Prima stesura 22-02-2010 V30 del 20-10-2015
Carpigiani
e l'opera lirica
raccolta di Mauro D’Orazi
Questi sono episodi capitati decenni fa, ma sostanzialmente
veri e tramandati ripetutamente fino ai nostri giorni; io mi sono limitato a
raccoglierli e a metterli un po’ in ordine. Ho poi aggiunto, in coda, alcune
note curiose e divertenti sulle ambiguità che si possono trovare in frasi di
vari libretti d’opera
Per molto tempo dal 1800 in l’opera lirica fu un momento centrale
di divertimento per la gente anche a Carpi. La nostra città nel 1861 si dotò di
uno splendido teatro.
Gli spettacoli d’opera erano molto frequentati e spesso lo
spettatore, appartenente a varie classi sociali, assisteva a tutte le repliche.
L’opera era nel sentimento popolare e trascinava gli animi;
si pensi per fare solo un esempio risorgimentale al “Va pensiero”.
Anche se come dice Lucio Dalla in “Caruso”: “Potenza della
lirica, dove ogni dramma è un falso, che con un po' di trucco e con la mimica
puoi diventare un altro.”
Si poteva sentire dalla persone più insospettabili, anche
di condizioni molto umili, citare, a mo’ di proverbi o modi di dire, frasi di
opere.
Io stesso ricordo perfettamente e con un sorriso le
centinaia di volte che mia cugina Mima ripeteva, ripeteva, ripeteva a seconda
dei casi:
“(Rigoletto) Cortigiani, vil razza dannata!” per parlare
dei politici di mezza tacca ipocriti e mendaci;
“(La Traviata) Di sprezzo degno se stesso rende, chi pur
nell’ira la donna offende! Dov’è mio figlio? Più non lo vedo… ecc…” quando una donna
subiva della angherie fisiche o morali dal parte di un uomo;
“(Il barbiere di Siviglia - Rossini) La calunnia è un
venticello” di fronte alle tante bugie e falsità della gente, o “All’idea di
quel metallo” per la cupidigia al denaro e all’oro;
“(Faust -
Gounot) Dio dell'or. Del mondo signor!”
nel vedere che qualcuno agiva solo per gretto interesse economico, soprattutto
nella sfera degli affetti.
Anche io, da mozartiano convinto,
quando non riesco ad avere qualcosa cui tengo, terrei moltissimo, cito a me
stesso Da Ponte nel “Così fan tutte”: “Non può quel che vuole, vorrà quel che
può!”
Non posso poi non citare Totò con
la sua… “La donna è mobile… e io sono mobiliere!”
Non di rado ai figli venivano attribuiti nomi di personaggi
della lirica: Alfredo, Radames, Turiddu, Otello, Aida, Norma, Violetta, Gilda,
ecc… Ciò che successe ad esempio quasi mezzo secolo dopo con Rossella di “Via
col vento”.
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In ogni grande tematica c’è sempre un risvolto comico;
anche qui non si sfugge e ci sono situazioni tramandate ed evocate di
generazione in generazione. Si tratta di episodi e cose buffe che sono successe
durante gli spettacoli e che sono state condite con efficacissime frasi
dialettali. Questi fatti sono noti a Carpi e di certo hanno una base di verità,
ma sono conosciuti e rievocati anche in città vicine.
Come sempre quando si è nel campo delle tradizioni popolari
è difficile stabilire origine certa e verità, ma ancora una volta l’importante
è non far morire la memoria di queste piccolissime storie, che pur nella loro
limitatezza intrinseca, ci danno e conservano un’idea del sentire e del
sorridere della gente.
Durante le tante rappresentazioni in presenza di tenoretti
o con cantantucole, incidenti di scena, testi equivoci, ecc… il veleno della
battuta feroce, greve, ma irresistibile dei carpigiani non mancava di certo.
Eccone alcuni esempi che ho raccolto nel corso di anni di
ricerche e testimonianze dirette, che riguardano anche zone vicine.
“Cavalleria rusticana” di Mascagni. Turiddu: "Mamma,
quel vino è generoso, e certo oggi troppi bicchieri ne ho tracannati...
Vado fuori all'aperto..."
Dalla platea uno spettatore gli urlò. "Tóo tèegh la chèerta!” Prendi con te la
carta. Una volta al cèeso, al liicet
era fuori delle case.
Si dice anche che alla morte di compare Turiddu qualcuno
abbia anche gridato: “I àan faat bèin! L
éera ’na tróoia!” … nel cantare.
Infatti un modo dire tipicamente carpigiano in presenza di
un cantante stonato e inascoltabile è proprio la frase: “L è ’na tróoia!”.
Un’invettiva molto nota che a Carpi ha tanti di significati
diversi, tra i quali questo.
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“La Tosca”
di Puccini - Uno scarsissimo Cavaradossi cantava "L'ora è fuggita, e muoio
disperato!" Dalla buio del loggione: "E sèinsa un béesi in bisaaca!" e senza un soldo in tasca!
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Negli anni '50 “Il Trovatore” al Comunale di Carpi. Il
tenore (Manrico) era piuttosto scarso e al "Non son tuo figlio? E chi son
io, chi dunque?" Il solito carpigiano sprudentato gli urlò: "T ii al fióol d un caan!"
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Dal “Mosè” di Rossini: "Dal tuo stellato soglio".
Se lo diciamo in dialetto -Dal tó sóoi
stlèe! - lo si può poi ritradurre - Dal tuo mastello rotto!- Scherzi dei
nostri dialetti.”
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Teatro di Correggio, un soprano “triste” a un certo punto
commette l'ennesimo errore, restando senza fiato… al ché una voce urla "Animèela! ch la s curèza!" "RiAnimatela! che si corregga!" Però
se si legge e interpreta la frase in altro modo, il senso cambia completamente…
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A Carpi si rappresentava d'inverno, con un teatro poco riscaldato,
La Bohème di Puccini. A un certo punto il tenore, in uno dei momenti più
romantici e delicati dell'opera, cominciò a intonare l'aria "Che gelida
manina...! " Al che dal loggione si sentì distintamente: "S te sintìss pò i mée pée!" Se
sentissi poi i miei piedi!
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Altra situazione esilarante capitò con il Rigoletto di
Verdi; il soprano che interpretava Gilda era una cantante di notevole
corporatura. Quando Sparafucile nel III° atto la uccide, pensando fosse il
Duca, deve poi mettere il corpo in un sacco da consegnare all'inconsapevole
mandante e padre di Gilda, Rigoletto. Il momento sarebbe stato altamente
drammatico, ma il povero Sparafucile a causa del peso rilevante non riusciva
spostare il gravoso sacco. Dopo un paio di tentativi penosamente falliti, si
sentì la solita voce malefica che dal buio urlò: “Fa duu viàaṡ!” Fai due viaggi!
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In una recente esecuzione de La Traviata, mentre l’anziano tenore
cantava “De' miei bollenti spiriti”, qualcuno ha commentato: “Sèee… Tóo dal Viaagra!”.
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Anche questa è storica e dipinge bene una certa Carpi
arricchita, ma ingenua. Anni '60 prima dell'inizio dello spettacolo, due
signore in parucca e bóorsa, mogli di
ricchi magliai, guardavano con curiosità gli altri spettatori nei palchi e in
platea. A un certo punto, una dice a bassa voce all'altra: "Vèdd èt? Quèlla là, in quèerta fiila, l'è la
praatica èd Tissi!" Vedi quella là in quarta fila? È l'amante di Tizio
(il nome di un altro famoso magliaio che non posso qui svelare). L'amica guarda
con attenzione e dopo un po' esclama: "Bè
mò! Al sèe t ’sa t ò da diir, che al nòostri i iin pò più bèeli!" Bè! Sai
cosa ti devo dire, che le nostre sono poi più belle!
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Negli anni '60, un noto tenoretto carpigiano si doveva
esibire in teatro in una celeberrima canzone francese. Venne così presentato: -
Signore e signori... ora ascolterete "La mer" da Tommaso Ferrari -.
Una frase che, pronunciata un po’ troppo frettolosamente, si rivelò una pessima
uscita...
* Molto gustosa la ribattezzatura carpigiana della Lucia di
Lammermoor opera in tre atti di Gaetano Donizetti: a Carpi era diventata la Luciia... di Laaber ṡmòort... dalle
labbra smorte.
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Anche Luigi Lepri
(Bologna) nel suo libro “Fantèsma di
ritorno. Seconda passeggiata semiseria nel dialetto bolognese” si sofferma un
“equivoco lirico”.
Era il 1893, al teatro Comunale di Bologna andò in scena
l’opera lirica “Vandea” di Filippo Clementi, nella quale il capo dei vandeani
si chiama Alano. Al terzo atto, la cantante che interpretava la madre,
gorgheggiò singhiozzando: “Ferito è Alano!” e il solito buontempone, dal
loggione, urlò pronto: “Pròpi lé, chisà
che turmänt!” (Proprio lì, chissà che tormento!). Le cronache del tempo
raccontano che le risate del pubblico proseguirono fino a notte fonda e, ad
ogni replica, la battuta del soprano era accolta da irrispettose sghignazzate.
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Maddalena Zanni (Carpi): “Mia nonna e mia zia
avevano questa variante de "La Carmen", sulle note della famosa aria,
non so perché: "Toreadòor, scaapa in
là, ch a chèega al tòor... "-
Rossana Bonvento (Carpi): - Mia madre canticchiava
qualche aria quanto facevano vedere qualche opera in TV. Mò la cantèeva dla ròoba da procèes L. L'aria del toreador secondo mia
mamma era "Toreadòor sta atèint ch a
paasa al tòor, al t sèelta adòos, a t triida i òos". Mentre il caro
don Lino: "RADAMèES, RADAMèES... fióol
d un caan d un Radamèes!” e “Menelìich
licch licch e la regiina Taitù i iin la ruviina dla gioventù!” -
Annamaria Loschi (Carpi): “Mio padre, quando voleva
che non dessi troppa fiducia a chi non ne meritava, per incapacità manifesta,
diceva: "’Sa pretènnd èt da un cuul?
'Na romaanṡa? "
Luisa Pece (Bologna): “Nella mia città, un
tenore tanti anni fa, durante l'aria - Quel vecchio maledivami - fece una
stecca tremenda. E dal loggione: "Era Verdi per caso?"
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Usciamo da Carpi e dintorni per inoltrarci in ambiti più
vasti, aggiungendo qualche commento in dialetto.
Spesso gli appassionati di musica lirica sono considerati
seriosi, quando non addirittura noiosi.
Capita invece, e non di rado, che
si divertano a leggere alcuni versi tratti dai libretti di opere piuttosto
famose in un modo del tutto particolare, così da sfatare questo luogo comune di
compassata austerità.
In alcuni casi se non si sconfina nella pornografia vera e
propria, ci si imbatte in situazioni molto spinte, cariche di doppi sensi
(voluti o meno) e di espressioni assai poco raffinare.
Alcuni musicisti, Rossini in primis, ma anche altri, erano
dei buontemponi e sovente nei libretti mettevano delle frasi che si prestano a
interpretazioni anche licenziose; altre volte è il melomane stesso che
maliziosamente interpreta a suo modo una frase o anche qualche nota sul
pentagramma.
Bene, cominciamo dall’icona della lirica italiana, Giuseppe
Verdi, il quale nell’Otello, nella scena di furiosa gelosia che apre il III
atto, quando Otello per la prima volta accusa apertamente Desdemona di
tradirlo, mette in bocca (ehm…) alla poverina, che non sa di cosa è accusata,
questa frase:
“Qual è il mio fallo?”
La reazione dal pubblico: "Séerca ind al brèeghi!"
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Restando a Verdi, nella “Battaglia di Legnano”, il
librettista Cammarano a un certo punto se ne esce con un pruriginoso ”Or vanne…
il fallo svela”
Qualcuno potrebbe esclamare: “L è méi t èt cuàac'!”
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Mentre in “Oberto Conte di San Bonifacio”, Solera, autore
dei testi, per non essere da meno spara un “Vede il tuo fallo e freme ”.
Il dubbio è: Tròop cicch
o tròop gròos?
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Bellini dà a “Norma” una luce sessualmente ambigua, peccando
anche di un eccessivo moralismo, quando la costringe a esclamare: “Si emendi il
mio fallo, e poi si mora.”
Esagerèeda!
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Passiamo a Puccini e alla sua sanguigna e sensuale eroina
Tosca; prima della celeberrima aria “Vissi d’arte”, nella sembra cedere al
ricatto sessuale del perverso Barone Scarpia per salvare l’amato Cavaradossi,
l’orchestra suona queste note, non profetiche... però: ♪♫♪ SI, SI, LA DO ♪♫♪. Mò a nn éera mìa véera!
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“Adriana Lecouvreur”, l’eroina di Cilea, invece è perplessa
dall’aspetto inquietante dei suoi residui biologici, tanto da esclamare: “Giusto
Ciel, che feci!” … la mardòuna!
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Il vecchio Silva, in “Ernani” di Verdi è preoccupato che il
romantico bandito abbia problemi di impellenti urgenze interiori, e non esita
ad apostrofarlo con un perentorio: “Ecco la tazza... scegli!” Fa in fuuga! S te póo!
**
Mozart, o meglio il librettista Marco Coltellini,
nell’Opera “La finta semplice” presenta questa frase nel dialogo tra Cassandro
e Fracasso (sic!):
“Fremo, ohimè, dalla paura, ei m’infila addirittura!" Òccio… umòun!
**
L’aria “Or la tromba” dal “Rinaldo” di Handel pare indicare
una veemente azione successiva. Dàai… mò!
Ma anche Rossini sembra rispondere opportunamente in
"Ermione" con un bel: "Troia, qual fosti un dì!" Spucaciòuna èd ’na melnètta!
**
Concluderei questo bizzarro viaggio operistico citando una
aforisma di Oscar Wilde:
“Mi piace la musica di Wagner più di ogni altra cosa. È
così rumorosa che si può parlare per tutto il tempo senza farsi sentire dagli
altri. È un grande vantaggio.”
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