pivetti e
Graziano Malagoli
Eccola … la famosa MARINA in una rara foto del 1963
di Alcide Palmati, all’inizio di via De Amicis a Carpi. La Marina rientrava a casa
spingendo il suo carrettino di mercanzia varia verso Cuntrèeda Teranóova, o
L’Uultma (Via Giordano Bruno) indù la stèeva d ca
La Mariina Trintèina (Trentini di cognome) rappresenta un ricordo
indelebile nella mia memoria; la vedo ancora spingere il suo carro sotto il
portico di Corso Fanti, inveendo pesantemente contro chi la prendeva in giro.
Vale la pena di ricordala con la testimonianza di alcuni carpigiani, proprio
perché ha rappresentato quasi un’icona della nostra città. E come spesso
ipocritamente accade per questi personaggi scomodi, che si detestavano,
ridicolizzavano, sbeffeggiavano, quando erano in vita, si arriva poi a
ricordarli quasi con affetto tanti anni dopo la loro morte. Un processo mentale
auto assolvente, più che altro rivolto a una nostalgica rievocazione di se
stessi e non al “disgraziato” di turno, che apparteneva a una categoria dalla
quale si era ben contenti di essere lontani.
In
noi ragazzini degli anni ’50 e ’60, la sua inquietante figura è rimasta
fortemente impressa nei nostri lontani ricordi: alta, secca, sempre vestita di
nero con il fazzoletto dello stesso colore in testa.
Ci
faceva molta paura a vederla e le stavamo a debita distanza; non di rado
prendeva delle balle orbe e tirava delle sequele ben articolate di briscole,
soprattutto contro i monelli cattivi che, con tutta la pungente crudeltà tipica
nella loro natura, le facevano degli scherzi feroci o la offendevano. Da
giovani spesso si è inutilmente crudeli. Una volta alcuni ragazzi le tolsero il
fermo di una ruota del carretto, con l’esito disastroso che possiamo ben
immaginare. Al barusèin a cavàal a su, tutti al malgarèini pèr tèera e di siigh e
dal madònni ch a s-ciflèeva l’aaria.
Marina abitava in contrada Terranova (L’Uultma
– Via Giordano Bruno), altro luogo di profonda carpigianità; stava subito
dopo la bottega da lattoniere di Ardiglio (Cavasùu) Cavazzuti, fratello di
Ersiglio e Doviglio. L’artigiano era famoso per la messa in opera di un
fugòun da bugadèera… in lèggn. La saracinesca di questa
antica attività si può ancora vedere tale quale, chiusa ormai da decenni. Fra
qualche anno, con la prima ristrutturazione scomparirà di sicuro.
Pare fosse anche attirata dal fascino di un allora
noto enologo carpigiano, che devotamente ogni settimana andava riverire e nel
contempo a farsi omaggiare di qualche bicchiere. “Diooo… Ciirooo, mò… s t ii bèel!”
era solito dirgli.
Teneva banco il piazza al giovedì e alla domenica
(solo recentemente si è passati al sabato). La sua postazione era di fronte al
quella del fabbro Bizzoccoli che si collocava sotto il torrione degli spagnoli,
proprio ai piedi della lapide per Presa di Roma – XX settembre 1870.
Ho cercato fra la gente ricordi personali sulla
Marina, ottenendo tante tessere per un mosaico un po’ frammentato, che dà però
un profilo verosimile, anche se approssimativo e superficiale del personaggio.
Sono convinto che l’interessata non si sarebbe mai immaginata una sua
rievocazione.
Ecco
alcune testimonianze che ho raccolto
Primo Saltini ricorda: “Era quasi un divertimento per noi
ragazzini di allora, passargli vicino e sussurrarle: Imberiagòosa! Un’ingiuria
che immediatamente scatena una litania furente di madonne, cancheri ed epiteti
vari. Tutto un vocabolario gergale interessante che poi si poteva ripetere
insieme agli amici, sghignazzando. In più la seguivamo, quando andava verso i
giardini a fare pipì (all’antica maniera delle donne padane); la faceva stando
in piedi e dandosi una asciugatina con il vestito! Eravamo proprio dei
delinquenti.”
**
Alfredo Copelli abitava in via Marco Meloni e nel retro della casa
c’era un cortile con una tettoia. Spesso la Marina si fermava lì a dormire per scuasèer
la baala (per smaltire le dosi alcoliche), così come era… cun
al barusèin abbandonato con tutte le povere merci.
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Ersilio
Spezzani rammenta che le piaceva
anche bere un buon quartino di vino, ma forse anche di più. “Tante volte
chiedeva a noi ragazzi se le andavamo a prendere il vino, perché a lei non lo
davano all’osteria vicino a San Rocco. Puvrètta !! La fèeva cumpasiòun, già da
ragàas … , mò aanch adèesa, dòop taant aan, a pinsèer cum la viviiva, la t fa
pinsèer che la solituddin l’è ’na graan tristèssa.
La
pariiva catiiva, mò l’éera sóol ’na pòovra dònna, sèinsa nisùun intóorna ch la
iutìss.
I
éeren mumèint dificcil aanch alóora, sperèmm ch i n tóornen più, aanch se a m
sèmmbra che incóo a nn andèmma pèr gniinta bèin.
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Anche
ad Annamaria
Loschi la gh fèeva ’na faata paùura … Aanch perché a n s capiiva gniinta d
quèll ch la dgiiva. Essere vecchi e poveri era ed è una vera disgrazia.
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Anna
Bulgarelli ha bene in mente la
Mariina Trintèina, abitando nella sua stessa contrada: “Io sono nata e
cresciuta in via Giordano Bruno e me la ricordo bene. A noi bambine incuteva un
certo timore: così alta e vestita di nero, spesso alterata dal vino. Ma quando
era lucida e la incontravo uscendo di casa, mi riempiva di complimenti e mi diceva
con grande dolcezza “Indù vèe t pricipèssa?”.
Una volta la nipote la stava aspettando da ore in via
Giordano Bruno, più o meno preoccupata. A un certo punto la vide arrivare senza
il carrettino, dimenticato chissà dove, la girèeva d galòun penosamente
ondeggiando con un piede sul marciapiede e uno sulla strada. “Bè mò
… Cuṡ ée la? ’Na baala nóova?” commentò amareggiata la nipote,
commentando lo strano incedere della zia ubriaca.
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Anna Maria
Ori: “Ricordo vagamente la
Mariina Trintèina, perché non mi ha mai né spaventato, né intenerito,
né (lo ammetto) interessato, ma era una specie di arredo urbano di cui
semplicemente prendevo atto. Mi dispiace di non averla osservata con più
attenzione, in pratica di non averla vista, anche se entrava nel mio raggio
visivo.”
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Gilda
Lugli: “Mia madre, Fernanda
Bertolazzi, mi raccontava che la
Marina era di buona famiglia, ma che a un certo punto suo
fratello aveva preso le distanze da lei.
Quando avevamo la ditta di legnami in via Carducci, la Marina entrava dal retro in
via N. Biondo e cercava di venderci la sua mercanzia. Mi faceva paura, ma anche
tanta pena …”
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Enrico
Rancan, al fióol dal pròofugh:
“Ce l’ho in mente, ma ero veramente piccolo. Suonava a casa mia, in viale
Nicolò Biondo, per offrire la sua mercanzia e mia madre, per mandarla via in
fretta, le comprava sempre qualcosa. A me piacevano le carrube, che
evidentemente lei vendeva, e che ho conosciuto proprio per questo.
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Margherita Panzani: “Io me la ricordo bene, abitavo in Corso Fanti e
lei passava, vestita sempre con un grembiulone nero e un fazzoletto in testa,
col suo carretto pieno di scope, secchi, spazzole e tante altre cose. Molte
volte si fermava, chiamava mia nonna e chiedeva il permesso per andare al
gabinetto che era in cortile, gabinetto che era poi un buco, con sopra un
coperchio. Altre volte, semplicemente, in piedi apriva le gambe e faceva la
pipi li dove si trovava. Non mi faceva paura e la nonna mi diceva che non era
cattiva.”
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Mauro Marri ha bene in mente questa strana donna; sua nonna,
infatti, comprava i giochi da lei per i nipoti, quando erano buoni, il che
succedeva molto raramente. La
Marina era… avanti: faceva già il porta a porta tanti anni
fa.
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Giorgio Goldoni: la Marina mi chiamava duturèin (dottorino),
perché fin da cicch a purtèeva i ucialèin (perché fin da bambino
portavo gli occhialini).
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Alfiero Malavasi: Mò al “bèel” dla Mariina l éera che, anovr
la pisèeva, la s mitiiva sóovra ‘na buchètta (caditoia) in
strèeda, l’avriiva al gaambi e… vìa!
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Giorgio Masini ricorda che la Marina la fèeva al giir dla Via Crucis
pèr
agl’usterìi èd Chèerp (faceva il giro della osterie di Carpi con soste
premiate). Ad esempio non era difficile vedere il suo carrettino parcheggiato
davanti all’osteria dla Cagnóola (all’inizio di via Manicardi). Si era a metà degli
anni ’50 e lui e altri bambini erano soliti giocare nel vicino Parco; quando la
vedevano arrivare per il “rifornimento”, spesso si lanciavano contro di lei per
prenderla in giro e le urlavano crudelmente:
”Imberiagòosa!
Imberiagòosa!”
Lei
si arrabbiava molto, estraeva ’na malgarèina dal suo carretto e,
sacramentando, la brandiva e correva dietro ai monellacci: ”Andèe
vìa! Andèe vìa! Schifóoṡ! Ch a v vèggna milla caancher… !!!”
Aveva
però con sé un cagnetto bastardino e tignoso; la poveretta lo aveva aizzato contro
i bambini, tant’è che il botolo afferrò il povero Giorgio a un polpaccio e ci
volle un intervento deciso di un passante per fargli mollare la dolorosa e
“accanita” presa.
Il
nostro, urlante e piangente, fu subito portato all’ospedale per l’antirabbica e
da allora ha sempre visto i cani con un certo timore.
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In questo quadro del 1965, il pittore carpigiano
Giorgio Pedrielli
interpreta efficacemente il ritratto de la
Mariina Trintèina
(proprietà di Mario Brani – Carpi)
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Ecco
un’incisiva immagine che ci lascia Luciana Nora.
La Mariina
Se
la Filimede
fu un personaggio caratterizzante di via Cantarana, l’esprimersi della quale
aveva come confine le contrade attigue, ci fu anche un’altra figura femminile
particolarissima, completamente fuori dagli schemi, conosciuta in tutta Carpi
per via del fatto che svolgeva un’attività ambulante: la Mariina Trintèina ch la stèeva
in cuntrèeda Teranóova.
Aveva
un carro a due stanghe che tirava lei stessa, con il quale portava le sue
mercanzie per tutte le contrade carpigiane. Una struttura corporea segaligna,
vestita di un nero stinto che aveva virato al grigio: un fazzolettone annodato
al collo, i cui lembi estremi venivano usati per asciugare il sudore della
fronte e del petto, sottana lunga e larga quasi fino alla caviglie che, estate
e inverno, spuntavano nude da larghe, nere scarpe maschili.
Dalle
maniche arrotolate fino ai gomiti, uscivano le braccia secche e nervose. Le
mani erano lunghe e nodose le mani su cui, dopo una sosta, come erano soliti
fare gli uomini, sputava, per poi sfregarsele, prima di riagguantare le stanghe
del suo carro e riprendere il suo giro.
I capelli grigi, dritti dal taglio pari appena sotto
le orecchie, qualche volta tenuti indietro da un cerchietto metallico,
incorniciavano un volto austero, rugoso, dai tratti sottili. Un’ambulante
strana che passava senza segnalarsi e bandire la propria merce. Aveva sul carro
dal pianale piatto dal malgarèini e dal ramaasi, ’na
quèelch traapla pèr sòrregh,
un po’ di pentolame e varie altre cose. ’Na spéecie d Righètt èd Limmid ambulante… in miniatura.
Il tempo aveva tinto di grigio anche il carro.
Sicuramente girò per Carpi fino alla prima metà degli anni ’60. Se la ripenso
oggi, anche il mio ricordo si spoglia dei colori e vira al grigio come in un
film in bianco e nero e in parte perde la voce. Incontrarla era un fatto
pressoché quotidiano. Almeno a me, ma sono certa di non essere stata la sola
tra le mie coetanee, la sua comparsa incuteva qualche timore, specialmente
sollecitava un interrogativo: Ma chi era la Marina?
La fantasia infantile poteva associarla a una
qualche strega o, più improbabile, a una fata. Avevo capito dove aveva una
posta per il suo carro in una delle mie visite alla zia Ernesta, che abitava in
Cantarana. Entrando in quella contrada da Santa Chiara, sulla destra, poco più
in là del palazzo sede del cappellificio Losi, lì doveva far sostare il carro la Marina. Era pomeriggio
inoltrato e uscendo da quella corte affollata da una quantità di famiglie, ero
rimasta folgorata sull’ingresso, perché, in quella strada stretta, mi ero
ritrovata a un passo dalla Marina che stava anovrando il suo biroccino. Mi ero
fermata ad osservarla, forse cercando qualche risposta.
Di lì a qualche minuto, ebbi a vederla sollevare un
poco la sottana, divaricare ampiamente le gambe e, come si usava dire a quel
tempo, spènnder aaqua in mèeṡ a la strèeda. Mentre realizzavo
mentalmente che doveva essere senza mutande, fui scrollata da un rauco e
perentorio: “Vèe, tè, ragasóola, ‘sa gh èe t da guardèer? N èe t màai visst spènnder
aaqua?” No! Non avevo mai visto farlo in quel modo. Ero poi filata via
come un fuso.
Col tempo però i timori erano arrivati a
dissolversi, fino ad avvertire un certo fascino per quella figura femminile
particolarissima, la cui filosofia doveva ritrovarsi pienamente nel dantesco “non
ti curar di loro, guarda e passa”. Filosofia praticata fino a quando, come una
sorta di maledizione, uscì la canzone intitolata a Marina, che divenne, taant
pèr ṡuntèer al raam a la mèsscla, una sorta di perfido dileggio che i
ragazzi e anche qualche stupido adulto, usavano cantarle per farla uscire dai
gangheri. Marina usciva allora dal suo silenzio, prendeva una scopa dal suo
carro e, brandendola, imprecava: “Dio chè! Dio là! Viin ché vigliàach. S a t
ciàap a t la ṡbrèegh ind la schiina!”
Non
so quando e come Marina sia uscita di scena, ma spesso mi è ritornata alla
mente, particolarmente quando, tra le mie letture anni Settanta, ho incontrato
Le streghe del Nagual di Carlos Castaneda. Mi piace pensare che, chissà, in
quel suo continuo e faticoso peregrinare, più che dettato dal bisogno di un’esistenza
grama, Marina cercasse e avesse trovato l’essenza dell’essere.
**
Francesco Bezzecchi, detto Il Mimì, ricorda che la Marina comprava le scope (al malgarèini) dal suo principale
Francesco Pacchioni, il mestichero (vernici e colori) di fianco al cinema
Fanti, in via Mazzini, che gestì per molti anni una rivendita di colori e
affini. Allo speciale prezzo di costo che le veniva praticato, la Marina applicava poi il suo
guadagno di venditrice ambulante.
La Marina spesso andava all’osteria di Cimbro in via
Matteotti sotto il portico, e dopo due o tre bicchieri, apriva le gambe e
faceva la pipí sotto il tavolo. Arrivava Pippo (Saetti, figlio di Cimbro, in
seguito noto e valente ingegnere e arredatore) che, con la segatura e la scopa,
puliva senza fiatare.
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La
poetessa Luciana Tosi ricorda di
averla vista diverse volte, ma a quei tempi lavorava duramente, faceva almeno
10 ore al giorno e a n gh éera mìa taant tèimp de stèer a guardèer chi pasèeva…
Si
ricorda una la donna alta, un po’ curva, con un abito lungo e scuur,
al
carètt cun dal staanghi acsè lunnghi. Aveva una figlia di nome Norma.
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Infine
‘na poVeṡìa degli anni ’60 di Micin
(Cinzio Micheli) dedicata alla Marina, la grafia è quella dell’autore.
LA DONA ED TERANOVA
Col prim sol, po’ fin
a sira,
per le vie della
città,
la Marina, gira, gira,
col carretto se ne
và.
Và gridando: sùca
fina!
pir e persègh, figh e
mlòun,
cun nà vòs ardònda e
pìna
da desdèr tutt al
riòun.
Ma un brutt dè, s’oscura
al mond,
vengon giorni tristi,
amari,
dove tutt un po’ s’counfond
se sbarchèr s’vol al
lunàri.
Fu così che quel
carretto,
invece ed sùca o
portogall,
di portare fù
costretto
quel ch’tuliva su “NIBAL”.
Passa un giorno,
passa l’altro…
poi il boom viene
della lana
dove Carpi, per lo
scaltro,
l’è dvintéda nà
cucagna.
Lei di nuovo butta
all’aria
tutt, baraca e
buratein,
e di merce, la più
varia,
l’impiniss al barusèin.
Marletèin, candeli
usedi,
automatich, pan d’savòun,
e (chisà dove
scuvèdi)
scatli d’luster d’Furmigòun.
Per stà dòna ed
Teranova, (Terranova = Via Giordano Bruno o l’Uultma)
al baròs l’è seimpr’
impgné,
le un po’ tutt la
mett in ovra
seinsa bsér la qualité.
Anche Ciccio Guerrino
Siligardi ha dedicato alla Marina un ricordo in versi, illustrato da un disegno
del pittore carpigiano Igino Pagliani, detto Pain (grafia dell’autore)
Disegno del pittore carpigiano Igino Pagliani, detto
Pain.
**
Una parentesi di
concordanze mantovane: Maria Onta.
Durante
le mie perenni ricerche di nuovo materiale per le miei scritti sul dialetto e
sulla cultura locale, mi capita di trovare cose interessanti e inaspettate, non
proprio carpigiane, ma con chiare matrici di identità del tutto simili e
comuni.
In
questo caso ho trovato traccia di una figura femminile nella vicina Mantova
(città “lombarda”, così come quanto può essere considerato lombardo il
parmigiano reggiano).
Si
tratta di tale Maria Onta che ha incredibilmente tanti tratti in comune
con la nostra Marina carpigiana.
Maria Onta di Mantova - Caricatura di Imerio Vischi
Maria Onta
di Enrica Canneti - Mantova
"Maria onta" coi carton,
lòbia sbusa e stivalon,
condanada dal destin
a cüciar al caretìn
cargà 'd carta e 'd roba strasa
ch'la catava sü par Piasa.
La pasava le sò not
in Miarè, in on casòt,
fat ad lata, là d' par lè
con i gat ad cò di pè.
La faseva conpasion,
ma è sta dit che in dal paion,
con carton e carità,
al "magòt " gh'era logà!
**
Chissà quanti di questi bizzarri personaggi hanno attraversato le
strade di Carpi! Gente certamente non comune, che vissero esistenze di
sofferenza e di fatica, ma anche di grande libertà, senza padroni, senza orari,
gioendo alla fine della giornata di una semplice bottiglia di vino in qualche
osteria o bar e di un semplice giaciglio su cui dormire.
1910 ca Borgoforte - via Matteotti, allora via XX
Settmbre
Che ricordi, e quante informazioni, grazie!. Sono nata a Carpi nel 1950 dove ho abitato per 10 anni in viale Carducci, angolo via Aldrovandi di fronte al bar Belgio, prima di trasferirmi in via Giovanni Massa. Per questo ho potuto conoscere diversi dei personaggi qui descritti. In particolare Mesanòot, la Marina, l'Amalia e anche Piccinini. In estate quando la sera con mio fratello rimanevamo a giocare sotto casa incontravamo spesso Mesanòot proveniente da viale Nicolò Biondo che ci salutava e a volte diceva:"Che fadiga lavurer!". Meno tranquilli erano gli incontri con la Marina, sopratutto se avvenivano in presenza di altri bambini che la prendevano in giro e la reazione della Marina non si faceva attendere, fino a rincorrere qualcuno con la scopa. Ero una dei pochi a cui la Marina non faceva eccessiva paura, anche se l'aspetto un po' da strega l'aveva. Una volta ci chiese se potevamo allacciarle una scarpa chè lei non riusciva, l'unica che si è attentata a farlo sono stata io, anche se poi sono scappata con gli altri. A me piaceva tanto il carro della Marina, sopratutto le girandole di plastica che erano poste in cima e, ovviamente, le bambole. Giudicando dalla quantità di merce che trasportava doveva essere un a bella fatica spingerlo per tutto il giorno. L'Amalia mi è capitato qualche volta di incontrarla in bicicletta col carrettino pieno di ferro che viaggiava in direzione Brani. Piccinini era quello che mi ispirava di meno, forse perchè già da allora si dava per certo che possedesse una fortuna. Così, mentre sugli altri personaggi potevi fantasticare, su di lui potevi avere la certezza che la sua, di girare con la camicia più vecchia di lui, fosse stata una scelta consapevole. Ringrazio ancora,
RispondiEliminaGianna Bartoli.
Mancanza grave, mi sono scordata di Cimbro, nella cui rivendita mio nonno ogni tanto mi mandava a comprare il vino. Era un'esperienza incredibile per me quando arrivavo dentro l'osteria e venivo travolta dalla nebbia del fumo dei sigari e dall'odore del vino che aveva impregnato le assi dei tavoli.
RispondiEliminaNuovamente saluti,
Gianna Bartoli.
Cimbro era anche conosciuto come ottimo tagliatore di vini.
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