stesura iniziale il 9-2-2010 v 28 del 09-10-2014
Al Caancher
modi di dire
del dialetto carpigiano
e dintorni
di Mauro
D'Orazi
da un’idea
iniziale di Gian Luca Vecchi
Pubblicato
parzialmente su La Voce
di Carpi il 25 feb 2010 n 8
***
Avvertenza
preliminare: si tratta di usanze del nostro dialetto un
tempo molto diffuse, oggi (per fortuna) molto meno, anche perché c'è poco
scherzare, vista l'attuale diffusione di queste terribili malattie, che ci hanno
toccato tutti drammaticamente, quanto meno negli affetti e nelle amicizie.
Proprio perché queste frasi e modi di dire stanno scomparendo, era importante
farne un’annotazione nelle loro varie accezioni, soprattutto quelle che la straordinaria
“magia” del nostro dialetto inverte diametralmente di significato.
**
1965
- Scene dal film di Comencini "Il compagno Don Camillo”
Tutti
hanno visto e si ricordano il film del 1965 di Comencini "Il compagno
Don Camillo", che chiudeva la nota serie di Peppone e il prete della
bassa emiliana. A un certo punto della storia, per impedire al sindaco russo di
rientrare a casa, dopo una penosa e mutilata Traviata, e sorprendere don
Camillo assieme a un pope in attività religiose proibite dal regime, Peppone lo
sfida alla "gara della vodka". Il povero Peppone vince, ma ha bevuto
così tanto che si sente male. Quando Don Camillo finalmente torna, tenta di
svegliare un Peppone, quasi in coma etilico. Questi
apre a fatica gli occhi, e stravolto lo guarda fisso con odio, maledicendolo
con un memorabile: "Ch a t vèggna un caancher!!" e Don
Camillo pronto commenta: "Ahh! M'ha riconosciuto! Buon segno! "
Questa
breve prolusione serve per evidenziare come il dialetto delle nostre zone,
Carpi compresa, utilizzi una parola molto scomoda come caancher, che
oltre a significare una invettiva e una maledizione, serve anche per usi vari e
diversi. Il nostro dialetto riesce con la sua vivacità quasi a sdrammatizzare o
a modificare l’accezione principale di questa orrenda malattia, che tutti temiamo
più che mai. Dà, infatti, a questa parola, che normalmente si fa perfino fatica
a pronunciare, una pletora di significati particolari e addirittura anche
positivi.
L’uso della parola in un
passato recente era intenso, anche come fastidioso (alle orecchie altrui) intercalare,
oggi invece forse lo è molto meno. Ma nonostante la frequenza della pronuncia
di questo termine e la molteplicità di frasi usate, il lettore troverà un
inaspettato finale a sorpresa.
Innanzitutto al caancher
m. (= cancro o,
più dialettisticamente, cànchero) è uno degli elementi
caratteristici del discorre nel dialetto carpigiano e delle zone vicine. Anzi,
se uno dovesse pensare ad un simbolo del nostro dialetto parlato in tutta la
sua schiettezza e durezza del conversare, uno dei primi a venire in mente
sarebbe proprio questo termine. Punto nodale delle liti e delle discussioni,
auguraccio supremo di mali e sventure, invito perentorio ad andare al diavolo o
in posti simili, descrizione di un personaggio dalle particolari valenze … il
cànchero è presente in tutta una serie di frasi e locuzioni.
Le
espressioni fondamentali di questo infausto augurio sono:
Ch a t vèggna un caancher (= che ti venga un
cànchero).
Ch a t gniss un caancher (= che ti venisse un cànchero).
A n t à da gniir un caancher (= non
ha da venirti un cànchero).
C'è
poi tutta una serie di varianti sul tema, come ad esempio:
Ch a t vèggna un caancher sècch (= che
ti venga un cànchero secco, nel senso di veloce).
Ch a t vèggna milla caancher (= che ti vengano
mille càncheri) [n.b. la parola in dialetto per "mille"
sarebbe mill, che in questo caso, in dialetto stretto, si trasforma
in un calcato milla].
Ch a t vèggna seintmilla caancher (= che ti vengano
centomila càncheri).
Ch a t vèggna un caancher ind al buuṡ dal cuul (= che
ti venga un cànchero nel buco del culo).
Tutte
queste espressioni possono essere usate con il verbo gniss al
posto di vèggna.
Esiste
poi una bellissima iperbole dialettale, che esprime il concetto elevato
all'ennesima potenza:
A n t à da gniir un mèel, che un caancher al t sìa d sòliéev (= non ha da venirti un mal, che un cànchero
ti sia di sollievo).
Barbara
Boselli (Carpi) ricorda che suo padre quando era veramente arrabbiato urlava: "Ch
a t vèggna un caancher sòtta ègl’unngi
di pée e dal maan!”
Se
una persona augura del male ad un'altra, si dice che al gh à giurèe
un caancher (gli ha
giurato un cànchero). Di due o più persone che hanno litigato pesantemente,
si dice che i s iin giurèe di caancher (= si sono giurate dei càncheri).
Ecco
poi una interessante annotazione storica suggerita da Franco Bizzoccoli, dove
l’auguraccio assume tutta la sua valenza pesantemente negativa: dall’aprile del
1945 e per vari mesi successivi, quando a Carpi si parlava dei tedeschi e dei
mongoli in rotta verso nord, si sentiva spesso ripetere questa maledizione
verso di loro: “Ch a gh vèggna un caancher lunngh a la vìa!” … lungo la strada
del ritorno.
**=M=**
Fin
qui siamo del normalità di un discorrere molto duro e certamente sgradevole. Ma
il nostro dialetto è davvero strambo e a volte augurare un cànchero è un modo
scherzoso per salutarsi tra amici, o è anche una esclamazione benigna per
qualcosa di sorprendente o inaspettato.
Talora
come massima contrapposizioni in termini: Ch
a v gniss un caancher vuol dire addirittura … vi voglio bene.
Oppure
con un inconsapevole ossimoro: “Óo, ch a t vèggna un caancher, cumma stèe t ? A t vèed bèin!”. Naturalmente
la mimica, la gestualità, il muoversi delle mani e l'espressione corporea
opportune, consentono la corretta interpretazione del significato, senza
lasciare spazio a spiacevoli equivoci.
Ecco
dunque alcuni esempi di trasformazione del significato della parola davvero
sbalorditivi e che portano all’esatto opposto il significato del termine.
La
parola cànchero può essere un complimento rude e poco raffinato per indicare
una persona furba o intelligente, o che ha raggiunto un risultato
importante: T ii pròopia un caancher! (Sei proprio un cànchero!).
Ma
può anche indicare un oggetto difettoso o inutile: Cal bagàai lè, l é
un caancher (Quella cosa
lì è un cànchero). Un caancher è dunque un oggetto
generico, non meglio definito o definibile, oppure qualcosa di cui non ci si
ricorda o non si sa il nome o non lo si vuol dire; è sinonimo di bagàai. In questi casi può comparire il
femminile caancra (= cànchera).
L'
armeggiare per lungo tempo nel fare o aggiustare qualcosa, specie se con
risultato negativo, si dice scancrèer (scancherare); ad esempio: Al
gh à scancrèe atàach trée óori bòuni (Ci ha lavorato attorno per tre ore buone).
Viene
anche in mente la leggenda del "Magalasso", un enorme biscione di sei
metri che, in altri tempi, terrorizzò il modenese, cantata qualche anno fa dai
Modena City Ramblers con Paolo Rossi col il pezzo intitolato "La Fòola dal Magalàas". Nel testo si
definisce l'improbabile, ma pauroso rettile, in questo modo: "L è néegher
cóome un caancher, l è catìiv e l è (a)rabìi " (E' nero come un
canchero, è cattivo, è arrabbiato).
Bè, la fòola la riiva
a Sasóol, a Vgnóola Beh, la storia arriva a Sassuolo e
Vignola
a Chèerp e Suléera,
in tutt al Mudnéeṡ a Carpi, a Soliera e in tutto il
Modenese
la giinta la scaapa,
la sèera butéega La gente scappa, chiude bottega
**=M=**
Accade
dunque, come abbiamo potuto constatare, che anche nel nostro dialetto, così
come in tutte le lingue, una parola non serva più al suo uso originario e che
il temine non venga usato per indicare l'omonima patologia. Ma, in conclusione,
bisogna notare sorprendentemente e nonostante l’uso smodato, che, con quel
pudore lessicale usato spesso per alleviare significati dolorosi di una triste
circostanza, la malattia, quando c’è veramente in tutta la sua devastante
realtà, viene chiamata con un eufemismo: un brutt mèel !!!
(un brutto male).
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