Stesura iniziale 6-9-2014 v04 del 08-09-2014
La fine del
gioco delle palline
Verso la metà degli anni ’70
lentamente, ma inesorabilmente il gioco delle palline cominciò a scomparire;
negli anni ’80 cessò definitivamente. Difficile stabilire una data; non ci fu
un’ordinanza del Sindaco o una spietata legge nazionale: altri divertimenti e
passioni più moderne si stavano imponendo.
Se poi aggiungiamo che qualche
maestra e genitore ansiogeni temevano l’ingestione delle sferette da parte di bimbi
voraci dallo sfintere troppo stretto, avremo un quadro del crudele destino dal
nòostri vèedri, dopo oltre mezzo secolo di onoratissima attività.
Mauro Vignoli (Carpi) ha partecipato all’ultima fase e ricorda che nel 1980 circa si giocava ancora al Parco nei pressi dell'ospedale dentro alla vasca vuota dei pesci (che ora non c'è più), quella fatta a esse.
Per le forniture non c’era più il
banchino ambulante, ma i distributori di palline a moneta proprio al bar del
Parco (oggi Ristorante Clorofilla), inoltre c'erano anche delle macchinette
che, con grande abilità, si doveva fare scorrere la biglia in un percorso
insidioso di fori, senza che fosse inghiottita dagli stessi. Se si arrivava al
traguardo, si vinceva la biglia. La più ambita era la cosiddetta
"pancetta", una pallina di ceramica con striature rosastre
Già nei capitoli precedenti ho
accennato al tramonto dal bucìini, ma per entrare ancor
meglio in questa fase e spiegare questo cambio d’epoca e costumi, riporto un
capitoletto del libro “Non c’è più vino” di Gianfranco Imbeni e Florio Magnanini.
Il libro è del 1991 e la chiusura
dell’epoca delle palline viene fatta risalire a 17 anni prima, quindi nel 1974.
Questa data, se non la cessazione, indica almeno l’inizio dell’inevitabile
declino. Questa data potrebbe, a posteri, segnare uno spartiacque fra due evi
storici. Lo noto con ironia, ma… fino a certo punto.
Ecco il brano di Imbeni e Magnanini.
La banda della piazzetta
Diciassette anni (1974 n.d.r.) orsono i nostri bambini
giocavano ancora a palline. Erano sferette di vetro a venature multicolori (non
più, ‘ovviamente, quelle antiche di argilla dipinta) che venivano messe in
movimento con il “cricco”, una propulsione determinata dallo scatto dell’unghia
del pollice nel contatto con la falange superiore.
del dito medio. Esattamente da
diciassette anni a questa parte, quelle “vetre” sono sparite dalla ludologia
infantile. Le hanno sostituite mille altri interessi indotti da genitori,
maestre, doposcuolisti, cappellani di parrocchia e dal glorioso “Corriere dei
Piccoli” che in edicola va esaurito nel giro di poche ore e che pare essere
diventato il portavoce ufficiale delle industrie di giocattoli nonché dei
“cartoni” giapponesi (realizzati vergognosamente al computer) diffusi dalle
reti televisive berlusconiane. Un convegno, tenutosi nella nostra città, ha
“evidenziato” l’infelicità dei nostri figlioli, definendoli “belle
addormentate” in balia di famiglie superattive, super tecnologizzate e super
programmate.
Gli adolescenti sono sovraccarichi di
responsabilità, quali noi nemmeno immaginavamo, alla loro età, durante gli
incubi più atroci. Esercitano quasi tutti un doppio lavoro. Seguono i corsi
della scuola dell’obbligo e - in nove casi su dieci - frequentano corsi
musicali, palestre, scuole di danza, di canto, di scacchi, di fotografia.
Le
bimbe pettinano le bambolette “Barbie” con l’occhio al proprio futuro di
stiliste. I maschietti sfrecciano sugli skate-board oppure montano
pazientemente modellini di Ferrari Testarossa radiocomandati predisponendosi
severamente a futuri immancabili compiti manageriali. A nove anni conoscono
perfettamente le proprie caratteristiche psico-morfologiche che li
indirizzeranno a uno sport piuttosto che a un altro. Sanno tutto sulle
quotazioni del mercato dei giocattoli; comprano e vendono (e non per finta) con
l’abilità consumata dei concittadini adulti. In classe (lo rivela un insegnante
della media Alberto Pio) non si alzano dal banco nemmeno per il quarto d’ora di
ricreazione: se ne stanno seduti, sbocconcellando una merendina e sfogliando
attentamente dispense di divulgazione scientifica. Insomma, un disastro.
Ma c’è, per fortuna, la Banda della
Piazzetta. E la conoscono bene gli abitanti e i bottegai degli edifici che le
fanno corona. Non è una banda alla maniera tradizionale, beninteso. Non è
omogenea, compatta e gerarchizzata, non si identifica con il rione né ha la
pretesa di rappresentarlo. E non si contrappone a gruppi di altri quartieri.
Non scatena battaglie, non conosce riti di iniziazione, non elabora e persegue
piani cavallereschi di conquista territoriale. È, anzi, una banda aperta e
flessibile, mobile ed eterogenea. Ma c’è e si manifesta, pur osservando
rispettosamente le regole e le norme di stampo elvetico che presiedono alla
convivenza co-munitaria. Da qualche tempo ha anche le caratteristiche della
banda interrazziale e sovrannazionale. Gli indigeni carpensi si mescolano al
negretto del Ghana, all’irrequieto e chiassoso bambino di Santo Domingo, alla
francesina figlia di ex emigranti, alla venezuelana ospite della Casa della
Divina Provvidenza, al giapponesino della palestra di judo. Persino i cinque
bimbi cinesi del ristorante La Grande Muraglia, che stanno sempre insieme, si
uniscono talvolta agli altri.
Il gioco della palla, fortunatamente,
non è proibito in Piazzetta, e la polizia municipale perdona persino, a
carnevale, qualche lancio di mortaretto. I richiami ad alta voce, gli strilli,
gli scoppi di risa improvvisi, non sembrano turbare più di tanto il silenzio
dei condominii all’intorno, almeno fino al rientro degli inquilini dai lunghi
turni di lavoro. Addirittura è possibile assistere, sotto il portico del lato
orientale, nell’alto palazzo che fu un tempo l’albergo Venezia, al rito dei
“tiri in porta”. E se il pallone va a sfiorare talvolta una Bmw Turbo
parcheggiata accanto, il rimprovero si esprime nel semplice scuotimento di
testa del pensionato in transito.
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