prima stesura 8 dic 2009 V326 del 28-10-2014
Nòmm, cugnòmm
e paatria
Trattatello di cognomica carpigiana
Personalizzazioni e cognomizzazioni
nel dialetto carpigiano e dintorni
di Mauro
D’Orazi
**=M=**
con ricco dizionario di
cognomi e nomi
in dialetto di Graziano Malagoli
Norme di trascrizione
Graziano Malagoli
autore, assieme a Anna Maria Ori, del “Dizionario del dialetto carpigiano - 2011, ha
curato il coordinamento complessivo del testo, la grafia delle frasi e delle
parole in dialetto secondo le Norme di trascrizione, finalmente codificate, per
la stesura del dizionario stesso.
Graziano Malagoli,
Anna Maria Ori, Giliola Pivetti e Luisa Pivetti hanno contributo alla revisione
del testo e della sintassi.
Le Norme di trascrizione adottate sono quelle di pag. XXII del
“Dizionario del dialetto carpigiano - 2011” di cui, qui di seguito, si riporta il
testo integrale.
“Il vocabolario adotta una trascrizione delle voci e
della fraseologia modellata sulla grafia italiana, seguendo una tradizione
lessicografica che ha quasi sempre impiegato adattamenti a tale grafia. In
particolare, si segue il sistema di trascrizione semplificato messo a punto
dalla Rivista italiana di dialettologia. Lingue dialetti società.
Le vocali i, a, u sono rese come in italiano,
mentre la pronuncia aperta di e, o è indicata con un accento
grave, la pronuncia chiusa con uno acuto; il fenomeno della lunghezza vocalica
è particolarmente marcato nel carpigiano e per indicarla si è scelto di
ripetere la vocale, sprovvista di accento, onde evitare l’accumulo di segni
diacritici sovrapposti, come – nella tradizione – il circonflesso o il
trattino: bièeva, butéer, fagòot, arióoṡ (e così
per i, a, u: sintìir, cavàal, futùu). Le vocali è,
é, ò, ó sono distinte solo sotto accento, mentre in posizione atona sono
segnate e, o.
L’accentazione si indica con l’accento grave, salvo
i casi citati di é, ó (dove tale accento denota anche la chiusura
della vocale), quindi ì, ù, à: ad es. scarnìcc’, fisù, bacalà.
Di norma, per semplicità, non si accentano le parole
piane (ad es. bussta), ma soltanto quelle che hanno l’accento
sull’ultima (arvùcc’) e sulla terzultima sillaba (ṡàberia); allo
stesso modo, di norma (escluse alcune forme verbali come dà, fà, dì) non
si accentano le parole monosillabiche (csa, al), a meno che contengano é,
ò accentati per indicare la qualità aperta o chiusa (mé, èl, bòll).
Per indicare sempre con sicurezza le semivocali,
senza complicare la grafia con segni estranei al sistema italiano (ad es.
usando j), si avverte che, nella parola, i, u a contatto con
vocale hanno valore di semivocali, in caso contrario recano l’accento (mìa,
tùa).
Sono rese come in italiano le consonanti p, b, t,
d, m, n, r, l, v, f. Per le palatali e le velari si adottano le norme
grafiche italiane. Le affricate palatali sono indicate con c, g davanti
a e, i: ad es. ducèer, bòocia; con ci, gi davanti
ad a, o, u: ad es. ciàapa, baciòoch, paciùugh, gianèin,
giocaatol, argiulìi; con c’, g’ davanti a consonante e in
fine di parola: ad es. òoc’, curàag’. Le occlusive velari vengono
indicate con c, g davanti ad a, o, u: ad es. catèer, còpp,
cun, galupèer, góob, guàast, (tuttavia – questa volta in
ossequio alla
tradizione – si è usato il segno q per aaqua,
daquèer e simili); con ch, gh davanti ad e, i, di norma
davanti a consonante e in fine di parola: ad es. bachètta, bèech,
béegh, sanghnèer, stanghèer, lèegh, liigh, brighèer.
Per quanto riguarda le sibilanti dentali, come è noto l’italiano non distingue
graficamente tra sorda e sonora: seguendo l’esempio di alcuni vocabolari
nazionali, indichiamo con s la sorda e con ṡ
la sonora: ad es. baṡèer.
La laterale palatale è resa con gli davanti ad e,
a, o, u: ad es. striglièer, butigglia, manigliòun; con
gl davanti ad i e in fine di parola: ad es. ègl’idèi.
Quanto alle nasali, abbiamo – oltre a m, n – la palatale gn,
tutte rese come in italiano, anche in finale di parola: ad es. fuggna, paagn,
staagn.
Le consonanti intense vengono indicate, come in
italiano, mediante il raddoppiamento della consonante semplice: ad es. bagaiètt,
aluminni; in caso di digrammi, come in un paio di esempi già visti (butigglia, fuggna),
viene raddoppiata soltanto la prima lettera.
Infine, quando un nesso grafico non
rappresenta un unico suono, ma la successione dei suoni indicati dalle singole
lettere, esso viene sciolto con l’inserzione di un trattino: ad es. s-ciòop,
s-ciafòun, s-ciflèer.”
Tabella per facilitare
la lettura
a a come in
italiano vacca
aa pronuncia
allungata laat, scaat,
caana
è e aperta (come in dieci) martedè, sèccia, scarèssa,
panètt, panèin
èe e aperta e
prolungata andèer,
regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa
(come in regno) méi, mé
ée e chiusa e
prolungata véeder, créedit,
pée
i i come in italiano bissa, dì
ii i
prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o aperta
(come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o aperta e
prolungata scartòos,
scatlòot, malòoch, tròop
ó o
chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o
chiusa e prolungata vóolpa,
casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in
italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u
prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce
(come in ciao) vèec’
, òoc’
cc’ c dolce e
intensa (come in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura
(come in chiodo) ṡbòcch,
spaach, stècch
g’ g dolce
(come in gelo) curàag’,
alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e
intensa (come in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g dura
(come in ghiro) ṡbrèegh,
siigh
s s sorda
(come in suono) sèmmper,
sòol, siira
ṡ s sonora
(come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
Nòmm, cugnòmm e paatria
Il
titolo è stato molto opportunamente suggerito
dal mio compagno di liceo dr Mario Martinelli - valente
medico e scrittore.
Trattatello di cognomica carpigiana
di Mauro D’Orazi
Dedicato a quattro grandi donne
Giuseppina Bertolazzi, Anna
Bulgarelli, Franca Camurri
e Jolanda Battini
Parti del testo sono
state pubblicate inizialmente
su Voce di Carpi n 48
del 23-12-2009.
Questa fu la mia
prima ricerca sul dialetto carpigiano del dicembre 2009; da allora il testo è
stato arricchito e perfezionato centinaia di volte con il contributo di tanti
appassionati.
In gran parte è poi stato
inserito, come “super capitolo”,
nel mio libro La
Ruscaroola èd Chèerp DUE del maggio 2014
***
Nomi e cognomi
L'esimia
Enciclopedia Treccani ci ricorda che il sistema onomastico italiano e del mondo
occidentale è fondato sul nome e sul cognome
Il
sistema romano era a tre nomi (Gaio Giulio Cesare - prenome; nome,
corrispondente al nome della famiglia; cognome, in origine un soprannome, poi
diventato ereditario.
Questo
sistema entrò in crisi nel tardo Impero quando si diffuse un nome unico, spesso
completamente nuovo, in parte d'ispirazione cristiana (come Renatus, cioè
"nato a nuova vita" dopo aver ricevuto il battesimo), più tardi di
formazione germanica (per es. Alberto, formato di due elementi che vogliono
dire rispettivamente "tutto" e "glorioso", quindi
"ricco di gloria"). In seguito, i nomi tendono sempre più a
ripetersi: nell'11° sec. l'onomastica, la tecnica del denominare, s'impoverì e
svolse male la funzione di distinguere i vari individui di una società.
Nacquero allora, in Italia e altrove, molti soprannomi che si aggiunsero al
nome per definirlo. Ebbe così origine, a poco a poco, il sistema moderno: i
nomi aggiunti nel Medioevo si fissarono come nomi di famiglia e furono la base
dei vari cognomi.
Nome e cognome o cognome e nome?
Un
giorno si presentò a Giosuè Carducci, quando era docente universitario a
Bologna, uno studente, pregandolo di volergli firmare il libretto di frequenza.
“Come si chiama lei?”, gli domandò il Poeta. E quello, timidamente, “Rossi
Arturo”. Bruscamente, quasi sgarbatamente, il Carducci gli restituì il libretto
senza neppure aprirlo: “Le farò la firma quando avrà imparato a dire
correttamente il suo nome!”. Lo studente guardò il professore con aria
interrogativa. E il Carducci, ancor più severo: “Per sua regola, si dice e si
scrive sempre il nome prima del cognome. L’eccezione è ammessa solo in caso di
necessità alfabetiche!”. E il libretto non fu firmato.
La
norma tradizionale della nostra lingua vuole il nome collocato sempre prima del
cognome. Qualcuno obietterà: e che male c’è a mettere prima il cognome e poi il
nome? L’unica risposta possibile è questa: qui non si tratta di una regola
trasgredendo la quale si commette un errore, ma di un uso diventato norma
comunemente accettata, e che non c’è ragione per non rispettare.
Volendo,
c’è anche una ragione pratica per attenerci alla sequenza “nome più cognome”:
se mi presentano Alberto Bruno, e la regola non si rispetta, non saprò mai
quale sia il nome e quale il cognome di questo signore; e se mi scrive Rosina
Alessio potrei restare a lungo nel dubbio se si tratti di un uomo o di una
donna.
Tutto
questo naturalmente non vale quando c’è la necessità di un allineamento per
ordine alfabetico, che ovviamente privilegia il cognome: un registro scolastico,
l’elenco dei promossi, dei vincitori di un concorso eccetera.
Anche
nei manifesti teatrali, e nei titoli di testa o di coda dei film, al momento
degli “E con (in ordine alfabetico):...”, pur essendo gli attori messi in fila
secondo l’iniziale del cognome, vedremo scritti prima i loro nomi di battesimo.
L’eccezione, dettata da una scelta poetica, furono i titoli di coda del
capolavoro di Ermanno Olmi: “L’albero degli zoccoli”. Qui i nomi di personaggi
e interpreti scorrevano con il cognome davanti al nome, come in un severo
elenco anagrafico. Questo perché i personaggi erano poveri contadini d’altri
tempi, abituati a declinare le proprie generalità con il cappello in mano e
sempre con un po’ di soggezione.
A Carpi
Anche
i dialetti sono interessati a pieno a questa importante tematica, legata
strettamente all’individuo. Nel dialetto carpigiano, ma anche in quelli delle
città e paesi circostanti, esistono interessanti e divertenti modi verbali che,
citando persone immaginarie, immaginifiche o forse realmente esistite nei
secoli scorsi, evocano simbolicamente particolari situazioni. Tale simpatica
pratica trova anche una sua autorevole certificazione storica nel motto latino
di Tito Plauto: “Nomen est omen “ o anche più in sintesi “Nomen omen“, a
significare che già nel nome o nel cognome di una persona si racchiude un
presagio o il suo stesso destino o, più semplicemente, una sua qualità o
difetto, un vizio o una virtù. Parimenti evocare il nome di particolari e
strani personaggi sopra le righe, ben conosciuti da tutti nella ristretta
comunità del passato, oppure di noti luoghi di lavoro, significava trasmettere
con immediatezza un loro modo di essere o di vivere, che poteva essere preso ad
esempio per circostanze nelle quali chiunque si poteva imbattere o essere
coinvolto nella vita di tutti i giorni.
Wikipedia
ci ricorda che i Romani ritenevano che nel nome della persona fosse indicato il
suo destino; bisogna annotare molto brevemente che presso i latini il prenome dato alla nascita non aveva
significato sociale, il nome e il cognome venivano invece ereditati dal
padre, ma il cognome e l'agnome (cioè soprannome noto tipo Scipione “l’Africano”) potevano essere dati dalla
gente.
Oggi
la locuzione latina è usata quasi sempre come una accezione sarcastica, quando nel nome, o nel cognome,
della persona è ravvisabile un significato negativo inserito in un contesto di
critica.
In
questa sede non mi soffermerò sugli scutmàai, tipici soprannomi
carpigiani; la materia è stata già trattata anni fa da Attilio Sacchetti in
modo completo ed esaustivo, ma della “personalizzazione”
di alcuni cognomi o nomi.
Nel
nostro dialetto esiste questa pungente, caustica e divertente figura
dialettica, spesso... appunto... negativa... , ma non sempre tale, che unisce
genericamente particolari tipi di situazioni o loro esiti a nomi o cognomi.
Espressioni oggi tutto sommato poco note e che tendono a sprofondare
nell’oblio, come gran parte delle più belle sfumature del nostro dialetto.
Prima che vadano perse per sempre, proviamo a ricordarne qualcuna (ho aggiunto
anche qualche simpatico aneddoto che mi sembra di tematica inerente).
Abbiamo
dunque, e non di rado, fenomeni di “cognomizzazione” generica – quindi di
personalizzazione astratta – di sostantivi, aggettivi, verbi dialettali che
indicano fatti, situazioni personali, caratteristiche fisiche. Questa
cognomizzazione avviene per assonanza.
Anticipo
brevemente alcuni casi: “balùugh” (strabico) diventa
Ballugani; “muntèer su ” – verbo gergale dialettale che significa
“arrabbiarsi” “adirarsi”, diventa “Montorsi”; ecc …
Vi
è poi la cognomizzazione “concreta” di una situazione, di una condizione con
preciso riferimento ad una vera, reale persona fisica che ne rappresenta il
prototipo.
Ad
esempio: “Nicudèel” e “Nicudée” al plurale (scutmàai
di Barbieri Olivo) il più grosso possidente agrario di Carpi dei primi
del ‘900 - quindi sinonimo di grande ricchezza; idem “Palòoti”, l’ingegner
Pallotti, bolognese ricchissimo proprietario.
**0**
Ecco,
più sotto, elencati una corposa serie di gustosi esempi, che gradualmente
stanno arricchendo questa raccolta, che inizialmente doveva essere di due sole
facciate, ma che col passare del tempo ha raggiunto una dimensione consistente,
grazie al cospicuo contributo entusiasta e divertito dei numerosi carpigiani
contattati.
Spesso
queste frasi sono pesantemente maleducate, scorrette, indelicate, spietate,
crude, grevi, ma tali erano e sono nel sentimento e nel parlato di
questa città e quindi dobbiamo prenderne atto con tolleranza cognitiva, come
uno spontaneo prodotto della “Vox Populi”… e quel che segue.
Quindi
per quanto riguarda la pesantezza e la scorrettezza di certe espressioni
dialettali... esse sono così e devono essere riportate così per correttezza
"filologica e scientifica"; non è che si possa fare i censori (un
ruolo che ho sempre aborrito) e per di più a posteriori. Non dimentichiamoci
che il nostro passato era povero, contadino, sessista e duro: bisogna prenderne
atto e basta, senza moralismi.
Occorre
anche sottolineare molto chiaramente che ci troviamo in un campo dove NON esistono verità assolute. Quando
ci sono versioni diverse... vengono inserite tutte citando le fonti. In
questo ambito esiste sì una verità iniziale, ma essa col tempo può essere stata
modificata e stravolta dall'uso effettivo: se tizio riportò una frase
sbagliata (o con il senso impreciso) in una osteria o in un bar e questa
divenne luogo comune, nel senso errato, tale nuova accezione un po' alla volta
si è trasformata essa stessa in "una nuova verità", almeno in quel
particolare microcosmo.
Le
mie osservazioni appena descritte si possono riassumere con questa frase che dà
un’idea esatta della situazione: òogni ca la gh à la sò risèeta pèr fèer al
gnòoch fritt e i caplètt. – ogni
casa ha la sua ricetta per fare il gnocco fritto e i cappelletti. E sinceramente debbo dire ho
assaggiato tante cose buone, ma non ho ancora trovato due cose cucinate in modo
identiche. Ma … questo è proprio il bello … del gnocco fritto e dei
cappelletti.
Per
questi motivi ho deciso di non preoccuparmi più di tanto, dato che non sono le
verità a essere relative, ma sono la relatività, la relazione, a essere sempre
presenti nelle cose.
Quando
mi sono capitate sott’occhio frasi e modi di dire particolarmente interessanti
provenienti da comuni vicini a Carpi relativi a queste tematiche, li ho
riportate senza indugio, ritendo che si trattasse di materiale comunque
interessante, degno di nota e di essere conosciuto, se non altro per raffronti e
comparazioni.
Se
qualche mio concittadino iper iper-DOC, malato di super ego di presunta
superiorità e spocchia carpigiana, dovesse fare il naso storto e avere principi
di svenimento su tali “allargamenti”, ha due soluzioni: o salta il paragrafo, o
cessa la lettura. Bòon viàaṡ!
**0**
Una
nota che vale per quasi tutti gli esempi. È inutile chiedersi il perché
specifico di questi modi dire. Essi nascevano in epoche dove i media non
c’erano, denaro per i divertimenti … neppure. Solo la parola era gratis ed era
normale che la gente si confrontasse in questo campo, dando libero sfogo alla
fantasia con ironia, arguzie, facezie, prese in giro, ecc … anche da duu
sòold, se si vuole. Ma non era la qualità del dire che contava, ma il
dire stesso che rappresentava un importante aspetto di vita sociale e di
relazione.
Nulla
sfuggiva del … prossimo e del meno prossimo. E tutto veniva socializzato senza
troppa pietà, indulgenza o comprensione. Anzi … !
Il
“politically correct” era ben al di là da venire.
Ormai
non sapremo più chi erano, se effettivamente sono esistiti, … Bassoli Alfredo o
Scarselli Amilcare, protagonisti di paio delle tante frasi che riporterò in
questa ricerca. Ma che importa?
Primo numero unico satirico, appena finita la guerra.
La gambaróola del 25 luglio 1945 – Pubblicità
della Ditta Scarselli
L’aspetto
che davvero contava era il gusto rituale dalla battuta, dello sfottò, della
rima obbligata. Microscopiche recite, ripetute cento, mille, infinite volte, ma
che immancabilmente portavano al sorriso, nonostante il loro contenuto trito e
scontatissimo, prevedibile e previsto, banale e dozzinale.
Sotto,
infatti, c’era sottinteso e condiviso, unico e prezioso un substrato di
decenni, talora di secoli, di intima e genuina carpigianità.
Tanti
amici e amiche ce la stanno mettendo tutta, perché tutto questo non scompaia e
per quanto possibile venga tramandato.
Impresa
vana ? Non direi! E comunque ostinatamente ci proviamo lo stesso.
**00**
Cognomizzazioni carpigiane
*
Di fronte a una domanda circa una situazione povera di risultati apprezzabili o
con forte carenza di mezzi economici, fisici o materiali, ci si sentirà
rispondere... “Bassoli!” … o “Bassoli Alfredo!”... il tutto accompagnato
da un significativo movimento di una mano verso terra.
Si
può riferire anche al posteriore di una persona che è collocato dalla natura
matrigna in una posizione ad altezza … contenuta. Stiamo parlando del classico cuul
baas.
*
per indicare una circostanza che presenta estrema penuria di risorse o per
indicare persone non proprio propense ad allargare i cordoni della borsa, si
pronuncia … “Scarselli!”... oppure... “Scarselli Amilcare!”...
*
di persona pesante a sopportarsi, una borsa … insomma ! Si potrà dire... “Borsaari
!” oppure “L è un bèel Borsaari !” .
Bóorsa e Borsaari
*
con assai poca delicatezza una persona strabica può essere nominata con uno
spietato “Balugaani “; intuitivi “Beviini”, per una persona che ha
sviluppata inclinazione per vino e alcolici, e “Falsètti” per uno che
difficilmente dice la verità; a corredo si potrebbe aggiungere la frase “Al ne
diiṡ la veritèe, gnaanch al dutóor!” … “ Non dice la verità nemmeno al
suo medico che lo ha in cura !”;
*
“T
ii pròopria un Braghiròol(i) ! “ … “ Sei proprio un Braghiroli !” da braghéer
che significa essere curiosi delle cose degli altri, impiccioni e
pettegoli; secondo Parmeggiani si tratta di una cognomizzazione e quindi una
personalizzazione per esteso a individuo talvolta indisponente e
fastidioso dell'epiteto dialettale braghéer (curioso, ficcanaso)
che, secondo i nostri linguisti più accreditati pare sia dovuto ad
assimilazione e accomodamento lessicale dal francese blaguer (motteggiare),
con caduta e adozione di consonante liquida più dura, dovuta forse a
manifesto spregio verso la soldataglia transalpina durante l’occupazione
francese del nostro antico principato nel secolo di Lumi;
*
di persona molto permalosa, incline ad arrabbiarsi improvvisamente, cioè a
"muntèer su", si potrà dire" Éhi, Montóorsi! ";
* sempre per indicare
delle persone permalose e che si inalberano facilmente si può loro affibbiare
il soprannome di… Montini;
*
esiste a Carpi una strana categoria di personaggi denominati arvèers
(rovesci), gente non conformista e che detesta le cose che vanno bene alla
maggioranza delle persone. Io mi onoro di fare parte di questa categoria. Anche
qui è normale sentirsi appellare con bel … “Vèe Rovèersi! Mètt
èt mò chiéet !” (“Oh
Roversi, mettiti tranquillo !”). A
proposito dei Roversi / arvèers vale
la pena di ricordare un gustoso aneddoto che dà un senso alla carpigianità.
Anni fa in una assemblea di uno dei tre club con piscina di Carpi si discuteva
della costruzione di nuovi spogliatoi, con una spesa prevista di alcune decine
di milioni di lire. I presenti, quasi cento soci, ascoltavano pazientemente il
presidente che illustra i motivi che giustificano la nuova opera muratoria e
soprattutto la spesa di una certa consistenza. “ … Gli spogliatoi esistenti hanno un po' di problemi e il
riscaldamento non funziona benissimo. Il nuovo e moderno edificio andrà a
vantaggio dei numerosi atleti ospiti, ma anche dei soci, naturalmente. Il tutto
si concretizzerà in un beneficio del confort e dell'immagine del club. … “
Dopo
numerosi interventi favorevoli, un socio, SOLO UN SOCIO, si dichiarò fermamente
contrario allo spogliatoio e all'impegno finanziario. " S a viin dla giint da
fóora (se viene della gente da fuori) - disse – i s faràan pò la dòccia cun
l'aaqua frèdda (si faranno la doccia con l’acqua fredda). A
nn è màai mòort nisùun !!! (Non è mai morto nessuno)". L'opinione
del tizio era granitica e le ragioni del suo NO furono espresse e reiterate in
una lunga polemica che si concretizzò in una accesa discussione di oltre
un'ora, durante la quale molti dei presenti con interventi pieni di moderazione
e buon senso confermavano la positività della scelta.
Ma
a un certo punto la polemica salì di tono e, al termine dell'ultima intemerata,
decine di occhi, pieni di compatimento e di impazienza, guardavano con una
certa pena e fastidio il solo pervicace contrario.
Questi,
con gli occhi fuori dalla testa, si alzò allora di scatto e indicando col dito
roteante e minaccioso TUTTI i presenti in sala, urlò:
"Savìi
v ’sa v ò da diir? (Sapete cosa ho da dirvi ?).... A sii TUTT di ARVÈERS !!!!!" E uscì DA SOLO dalla sala …
*
ancora in tema la fantomatica ditta "Arbaltati
& C.", per indicare un arvèers
o meglio in questo caso un arbaltèe
(sempre sul concetto del “rovesciato” o anche di umore nerissimo), con una
frase tipo … " Mò vè chi gh è … Arbaltaati & C.!" .
* L è un Mattioli o un Matteotti,
per dare del matto a una persona. Quando una donna (di ogni età) si dimostra
nei suoi atteggiamenti di vita un po’ stramba, la si può apostrofare con: “ L’è
’na Matillde!”, dove il nome
femminile naturalmente richiama l’assonanza con … matta;
*l è
‘na Barufàaldi! (è una Baruffaldi); ci si riferisce a una persona, più
spesso una donna, che nelle vicende della sua vita, anche le più semplici, crea
sempre complicazioni, “casini”, incomprensioni, liti che normalmente potrebbero
essere evitate;
*
di una persona non certo avvenente si può dire … “A nn
é gnaanch parèint cun Blòot! ”
… ”Non è nemmeno
parente con Bellotti! ”; sempre con lo stesso significato,
autoironico … “ A n suun né bèel, né brutt … a suun Blòot!” … “ Non sono né bello, né brutto … sono
Bellotti!”;
* quando uno non più fresco di età,
si atteggia a comportamenti troppo giovanili, tanto da essere ridicolo … “Al
vóol fèer al Giovanòoli!”
* Óo òccio …Urbiini! Il cognome Urbini, che certo deriva dalla città
marchigiana, qui viene utilizzato nella sua assonanza con orbo, nel senso di
uno che ci vede poco;
* T ii un bèel Pivètti o Pivètta o … ‘na Piiva. Essere una
“piva” con l’aggravante anche di “muntanèera” significa essere una
persona noiosa, così come lo è certamente il suono monotono di un simile
strumento a fiato;
* Óo
Tòoni Cuurtis! Ecco una citazione particolare per il nome dell’attore
americano di Tony Curtis, impiegato,
con tanto di appropriata esclamazione, all’uso carpigiano delle
cognomizzazioni, per indicare la qualità negativa di una certa persona, in
questo caso … avara e poco propensa ad allungare il braccino per effettuare
pagamenti di qualsivoglia genere o entità (avéer al braas cuurt);
L’avaro, la pèela cun al braas cuurt
*
nel sito web “Chèerp in dialètt”, di
anonimo irraggiungibile, troviamo questa interessante e pregevole annotazione
di un modo di dire certamente antico che il misterioso autore sentiva
pronunciare dalla nonna… Ṡgarblèeda è un termine per indicare uno che ha una brutta faccia. Deriva da
un certo Don Sgarbi, un prete molto
intelligente e colto, ma di notevole bruttezza. In particolare si sentiva il
termine ṡgarblèe riferito a persone con gli occhi, e a volte anche le
guance, cadenti: ṡgarblèer i òoc’ , è l'azione di tirare giù la parte inferiore
degli occhi, ad esempio per fare brutte facce per scherzo. Dunque parola ṡgarblèe
deve le sue origini al cognome Sgarbi. Sembra infatti che Don Sgarbi fosse un
prete di Carpi, della parrocchia di San Francesco nella prima metà del ‘900.
Questo prevosto era talmente brutt ch al
gh iiva la tèesta ch la pariiva un sedròun (che aveva la testa che sembrava
un cetriolo). Tutt i giiven ch al gh
aviiva duu servée (tutti dicevano che aveva due cervelli) e che difaati l éera dimònndi inteligìint (difatti
era molto intelligente). Quindi da allora una persona molto brutta si dice ṡgarblèeda,
cioè fatta male come Don Sgarbi;
Secondo
Graziano Malagoli siamo però di fronte a una leggenda di stampo antico, che
anch’egli ebbe modo di sentire in relazione a questo prete.
Il
termine Ṡgarblèe è tradotto sia da Lepri, nel suo dizionario bolognese,
che da Bellei, in quello modenese, con “scerpellato”. Un’accezione presente
anche in vari dizionari italiani, cioè con le palpebre rovesciate e gli occhi
arrossati, quindi le guance non c’entrano. Con lo stesso significato è stato
ripreso nel dizionario del dialetto carpigiano.
*
“Zucchètti!” dalla ditta di biancheria, per indicare simpaticamente
persone un po’ dure di comprendonio;
Zucca e zucchine
*
“ Bugatti! ” dal nome della famosissima marca di auto, per indicare un
oggetto falso (farlòoch) o una
situazione economica compromessa che non consentiva pagamenti di debiti;
*
“ Finètti ” per indicare una persona di modi
fini, molto più spesso per indicare con ironia l’esatto contrario;
Bud Spencer e Terence Hill rozzamente alle prese con un piatto di
fagioli
*
“L
è un Barufaaldi !” individua persona furbastra che semina zizzania e si
diverte a provocare liti o baruffe;
*
il dialetto sembra morto o malato grave irreversibile, però quando c’è e lo si
parla, per assurdo, … vive, si modifica, produce qualche novità; ecco un
recente “Botticelli” per indicare
una persona in carne, con ovvia derivazione dal nome del sommo pittore Sandro
Botticelli (1445 - 1510);
Botticelli
*
“Tirabaasi”
o anche “óo Tirabàas! Chi gh à bòun Tìira! “ epiteti giocosi espressi
talvolta ad alta voce, e alla lontana, all'indirizzo di un amico visto e
salutato di sfuggita, mentre se la correva in bicicletta in qualche luogo.
Il
richiamo assumeva forma di icastico e quasi fraterno saluto a coloro di cui,
per esaurimento dovuto alla troppa pratica dei lombi o per avvenuta
complicazione prostatica, si supponeva una forte "diminutio", se non
addirittura una perdita totale, dell'impeto e della potenza virile nelle
pratiche sessuali e quindi confinato, per la parte, interessata,
all'obbedienza, suo malgrado, delle dure leggi della gravitazione universale.
*”Tardiini!” quando uno non arriva mai puntuale.
*
Quando una canzone, la scena di un film o una intervista viene interrotta
bruscamente a metà di una parola si esclama... “Taiòoli !! “… citando il
cognome di un noto cantante (Luciano Taioli) fin troppo melodico degli anni
’50.
*
Quando una persona ha il cervello un po’ decotto: “Óo … Fuṡaari ! che sta a
indicare il cervello … fuso.
*
“Vèe
… Puciini, tiin al maan a ca tùa!” … “Ohh Puccini, tieni le mani a casa
tua!” Si scomoda niente meno che il noto compositore melodrammatico, però come
affinità con verbo “pucciare”, nel senso di intingere o anche fare la
scarpetta.
La
frase viene pronunciata anche contro chi, parlando gesticola e tocca in continuazione
e fastidiosamente l’interlocutore ..
Oppure
quando, golosamente e senza ritegno, il vicino di mensa viene sempre a
scuriosare e ad assaggiare nel tuo piatto (a ṡnaṡuplèer ind al tó piàat, in manéera
sprudintèeda): fammi sentire questo, fammi sentire quell’altro.
*
’Sa dii t
Bumbèerda? Cosa dici Bombarda ? Detto di ballista patentato aduso a raccontarle
grosse.
Bombarda medioevale
* salutando la donna di un amico, qualcuno si è
lasciato andare ad un abbraccio un po’ troppo accalorato: “Óoo mètt èt chiéet... Tochiigno! Ṡò
al maan da la mobillia!”
Mettiti quieto Toquinho (dal nome del noto cantautore brasiliano).
Giù le mani dalla mobilia! Quando uno tocca oltre il
lecito.
**
*
Curiosa è poi la quadruplice interpretazione del cognome Salvarani.
Infatti se lo consideriamo in un ambito dialettale e lo accompagniamo a con un
bel punto interrogativo … Salvaraani? …ecco che simpaticamente
potrà essere tradotto in S alvaraani? Si alzeranno? … oppure
in senso salvifico in S salvaraani? Si salveranno? … ancora Saalva raani? Salva le rane ? … S al
va a raani, se va a rane, che dalle nostre parti ha un significato
curioso di andare al diavolo o in giro a perdere tempo con attività o cose di
valore inesistente. Infine: Salvaraani … al né va mìa a pèss …
un gioco di parole che si basa sulla battuta: colui che dice forse domani
mattina presto mi alzerò, poi difficilmente si leverà dal letto per andare a
pescare.
**
*Degni di nota sono anche questi giochi di parole sui
cognomi Savani e Savoia.
’Sa vaan i faat … Savaani? e ’Sa v òo ia faat … Savòoia? Cosa vi
hanno fatto Savani? Cosa vi ho fatto Savoia?
*
A
gh éera cal vcètt ch
al giiva: "A staagh bèin, fin che Curadèin al tiin a bòota!” C’era un vecchietto che
diceva: “Sto bene, finché il cuore tiene a botta!” Una eccezionale derivazione
dal latino … cor, cordis = cuore.
* ’S a m còunt èt... Segantiini ? o Manetti & Roberts ?
Cosa mi racconti … ? Dove Segantino non è certo il pittore, Manetti non è la
ditta produttrice del Borotalco.
*La calma è la virtù dei Forti e la fruuta l'è da Ṡelòochi. La frase è un gustoso nonsense
carpigiano e si riferisce a due conosciute e prestigiose famiglie di Carpi del
secolo scorso che entrambe commerciavano in frutta. Gli Zelocchi avevano un
importante ingrosso, in funzione anche oggi, fra viale Ariosto e la linea
ferrovia, una sede molto comoda per ricevere la merce, ad esempio la frutta
secca.
1914 Pubblicità della Ditta Forti
La
sig.ra Rina Forti, recentemente scomparsa nel 2012, moglie di Novello Benatti e
madre di Franco, era amica di gioventù di mia madre.
*L'è 'na Lia Ṡopèeli. É una Lia Zoppelli. Si prende a riferimento una brava e
brillante attrice del secolo passato per indicare che un certa donna la
mèerca un pòo cun 'na gaamba, cioè zoppica leggermente.
1960 Lia Zoppelli (1920 - 1988)
*L'è 'na Balabéeni, mò l'è un pòo sòopa. È una Ballabeni, un cognome in
teoria adatto a una provetta ballerina, ma è... claudicante. Anche in questo
caso l'humus corrosivo di cui è intriso il nostro dialetto si dimostra più che
mai impietoso;
*
negli anni ‘50 a gh èera un ch al gnìiva a l'Usterióola e al ciapèeva dal baali òorbi:
il ciamevèen Dondoliini! (c’era uno che frequentava l’Osteriola e
prendeva delle balle orbe: per il suo procedere insicuro lo chiamavano
Dondolini;
**=M=**
*
Gavióol è un cognome padano molto diffuso anche a Carpi.
La
parola gavióol nel dialetto carpigiano, ma anche nelle zone vicine,
viene spesso viene usata, oltre che per un grosso e nodoso bastone con cui
randellare qualche fastidioso malcapitato, come sinonimo di organo sessuale
maschile proprio per la forma del pezzo di legno.
Ci
sono poi i verbi derivati ṡgaviulèer e ancor più ingaviulèer
stanno a significare rapporti sessuali molto focosi e decisi, con
prestazioni maschili rigide, consistenti e durature, tali da potersene di
solito vantare con gli amici al bar o in compagnia, con narrazioni eroiche e
sesquipedali.
Il
monsignor Francesco Gavioli, originario di Villafranca di Medolla, di cui la
biblioteca di Mirandola ha ereditato una notevole raccolta di documenti e
materiale cartaceo, ci suggerisce che l'origine del nome potrebbe derivare dal gavio.
Ruote di legno a quattro e a sei gavi
Il gavio, oltre che simboleggiare nel
volgare l'organo maschile, era uno dei segmenti in legno rotondi che incastrati
l'uno nell'altro davano la circonferenza della ruota dei carri. Di norma erano
da quattro a sei segmenti. Andavano tenuti insieme con il supporto del ferro
esterno circolare scaldato, e che una volta raffreddato comprimeva e teneva
bloccati i gavi.
dal Dizionario Niccolò Tommaseo ed. 1872
Questo
cognome è molto diffuso nel ferrarese, modenese, bolognese e mantovano. In
generale lo si trova un po’ dappertutto lungo la valle del Po, poiché i gavioli erano coloro che aggiustavano
le ruote dei carri agricoli che transitavano lungo le strade della Val Padana.
Un'altra
versione, sull'origine Gavioli, è stata raccolta da Celso Malaguti sul
periodico “Piazza Verdi” di Finale Emilia:
“È un cognome tipico della zona che comprende il veronese, il
mantovano, il modenese, il bolognese, il ferrarese e il rodigino. È quindi
largamente attestato a Modena, a Carpi e così pure a Finale Emilia. Muove dal
personale medievale "Gaviulus", derivante dal nome proprio latino
"Gavius", potrebbe inoltre derivare dalla "Gens Gavia", ben
assestata nell'area mantovano-veronese. Ma è pure possibile che derivi
direttamente o tramite modificazioni dal termine germanico "gawi"
(villaggio, contrada). D'obbligo, per noi della Bassa, ricordare Monsignor
Francesco Gavioli, che negli anni in cui è stato parroco di Villafranca, ha
curato una ricchissima raccolta di libri e documenti, poi donati alla
Biblioteca Comunale di Mirandola. Di rilievo inoltre il suo successivo incarico
in qualità di archivista abbaziale a Nonantola.
La sterminata documentazione che il Monsignor Gavioli ha donato,
prima di morire, alla biblioteca mirandolese "Eugenio Garin" è nota
come Raccolta Gavioliana.”
**
A
proposito di Gavioli, ne accenna anche Franco Violi in “Cognomi a Modena e nel
Modenese” (2007 Ed Il Fiorino), a p. 101, dove è scritto: "... muove dal
person. "Gaviolus", documentato nel Chronicum Vulturnense, derivante
dal nome proprio latino "Gavius". Un "L. Gavius Severus
Mutina" è registrato nel Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 2375".
**=M=**
Uso dei cognomi nei modi di dire
Continuiamo
con numerose altre frasi con nomi e cognomi o appellativi di ditte e simili:
*
”Andèer
vèers i Vròuna” … (“Andare verso dove stanno i Veroni” o andare verso
casa). Locuzione carpigiana fra le più aperte alle interpretazioni. Secondo i
più informati sembra essere desunta da un antico detto di contadini che, giunti
a Carpi nel tardo pomeriggio per trascorre il loro tempo libero in gozzoviglie,
nel gioco delle carte o in altri loro affari, a sera inoltrata o a notte quasi
fatta, si esprimevano in tal modo nel consesso della compagnia con la quale si
erano attardati. Ciò per significare la loro volontà di ritornare in direzione
sud (versione di Franco Bizzoccoli) a casa per dormire, ovvero verso il podere
e l’abitazione (tuttora esistente) dei Veroni, situato verso Modena. Per il
talentoso scrittore carpigiano Carlo Alberto Parmeggiani il significato è
analogo, ma la direzione sarebbe a nord, verso Fossoli. Una ulteriore versione
ce la riferisce Graziano Malagoli: si tratterebbe di un luogo alla periferia
del paese; infatti a Cortile indicava una viuzza a nord del “centro” della
frazione.
Questa
frase è quella che mi ha dato più da fare per una corretta ricostruzione del
significato e dei riferimenti … tanto che la questione resta aperta. Unica cosa
certa è che sicuramente non significa andare verso Verona.
NON è questa la giusta interpretazione
Il
Parmeggiani osserva come Franco Bizzoccoli, nostromo, anarchico e libertario,
attore di una certa fama, memoria storica e arguto conoscitore di vicende
carpigiane, di solito contesta e rimprovera chi appoggia la provenienza
fossolese dell'espressione succitata, sostenendo con sogghigno e voce roca, che
la magione dei Veroni era ed è ancora situata nella parte a meridione della
nostra cittadina, e più precisamente sulla strada, o stradone, che porta nel
nostro capoluogo. Non potendo però avere riscontri più precisi e maggiori
informazioni sulla locuzione di cui sopra, si è scelta, come in una esegesi, la
"lectio facilior", ovvero
un'interpretazione più facile e meno tribolata da verificare, condivisa
peraltro da un'alta percentuale di persone ascoltate al riguardo.
Gianna Gamberini (Carpi): "A casa mia si
diceva - A vàag vèers i Vròun – (senza
la "a" finale) per dire - vado verso la casa dei Veroni - oppure - A
vàag vèers èd Vròuna - per dire in direzione di Verona.”
Carlo Carlòun Bertani (Carpi): "I miei venivano da
Correggio - Rubiera; mia madre diceva
che i Vròuna erano una tenuta che si
trovava sulla strada per Correggio, dove adesso c'è lo stabilimemto di salumi
VERONI (sic!) per andare a Correggio (prima Italsalumi)."
A
Limidi, ci ricorda Primo Saltini, è in uso anche la frase al
piiga vèers i Vròuna (piega verso i Verona).
Marco Giovanardi (Carpi) ci porta una ulteriore
interpretazione con un interessante supporto etimologico: "Io ho sempre
inteso: a tóoren vèers ca mia, verso
il verone di casa !! Verone = loggia, androne, o ingresso di casa.
Ecco
la voce in etimo.it, da verificare:
Giosuè
Carducci – Il Parlamento
“Da
le porte le donne e da i veroni,
pallide,
scarmigliate, con le braccia
tese
e gli occhi sbarrati al parlamento,
urlavano:
- Uccidete il Barbarossa! - .”
*
quando si fa filotto a biliardo con le boccette e si realizzano i prestigiosi
otto punti, qualcuno salterà su con un bell’... “Otaavio !! “ con
riferimento alla casa vinicola di Ottavio Riccadonna di Canelli fondata nel
1921 e produttrice di omonimi vermouth e spumanti, molto presenti un tempo nei cafè
o nei bar col nome proprio della ditta.
Il rinomato vermouth
*
sempre restando nel settore dei distillati: "L è stèe ciapèe dai Fratelli Branca!"; è stato arrestato dai Carabinieri. Anche dalle nostre
parti La Forza
veniva chiamata scherzosamente "i fratelli Branca", perché, apparendo
sempre in due, richiamavano l'idea di due fratelli, ma anche perché
arrestavano, i branchèeven, cioè prendevano in mezzo e stringevano nella
loro morsa di legge, non tanto il colpevole, quanto la colpa nella sua essenza;
*
"L è un Bagònnghi!" … è un bagonghi, un nano. Lo si dice,
con dipregio, di persona piccola e petulante che si dà arie di persona
importante, senza esserlo.
Giuseppe
Bignoli, detto Bagonghi (Galliate 1892 - 1939), è stato un famoso circense
italiano.
Ultimo
dopo due fratelli di statura normale, era affetto da nanismo e raggiunse solo
un'altezza di 75
centimetri.
Nel
1905 lasciò Galliate insieme al circo equestre di Aristodemo Pellegrini. A 17
anni diventò il più piccolo cavallerizzo del mondo. Lavorò presso i maggiori
circhi equestri d'Italia e degli USA, tra cui il Wirt Brothers Circus e il
Ringling Bros. e Barnum & Bailey Circus.
*
“Fèer
un lavóor a la carlòuna” … svolgere un qualsiasi compito svogliatemente
e senza impegno … un “baasta ch sìa”.
Il
modo di dire deriva niente meno che da Carlo Magno e dal suo nomignolo francese
Charlon. Nei poemi cavallereschi egli
era descritto come persona semplice e alla buona.
*
“Fiina,
Gaiàan!... “ locuzione derisoria all'indirizzo di pessimi giocatori di
biliardo in voga fra gli studenti, oppure scioperati, che frequentavano le sale
da gioco del Bar Armagni sul finire degli anni Sessanta. Tale modo di dire
prende spunto dall'imperizia più volte comprovata di tale Galliani nel gioco
della Goriziana, in cui il nominato, nella giocata di garuffa o di ganasèin
sulla palla da colpire, finiva immancabilmente con la palla battente in
mezzo al castello dei piccoli birilli, procurandosi da sé un punteggio negativo
a vantaggio del proprio avversario, il quale, divertito, per antifrasi così lo
ringraziava, subendo però talvolta gli scatti d'ira del deriso, a cui non
raramente seguiva una rissa generale sedata poi dal proprietario del locale con
il ritiro delle palle in gioco e lo spegnimento della luce;
*
sempre legate al biliardo due brevi citazioni un po’ fuori tema, ma che
meritano di essere ricordate: 1) il
birillo al centro è di colore rosso (a differenza dei laterali di colore
bianco) e qualcuno con ironia lo ha sempre chiamato “ Al Sinndech ! ” con
riferimento al costante colore politico del primo cittadino dalle nostre parti.
All’abbattimento di tale birillo si poteva quindi dare anche una simbolica
valenza politica; 2) anni ’70, Club
del Corso, sala fumosa e in penombra, un pubblico attento e conscio della
gravità del momento circonda l’unico tavolo verde in funzione degli otto in
dotazione al circolo; si sta svolgendo la fase finale una partita a boccette
molto importante; uno dei giocatori, con la stoffa blu del grembiulino da
gioco, accarezza la sua ultima palla, l’accarezza e la liscia con premura e
amore, la liscia quasi a volerle togliere ogni più minuscola impurità, ogni
minimo granello di polvere; sa che è il lancio decisivo della serata; dopo un’attenta
valutazione, il giocatore, nel silenzio più assoluto, pennella la biglia rossa
per un delicato tiro a quattro sponde, intriso di tutta la sua lunga esperienza
trentennale, per accostarsi quanto più possibile al pallino blu nel quadrante
inferiore a sinistra … ; in quel lancio c’è dentro davvero tutta la sua vita
affacciata da sempre su un tappeto verde; la palla, partita con buon slancio,
via via, sponda dopo sponda, appare ogni centimetro più stanca, ma sembra
arrivare precisa alla meta; il tempo sembra rallentare, quasi fermarsi, tanti
occhi attenti seguono queste traiettorie matematiche e calibrate; occhi che
spalancati e stupiti vedono però che la biglia inesorabilmente, sia pur di
pochissimo, di un’ inezia, di un … niente … supera la distanza buona per fare
il punto … dalla sala delusa si sente uno spontaneo, sommesso e corale “Ooooo
!” … e una voce bassa, ma ben distinta, grugnisce spietata … “Tròop
Siidol ! “ (Sidol … nome di una pasta speciale per lucidare i metalli);
Birilli e Sidol
*
per indicare un tiro fiacco si dice a fièe d òoca (a fiato d’oca) nel
biliardo o anche nel calcio o un pagamento in contanti senza tutte le banconote
necessarie... “Cuurti !“... “Curti
Riso!” dal nome di una allora nota marca di tale prodotto alimentare;
*sempre
in tema di tiri scarsi, ma questa volta nelle bocce, … “ Pàalida, Bèerni! ” … “
Pallida, Berni !” prendeva in giro
chi era stato troppo prudente nel lancio; a corredo si poteva anche aggiungere
un bel “bòocia lunnga, màai cuurta …” che si contrappone allo scontato
opposto … “bòocia cuurta, màai lunnga …”;
*
una variante dal mondo sportivo era … Cuurti, Martegaani e Brunètti, una
linea mediana di giocatori del Carpi calcio. Recitata a mo’ di litania,
significava, oltre a quanto sopra ricordato, anche che si era stanchi, con
forze non sufficienti (Curti appunto) a compiere una certa azione;
*
Te
gh èe 'na faata bòcca, ch la pèer al fóoren d Bernaròoli. Presa in giro per chi aveva una bocca
molto grande. Hai una bocca che sembra l’apertura del forno di Bernaroli.
*
nel gioco del cotecchio, forse al Bar Mercato di Via Alghisi, si urlava ..
"Te vèe pò a cuacèer da l'Adéele!"... “Vai poi a coprire
dall’Adele! ” . Era una frase
ricorrente, con un palese significato di pratica sessuale, essendo questa Adele
una nota e frequentata signora mercenaria di Modena, quando uno perdeva, da
solo se finiva a 20 (massima umiliazione) o in compagnia se si andava a 10 o se
non si copriva proprio, non facendo nemmeno una mano;
*
se vi capitasse di passare all’inizio del Portico di Corso Alberto Pio davanti
al Bar Tazza d’Oro di Donato, verso le due del dopo pranzo, potrete osservare,
seduti con le carte in mano, un vivace, sboccato e rumoroso gruppo di antichi
giovani carpigiani, un tempo veri leoni dominatori della Grande Piazza e oggi
quasi esiliati nella angusta ridotta di questo luogo apparentemente senza
tempo. Questi bravi ragazzi, che anche io frequento con gusto e divertimento,
sono costantemente impegnati per una oretta a misurarsi senza pietà e
remissione a briscola in 5: una curiosa variante del noto jeu de cartes che ha nella sua
fase iniziale un piccolo drammatico “giallo “ su chi sia il compagno di colui
che ha chiamato la carta e ha imposto il seme della briscola. Si gioca senza
soldi, ma per l’onore di dimostrare di saperci fare. Lo spassoso teatrino delle
quasi finte (ma non troppo poi) baruffe è sempre in scena: battute,
canzonature, soprannomi, severe sgridate a chi sbaglia, ecc … In questo ambito
il tempo scorre molto molto lento, ma inesorabile, sia pure con consapevole e
disillusa rassegnazione di chi sa cogliere e si ostina ancora a voler vivere il
Carpi diem. Qui sopravvive forse
l’ultima testimonianza, l’ultimo baluardo verace di carpigianità in Centro
Storico: significativa e sentita, ma, ahinoi, solo pallida eredità di osterie, fumiini,
cafè d ’na vòolta.
Chi
transiterà nei pressi di questo locale, fra urla e lazzi vari, potrà non di
rado udire un perentorio e bizzarro ordine: “Ṡóoga la Bereniice!” …
“Gioca la Berenice!”
… cioè … gioca il due di denari.
Ma
chi era costei ? Nella prima metà del ‘900 la signora Berenice Magnani in
Candeli aveva una bottega di carbone da legna (detto carbone dolce) in Via
Giordano Bruno (detta l’uultma … l’ultima via prima delle
mura e di Porta Barriera) e aveva due occhi azzurri grandi e inquietanti che
spaventavano i bambini di allora che andavano a comprare un kg di questo
combustibile. Questi occhi avevano un ché di patologico, forse a causa di un
disturbo alla tiroide, e potevano ricordare vagamente la carta da gioco in
questione;
*
ancora … il due di denari con derivazione reggiana è definito … “ I
òoc’ èd Gregòori“ … “gli occhi di Gregorio”; mentre in alcune case
carpigiane “la
Bereniice” poteva avere lo stesso significato sessuale
della più nota “Bernèerda”;
*Di
una persona molto noiosa e poco intelligente: L è come Batissta, lunngh èd baal
e cuurt èd vissta (è come Battista, lungo di palle e corto di vista
intelletuale).
* epigramma essenziale, ma alquanto
esoterico, della filosofia carpigiana, per cui siamo tutti noti fra i geminiani
e le teste quadre, ovvero quella locuzione folgorante, dichiarativa, irridente,
incomprensibile, assurda e amara di una visione del mondo in cui si nasce, cioè:
La vitta l'è un laamp,
la pippa l'è un staamp,
ogni sfrummbla un cavalètt,
a la furnèeṡa i faan i còpp …
e la fruuta l’è da Ṡelòochi.
La vita è lampo, la pippa è uno stampo, ogni fionda ha il suo
cavalletto, i coppi li fanno alla fornace e la frutta è da Zelocchi - nota
ditta all’ingrosso di frutta secca già prima citata;
I còpp
* Giudo Magnani
(Carpi) ricorda che la nonna Assunta Mantovani, nata in via Duomo nel 1896,
diceva spesso la frase:
a gh è ‘na bèela
diferèinsa
tra la sòopa e la Lurèinsa;
c’è una bella
differenza fra la zoppa e la
Lorenza;
la cosa curiosa è che
questo modo di dire lo usava anche mio padre che proveniva dal Lazio; il
significato è che probabilmente fra le due donne era estremamente evidente la
differenza di bellezza e forma fisica;
*
“Pèr
un puunt Martèin al perdè la caapa”. “Per un punto Martin perse la cappa” … un detto noto anche in
italiano e in francese, quando per pochissimo per una disattenzione si perde
una partita, affare, un’occasione importante. Un errore riguardante un
particolare apparentemente di scarsa importanza comporta talvolta conseguenze
disastrose. Pare che il significato originale derivi dal fatto che nel XVI
secolo, Martino era abate priore del monastero di Asello. Costui decise di
apporre sul portale principale dell’abazia un cartello di benvenuto che
recitava una frase nella quale c'era però un punto collocato fuori posto, che
ne capovolgeva completamente il senso. La frase giusta doveva essere così:
Porta patens esto. “Nulli claudatur honesto” (La porta sia aperta. A nessuna
persona dabbene sia chiusa). Quella errata suonava invece in questo modo: Porta
patens esto nulli. Claudatur honesto (La porta non sia aperta a nessuno. Sia
chiusa alle persone dabbene). I guai derivati a Martino da un tale errore non
si limitarono ad una figuraccia. La notizia di un messaggio così contrario alla
caritas christiana, infatti, raggiunse le alte sfere ecclesiastiche e forse lo
stesso Pontefice, che decretarono l'immediata sollevazione dell'abate,
privandolo della cappa (cioè il mantello) che era il simbolo della dignità del
priorato;
*
“Vèee
Baṡaaglia!” per indicare una persona che le spara grosse; questo
Basaglia era uno di S. Marino con la forte inclinazione ad alzare il gomito e a
eccedere nelle dimensioni delle vicende raccontate durante i frequenti stati
etilici; era il nonno dei fratelli Forghieri, meccanici da bici e motorini in
via Matteotti;
*
La poetessa carpigiana Luciana Tosi si
è divertita a giocare su assonanze ed equivoci sul suo cognome e ne è uscita
una cosa molto divertente:
Un quelchdùun al s in tóoṡ... e sèinsa èsser un Tóoṡ... al
tóoṡ quèll ch al ne vrèvv tóor. E pò dòop al tòss. La traduzione purtroppo non riesce
a rendere bene i giochi della frase: Qualcheduno se la prende e, senza essere
un Tosi, prende ciò che non vorrebbe prendere. E poi dopo tossisce.
La poetessa carpigiana Luciana Tosi
* Mortus est … màai più Sacaagna. Ecco
un’interessante locuzione mista fra latino e dialetto. È morto, non si
arrabatta più; che trovi alfine la pace. Non c'è più nulla da fare, da agitarsi...
riposi dunque in pace. Sacagnèer in francese significa fracassare a
colpi di coltello, quindi in modo approssimativo. Nel nostro dialetto mantiene
questa accezione di fare le cose in modo agitato un po’ alla meno peggio,
approssimate, confuse. Ci si affatica, ci si sforza ci si affanna per risultati
mediocri.
A Carpi è
una parola che è stata “cognomizzata” nel senso che è stato riferita a un
Saccani che si agitava parecchio o a qualche personaggio che per il suo modo
arruffato di vivere si era meritato lo scutmàai
o meglio al sovernòmm di Sacaagna.
Tutto ciò
mi fa dà lo spunto per parlare di un imbianchino pittore che viveva e operava a
Carpi circa a metà del secolo scorso. Di cognome faceva Bisi ed era una persona
dalla battuta facile e di grande efficacia; ma per la sua arte di non eccelsa
qualità e pregio era appunto soprannominato Sacaagna. Si raccontano di lui un paio di simpatici episodi.
Una volta
stava pitturando la striscia scura di un battiscopa … storta e ondulante.
Alle
contestazione del padrone di casa, rispose imperturbabile: “Mò quàand la s sècca, la s drissa!”
Tranquillo! Quando il colore si secca, la linea si raddrizza.
Un'altra
volta un casaro di Santa Croce gli commissionò la figura di un leone da mettere
su una parete esterna dell’edificio, in modo da far da simpatico richiamo per
la clientela. Inaspettatamente si sentì chiedere di scegliere fra una
misteriosa alternativa: “Al vóo t cun
la cadèina o sèinsa? “ Lo vuoi con la catena o senza ? Il casaro non
capì bene, ma scelse quella più economica senza catena.
Finita
l’opera, peraltro di un certo effetto scenografico, alla prima forte pioggia,
l’immagine sbiadì e si scolorò quasi completamente.
Disperato
il committente corse dall’artista per contestare il fatto. Al ché Sacaagna, che aveva colpevolmente usato
colori che non potevano reggere alle intemperie, rispose:” Bè ?? ’Sa pritindìiv èt ? Te n l èe vluu
sèinsa cadèina? L è scapèe vìa!” Cosa pretendevi? Lo hai voluto senza
catena ? Il leone è scappato via! ;
*
“Éeeeeeeeee
… la vaaca d Pedrètt!” … esclamazione di meraviglia espressa
solitamente per sottolineare effetto esagerato, o fatto incredibile che può
avere somiglianze fantasiose con il vero. Fu un tempo una tipica locuzione dei
contadini inurbati nelle prime periferie carpigiane sul finire degli anni
Cinquanta e, nella sua espressiva coloritura, pare faccia ricorso al ricordo
collettivo di una mitica femmina di bove, ospitata nella stalla di tale signor
Pedretti, mezzadro, dicono i più, o coltivatore diretto di una frazione
imprecisata del nostro comune. Tale femmina di bove pare dunque avesse una
stazza quasi doppia delle sue consorelle e un capezzolo in più nella capiente
mammella, dal cui orifizio prodigioso si diceva fuoriuscisse una copiosa
lattigine pressoché burrosa e, per alcuni, già pastorizzata e che, pertanto,
bastava soltanto conservare in appositi contenitori, poi accuratamente
impacchettati al fine di essere venduti a peso, incrementando così le entrate
di danaro e le fortune del Pedretti e dei suoi familiari;
Talora
anche nelle varianti … la vaaca d Maìin! o d
Melèe, cioè di tali Maini o Melè.
Una
leggenda dice che i Melèe, scutmàai
della famiglia Vecchi, erano degli agricoltori di Cognento di Modena; costoro
possedevano una mucca, che pur essendo gravida, non partoriva mai. Il detto
dunque ha anche il significato di indicare in generale una cosa che non arriva
mai a termine, cla n riiva màai a unna.
* ”S t andìss a méeder da Papòot!”
… “Se tu andassi a mietere da Papotti ! ” espressione di contrarietà e di sbrigativo disimpegno dalla
presenza e all'indirizzo di persona querula, indisponente e per di più noiosa.
L’invito perentorio prende spunto dalla fatica della mietitura nella stagione
estiva e alla quale, per dare maggior forza e realtà visiva alla suddetta
locuzione, viene associato il nome di Papotti, antico proprietario terriero
carpigiano. In questo podere in mezzo alla polvere e sotto la canicola feroce,
veniva meno, con plausibile evidenza, il tempo e la voglia di stare ad
ascoltare inopportune e disutili lamentazioni, oltreché la voglia di
acconsentire al cincischiamento, sia del più come del meno, o su questioni di
lana caprina, talora assurte ad asserzioni sui massimi sistemi;
*
”S
t andìss (a) buèer fiss a la
Gaiàasa !” … “Se tu andassi a fare il bovaro stabile
alla Gagliaccia (Galeazza)“ …il significato è quello della frase sopra sempre
citata da Lele Forghieri; bisogna ricordare che il lavoro del bergamino era
durissimo e disagiato, con poca libertà e soddisfazioni morali ed economica,
perché al béestii i maagnen aanch a la dmènnga e pèr Nadèel (perché le
bestie mangiano anche la domenica e a Natale). Il podere / stalla della Galeazza
doveva, visto il nome, essere particolarmente in cattive condizioni in modo da
peggiorare ulteriormente la frase di invettiva.
“Maagna,
bèvv e tèeṡ e va a ciamèer Malavèeṡ!” Mangia, bevi e taci e va a
chiamare Malavasi.
È
una frase usata per far tacere qualcuno e indurlo finalmente a compiere un
atto, ad esempio un bambino che continua a parlare anche col piatto pronto
davanti e non si decide a mangiare
Malavèeṡ... s la va bèin l è un chèeṡ! Malavasi... se va bene è un caso.
Il
Parmeggiani ci aiuta a risolvere il "mistero" di questi modi di dire
legati al cognome Malavasi; nei suoi ricordi giovanili di giocatore di
cotecchio con persone molto più anziane di lui, Malavèes veniva spesso citato
nella locuzione: "Ormàai t ii andèe da Malavèeṡ!"
Questo succedeva durante una partita durante la quale un giocatore era ormai
sul punto di andare fuori a 10 o, peggio, a 20 busche.
Si
intendeva significare che per lui la partita era ormai finita, essendo stato, Malavèeṡ,
a loro dire, un antico personaggio carpigiano (1800 ??) che di mestiere faceva
al buṡèer,
ossia il fossaiolo, il becchino al cimitero di Carpi.
*
quando alla domenica mattina il padre di Anna, Ruggero, al s tirèeva a spiigol viiv o a
stucch luccid, così come costumava una volta, e qualcuno gli chiedeva
maliziosamente ammirato... “ Ma indù vèe t ?” … lui rispondeva
sicuro e ironico … “ A
vaagh a méeder da Palòoti ! “ o
“ A
vaagh a mèssa cun Palòoti!”.
Si tratta di un espressione (la prima) assonante con la precedente sul mietere, ma forse più verosimile e con
significato ben diverso. L’ingegner Pallotti, bolognese ricchissimo
proprietario agricolo di aree fabbricabili tra le mura est e la stazione e di
una vasta tenuta sulla statale per Modena angolo via Bella Rosa, oggi di
proprietà dell’Università di Bologna Facoltà di Agraria. L’area appunto a est
del centro storico (Viale Focherini e dintorni) sarebbe stata la prima zona di
espansione di Carpi, dopo l'abbattimento delle mura con l’insediamento di belle
ville liberty signorili. Pallotti fu dunque il primo lottizzatore di aree
fabbricabili in Carpi dopo la prima guerra mondiale; un sassolese lo fu dopo la
seconda, a conferma della validità di una tesi che vede la società carpigiana
come “auto castrante” e incapace di progredire positivamente, conservando
contemporaneamente la sua identità. L’andare a mietere del grano ( o meglio
grana !!! ) con il signor Palotti o il condividere una posizione di
privilegio a fianco a lui, in una evidente e prestigiosa e occasione di un
giorno di festa, era motivo di grande soddisfazione;
* ”A n suun mìa al fióol d Nicudèel! ” o “M èe t tòolt pèr al fióol d Nicudèel? Si trattava di un ricco proprietario di fondi e immobili. Veniva pronunciata quando a una persona si chiedeva un prezzo molto alto per una cosa o presentato un conto molto esoso da pagare; oppure a un figlio che pretendeva troppo... "Mò ’sa crèdd èt d èsser al fióol d Nicudèel !".
Ancora: “A n gh ò mia la bóorsa èd Nicudèel ! Cara figliuola mia… non ho certo la borsa con tanti soldi come il signor Barbieri, da poter accontentare i tuoi desideri!”
In questa foto del 1948 di Becchi è ritratto il famosissimo possidente carpigiano Onesto Barbieri, meglio conosciuto cun al scutàami èd Nicudèel.
*di identico significato … “A n suun mìa al baròun Franchètti !” … il barone Franchetti era un nobile ricchissimo e molto noto vissuto in Italia tra l’ ‘800 e i primi del ‘900;
* ancora … Sa pèins èt d èsser fióola dal principe Torlòonia ? Cosa pensi di essere figlia del principe Torolonia; questa famiglia aveva una vastissima tenuta agricola in Romagna;
* “A n suun mìa al fióol dla Schifóoṡa !” ha invece significato opposto, nel senso che si vuole essere tenuti in considerazione; il detto è simile a n suun mìa al fióol dla sèerva!
*
“A
n suun mìa l’Òopra Pia (Paltrinieri)!” è la pronta replica di uno a cui
viene richiesto un atto di generosità non giustificato o né lontanamente
pensato e voluto;
* con significato simile anche la frase … “Dunèin
l è mòort e sò fióol al stà mèel.” … “Donino (da donare) è morto e suo figlio sta male” … col significato che
non c’è proprio nulla regalare;
*
il titolare di un debito inesigibile (o anche ritenuto ingiusto) veniva
apostrofato con un … “ T i vèe pò a tirèer da Maama Nina !”
sottinteso i béesi (soldi), nel senso
che nessuno si sarebbe attento a chiedere denaro a questa illustre istituzione
benefica;
*
in periodo di crisi e “d bulètta” … “
di bolletta” (come l’attuale a Chèerp)
si diceva … "Chè a gh è dla Filumma !!". Sembra derivi da una certa
Filomena, parente di un certo Grustèin. Costoro vendevano sotto il voltone del
castello, nel dopo guerra "al rumlèini
e al castaagni a duu scuud a scartòos” … “le romelline di zucca e le
castagne a 10 lire al cartoccio”;
*
“Galli & Mai”- locuzione che
prende vita dal nome di un noto opificio metalmeccanico, assurto a modo di dire
di molti imprenditori della nostra cittadina, allorché i suddetti imprenditori,
dopo lunghe attese e solleciti che cadevano nel vuoto, paventavano qualche
serio dubbio sulla solvibilità di alcuni loro debitori, dei quali, con sarcasmo
e talvolta semplice ironia, si indicava agli amici la diversità e la
particolarità dei compiti amministrativi dei titolari di alcune società in nome
collettivo, ovvero Galli era colui
che riscuoteva e Mai quello che
pagava. Questa frase ricorda una ironica battuta in modenese che recita …” A t spuṡarò fra avrìil e … màai” … “ Ti
sposerò fra aprile e … mai (maggio)!”
*
“L
è fèels cóome Giùuda! “ … “È falso come Giuda! ” … di persona bugiarda;
*
"Al pèer al vèin d Grimèeli"... "Sembra il vino di
Grimelli"... questo Grimelli era un massone e un chimico carpigiano che
inventò nel 1800 una bevanda, non troppo apprezzata, che assomigliava al vino,
nel colore e poco nel sapore.
*
sempre in tema … “ Scaltriti &
Volponi !” per designare una persona o un atto non proprio furbo, usando,
con significato ironico al contrario, il nome di una nota e prestigiosa ditta
carpigiana di fabbri per lavorazione del ferro;
*
una madre, scuotendo la testa, poteva sgridare il figlio adolescente, un po’
smorto e debole, con questo ironico rimprovero … “ Ii t pasèe da Batèin - Benètti? “
… “ Sei passato dalla ditta Battini
- Benetti ? ” … che costruiva seghe …
1951 Pubblicità della Battini & Benetti
*
per definire persone non troppo perspicaci … “ Ii t caiòun o vèe t (lavóor èt) a
la Marèeli ?”,
quando lo stabilimento si affacciava su Piazzale Dante prima della sua
colpevole distruzione; pare che assumessero manovalanza senza guardare troppo
per il sottile;
*
“ L
è caiòun (o imbambìi) cóome (damàand) Minèela!”
Per
tale frase Carlo Alberto Parmeggiani ci aiuta con queste osservazioni: tipica e
divertita espressione dialettale carpigiana, ormai quasi in disuso, pronunciata
perlopiù a indicare dabbenaggine, se non addirittura inettitudine totale, della
persona a cui tale locuzione era indirizzata nei lieti e occasionali
conversarii fra conoscenti e amici. Talvolta e tempo addietro, nei giochi dei
bambini nelle aree cortilive di case popolari, l'espressione succitata era
adottata come spunto e incipit di
cantilena, ecolalia canzonatoria, o filastrocca in rima baciata del tipo: L è
caiòun cóome Minèela/ ch al caghèeva ind la scudèela/ e invéeci sò surèela/ la
pisèeva ind la padèela... (È stupido come Minella/ che defecava
in una scodella/ e invece sua sorella/ pisciava dentro a una padella...). Chi
fosse poi tale Minèela non è dato di sapere con sicura precisione, a meno che
non si vogliano prendere per vere le parole di Giulio Beltrami, vetraio noto
organizzatore di incontri culturali serotini, il quale sostiene essere il Minèela null'altro che la
carpigianizzazione di un cognome della pedemontana modenese. Ossia di tale
Mario Arturo Minelli, un tempo proprietario di tre prosciuttifici, la cui
bizzarra particolarità sembra essere stata quella di pasturare i suoi maiali con
della segatura di legno, giacchè, a suo dire, ne avrebbe poi ricavato, a
scariche alviche avvenute dei suini, delle formelle compatte da bruciare
nelle stufe dei suoi tre uffici, risparmiando così sui costi di gestione.
Spiegazione a cui però lo stesso Gianfranco Imbeni, suo sodale, si dissocia,
proponendo a sua volta una ancor più fantasiosa spiegazione che, per ragioni di
spazio e di rispetto per l'intelligenza del lettore, non mette conto stare a
riportare.
Da
altra fonte sempre di Minèela si narra ch l éera uun ch al mnèeva la pulèinta cun i
dii e pò al s lamintèeva ch la scutèeva !!! … girava la polenta con le dita e poi si lamentava che scottava;
*ancora
… alla domanda … “Mò chi ée l stè Minèela?”
… si potrà rispondere … “L è uun ch al caanta l’Aave Maria in simma
ai còpp !” … “È uno che canta l’Ave Maria sui coppi dei tetti !” o
anche nella variante … “L è uun ch al sòuna l’Aave Maria cun i còpp
!”;
L è caiòun cóome Minèela ch l andèeva a mèssa al dòop meṡdè … è
coglione come Minella che andava a messa al pomeriggio … quando non c’era
(almeno una volta) nessuna funzione religiosa;
anche … L
è fuureb cóome Minèela ch al s tirèeva su al brèeghi cun la sirèela … È furbo come Minella che si tirava su
le braghe con la girella;
*
oppure con simile significato all’esempio che precede “ T ii fuureb cóome Scabùss! (o
Scucùss,
o anche Arbùss, o ancora Ugo Bertùss) “ … e uno si chiede il
perché ?? … “ Perché al se schisèeva i maròun da mèeṡ (o èd tramèeṡ) a l uss!”
… semplice … “perchè si schiacciava i gioielli in mezzo all’uscio! ”; il
Parmeggiani aggiunge col suo tocco inconfondibile che si tratta di antifrasi e
quindi locuzione dialettale derisoria, di solito lanciata all'indirizzo di un
amico o di persona che abbia dimostrato o dimostri stolida imperizia in una
azione, o grossolana faciloneria nella previsione delle conseguenze di un fatto
che si compie o si è compiuto e che dunque si ritorce a proprio danno e a
inevitabile disdoro. La locuzione, infatti, ha il suo completamento nella
dipendente relativa che recita:... ch al se schisèeva i maròun damèeṡ a l uss.
E chi fosse poi quel tale Scabùss, divenuto per antonomasia un
modello di coglioneria certificata non è dato con certezza di sapere, mentre
invece, secondo alcuni storici locali, dietro il nome di Arbùss si celerebbe tale
Arbuzzi Vinifredo. Vale a dire personaggio immigrato, si dice, da Cusano
Milanino agli inizi del secolo passato e del quale si racconta che si fosse
evirato lasciando incautamente i propri didimi allocati fra lo stipite e
l'uscio di cucina, che si era scardinato dal ganghero di sopra e che, il
Vinifredo, avrebbe allora cercato ostinatamente di reinserire, tenendo salda la
parte basculante dell'uscio uscito dall'arpione, appoggiandovi le parti basse
del bacino.
*
sempre sullo stesso argomento c’è anche questa ulteriore variante: “L è
caiòun cóome Tanà!” … ma non ho idea di chi sia questo possibile
Gaetano; l’origine della frase è ebraica;
*
“L
è caiòun cóome Tanòun ch al girèeva in mèeṡ ai spèin cun al schèerpi in maan.”
…”È coglione come Tanone che girava fra gli spini con le scarpe in mano. “ …
esempio di stupidità;
*
“L
è un Gnaasi!” … “È un Ignazio!”
per definire una persona drammaticamente indolente, facilona e pigra … un Sandròun … insomma;
*
“Al
fa la vitta d Michilàas, al maagna, al bèvv e s al va a spaas ( o al
ne fa un caas). ”... “Conduce
la gaudente vita di Michelaccio, mangia e beve e non fa assolutamente nulla.” È
una frase che mi sembra abbia una diffusione quasi nazionale che definisce un
fannullone epicureo, privo di voglia di lavorare;
* “
suun cuntèinta cóome la vèecia Marètta … ch la gh iiva al
fóogh atàach a la véesta” … “Sono contenta come la vecchia
Maretti … che aveva il fuoco attaccato alla veste” … per indicare un stato di
assoluta insoddisfazione e anche timore;
*
L
è vèec' coome al sumarèin èd Sabàari; è vecchio come il somarello di
Sabari. É una frase che veniva pronunciata da un'anziana persona carpigiana con
un dolente sospiro a ogni ulteriore compleanno: "Incóo a m sèint vèec' cóome al
sumarèin èd Sabàari!"
* In Cantaraana a òogni pòorta a gh è 'na scraana cun a séeder 'na putaana … oppure indù caanta ’na putaana. La Contrada Cantarana (via Brennero) finiva al Palamaio ed era spesso luogo di sconsolata miseria e disperata umanità, in cui si ricorda tale Braghiina che viveva di espedienti, ma superando, nonostante tutto e alla bene meglio, le più forti avversità, da cui il singolare modo di dire... " A termarà al Guèeren, mò màai Braghìin d invèeren!"... "Tremerà il Governo, ma mai Braghina d'inverno!”
*
di taglio politico - sessuale, Parmeggiani ci indica questa singolare frase
degli anni ’70 … “L è un guèeren Mòoro !”
… “ È un governo Moro !” … si tratta
di una locuzione metaforica, con prestiti semantici dalla lingua e dalla
politica nazionale, coniata nella prima metà degli anni Settanta da abitudinari
e politicizzati piazzaioli dalla parte del Bar Milano della nostra cittadina.
Espressione che, contrariamente a quanto si possa pensare, era solitamente
indirizzata a persona e non a qualsivoglia amministrazione del bene comune.
Nella sua concrezione accomunava, infatti, gli echi della pratica
economico-politica di alcuni governi storici di allora guidati perlopiù dal
Presidente del Consiglio Moro (consistente nel concedere finanziamenti a piene
mani a diverse istituzioni e a progetti industriali fra i più disparati e
lontani fra di loro), alla chiacchierata abitudine sessuale di alcune signore o
signorine delle nostre terre ricche, si diceva, e disperate. Signore o
signorine vale a dire che, forse ispirate dal clima di cuccagna generale,
concedevano generosamente, in comodato d'uso, i propri tesori naturali a più
persone, oppure a queruli questuanti, amici degli amici, purché ne avessero
data la motivazione del bisogno e avessero magari anticipato, di un ninnolo o
di una fugace colazione, l’eventuale saldo delle loro abituali e gradite
prestazioni
*
Dario D'Incerti
(Carpi) ci ricorda questa singolare e musicale filastrocca dedicata a un certo
Camurri, detto Camuraana (Bizzoccoli ci racconta che si tratterebbe di colui
che portava lo stendardo di apertura della processione dell’Assunta per
Ferragosto e tutti sanno che “al più caiòun al pòorta al gunfalòun”),
volta a sottolinearne lo scarso acume o lo scarso senso degli affari, visto che
dava in cambio tre marroni per una semplice castagna:
Camuraana, 'raana, 'raana
Trii maròun pèr 'na castaagna
duu pèr duu, trii pèr trii,
Camuraana l è 'n imbambìi
È
degna di nota l'ecolalia del primo verso. La doppia rima baciata ricorda, poi,
inevitabilmente i Limerick di Edward Lear (Londra 1812, San Remo 1888), anche
se per essere un Limerick dovrebbe avere, com'è noto, un quinto verso, la
struttura AABBA e una diversa collocazione degli accenti; si conosce anche
questo detto, da cui forse origina quello sopradescritto … “Perde, vince, guadagna … Trii
maròun pèr 'na castaagna!”
*
espressione interessante, e diffusa in vaste zone, è quella... “ A
sòmm in maan a Bacùss!” nel senso che si è in mano una persona
totalmente inaffidabile e certamente NON sobria. Chi è questo Bacùss
? Io non dubbi: la derivazione è addirittura quasi bimillenaria e non è altro
che il dio Bacco delle libagioni e dei culti misterici dionisiaci greci e
romani;
* la misteriosa frase “ Te m pèer la V1!” … “ Mi sembri la V1! (vu uno)” … si riferisce a
una signora magra, secca secca e di pelle scura, molto brutta, realmente
esistita nel secolo scorso; costei si narra che avesse un forte appetito
sessuale, con effetti tipo la bomba volante tedesca del 1944;
V1 (Fieseler Fi 103) il primo missile
bomba di produzione tedesca
*“L’è
sèmmper tutta ingioielèeda, ch la m pèer la Generalèssa”... “è
sempre tutta ingioiellata, che sembra la Generalessa”. Costei era una vistosa, bionda e
assai formosa signora degli anni ’60, vedova di un alto ufficiale; quando
girava sotto i portici era sempre in tiir. Già allora aveva fatto
quegli interventi di ringiovanimento possibili per quell’epoca (adèesa
al s ciamarèvv lifting). Era sempre tutta ingioiellata
con minimo dieci braccialetti per polso, e quando muoveva un braccio era tutto
un squasamèint
èd feraaglia, senza contare le svariate collane al collo. Usava scarpe
con tacchi altissimi e camminava sussiegosa, ticchettando pianissimo sotto al
portico, offrendosi così agli sguardi stupiti della gente, che per questi suoi
atteggiamenti di eclatante evidenza, le aveva affibbiato l’irridente nomignolo.
* L è
più caiòun che Maṡèel, quèll ch al mnèeva la pulèinta cun l uṡèel e pò al
dgiiva: “Mò maama … cumma la scòota!”
È
più coglione di tale Maselli, quello che mescolava la polenta con l’uccello e
gridava: Accidenti come scotta! Esempio di dabbenaggine.
*
”Al
custumèeva ai tèimp èd Carlo Còddga” o “dal Ducca Pasarèin” …
queste frasi indicano tempi antichi con cose o situazioni non più all'altezza
del momento attuale; è provabile che questo Carlo Cotica sia una figura
immaginaria, mentre il Duca Passerino fu un antico signore di Carpi nel ‘300,
il ghibellino Rainaldo Bonaccolsi.
Varie
però sono teorie sul Cotica e di seguito ne riporto un paio, sempre riferite a
quando si vuole intendere qualcosa di molto vecchio e sorpassato.
L'origine
di quest'espressione si può far risalire al 1700, quando era invalsa la
consuetudine presso gli uomini di lisciarsi i capelli utilizzando del grasso di
maiale, cioè applicando la cotenna di maiale (cotica / còddga) sul codino per mantenerlo compatto e lucido.
Con
l'espressione " ai tèimp èd Carlo Còddga " si
intende appunto dire: "quando si usava la cotenna per acconciarsi i
capelli", una cosa passata in totale disuso, già nel 1800 e considerata
perciò estremamente adatta ad indicare qualcosa di vecchio e assolutamente
sorpassato.
Tra
che la gente si lavava poco e la puzza di rancido, non oso pensare al tanfo
nauseabondo.
Una
seconda teoria si rifà alla circostanza che, nel primo Ottocento, il servo
delle vecchie casate veniva chiamato còddga,
perché indossava la marsina con le falde (cioè i còodegh). Il senso è ovviamente lo stesso, cioè qualcosa di
superato.
*
di conio nuovo e recente, ma molto efficace … quando una persona sa sempre
tutto, quando ha già sperimentato o vissuto tutte le situazioni che vengono
citate, oppure ha sempre qualcosa in più di quello che viene esposto da altri...
“À
ciacarèe … NOÈ ! ” … “Ha parlato Noè, cioè uno che ha visto tutto,
considerato gli anni che ha vissuti”;
*più
tradizionale … “T ii antìigh cóome l’èerca d Noè!” … “Sei antico come l’arca di
Noè” per definire una persona antiquata nel modo di vivere e di pensare;
*
il giorno della paga o dello stipendio si celebravano strani santi protettori: San Sisidàan
e San
Sinsidàan (San Secenedanno o San Senoncelidanno), oppure San
Paganèin (San Paga-nini). Non era difficile, infatti, che alla fine un lavoratore
a s
catìss cun un saas in maan (con un sasso in mano).
Catèeres cun un saas in maan
*
al
pèer Ridoliini! Sembra Ridolini, un comico del cinema muto degli anni
1910 - 20, che a causa delle tecniche cinematografiche di allora (18 immagini
al secondo invece di 24) si muoveva sullo schermo molto velocemente e a scatti;
dicesi di persona nervosa che si muove a scatti e in continuazione;un simile
atteggiamento infastidisce chi è vicino a tali persone, mettendo ansia anche a
chi è tranquillo;
Larry Semon – in Italia conosciuto come Ridolini
*
a un bambino che ha fatto una monelleria si poteva dire: "Viin
chè ch a t daagh al lusster Furmigòun!". La frase comporta la
minaccia di dare una bella spazzolata al ragazzino, così come si spazzolavano
con forte energia le scarpe con lucido Formigoni, prodotto a Carpi. In più si
può aggiungere anche l’allusione al … “Ti faccio nero di botte!” … visto il
colore del lucido;
*
ecco una frase molto tagliente per gli uomini chi si tingono i capelli con
improbabili colori … “L è un Tintoretto”, citando
l’omonimo pittore veneziano (1518-1594); in caso poi di toni troppo accesi e
ridicoli, verrà aggiunta anche la frase “A
gh è scupièe al casè in tèesta!” … “ Gli è scoppiato il cachet della tinta
in testa!”;
*
Fèer
cóome Rinèeld, ch al ne sèint nè al frèdd, nè al chèeld.” …” Fare come
Rinaldo che non sente né il freddo, né il caldo.” … ovvero chi pensa solo ai
suoi interessi, incurante del resto e restando indifferente ai fatti che lo
circondano;
*
una frase per significare che ormai una certa situazione è compromessa e chiusa
definitivamente, non necessitando di altre per: “A t salùtt Benevèeli!”
detto però con voce in falsetto; quest’ultimo era un venditore ambulante di
limoni sotto il Portico della Minghètta
(in Piazzetta - lato ovest) nella versione di Franco Bizzoccoli; secondo altre
fonti non controllate la citazione a tono acuto originerebbe dal fatto che tale
Culind(r)o Benevelli forse era gay;
*
altra variante … “A t salùtt Mariàana!” … sempre per dire che ormai le cose sono
fatte e non si torna indietro;
*
ecco modi di dire con maliziosi sottintesi sessuali si poteva indicava una
persona che non aveva particolare esigenze nella vita e non era né uun
dificcil, né uun s-cippel (stupenda parola dialettale per definire uno
schizzinoso) oppure che era messa di fronte a scelte obbligate da altri … “L è
cóome la sèerva d Mariàan … al la tóoṡ cóome i gh la daan ! “ … “È come
la serva di Mariani, la prende come/dove gliela danno !”.
Si
conoscono anche le varianti: la sèerva d Ṡòoboli o dal prèet (la serva di
Zoboli o del prete).
Il
Parmeggiani definisce questa allocuzione “L è cóome la sèerva d Mariàan”
furbesca e d'intesa; essa il più delle volte lascia sottinteso il suo
completamento fraseologico che recita: al le tóoṡ cum i gh al daan...
(lo prende come glielo danno...). Tale completamento è lasciato perlopiù
alla discrezione dell'ascoltatore che, sfrondata l'espressione dai suoi
maliziosi sottintesi che tanto piacciano alla lingua colloquiale, può cogliere,
se vuole, di colui o di colei di cui si parla per similitudini argutamente
concettuali, la facilità alla vita. Ossia la poca o nulla schizzignosità di
fronte alle proprie esigenze personali o a scelte complicate che
l'esistenza obbliga talvolta a fare e che, evidentemente, era un tratto
distintivo della fantesca succitata, di cui peraltro il buon Mariani ed altri
ancora, forse della stessa casa, dovevano senz'altro aver sessualmente
goduto, per quella sua innata e saggia propensione a non farsi un problema
della vita.
*
“
mi ricorda un po' il “gramelot”
spesso citato da Dario FO, una lingua assonante INVENTATA, nella quale si
inserivano discorsi, dialoghi che erano anche divertenti: la favola, il lazzo,
il gioco sarcastico, il paradosso di tutte le situazioni che prendevano in giro
i personaggi tronfi, prepotenti, gli sciocchi. Alfio Gozzi suggerisce che la
filastrocca coi numeri fa parte di una litania goliardica che doveva canzonare
le bigotte che recitavano il rosario. Le prime strofe recitavano all'incirca
così: "Siinch e trii òot.... òot e duu déeṡ..... scurzavano le pie
donne..... le pie donne scurzavano...aaamen."
* di solito per dire che uno è trapassato a Carpi, ma anche in
tanti altri comuni, si dice che il tale è andato da … mettendo il nome del
custode del cimitero che cura anche le sepolture; nella nostra città si dice “Andèer
da Bulgarlòun”. La frase significa dunque passare a miglior vita e
andare al camposanto, dove era custode un certo corpulento Bulgarelli, nel del
secolo scorso;
Ma si diceva anche andèer da Gaal (andare da Galli),
frase meno nota della precedente, sempre con lo stesso significato; questo
signore all’inizio del 1900 era custode del cimitero di Carpi e abitava in una
delle due torrette di Pòorta Petnèina quella di fronte al viale della stazione; di
fronte alla porta c’era la grande fabbrica de Il Truciolo dal sgnóor
Menotti.
Il noto industriale era rimasto vedovo dell’amatissima moglie e
non riusciva a fèers èn ‘na ragiòun; così capitava a che a qualsiasi ora,
anche di notte, andasse a suonare da Galli per farsi accompagnare al cimitero e
a farselo aprire.
In cambio, oltre a qualche mancia, l’industriale gli passava i
suoi vestiti dismessi. Per questo motivo il Galli, fuori dal lavoro, girava
sempre molto elegante;
*
“ Stà
atèint ch a t maand a tóor da Piròun dla Sèccia!” … “ Stai
attento che ti mando a prendere da Pirone della Secchia !” … Questo Pirone
conduceva un cocchio con cavallo bianco di posta alla stazione, ma
all’occasione (lui o il figlio) anche il carro funebre per il cimitero. Il
curioso nome del personaggio non ha nulla a che fare con “tassoniani”
rapimenti, ma deriverebbe, secondo la versione di Bizzoccoli, dal fatto che una
volta, tornando da Modena prese una grossa baala cun un caldarèin èd vèin. La
parola caldarèin ha come sinonimo sèccia ovvero secchia. Oppure perché
il suddetto abitava in Via Galilei nello stesso stabile di una locanda che per
antichissima tradizione era soprannominata La Sèccia;
*
se uno si attentava a dire... “A suun felice !!”... qualchedun altro non mancava di ribattere inesorabile... “Sè...
Felice... ind al pusòot! “ rievocando la famosa barzelletta locale... “
Aiuto
! Aiuto” - ”Mò chi ii t ? Indù ii t ? “ – “A suun Felice... ind al pusòot (pozzo nero)” – “ Bè... s t ii felice … alóora staa gh!”.
Sèet, quatòordeṡ, vintùun e vintòot,
quèssta l'è la fòola 'd Felice ind al pusòot.
Che quàand al s n è adèe ch l éera adrée a caschèer,
còn tutta la vóoṡ l à tachèe a sighèer.
Peró pr al faat èd cum al s ciamèeva,
nisùun a ‘iutèer èl màai a gh andèeva.
"A suun Felice, ind al pusòot! A suun mè!"
E tutt ch i giiven:
"S t ii Felice, stà lè
!!!"
*
Franco Bizzoccoli nomina anche un altro Felice che veniva citato nella frase...
“Sèee...
Bonanòot Felice!” nel senso di “Siamo spacciati, non ci è rimasto più
nulla!”. Felice era il gestore di un’osteria detta “Il Fumino” in centro a
Carpi in via Meloni e quando verso le 2 o 3 di notte gli ultimi avventori
uscivano faticosamente dal locale, per guadagnare barcollanti la propria casa,
avevano finito ogni risorsa morale ed economica;
*
a gente di Fosdondo, trasferitasi a Carpi, dobbiamo questa curiosa frase “L'è
’na ca d Pepiino !" nel
senso che ci trovava di fronte a una situazione completamente fuori controllo;
*
“ A
n gh ò mìa Bernardòun ch al la mèeṡna!” … “ Non ho micca Bernardone che la macina (la farina = i soldi) !” … questo rimprovero di solito
rivolto da un genitore a un figlio che pretende in continuazione del denaro,
nel senso che di soldi ce ne sono pochi e guadagnati con fatica;
*
in vaste zone dell’Italia del nord e anche da noi si usa dire … “ Precìiṡ
cóome al brèeghi d Déelmo!” …
“Preciso come le braghe di Adelmo!” … in senso ironico e contrario; si trattava
evidentemente di un paio di pantaloni con le gambe tagliate con misure
vistosamente diverse; ma talora, come molto spesso capita nel dialetto, la
frase viene usata anche in modo positivo per indicare una cosa esatta.
Interessante anche questa ulteriore versione … “ Precìiṡ cóome al brèeghi d
Déelmo, righèedi a la lunnga e stirèedi èd travèers !” … “rigate (forse cucite) alla lunga e
stirate di traverso” … usato in particolar modo per commentare un lavoro
impreciso e in genere mal riuscito;
*
“Èsser
ancòrra in dal brèeghi èd Miṡèel!” Essere ancora nelle braghe di
Miselli; in senso figurato significa essere molto indietro in una certa faccenda,
così tanto che la stessa non è stata nemmeno … concepita; oppure ci si può
riferire a persona immatura o non preparata;
* “L è péeṡ che al sumèer èd Scàaia (o èd
Bertùss)!” … “ è messo peggio del somaro di tale Scaglia (o Bertuzzi)!
“ … per definire una persona sempre malandata o con tante malattie. Un’altra
versione invece così recita … “ Al pèer al cavàal èd Scàaia, ch al gh iiva
treintasée mèel sòtt a la còvva !” … “Sembra il cavallo di Scaglia, che
aveva trentasei mali sotto la coda !”.
*
“L
è dritt cóome Palmati !” …
dicesi di cosa o opera muratoria venuta storta; Palmati, collezionista, poeta e
scrittore, gestore di un negozio di cose antiche in Corso Fanti, aveva evidenti
problemi alla schiena;
*
“L
è bundàant cóome Munndeṡ!” … “
è abbondante come Mundici!” …
costui, un Gandolfi, a metà del ‘900 era gestore di un “paltèin” sotto il Portico
del Corso e godeva fama di essere molto tirchio, tanto da passare per
proverbio;
*
L
è svéelt cóome la curéera èd Va-lèint! È svelto come la corriera di
Valenti (Va Lenti). Si gioca sul doppio senso della composizione letterale del
cognome. La ditta che forniva il trasposto pubblico in zona fino agli anni ’70.
Si ricorda del titolare la frase: “Ci rimetto!”, ma ancor di più per le
corriere la famosa “prima alla Va-Lenti”. Quando cioè al sifùrr (safùrr
o sefùrr -l’autista, da francese chauffeur) innestava una faticosa e sferragliante prima marcia di
pochissimi metri, appena sufficiente per muovere la lunga e pesante corriera
doppia, a cui poi seguiva immediatamente una seconda di più ampio respiro;
a duu... a duu cóome i carabinéer e al curéeri èd Valèint, difatti nelle ore di punta i
mezzi si raddoppiavano e una corriera seguiva l'altra nel tragitto Carpi-Modena
o viceversa; talora la seconda poteva anche prevedere la deviazione per Soliera;
nel 1973 La Ditta Cav. Primo
Valenti e O. venne acquisita dall’Azienda di trasposto pubblico SEFTA e le
importanti linee dei carpigiano entrarono nella rete di trasporto pubblico
locale;
* L è
un Va-lentiini. Dicesi di persona svogliata o flemmatica, adempie alle
proprie incombemenze in tempi interminabili:
*
per indicare una donna con molta chiacchiera le si diceva … “Te m
pèer la Filiméede” … “ Mi sembri la Filimede (Carnevali) !” …
una signora di Contrada Cantarana, donna di spirito, con la lingua
instancabile, … braghéera nel senso di profonda e intima conoscitrice della
città e della sua gente; è stata la balia secca di Franco Bizzoccoli;
La Filiméede
Anni '60 in
contrada Cantaraana (oggi via Brennero): ecco la foto della famosissima
Filimede nota col soprannome di Radio Cantaraana; a forza di sbraghirare dalla
finestra, a gh éera gnuu al carnùmm ind i gòmmet (il callo nei gomiti).
In un numero unico umoristico degli anni ’50 Al
blèddegh (Il solletico) le venne dedicata una vignetta in Cantarana
Street e una simpatica sirudèela, una
delle prime opere in dialetto della poetessa Libera Guidetti:
La Filimede in Cantarana Street col cane Diana
e il gatto Bagiola
da un vecchio numero unico umoristico carpigiano Al Blèddegh.
“Mò dì sù, csa t àan i faat?
T àan i miss in sirudèela
còn un caan e còn un gaat
e còn più d unna stanèela?"
Tutti sanno e ben si vede
che tu sei la Filimede
con "Bagiola" e con la "Diana"
la ṡbablòuna èd Cantaraana.
"Che canàaii qui dal Blèddegh,
méegh però a n gh é gniint da fèer,
dì ggh ch i vaaghen a dèer vìa al... sèddeṡ,
dì ggh ch i s vaaghen a fèer tuṡèer".
T àan i miss in sirudèela
còn un caan e còn un gaat
e còn più d unna stanèela?"
Tutti sanno e ben si vede
che tu sei la Filimede
con "Bagiola" e con la "Diana"
la ṡbablòuna èd Cantaraana.
"Che canàaii qui dal Blèddegh,
méegh però a n gh é gniint da fèer,
dì ggh ch i vaaghen a dèer vìa al... sèddeṡ,
dì ggh ch i s vaaghen a fèer tuṡèer".
di Libera Guidetti (*)
(*) Nell’ottobre del 2013 Libera mi ha avvicinato appositamente
per dirmi che questo testo, non firmato nel numero unico, era stata la sua
prima composizione in rime.
*
di uguale valenza la frase … “L’è braghéera cóome la vèecia Bachèela.”
… “è pettegola come la vecchia Bacchelli” … purtroppo non ho notizie su chi sia
questa megera impicciona;
* A t vóoi cuntèer un faat séeri! Un segréet! Mò a m arcmàand: a n
diir èl mìa a nisùun; al savòmm sóol mè, tè e la Zambèela … Ti
voglio raccontare un fatto serio. Un segreto! Ma mi raccomando: non dirlo a
nessuno; lo sappiamo solo io, tu e la Zambella.
La Zambèela faceva la carbonaia in Ṡguasalòoca,
sposata con un Galli ebbe tre figlie, a loro volta conosciutissime come al
surèeli Zambèeli.
Vendeva
legna e carbone in una bottega in via Sguazzaloca, ora Via Giuseppe Rocca, ed
era una commerciante "oligopolista", alla quale ricorrevano i
carpigiani che non riuscivano a fare la scorta di legna durante l'estate. La
bottega della Zambelli era conosciuta da tutti e dalla sua morte fu gestita per
molto tempo dalle tre figlie e infine solo da una (la più anziana), per cui fu
facile identificare le figlie col cognome-bottega della madre.
Una
di esse era la paltèina (la tabaccaia) di viale Carducci e la
mèeder èd Fabiìn Carretti. Tutte buonissime e oneste donne, ma note
anche come dal graan braghéeri, ovvero profonde conoscitrici dei fatti della
città e della gente e dotate di una naturale predisposizione all’intenso
scambio verbale.
*
ancora poi riportiamo un’icona massima di carpigianità: “Te m pèer Radio Bugadèera !”
… “Mi sembri Radio Lavanderia”. Radio Bugadèera sta ad indicare sia
il pettegolezzo in genere o comunque il passaggio di notizie più o meno segrete
e/o compromettenti), sia la persona che lo mette in circolazione o fa da
tramite raccontandolo. Quindi se si sente in giro una spettegolata su qualcuno
si dirà a m l à ditt Radio Bugadèera (me lo ha detto Radio Lavanderia),
mentre se ascoltiamo una persona che rivela un segreto o sparla di qualcuno
potremo commentare … “ Sèint mò lè, Radio Bugadèera!” …
“Senti lì, Radio Lavanderia!”. La bugadèera
in passato era il locale all'interno od all'esterno di una casa, molto spesso
in comune tra più famiglie, dove si lavavano i panni. Il termine deriva infatti
da bughèeda (bucato), che curiosamente in dialetto
è un termine solamente femminile. Lavare i panni si dice quindi fèer
bughèeda. In questo luogo, molto frequentato da donne, era normale un
fitto scambio di informazioni dei fatti degli altri;
*
A
t al daagh mè al tabàach dal Mòoro o anche Mòrro (con la doppia erre
per accentuare la violenza dell’atto)! Ti do io il tabacco del Moro !
Un
modo di dire che è presente a Carpi, Modena, Milano e in tante altre zone
d’Italia.
Significa:
Ti do un sacco di meritate botte! Adesso ti sistemo io ! Te le do di santa
ragione per una giusta punizione! Può anche significare l’aver subito una
pesante sconfitta: l à ciapèe al tabàach dal Mòoro !
Quindi
anche la severa intimazione..."Oooh Mòoro... stà chièet! (Ehi
amico! Stai quieto!) potrebbe derivare anch'essa dal tabacco del Moro.
Il tabacco del Moro in confezione moderna
È
un modo di dire che deriva da un'espressione francese “passer à tabac”, che il nostro dialetto ha personalizzato con una famosa marca di tabacco
trinciato da fiuto o da pipa, fine e costosa, appunto "Il Tabacco del Moro".
Ciò a differenza di quelli che, arrivando dalle piantagioni spagnole centrali e
meridionali, si chiamavano come i paesi d'origine.
Dalla rivista francese "Beaujolet" apprendiamo: Dans le langage maritime, un "coup de
tabac" était un violent coup de vent qui risquait d'abîmer le bateau. Ensuite, au XIXe siècle,
le nom "tabac" a pris le sens de "volée, coup". Sa racine "tabb" signifie "battre,
frapper". "Passer à tabac", veut donc dire frapper violemment
une personne.
Questo
tabacco provocava sensazioni orali decise e prendeva nome dal disegno di un
giovane Moro sulla confezione, probabilmente da uno degli schiavi che
lavoravano nelle piantagioni di tabacco in America
Ma
c’è anche chi interpreta la frase in questo modo: trattandosi anche di tabacco
da masticare, per il suo gusto forte e pizzicante, poteva rappresentare … un
pugno … proprio in bocca.
Curiosamente,
il detto, noto in vasti territori, a Casirate, in provincia di Bergamo, prende
la seguente variante: "T al
dó mé al tabàr dal Moro - ti do io il tabarro del moro, cioè un
sacco di botte. Tabarro
… dunque, non tabacco
… e il Moro era un omaccione che portava sempre un bastone con sé nascosto
sotto il tabarro!
* Vèe
! Va mò a caghèer ind i àai d Artòun … Or dunque a liberare il tuo
corpo negli agli di Artòun … questa frase si usa per far montar su qualcuno e
mandarlo in malora. Un certo Menozzi era un contadino col soprannome Artòun
(Arturone); aveva anche un bell’orto e una gran passione ad accudirlo; un anno
stava guardando con soddisfazione l’appezzamento dell’orto dove dopo essere
cresciuto al punto giusto era stato lasciato aglio a seccare. Ma si accorse che
proprio lì in mezzo al terreno c’era proprio una bella merda di cristiano. Il
fatto si ripeté, fino a quando Artòun, assetato di vendetta, dopo
essersi ben nascosto, sorprese il vicino di casa intento a lasciargli
l’ennesimo regalo a dispetto. Allora gli arrivò dal dietro, a la
mutta, con un bel bastone, mentre l’altro stava chinandosi, calando le
braghe. Gli diede un sacco di ben meritate legnate sulla schiena e lo
sventurato … ind al scapèer al s éera aanch caghèe ind al brèeghi mèeṡi tirèedi ṡò!
*Il
noto esperto di dialetto bolognese Luigi Lepri ci ricorda che il cognome Calèeri
(Calari) è molto diffuso nel capoluogo e viene usato in dialetto per
l’assonanza col verbo “calare” (diminuire, ridurre). Lo si pronuncia
ironicamente verso chi si vanta o promette troppo, per invitarlo a ridurre le
proporzioni di ciò che ostenta e millanta. Dunque il perentorio pronunciare di
“ Calèeri!”
equivale all’esortazione riduci.
*
parlando di una persona a cui si augurava più o meno scherzosamente la
scomparsa, si poteva esclamare … “Biṡgnarèvv tuṡèer èl a la Caṡèerio ! “ … “
Bisognerebbe tosarlo alla Caserio !” dal personaggio storico Sante Geronimo
Caserio (1873 - 1894), un anarchico italiano che pugnalò a morte il presidente
della Repubblica francese Sadi Carnot e morì per questo decapitato a Lione; “Tuṡèeres
a l’umbèerta” significa invece a spazzola come il re Umberto I°
(1844-1900);
*
conviene citare poi la bigliettaia Rosina, figura immaginifica, peraltro mai
esistita, dell’ex cinema di fianco al Municipio con la frase... “Caldi! Caldi ai Faanti... Roṡiina!”. La frase si dovrebbe riferire al fatto che il cinemino,
anch’esso di recente crudelmente assassinato e oggi scomparso, aveva poca
aerazione. Il significato per assurdo è lo stesso di “ A stèmm frèssch!”
(d’inverno, senza legna da ardere) nel senso che per una certa situazione c’è
ormai ben poco da fare e che l’esito negativo è scontato;
*
questa è proprio carpigianissima … “Sèee … i maròun d Faanti !” si
riferisce ai sostanziosi attributi bronzei del cavallone della statua dedicata
al generale risorgimentale di Carpi Manfredo Fanti; il grande manufatto fu
collocato, scelleratamente dai soliti patrioti da tavolino con fregole da
pro-loco, in mezzo alla grande piazza di Carpi dal 1903 al 1939, rovinandone
completamente la geometria e l’estetica. L’invocazione dedicata alla
mascolinità dell’equino sta esprimere una cosa eccessiva di qualsiasi natura
che non ha ragione di essere;
*
Elisabetta Spaggiari (Carpi) ci suggerisce questa frase che potrebbe risalire a
un paio di secoli fa:"L è rufiàana cóome la pòovr'Emma!"...
è ruffiana come la povera Emma!
Il
ricordo della povera Emma si perde nel tempo, è un detto della bisnonna di
Elisabetta e pòovra sta per non più tra noi. Pare fosse una nota tenutaria (rufiàana)
di una casa d'appuntamenti a Carpi.
Interessante
notare che a Modena usano un detto analogo, solo con un nome differente: :"L è
rufiàana cóome la pòovra Jole!"
*
la frase “Ciàap èggh Roṡiina, ch a t pèegh un fisù ! “ … “Indovinala
Rosina, che ti regalo un fisù !” potrebbe avere due significati: uno, ironico,
verso una persona che non ci prende mai, oppure l’altro, più provabile, per una
situazione di cui è davvero difficile prevederne le conclusioni. Il fisù (nome di origine francese = fiscu) è uno scialle o una mantellina che
le donne nelle nostre zone portavano sulle spalle d’inverno; le mie zie lo
facevano a uncinetto coi rimasugli altrimenti da buttare dei gomitoli di lana;
per l’indumento era sempre di vari colori a strisce orizzontali; io l’ho sempre
considerato una cosa da gran “bolletta”;
* Mò chi t à frèe? Pelóoni? Ma chi ti ha ferrato? Il maniscalco
Pelloni?
La salace e consueta
ironia carpigiana gioca anche qui sull'essere ferrato e sulla ferratura dei
cavalli, ma ancor più degli asini. Pelloni era un noto maniscalco della prima
metà del secolo scorso e aveva lo stallo in via Trento Trieste di fronte alla
chiesa di San Francesco.
Quanto uno faceva
troppo il saputello a sproposito e si sentiva a torto ferrato su certo
argomento, sputando sentenze, poteva venir maliziosamente bersagliato con la
caustica frase, che altro non rappresentava che un eufemismo di... sumèer
(somaro).
* una famiglia leggendaria (assieme a quella dei Ma(r)chmàan)
era la famìa di Pigòun. Costoro erano una famiglia numerosissima e
caotica e la quantità dei membri era incerta, ma di sicuro smisurata. Quando
cucinavano i pasti erano in quantità pantagruelica, si diceva infatti che, quàand
i friṡiiven la pulèinta, i ragasóo i fèeven la lingaata ind la padèela (lingaata = scivolo sul ghiaccio), quindi
figurarsi la dimensioni di quella padella... Quando qualcuno esagerava a fare
da mangiare lo si rimprovera infatti … “Fèe t da magnèer pèr i Pigòun ?” … “Fai
da mangiare per la famiglia dei Pigoni ?”.
Quando in famiglia si fa qualcosa di esagerato, o anche quando ognuno fa le
cose per i fatti suoi fregandosene degli altri, si diceva … “Mò
quèssta chè l’é la famìa di Pigòun!
“... “ Ma questa è la famiglia dei Pigoni !”;
*
la leggenda sopra descritta trovò una derivazione e una applicazione reale con
… “Fèe
t da magnèer pr i Beleṡìa ?” … “Fai da mangiare per i Bellesia?” … Dovete, infatti, sapere che nel
secolo passato prima a Soliera, poi a S. Marino c’era la numerosa e patriarcale
famiglia dei Bellesia; ogni giorno c’era da mettere a tavola decine di persone.
Pertanto quando una reṡdóora faceva una grossa spesa alimentate o aveva i fornelli
pieni di pentole le si poteva rivolgere questa scherzosa frase;
* I Beleṡìa i iiven pèers duu ragasóo, mò i s
éeren lughèe dedrée da la pulèinta … I Bellesia avevano perso due ragazzini, ma si erano nascosti
dietro una montagna di polenta … sempre per indicare le grandi quantità di cibo
che venivano preparate in questa folta famiglia;
*
quando Isa Caiumi era piccola e camminava scalza in casa, sua nonna le diceva...
"Te m pèer la fióola de Stanlòun!"... "Sembri la
figlia di Sottanone!" Poi
spiegava che questo Stanlòun era un signore alto e dinoccolato che veniva a Carpi
da Novi e camminava sempre scalzo nella prima metà dl '900. Lo chiamavano così
perché indossava una tunica lunga quasi fino ai piedi, estate e inverno ed era
sempre senza scarpe.
*
“
da un amico di Modena questo
originale gioco scioglilingua di assonanze … “ Dì ggh ch i saan ch a suun
Casiàan ” … “Dite loro che sanno che sono Cassiano”;
* a chi non riusciva, lamentandosi, a
trovare un certo articolo o merce di qualsiasi natura, gli si poteva suggerire
spiritosamente … Va mò da Focherini che lò al
gh à tutt! … Vai da Focherini che lui ha tutto ! … Focherini al gh iiva la butéega d framèinta in faacia
a Valenti dal curéeri in
Corso Alberto Pio a Carpi; vecchia, puzzolente e disordinata bottega piena
all’inverosimile di ogni possibile oggetto. Una volta, ero alle medie, mi propose,
indicandomi una grezzissima lampada a carburo esposta in bella vista davanti
all’ingresso: “Tóo la mò… pèr ciapèer al raani èd nòot; un mé amìigh l è dvintèe
miliardaari!!”;
*
“A
gh dii t Giulia?” E hai pure il coraggio e la faccia tosta di chiamarla
Giulia?
Significa:
“Ma cosa diavolo dici?” “A chi la vuoi dare a bere?” “Dici cosa da nulla tutto
ciò?”
Si
tratta di una frase di sorpresa per come viene minimizzata una cosa o una
situazione che in modo estremamente palese ed evidente non lo è assolutamente.
Il
modo dire si usa a Bologna, Modena e Reggio, ma anche a Carpi abbiamo
testimonianze dirette, ad esempio in L’Uultma; in via Giordano Bruno,
infatti, addirittura si usavano anche delle varianti: “A gh dii t Giulia, cun i ṡbaafi? (coi
baffi)”. E anche: A nn è mìa Giulia! nel senso che non
si tratta certo di una cosa facile da affrontare e risolvere positivamente.
Sempre
a Carpi anche … A n suun mia Giùlli, mè! Cioè non pensare che con mè … sia
facile fregarmi, come se io fossi quel tal Giulio!
In
origine il modo dire sembra derivi da un’avventura boccaccesca di cui rimase
vittima un marito che, rientrando in anticipo a casa dopo un viaggio di affari,
trovò la moglie a letto con l’amante, anziché essere con l’amica Giulia, che
doveva tenerle compagnia in assenza del marito perché aveva paura a stare da
sola.
Cornelio,
constatando il palese tradimento, avrebbe esclamato: “A gh dii t Giulia? Mò s la gh à
aanch i ṡbaafi!”
L’episodio
venne riportato in chiave comica in commedie e spettacoli musicale e si trasformò
in un modo di dire.
*Beinvgnù
l andé pèr baater e l è stè baatù. Benvenuto andè per battere ed è
stato battuto.
*
Al
buuṡ dla Iaacma. La strana frase si può tradurre come … il buco della
Giacoma e si tratta di un particolarissimo indicatore meteorologico valido in
varie zone della nostra regione.
Al buuṡ dla Iaacma ad esempio è una parte del cielo di Reggio Emilia,
delimitata da confini immaginari quanto basta, che è dotata della notevolissima
proprietà di mostrare un'anteprima del cielo come sarà entro un breve futuro.
Se
oggi piove e nel buuṡ si vedono dei lampi, domani ci sarà tempesta; se piove e
il buco è sereno, domani sarà bello.
Al buuṡ dla Iaacma è quindi una finestra anticipatrice di previsioni apertasi
nel cielo, la cui accuratezza proverbiale, anche se empirica, è stata
confermata più volte da vari osservatori.
Ma
“Il buco della Giacoma” è anche il titolo di un libro di Giorgio Torelli,
giornalista e scrittore di Parma, classe 1928. Torelli, con arguzia, spirito di
osservazione, nostalgia moderata e sottile ironia ricorda la vita di una volta
raffrontandola con quella attuale.
Perché
al
buuṡ dla Iaacma ? Torelli lo spiega così: “… il buco della Giacoma è
quell’angolo divinatore di cielo (a sud-ovest) che s’incupisce, se il nostro
fato sarà maligno e si rovesceranno tuoni e fulmini sulla città; ma che si
stempera ed è mitissimo, se non accadrà niente di niente”.
Al buuṡ dla Iaacma in dialetto, non era riservato a Parma città, ma lo si
interrogava anche dalle campagne, come fosse un oracolo meteorologico. A
Langhirano, lodata patria dei prosciutti, al buuṡ dla Iaacma era facilmente
individuabile: era quella porzione di cielo sovrastante i primi contrafforti
dell’Appennino, delimitata verso sud dalle ultime propaggini della pineta di
Cozzano e verso ovest dalla svettante chiesetta di Castrignano. Dall’altra
parte dell’Appennino nasce la brezza benefica che, dal mare, attraversa la Lunigiana, scavalca i
passi del Cirone e del Lagastrello e si incanala lungo le vallate dei torrenti
Parma e Baganza per scendere a massaggiare sapientemente i prosciutti in fase
di stagionatura.
Ecco
invece la testimonianza di un abitante delle montagna bolognese:
“Mi
ricordo che da piccolo sentivo parlare dai miei nonni dal buuṡ dla Iaacma,
guardandolo da Camugnano si identifica con un'apertura (una vallata) fra due
monti a ridosso del Bacino di Suviana.
Anni
dopo, incuriosito, cercai su internet se qualcun'altro ne è a conoscenza, e ho
scoperto che a Bologna viene identificato con lo spazio di cielo a fianco di S.
Luca, guardando in direzione Casalecchio.
Se
si osserva al buuṡ dla Iaacma, dietro Suviana (come quello di S. Luca) è
possibile prevedere il tempo! Già, perché quando le nuvole lo ricoprono, vuol
dire che se si è all'aperto, è meglio rincasare!
Mi
sono sempre meravigliato di come al buuṡ dla Iaacma azzeccasse le
previsioni.
Il
suo nome, pare che sia addirittura legato al cammino di Santiago de Compostela.
La
foto ritrae al buuṡ dla Iaacma bolognese in una fredda giornata di fine
dicembre 2006, ma il bel tempo è in arrivo! Si capisce dal raggio di sole, al
buuṡ dla Iaacma si sta aprendo... “
**
Il
nome sembra in effetti deriva da San Giacomo di Compostella, in Spagna, meta di
grandi (quanto inutili) pellegrinaggi. Anche nel modenese indica(va) un tratto
di orizzonte che si intravede(va) a occidente fra due vette dell'Appennino.
Quando si mostra(va) buio e nero, era presagio certo di brutto tempo.
Il
detto si sparse per buona parte della pianura padana e anche verso Mantova e
Ferrara. Ma in queste zone il detto non poteva essere applicato, perché la
forcella dell'Appennino NON si poteva di certo vederla e allora il suo
significato fu corrotto e trasformato, dando ad esso un tratto scurrile: “Atèinti
al
buuṡ dla Iaacma!”
Naturalmente
era fin troppo facile attribuire all’intimazione un ben preciso
significato sessuale con riferimenti morfologici a più o meno misteriosi
pertugi di una certa Giacoma, che si presume fosse generosa nel loro utilizzo a
vantaggio proprio e del prossimo di genere maschile.
Ultima
nota seria … al reṡdóori di tutte queste zone osservavano spesso al
buuṡ dla Iaacma, specialmente se il tempo era incerto, per programmare
le loro attività domestiche, come l’impegnativo bucato con la cenere, la
produzione della marmellata di amarene, o di altra frutta, e le lunghe
camminate per recarsi al mercato.
*
“Aamb
duu… Catùulo!” Tutti e due Catullo! Quando si indicano due colpevoli o
due ugualmente interessati a una certa cosa; non so però da dove derivi di
preciso la frase e cosa avesse combinato questo Catullo.
*
Detto vignolese; degno di interesse e lo riporto volentieri: Trèina
e Gnuchètt ìin la ruvìina di puvrètt. Nei primi decenni del secolo
scorso a Vignola i Trenti e i Gnochetti (scutmàai
di Zagnoni) erano due famiglie di gretti agrari. L'avidità dei proprietari e i conseguenti
contratti capestro erano la rovina della povera gente che lavorava le loro
terre.
*
‘Na
vèecia carampaana. Il modo di dire sta a indicare una vecchia signora molto
truccata e agghindata, tanto da risultare ridicola.
La parola
che ha origine a Venezia, dalla calle «Ca’ Rampani», che prende il nome dai
proprietari patrizi Rampani; si tratta di un luogo fuorimano, lontano dalle
chiese. Estinta la famiglia, gli edifici nel 1421, furono assegnati, con
consenso della Repubblica, alle meretrici che presero il nome del luogo dove
esercitavano la professione. Le prostitute, spesso avanti con l’età e non più
esili di corpo, erano solite richiamare i clienti esibendo un vistoso e pesante
trucco.
Il termine ha
varcato i confini della Serenissima ed è giunto anche a Carpi col significato
di denotare una donna avanti con gli anni, corpulenta, vistosa, ingioiellata e
truccata, magari un po’ eccentrica, non certo rassegnata allo scorrere del
tempo. L’esito, purtroppo per la signora, sarà inesorabilmente ridicolo;
* una piccola sezione può essere dedicata alla
caduta della neve e in particolare e alla quantità del candido precipitato.
Accanto solite frasi, spesso per meglio significare
una consistente nevicata, venivano simpaticamente citati, in discorsi
familiari, nomi di persone reali, molto alte e con gambe molto lunghe.
Ecco alcuni esempi che mi sono stati riferiti.
A Carpi si poteva dire … "A n è gnuu un cuul èd Sandro
Cavasòun!" … certamente si trattava di un signore molto alto e con
delle gambe di dimensioni ragguardevoli.
A Campgaiàan (Campogalliano) … " A gh in viin un cuul èd
Redighiéeri!"... con riferimento a tale Egidio Redighieri
(tutt'ora in vita), una persona di rilevante statura.
Mentre a Limidi si usava un'altezza più contenuta,
ma con riferimento a un "oggetto" probabilmente di ben consistenti e
massicce dimensioni … "A gh in viin un cuul dla Tereṡiina!"
*Éelt cóome al
dutóor Pulaaster. Alto come il prof
Celeste Pollastri. Chimico e benvoluto insegnate di matematica (anni 60-70) di
ragguardevole statura. Buon giocatore di scacchi e amante del bel canto;
Fausto
Cristoni (Vignola)
annota che ogni paese ha i suoi spilungoni territoriali. A Vignola si
paragonava una persona lunga alla "Famìia
di Satriòun", la famiglia Satrioni, la quale annoverava esponenti, sia
maschi che femmine, molto alti.
Sempre a Vignola, Daniela
Sacchi ricorda questo personaggio:"L è éelt coome Pippo Duedèes!
(cm 2,10)."
*
L è rìggid cóome al dutóor Donadiio; rigido come il dr Donadio; uno
stimato medico del dopo guerra che camminava con scarsissima elasticità;
*dèer duu sòold a Gambèin (o a Gambèina o Gambètta); dare dei
soldi a Gambino. Significa esortare ad affrettare il passo, dove la figura
metaforica di Gambino sta indicare gli arti inferiori;
*
I Pignatti… Pgnàati, Pgnatèin e Pgnatàasa!
*
Al
n à faat più che Mastrèel; ne ha fatte di più che Mastrilli. Si parla
di una persona che si è macchiato di ogni nefandezza. Giovanni Mastrilli da
Terracina a cavallo fra il 1800 e 1900 fu un feroce brigante. La sua fama di
parricida, stupratore e rapinatore giunse anche a Modena e provincia. Essa
venne ingigantita dal burattinaio Giulio Preti che lo fece diventare il bieco protagonista
di una delle sue commedie; in carpigiano con lo stesso significato si usa Al n
à faat più che Bertòold o Minèela! il primo però malfidato e astuto e il secondo
coglione;
*una
signora anziana che ora non c'è più, giocando a scala 40 diceva spesso, dopo
aver visto uno scarto o una calata: "Issia spusèe la Bigarèela!"
Purtroppo
non conosco il fatto vero da cui si è originata questa frase, ma possiamo
tentare una ricostruzione.
Il
modo di dire sta a significare, in modo metaforico, il rammarico di aver fatto
in passato una scelta, invece di un'altra; un’opzione che in quel momento
sembrava non conveniente. Le cose però col tempo sono cambiate e oggi si
esprime il disappunto di aver sbagliato. Nel gioco della scala 40 è evidente
l'amaro ripensamento circa la scelta di uno scarto, di una calata di tris, del
battezzo di una matta, ecc...
Può
anche significare che è saggio sapersi accontentare al momento giusto, per non
perdere tutto.
È
quindi probabile che detto derivi da un fatto vero... chissà quando?
Un
uomo, volendo sposarsi e avendo più alternative, rifiutò di prendere questa
signorina Bigarelli, orientandosi su una donna diversa, forse più avvenente o
più "dotata"economicamente.
Ma
poi la scelta si dimostrò disastrosa.
A
tale riguardo è difficile resistere all’accostamento con la gentile signore
dell’immagine che segue. Infatti è davvero difficile resistere al “clamore” di
questa foto che ritrae nel 1926 Barile, primo figlio di Don Zeno, e la
Clementòuna Bigarèela con tanto di pipa bocca.
Accostando
questa Clementona Bigarelli al modo di dire, certo sarebbe stato molto
problematico sceglierla come moglie!
Una
derivazione di questa frase, "Issia tòolt la Bigarèela!", la
si usa ancora oggi in qualche bar di Carpi dove si pratica il gioco della carte
(scala 40, pinacolo o ramino) e si riferisce appunto a una cattiva pescata dal
mazzo, dopo aver rifiutato di prendere su una carta scoperta sul tavolo.
**
L’aaqua Bigarèela
Un'altra singolare espressione
strana del nostro dialetto legata a un cognome è misteriosa l'aaqua
Bigarèela. Questo singolo modo di dire si riferisce molto semplicemente
… all'acqua gas(s)ata, o come si dice... addizionata di anidride carbonica.
Questa bevanda, oggi comunissima, cominciò a
diffondersi largamente anche a Carpi con il boom economico alla fine degli anni
'50.
Per anni ho sentito questo modo di dire e mi sono
sempre chiesto il perché e l’origine di questa espressione. Finalmente da
testimonianze raccolte personalmente, e non senza difficoltà, sono riuscito,
presumibilmente a ricostruire l’origine si questa simpatica espressione e lo
riporto con riserva di ulteriori verifiche.
Renzo Bigarella fondò la ditta BIGARELLA DISTRIBUTORI AUTOMATICI di Cassano d'Adda (MI).
Negli anni '50 il Bigarella aveva già svolto una pionieristica attività di
distribuzione di caffè caldo, contenuto in thermos. Riempiva la cesta della sua
bicicletta e andava a consegnare la bevanda agli operai che in quegli anni
lavoravano di giorno e di notte. Nel 1963 intuì la possibilità di offrire un servizio
di ristoro automatico a chi operava nelle fabbriche e successivamente a chi
frequentava le scuole.
2012 Attuale logo della Ditta
Bigarella
Iniziarono così a diffondersi anche a Carpi i
distributori di bevande Bigarella. I carpigiani non potevano farsi sfuggire
l’evento e nacque così l'espressione dialettale aaqua Bigarèela che
indicava appunto la gustosa acqua gasata in bottiglia, dispensata appunto dai
primi distributori automatici. Essi furono installati inizialmente alla Marelli
che in quegli anni era una ditta con un rilevante numero di dipendenti e che
quindi rappresentava un buon bacino di consumo
**
Mingone e i suoi “parenti”
(Domenicone)
Interpretazione reggiana con ricami di Mingone e Minghina
Giorgio Rinaldi, noto
esperto di dialetto modenese, ritiene che: “Mingòun,
Tugnòun, Sandròun, ecc..., siano
quei nomi molto comuni presso il popolo, resi in forma accrescitiva, più o meno
bonaria, per rendere l’idea della grossolanità del personaggio. La fantasia popolare crea poi via via episodi
o storielle ironiche, che attribuisce ad essi per sottolinearne e accentuarne le
caratteristiche.
Il nome Mingone
appare nell’opera di Giulio cesare Croce in Le
piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino (1608), dove si accenna a un
figlio di Mingone, così sempliciotto che trascorreva tutto il giorno a contare
le onde del mare. Poi nel 1778,
in un Trattato di Pratica
Agraria distribuita in varj dialoghi di
Giovanni Antonio Battarra, un certo Mingone proponeva di fare il pane con solo
farina di patate, perché “ai contadini l’indigestione non nuoce, anzi sembra
loro di essere più sazi”, cioè una bella indigestione allontana il desiderio di
mangiare, perché così lo stomaco viene ingannato.
Altri episodi o motti
relativi a Mingòun/ Minghìin/ Minghiina ci vengono narrati da Dante Colli,
in Casa Foresti e altri
sono stati raccolti da Mauro D'Orazi di Carpi.
Resta da dire che
tali nomi, per la loro caratteristica maggiorativa, si prestano anche
facilmente a rime buffe, sarcastiche o volgari.".
A
tale proposito la mia interprezione è che per Mingone, così come per i
"fratelli" Brugnoli, sui quali trovete un capitoletto subito dopo
questo, si tratta di... "semi" maschere, che per qualche motivo a noi
non noto o non identificabile non hanno trovato le spinte popolari, culturali e
letterarie di diventare maschere vere e complete.
Dunque
Mingone = semi maschera di persona sciocca e poco intelligente.
Se
Mingone fosse entrato in una commedia di Goldoni, oggi staremmo parlando di
qualcosa di più completo, definito e famoso; la stessa cosa per i
"fratelli" i Brugnoli.
*
per dire che una faccenda, con dissapori, era chiusa o al termine col vantaggio
o svantaggio di una certa parte, oppure per un semplice allontanamento … “ A t
salùtt Minghìin !” … oppure anche “ A t salùtt Mingòun !” che
era uno molto grezzo che veniva dalla campagna, venditore di aceto. Dante Colli
nel suo volume “ Casa Foresti“ ci dà questa ulteriore simpatica spiegazione: si
tratterebbe di una storiella sarcastica che racconta di un Minghìin matto, che sfuggendo finalmente all’attento controllo di
un infermiere si getta dalla finestra e urla soddisfatto … “A t l
ò faata!” e l’infermiere, mandandolo al diavolo, con un inequivocabile
gesto di commiato della mano, esclama con tono liberatorio… “ A t salùtt
Minghìin !” ;
*
esiste anche l’accezione al femminile con “Minghiina”; può avere un significato
leggermente diverso: "A t salùtt Minghiina!” è una
risposta incredula a una frase, sul tipo:"Non so se la tal persona mi farà
una certa cosa, così come mi aveva promesso." E la risposta disincantata
sarebbe: "Sèe! A t salùtt Minghiina!";
*L è cóome Mingòun, ch al s léeva in pée pèr vultèer galòun … È come Mingone (Domenicone), che si
alza in piedi per cambiare lato del corpo su cui si dorme a letto … Una persona non certo agile e
svelta; serve anche per indicare chi per fare una semplice operazione, compie
azioni inutilmente complicate;
* di altro tono … “ L è pasèeda a Mingòun, ch i gh l àan tòolta da galòun (la muiéera) … la t pasarà aanca a tè!” … “ È passata la rabbia a Mingòun, che gli hanno preso la moglie da gallone (di lato a letto, mentre di notte dormivano occasionalmente in tre nello stesso giaciglio) … passerà anche a te!” … nel senso che tutto passa, anche i motivi dell’ira più profonda; anche nella variante “L è pasèeda a Mingòun, la paasa aanch ai caiòun”
*
“ E
Mingòun, ch al pusèeva d caiòun, invéece dla lumma al purtèeva al lampiòun.” … “E Domenicone, che puzzava di
coglione, invece del lume portava il lampione.”
* “Mingòun
èd Mingaràan, s a n pèega mìa incóo, al n pagarà gnaanch edmàan!” … “Mingone di Mingarano, se non paga
oggi, non pagherà neanche domani!” … dunque un pagatore scarso;
* Lunngh al Portèegh dla Minghètta, (lungo il portico della
Minghetta); si tratta del portichino all’inizio di via San Francesco, apèina
gnuu fóora da la Piasètta; la Minghètta l’èera ‘na frutaróola
(fruttivendola) che teneva bottega sotto questo portico; sempre li aveva sede
l’albergo La Barchetta; davanti, fuori dalle colonne, c’erano dei banchi
venditori ambulanti e di pularóo (di pollivendoli,
prima dell’apertura del mercato dei polli in Piazzale Ramazzini); fra gli
ambulanti c’era anche la ditta Marzi Luigi e figli che poi aprì un rinomato
negozio di scarpe in corso Alberto Pio, presso la galleria, rimasto in attività
fino al 2012;
Anni ’30 - tre viste dal portèegh dla Minghètta in via
San Francesco
Nella terza foto Umberto Lugli il primo da dx
**
* un certo Minètta
viene citato in questa filastrocca “endless” molto maliziosa in uso presso i
ragazzini fino agli anni ’50 e ’60:
**
Testo iniziale luglio 2013
V33 del 15-08-2014
Pretonzoli
o signorotti manzoniani?
Accrescitivi
personalizzati
Signorotti
e preti: Don Rodrigo e Don Abbondio
di Mauro
D’Orazi
Pretonzoli o signorotti manzoniani?
Accrescitivi personalizzati
di Mauro D’Orazi
Premessa
(tratta da Wikipedia)
Don è un termine comunemente
utilizzato, a partire dalla metà del Duecento, come prefisso al nome, per
indicare nobili del patriziato milanese e napoletano, principi, duchi, marchesi
di baldacchino, ecclesiastici e religiosi. Don è l'abbreviazione della parola
donno in uso ancora ai tempi di Dante, ma non più conservata, la quale deriva
dalla parola latina dominus, che significa signore, padrone. Propriamente
"don" non costituisce un titolo, ma è un trattamento.
Al
di là dell'uso onorifico, è stato in seguito usato per chiamare i preti
diocesani della Chiesa cattolica, detti anche clero secolare; e i diaconi
(permanenti e non). I presbiteri religiosi, o clero regolare, sono invece
chiamati con altri prefissi quali Dom,
Fra (o Fratello), e il più diffuso Padre (usato anche come appellativo
verso i presbiteri secolari). Quest'uso è prassi in tutt'Italia, ma fino al XX
secolo non era comune in Sardegna, dove al nome del sacerdote si anteponeva la
parola prete o al limite signore. Nei secoli scorsi, fino al XIX secolo, il Don era riservato ai preti appartenenti
a famiglie nobili, pertanto il nome era preceduto da Reverendo Don; al contrario per i preti appartenenti a famiglie
popolane il nome era preceduto dal solo Reverendo.
In
Spagna il trattamento di don si può premettere al nome di tutti i maschi (per
le femmine si usa doña), mentre in
Francia e in Portogallo i sacerdoti usano il titolo di dom.
Esempi
letterari di personaggi famosi che hanno questo trattamento sono, fra i nobili,
Don Rodrigo, Don Chisciotte e Don Giovanni; fra gli ecclesiastici Don Abbondio
e Don Camillo.
In
Italia, specialmente in Sicilia, è un titolo per persone degne di rispetto e
molto sagge (è usato, quindi, per dimostrare reverenza agli anziani), spesso
erroneamente confuso con l'appellativo mafioso (ad esempio "Don Vito
Corleone" de Il padrino). Negli Abruzzi, Puglia e in Calabria fino alla
seconda metà del XX secolo veniva usato per indicare, oltre al sacerdote,
persone di alta estrazione sociale (es. avvocati, notai, sindaci, medici,
ecc.); a tali persone la gente del popolo dava del "voi" mentre esse
davano loro del "tu". Al femminile veniva usato l'appellativo
"donna".
Come
l'analogo titolo onorifico britannico Sir
va sempre accompagnato dal nome e non dal cognome.
**
Nel
dialetto delle nostre zone, però, si trova un uso del Dòn, oltre a quello canonico, del tutto particolare: canzonatorio,
satirico e a presa in giro.
Riporto
una serie di curiosi appellativi che si attribuiscono, quasi sempre
bonariamente, a persone con particolari comportamenti negativi legati anche a
fatte fisiche, idealizzando immaginari “notabili” di un tempo passato a
rappresentare sommamente tali difetti, con tanto di titolo nobiliare: figure
simbolo che eccellono in modo allegorico di particolari difetti umani.
Autorevoli storici di vicende locali sono di opinione più decisa;
di seguito riporto un parere motivato e direi… efficace di Anna Maria Ori
(studiosa di storia e costumi locali):
“Non mi convince per niente che il “don” derivi dall’appellativo
nobiliare, ma penso solo da quello religioso. Il popolo in genere non aveva
molti contatti coi nobili, e comunque a Carpi solo i Pio potevano avere il
“don”, tutti gli altri no, Conti Bonasi compresi, perché erano titoli comprati e
poi era sempre pericoloso prenderli in giro.
In compenso c’erano
schiere di preti di famiglie abbastanza abbienti, che potevano pagare la retta
del seminario, ma non molto di più. Si era in periodi in cui vigeva il
maggiorascato e tutta l’eredità andava al primo figlio maschio; in caso di
morte senza eredi, al secondo fratello maschio e così via.
Si può immaginare la blanda
vocazione di questi preti... che il popolino prendeva in giro!”
Anche lo storico Gilberto Zacchè (MN) ritiene corretta
l’interpretazione sopra riportata e annota che questi curiosi modi di dire si
usano non solo a Carpi, ma anche nelle zone vicine, come ad esempio nel
mantovano.
L’esperto dialettologo Giuliano Bagnoli (RE) ne conferma a suo
volta l’uso a Correggio e nel reggiano.
**
Ecco dunque un elenco
con una serie di questi gustosi
appellativi:
Dòn Intrìigh = (Don Intrigo) ci si
riferisce a colui che è intricato a fare le cose, ci mette tempo, è impacciato,
esegue male e fa danni. Per piantare un chiodo per un quadro fa cadere una
spanna di intonaco; deve portare un vaso pieno d'acqua e lo rovescia mezzo sul
pavimento, ecc… ;
Dòn Arafòun = (Don Arraffone) riferito a
persone sempre pronte ad approfittare della situazione e delle debolezze della
gente per far propri con ingordigia senza limiti di beni, soldi e potere
altrui;
Dòn Ṡmindgòun = (Don Dimenticone) è uno
che si scorda tutto e dimentica le proprie cose nei posti più strani, ecc… ;
Dòn Sugòun = (Don Sugone) ci si
riferisce a persona asciutta, come un limone con poco sugo; uno che dà poca
soddisfazione per cose che gli vengono presentate con entusiasmo da altri; la
faccia risulta spesso arghignèeda (o argnèeda);
Dòn Pultiòun = (Don Pultione) è chi può
essere definito un disastro, un creatore di disordine e di sudiciume: un paciugone. Se si lava i denti, si
sporca i vestiti di dentifricio; se travasa un liquido e sporca dappertutto, se
mangia un gelato e si sporca la camicia, ecc...;
Come
varianti abbiamo anche Dòn Puciòun (Don Puccione) e Dòn Pastisòun (Don Pasticcione), entrambi con pochissime attitudini a svolgere
attività ordinate e perfette;
Dòn Sivlòun = (Don Civettone), forse
contrazione di sivetlòun (civettone, cornacchione: uccelli paludati di nero);
qui ci si riferisce a un prete generico, vestito di nero, sottintendendo con le
ben conosciute caratteristiche negative di questi personaggi;
Dòn Sturlòun = (Don Sturlone) si tratta
di una persona ostinata, ma anche sbadata, sventata, che, nel procedere in una
certa azione, sbatte la testa da tutte le parti senza costrutto;
Dòn Miṡéeria = (Don Miseria) riferito a
persone nella cui casa vi regnava una indigenza nera, poco lavoro e debiti da
pagare...
Dòn Pedaana = (Don Pedana) l’epiteto è riferito a chi è solito inciampare, sia
perché è impacciato, sia perché ha i piedi troppo lunghi, oppure che stanno
aperti; tutte tre le caratteristiche, ahimè, mi appartengono e non possono non
ricordare mio padre (laziale) che appena sentiva il TOCH di un incespico, dopo
due decimi di secondo … IMMANCANCABILMENTE … mi grugniva: “SCARPACCIA!”
Dòn Pugiòun = (Don Appoggione) quando
qualcuno ti sta addosso, in senso fisico, e mentre ti parla ti si appoggia con
le mani o il braccio alle spalle con pesantezza, gli si potrà dire spazientiti...
"Dòn Pugiòun l è bèlle mòort !"... "Don
Appoggione è già morto !";
oppure:”Dòn
Pugiòun l è mòort ! E sò fradèel l è a l uspidèel ! " In questo caso le cose si
aggravano, anche il fratello non era messo troppo bene ed è ricoverato
all’Ospedale Civile Ramazzini;
altra
variante: “Pogiòoli l è mòort e sò fióol al stà mèel !”… Poggioli (un cognome
reale e in uso) è morto e suo figlio sta male o è in agonia. La frase si
proferisce da parte di chi non sopporta che un’altra persona si appoggi a lui.
Io aggiungerei anche la bella frase carpigiana, che più spesso ha anche ha un preciso
valore metafisico... "Stà m su da dòos !"...
"Stammi su da addosso !" … che è sempre un bel dire;
dal
reggiano mi suggeriscono anche … la
Ditta Appoggi (o Poggi) è
fallita!
C’è
poi anche un appellativo attribuito a un sacerdote carpigiano realmente vissuto
nel secolo scorso e soprannominato per la sua considerevole statura e magrezza Dòn Ṡuntèe (una parola praticamente intraducibile
in italiano: per renderne il vero significato non basta certo un semplice Don Aggiunto,
ma occorre una perifrasi, del tipo Don
fatto di parti aggiunte l’una all’altra, come spesso erano gli indumenti o
la biancheria - lenzuola, coperte o tovaglie - di molti carpigiani, decorati da
aggiunte strategiche).
Il
personaggio era così noto che ho avuto testimonianza diretta che padre vedendo
la figlia crescere molto in altezza, le diceva scherzosamente: “Te m
pèer la fióola èd Dòn Ṡuntèe! (Mi sembri la figlia di Don Aggiunto!)”;
Era
Don Ernesto Zanoli parroco di San Francesco ed era veramente di rilevante
statura; anche il fratello era molto alto; oggi riposano assieme nel cimitero
di Santa Croce, a destra sotto il portichetto.
Ma
la l'ironia sacrilega dei carpigiana porta a un’ulteriore variante nel
significato: infatti si parla (forse erroneamente, ma tant’è!) anche di un Dòn Ṡuntèel
(Don Giuntella), perché questo prete
sembrava, nel cadenzare le frasi della predica, che stesse sempre per finire,
ma invece... ce ne aggiungeva sempre.
Dòn Ṡgambirlòun = (Don Sgamberlone) anche in
questo caso ci si riferisce a una persona allampanata con le gambe lunghe, la
cui presenza si rivela d’ingombro a chi le intorno per adempiere alle proprie incombenze:
“Tóo
t d ind i pée … Dòn Ṡgambirlòun!”;
Dòn Arvèers = (Don Rovescio) per persone
a cui non va mai bene niente;
Dòn Montini per persone che, provocate ad arte, montano su subito; qui è poi fin
troppo facile un collegamento col nome secolare di Paolo VI.
Dòn Sivèel = Al sivèel l è cal fèer che a n
fa mia gnìir fóora la róoda dall'asse del carro; è unto e nero e spesso in
passato (ad esempio a Fossoli) così poteva essere chiamato un prete: Don
Sivèel. Sivèel può poi essere
uno dei tanti epiteti negativi per una persona di scarso valore.
Un moderno sivèel potrebbe
essere una coppiglia, in contesti meccanici diversi dai carri di una volta.
Dòn Tardòun = (Don Tardone) è riferito a
persone lente nell’agire nella loro quotidiana gestione esistenziale; non hanno
orari, arrivano in ritardo cronico con la faccia più angelica, fregandosene
bellamente di coloro che li aspettano. Tutto sommato non lo fanno con malanimo
(forse): è la loro strana natura che non si adatta al soverchio peso dei
continui vincoli sociali di vita. Ma … che rabbia per chi deve rapportarsi con
loro!
È
possibile distinguere tre diverse e sciagurate tipologie:
1)
l’inconsapevole - è incapace di gestire il proprio tempo; evidenzia solitamente
tratti infantili e la sua scusa più frequente è “Scusami, non mi sono reso
conto dell’orario!”;
2)
il ribelle puro - identifica la puntualità come un’imposizione sociale;
difficilmente chiede scusa per i propri ritardi, essendo convinto che il suo
sia un atto di libertà;
3)
il disorganizzato - è incapace di programmare la propria vita, assume più
impegni di quanti ne possa portare a termine, riducendosi con affanno sempre
all’ultimo momento.
***
Voglio
anche citare un Don storico IL DON PIRLONE, un giornale satirico del 1850,
rivolto in particolare contro il clero con una satira dissacrante.
***
Una
piccola parentesi merita anche uno strano frate… tale Pèder Vòolta; costui
aveva una singolare abitudine che ci viene tramandata all’inizio di una
filastrocca molto diffusa un tempo fra i bambini:
A gh éera 'na vòolta Peder Vòolta, C'era
una volta Padre Volta,
ch al caghèeva in 'na spòorta. che cagava in una sporta.
Ma la spòorta l'éera ròtta Ma la sporta era rotta
e Pirèin ch al gh éera sòtta e
Pierino [nome
variabile] che era
sotto
al l'à magnèeda tutta! l'ha
mangiata tutta!
***
Accrescitivi personalizzati
Ho poi trovato un'altra forma assai particolare di
attribuire un nome d’occasione, provvisorio a certe persone per la loro
dabbenaggine e che si potrebbe definire come sostantivizzazione accrescitiva
del predicato verbale.
Questi modi di dire si usano in frasi intimative per
sbeffeggiare o sgridare qualcuno che ha tenuto un comportamento, che, anche se
meditato, ha prodotto risultati sbagliati, nulli o inefficaci.
Ecco alcuni esempi. Un giocatore di non eccelsa
abilità non trova la carta giusta nel gioco e perde. Allora si giustifica
pignucolando: "Mò mè a vliiva catèer la tèel chèerta! (Ma io volevo trovare
quella tal carta!"
Il compagno inviperito allora gli risponderà: "Mò ’sa
vóo t catèer... Catòun! (Ma cosa vuoi trovare … Trovone!"
L’esempio forse più noto e divertente è però: "Mò
’sa vóo t savéer... Savòun! (Ma cosa vuoi sapere … Sapone!)” Dove si gioca, con ironia tipicamente
carpigiana, sulle parole sapientone e sapone, che in dialetto trovano una
forzata, ma irresistibile fusione.
Un savòun da
bughèeda
Un sapone
da bucato
Altri casi:
"Mò ’sa vóo t magnèer … Magnòun!"
"Mò ’sa vóo t prilèer … Prilòun!"
"Mò ’sa vóo t cuntèer... Cuntòun!”
“Mò 'sa surbèlet? Surblòun!” Ma cosa tiri su?
“Sorbellone”? riferito al tirar su col brodo bollente.
e così via con... Pinsòun, Andòun, Cagòun, ecc …: insomma ce n’è per tutti i
gusti!
Alla fin dei conti tutti questi XXXòun stanno ovviamente
per caiòun,
bambusòun, sumaròun, Sandròun, ciacaròun, ecc…
Si nota ancora una volta anche in questi casi come
sia meravigliosa la vitalità del nostro dialetto. Semplicemente si opera sulla
radice verbale sav-éer (sapere),
combinandolo col suffisso nominale –òun e il gioco è fatto!
Si ottiene così un sostantivo di pura e
irridente fantasia, che intensifica il significato del verbo, ma con una
sfumatura di presa in giro che sottolinea la caiuniiṡma del soggetto,
l’inutilità o la stupidità di quella sua particolare azione, ma non una
condizione generale.
Anche il Parmeggiani (Carpi) conferma che nel nostro dialetto,
come nella lingua italiana, un accrescitivo funziona sia come sostantivo che
come aggettivo, pur prendendo origine da un verbo, da un predicato (vedi
mangione, sciupone, credulone, chiacchierone, ecc …).
I ”Fratelli” Brugnòoli
Noti professionisti in Carpi
Per
ultimo … un caso davvero particolare è la complessa e polimorfica figura di
tale (o tali) Brugnòoli; i modi di dire legati a questo buffo cognome hanno
varie sfumature di significati: tutti ironici e per prendere in giro
l’interlucutore. In primis si riferiscono a una cosa o una azione di un
qualsiasi tipo che una persona non eseguirebbe MAI e POI MAI per nulla
al mondo. La figura del Brugnoli avrebbe tutte le caratteristiche per essere
quasi una maschera (o una macchietta) sul tipo del dottor Balanzone, ma
nonostante la sua presenza nel parlato popolare e nei tanti modi di dire
scherzosi, non è mai assurta concretamente a tale dignità di ruolo.
Il
problema è che di questi Brugnoli a Carpi ce ne sono due: “A nn al farèvv gnaanch s a m l
urdnìss al dutóor Brugnòoli!”
ovvero “Non lo farei neanche se me lo ordinasse il dottor Brugnoli! ”, quindi
neanche sotto la più cogente e coattiva prescrizione medica.
Oppure
” Gnaanch
s a m al dgiss l inṡgnéer Brugnòoli!!”, ovvero “Neanche se me lo
dicesse l’ingegner Brugnoli !”, anche in questo caso la persona che pronuncia
la frase non eseguirebbe MAI una certa azione, neppure sotto precisa
disposizione di un autorevole tecnico - professionista.
Chi
sia o chi siano questi Brugnoli non è dato sapere; c’è però da dire che dopo
feroci discussioni e interminabili polemiche con amici e parenti su quale fosse
la versione giusta (medico o ingegnere ? - “A ca mìa a s è sèmmper ditt acsè!”...
“No! No! NO! Da nuèeter...a s giiva in
cl’èetra manéera!”) ho scherzosamente e saggiamente deciso di
battezzarli di mia scelta come due possibili fratelli di origine settentrionale... liberi professionisti del 1800 o
dei primi del ‘900. Sarà poi vero?
Mahh!!?! A n crèdd mìa!! Mò a m pièeṡ
pinsèer acsè.
**
Esiste
poi anche un’ulteriore accezione: per rimproverare una persona che trova
difficoltà non giustificata a capire o a fare una piccola e facile cosa talora manuale.
Allora lo si apostrofa con ironia … “ Óoo alóora! … Ciamòmm ia l inṡgnéer Brugnòoli!” …
“Allora !... Chiamiamo un tecnico super specializzato per capire o fare
questa piccola e facile operazione che non ti riesce!”.
Ecco
un’esemplificazione, a doppio o triplo senso, del modo di dire:
Domanda:
“Se non capite questa vignetta … ve la spiego!”
Risposta:”
Mò
sé! A n gh vóol mia l inṡgnéer (o al al dutóor) Brugnòoli!”
**
Non
va dimenticato in questo contesto al dutóor Bunéega ch a l curèeva al buuṡ dal
cuul cum ch al fuss 'na brutta piéega (il valente dottor Bonaga che
curava il pertugio posteriore, credendo fosse una brutta piaga). Una figura di
medico emiliano romagnolo per certi aspetti riconducibile anch’esso alla
maschera bolognese del dr Balanzone
Sempre
proposito invece del dottor Brugnoli, il conoscitore di “cose locali” Franco Bizzoccoli
mi ricorda che l’origine di tale misteriosa figura potrebbe essere ferrarese e
che al “cafè” solo in occasione del gioco ragionato dello scopone, che
ha regole ferree matematico/scientifiche, se si faceva una bella giocata si
veniva elogiati con un “ Óo... mò t ii stèe a scóola dal dutóor Brugnòoli!” (“Ohh... ma sei stato a scuola dal dr
Brugnoli ! ”); ma in caso di tragico errore “S a te vdiss al dutóor Brugnòoli al t darèvv ’na scupaasa!“ (“Se ti
vedesse il dr Brugnoli di darebbe una scopaccia!”).
La
madre di qualche discolo poteva poi lanciare questa minaccia: “A t daagh 'na s-ciàafa ch a n t la
chèeva gnaanch al dutóor Brugnòoli.” Ti dò una tale sberla che non te la toglie nemmeno
il dr Brugnoli con la tutta la sua arte e abilità.
**
Altre indicazioni relative ai Brugnoli mi sono
arrivate da altre fonti.
Stefania Bellelli (Carpi) riferisce che è esistito
un dottor Brugnoli abitante a Carpi fine 800. Mentre dell'ingegnere nulla sa.
Luigi Lepri (Bologna), noto esperto di
dialetto bolognese e autore fra le tante cose della rubrica del sabato di
Repubblica "Dì ben su fantèsma!”
così mi ragguaglia:
“Bologna,
3-3-2011
Caro Mauro, a Bologna, che io sappia, un detto
del genere non c'è.
Potrebbe
essere un personaggio localizzato dalle vostre parti.
Da
noi dei notissimi Brugnoli sono comunque esistiti:
Era
una famiglia di editori e librai dell'Ottocento, attivi fino agli anni 1950
nella gestione di una libreria circolante, in Via DÈ Toschi, dove i meno
abbienti prendevano libri a prestito per una piccola somma. A Bologna, per
questa attività, erano famosi.
Io,
da pargolo, ci andavo per incarico di mia madre e ritirare o restituire libri
che lei leggeva e non poteva acquistare.
Ma
che la loro fama sia arrivata fino a voi ho forti dubbi.
Ciao
Gigén Livra”
**
Lo
scrittore carpigiano Carlo Alberto Parmeggiani aggiunge: “Bizzoccoli ha ragione. Al
dutóor
Brugnòoli è spesso e ancora citato durante il gioco della carte fra gli
anziani che talvolta motteggiano sul termine "dutóor", ovvero
"duu a tóor e uun a dèer"
Mauro Prandi (Carpi), negli anni ’90, soprannominò
un ragazzo che frequentava il suo bar e aveva molti brufoli in faccia … Brugnòoli.
**=M=**
Approfondimenti di cognomica carpigiana
Non tratterò
qui degli scutmàai, mitici soprannomi delle nostre zone che identificano
le famiglie (Lùi = Bghìin, Allegretti = Placàan), né dei meno storicamente titolati sovranòmm o
sovernòmm (al Ròss, al Sòop) che
individuano un singolo personaggio e che, a loro volta, solo col tempo e la
discendenza talora si trasformavano in scutmàai.
Questi
ultimi, presenti una volta a centinaia e oggi solo in piccola parte
sopravvissuti o conosciuti, stanno a indicare e distinguere le gentes carpigiane con lo stesso cognome.
Il complesso tema degli scutmàai carpigiani è
stato approfondito in modo esaustivo da Attilio Sacchetti nel suo libro “Carpi,
una volta. Aspetti della società carpigiana tra Ottocento e Novecento” del
1998.
Nessuno, ci pare fino ad ora, si era però soffermato
sui normali cognomi e la loro “deformazione” nel nostro dialetto, né tanto meno
sui nomi di battesimo.
Abbiamo
elencato con l’aiuto di tante volenterose fonti oltre 500 cognomi in
carpigiano, che nella parlata dialettale subiscono sensibili variazioni (Baracchi - Baraaca, Pellacani – Placàan,
Pollastri – Pulaaster, ecc …), mentre abbiamo tralasciato
quelli che restano invariati o al massimo subiscono solo il caratteristico
allungamento di vocale carpigiano (Po, Fabbri, Prandi, ecc …).
Non tutti i cognomi poi si prestano ad alterazioni:
possono esserci infatti difficoltà di pronuncia o una storpiatura inaccettabile
del termine. Ma se si fa fatica a dire "la Riiga", si
può risolvere il problema con una perifrasi, per esempio quèlla di Riigh(i), se
proprio non se ne può fare a meno.
Esperti
ed esperte del ramo ci avevano prudentemente avvertito che un’impresa globale e
scientifica era praticamente impossibile, in quando nei secoli scorsi le
variazioni dei cognomi erano pressoché infinite.
Per
questo motivo abbiamo modestamente limitato il campo della nostra ricerca,
basandolo essenzialmente sulla nostra esperienza, sulla nostra memoria e quindi
sul nostro vissuto. Ciò ha fatto sì che l’elenco che abbiamo costruito, un
mattoncino dopo l’altro, sia una foto (manchevole) che abbraccia grosso modo
SOLO gli ultimi 50 anni del 1900. La nostra ambizione si
stempera in questo mezzo secolo.
*0*
Esistono poi caratteristiche particolari e
interessanti sui nomi e sui cognomi sui quali non si è mai indagato; sono
emerse così varianti e declinazioni.
In genere le famiglie in quanto gruppo, o meglio
clan familiare di maschi, erano indicate al plurale: i Martinée, i Artióo, i Gavióo, ecc...
Vengono riportate anche le curiose
varianti al femminile di molti cognomi per indicare la moglie del capofamiglia
riconosciuto (la reṡdóora): la Bulgarèela, la Mèsscla
(la Mescoli), la Lùia (la Lugli), la Manichèerda, la Malavèeṡa, la Batèina, ecc...
Infatti è uso nelle nostre zone che il cognome,
acquisito o originale, della donna venga declinato al femminile. Caratteristico
è il fatto che la donna sposata prenda il cognome al femminile del marito. Una
donna sposata a un Paciòun (Pacchioni), potrà essere individuata come la Paciòuna.
Ma questa trasformazione al femminile non vale solo
per le maritate, ma trova applicazione, però col cognome di origine, anche nel
caso di una bambina, di una putta di una certa età non sposata, di una signora
di una famiglia molto importante o dal riconosciuto carattere molto forte e
autorevole.
L’ultima accezione desta anche un notevole interesse
di costume sociale in un’epoca non certo paritaria fra i generi.
Un notissimo esempio a Carpi si è avuto cun
al
surèeli Ṡambèeli (figlie di un Galli – rappresentante di commercio - un
viaṡadóor - e di una Zambelli – commerciante in carbone). Queste
signore, commercianti esse stesse e appartenente alla piccola - media
borghesia, hanno sempre conservato la loro denominazione per due generazioni e
anche dopo il matrimonio. Con tutta provabilità la loro personalità era troppo
forte, spiccata e nota, per essere assorbita dal ceppo familiare dei mariti.
Inserzione pubblicitaria del 1935 a Carpi –
Da qui hanno cominciato a denominare l’esercizio “da la ṠAMBÈELA ".
Era la madre della Zora, suocera di Ciro Carretti e nonna di Hermada,
Wanda e Dea.
Bisnonna di Fabio Carretti e Claudio Dr. Orlandi.
**0**
Un altro aspetto curioso è la declinazione al
femminile di incontrollabili e forti momenti di rabbia tipici di una certa
progenie. Non di rado abbiamo sentito curiose frasi del tipo:
“ Stà atèint ragasóol che s a m viin la Lùia o … la Camurra, la Bulgarèela, la Tóoṡa!” Sottinteso
la
raabia (la rabbia tipica e nota) di quella certa famiglia, che si è
trasmessa per generazioni per DNA via via ai discendenti.
Ci sono poi delle varianti fonetiche: i Malagoli
erano i Malaghìin, ma la moglie restava … la Malaghiina.
Anna Maria Ori ricorda che le famiglie fino al
Settecento scorso erano sentite come gruppi allargati, come clan, e tanto più
se erano potenti e facoltose. I Pio erano sempre i Pij, intesi come nucleo
maschile di guerrieri o di potenti: quindi Alberto Pio era Alberto dÈ Pij, ma
le donne nate in quella famiglia (e che se ne vantavano) erano singole Camilla
Pia, Emilia Pia, ecc… Nella seconda metà del Quattrocento comincia l’abitudine
delle donne nobili sposate di aggiungere al cognome della famiglia d’origine
quello della famiglia in cui erano entrate: Benedetta del Carretto, quando sostituì
il marito Marco negli affari politici, si firmava sempre Benedetta Pia. Ci sono
però eccezioni: se la nuova famiglia era meno potente di quella d’origine, le
mogli si firmavano sempre col loro cognome di nascita: Eleonora d’Aragona
continuava a firmarsi così, anche dopo aver sposato Nicolò d’Este. C’erano nomi
difficili da mettere al plurale o al femminile (come quelli che indicavano la
provenienza geografia: da Gorzano, d’Este, da Carrara) e la faccenda si
complicava, ma tutto aveva comunque delle norme riconosciute e accettate.
**
Vi sono poi casi in cui la deformazione del cognome
si concretizza in modo identico per il maschile e femminile.
Un esempio tipico è Pivetti; avremo Pivètta
per i casi sopra ricordati, ma anche Pivètta per i maschi della famiglia;
un altro caso è ad esempio Baracchi con Baraaca.
A tale riguardo sempre la Ori ricorda che la cosa non è
poi così strana. I cognomi si fissarono solo col Regno d’Italia, dopo una
timida razionalizzazione nel Settecento. Prima erano più spesso al singolare, e
quindi non è detto che chi li usava avesse la sensibilità di adoperarli al
femminile. Ognuno li usava come li sentiva e come voleva, pur di spiegarsi e
farsi capire; la grammatica non era ancora stata inventata: se si diceva Pivètta,
Minèela, Runchètta, Saiètta ci si riferiva a uomini e quindi erano nomi
maschili; se si volevano indicare le mogli, si premetteva l’articolo “la”, e
diventavano femminili. Ma c’erano anche cognomi che finivano in consonante,
come Barabàan
; e questo era maschile (e anche plurale), mentre la spóoṡa (solo lei) era la Barabaana !
**
Lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani ritiene che
forse dipende dal fatto che ai tempi in cui si formava il nostro dialetto certi
cognomi non facevano parte della nomenclatura degli abitanti del luogo in cui
il dialetto stesso si stabilizzava Esposito, Pavesi, ecc... Era pure assente
l'uso improprio della cognomizzazione, tanto che all'apparire, poi, di nuovi
cognomi spesso, per l'impronunciabilità o l'inutile oziosità di trovarne una
trasposizione dialettale, li si “battezzava” con i soprannomi … al
Napoletàan, al Sicigliàan, al Pramṡàan, al Mantvàan (il
Mantovano) , ecc...
**
C’è poi un’annotazione particolare
legata ai diminutivi in –èin e gli accrescitivi in –òun
dei cognomi e dei nomi. Si tratta di una di quelle sfumature maliziose e
perfide, ma nello stesso tempo sagaci e sottili, tipiche del nostro dialetto.
Un linguaggio, spesso spietato, che rispecchia naturalmente l’animo della
nostra gente nell’evidenziare puntigliosamente i difetti e le inadeguatezze
altrui, spesso dimenticandosi delle proprie. Queste deformazioni dimensionali
valgono certo per persone rispettivamente di piccola o robusta corporatura, ma
talora stanno a indicare personaggi che non godono di grande considerazione
riguardo alla loro intelligenza. Esse possono sottendere epiteti di pari
desinenza, non pronunciati “apertis verbis”, che sarebbero poi … cret-èin
e cai-òun.
*0*
Talora
a livello di amici, di bar o di circoli di appassionati si tende anche a
deformare il cognome; intendo più che affettuoso, può sottendere una certa poca
considerazione del soggetto in questione, che si concretizza nel modificargli
il cognome creando suoni lievemente di dispregiativi.
Ecco
un paio di esempi:
Manderióol per Anderióol – Andreoli
ManSferdèin
per Manferdèin – Manfredini.
Di
solito questo è un trattamento da cui sono vigliaccamente escluse le persone
importanti o autorevoli.
*0*
In
base al nostro sentito e a testimonianze che ci sono pervenute abbiamo
registrato i cognomi e anche il plurale degli stessi, il femminile, i
diminutivi o gli accrescitivi e altre deformazioni o contrazioni.
Abbiamo
riportato il dire sia della città che della campagna e forse di qualche zona a
noi vicina; ormai che senso ha fare troppe differenze?
L’elenco
che ne è scaturito è senz’altro godibile e ognuno potrà cercare la propria
identità dialettale, qualora esista.
La
lunga lista NON è, come è facile intuire, … esaustiva; essa è gioiosamente
aperta, più che a leziose e inutilmente estenuanti contestazioni, a fattivi e
concreti apporti con integrazioni, varianti e correzioni. I file di Word consentono
questo piccolo miracolo del progressivo e paziente perfezionamento.
**=M=**
Cognomi carpigiani
di Graziano Malagoli
L’elencazione che segue è la semplice
volgarizzazione o, se vogliamo, una dialettizzazione degli stessi nomi e
cognomi.
Non si tratta quindi di scutmàai (che indicano una gens),
ma nomi tali da individuare singolarmente le singole persone (Pirèin, Pirett, Piròun), secondo proprie
caratteristiche fisiche (alto, basso, magro, grasso, femminile, plurale).
Non sono nemmeno sovernòmm (un termine usato sia nel
reggiano che nel modenese e che sta ora diffondendosi anche a Carpi) che in
genere erano appioppati ai singoli a mò di benevole offesa o amichevole
derisione e che rimanevano nel tempo. Ne cito alcuni che ho personalmente
conosciuto: Umberlòon (un ragazzo che
aveva la testa grossa), Sigòlla a Mimo,
Mesanòot, Frapòun, Nadrèin (per
piedi piatti), Mesaséega (piccolo e
magro), al Góob, Cichìin, Ciccio, Cicìin, Ciciòola, al Biònnd, al Ròss, la Biundèina, la
Murtinèina (Morettina), la Rusèina,
al Mòrro, Faliino, Tortèelo, Tortiina, al Bèlo, Tokio Jo, Pillo, Burtlòun,
Strillo, Piriipi, Dorri, ecc...
Legenda: cognome in italiano, cognome
maschile in dialetto, eventuali varianti, plurale, femminile, diminutivo e
accrescitivo sempre in dialetto.
A
Adani Adàan(i)
Agazzani Agasàan
Agosti Agòsst
Aguzzoli Agusóol, Agusóo (pl)
Airaldi Airèeld
Albarani Albaràan
Albertazzi Albertàas, Albertaasi (pl)
Alboresi Alburéeṡ, ‘Buréeṡ
Aldini Aldèin, Aldèina (f)
Altobelli Altobèeli
Amaduzzi Amadùss
Anceschi Ansèssch
Anderlini Anderlèin, Anderlèina (f)
Andreoli Anderióol, Andreóol
Annovi Anóov
Ansaloni Ansalòun, Ansalòuna (f)
Arbizzi Arbìss
Ardizzoni Ardisòun, Ardisòuna (f)
Ariani Ariàan
Arletti Arlètt, Arlètta (f)
Armaroli Armaróol
Artioli Artióol, Artióo (pl),
Artiulèin (dim), Artiόola (f)
Artoni Artòun, Artòuna (f)
Ascari Ascaròun (accr)
Ascolini Asculèin, Asculèina (f)
Attolini Atulèin, Atulèina (f)
Azzali Asaali
Azzolini Asulèin, Asulèina (f)
B
Baccarani Bacaràan
Baccarini Bacarèin, Bacarèina (f)
Bacchelli Bachèel, Bachèela (f)
Bagnoli Bagnóol, Bagnóola (f)
Balboni Balbòun, Balbòuna (f)
Baldazzi Baldàas
Baldini Baldèin, Baldèina (f)
Baldoni Baldòun
Balestrazzi Balestràas
Ballabeni Balabèin, Balabèina (f)
Balugani Balugàan
Baracchi Baraaca
Baraldi Barèeld, Barèelda (f)
Baraldini Baraldèin, Baraldèina (f)
Barbi Bèerb
Barbieri Barbiróol, Barbiróo (pl)
Barbolini Barbulèin, Barbulèina (f)
Barigazzi Barigàas, Barigaasa (f)
Baroni Baròun, Baròuna (f)
Bartolini Bartlèin, Bartlèina (f)
Bassoli Baasol
Battini Batèin, Batèina (f)
Becchi Bèechi
Bedocchi Bedòochi
Belforti Belfòort
Bellelli Belèeli
Bellentani Blintàan, Plintàan, Blintaana
(f)
Belloni Blòun
Bellotti Blòot, Blòota (f)
Belmondi Belmònnd
Beltrami Beltràam, Beltraama (f)
Benassi Benaasi
Benatti Benaati
Benetti Benètt, Benètti
Benevelli Benevèeli, Benevèela (f)
Benzi Béensi
Bergamini Bergamèin, Bergamèina (f)
Bergianti Bergiàant, Bergiaanta (f)
Bernardelli Bernardèeli
Bernardi Bernèerd, Bernèerda (f)
Berni Bèeren, Béeren, Béerna (f)
Bernini Bernèin, Bernèina (f)
Bersani Bersàan
Bertacchini Bertachìin
Bertani Bertàan, Bertanèin (dim), Bertanèina (dim f)
Bertazzoni Bertasòun, Bertasòuna (f)
Bertelli Bertèel, Bertèela (f)
Bertellini Bertlèin, Bertlèina (f)
Bertesi Bertéeṡ, Bertéeṡa (f)
Bertolazzi Bertolaasi
Bertoni Bertòun
Bertuzzi Bertùss
Bettelli Betèeli
Bezzecchi Beṡèechi, Beṡècchi
Biagini Biaṡèin, Biaṡèina (f)
Bianchini Bianchìin
Bigarelli Bigarèel(i), Bigarée (pl), Bigarèela (f)
Bighinatti Bighinàat
Bignardi Bignèerd, Bignèerda (f)
Bigoni Bigòun, Bigòuna (f)
Bini Binèin (dim)
Biondo Biòond
Bisi Biiṡ, Biṡèin, Biṡarèin (dim m)
Bizzarri Biṡàar, Biṡarèin (dim m), Biṡarèina (dim f)
Bizzoccoli Bisòocol
Blondi Blònnd
Boccaletti Bucalètt, Bucalètta (f)
Boccedi Busée, Buséeda (f)
Bolognesi Bulgnéeṡ
Bombarda Bumbèerda
Bonaga Bunéega
Bonaretti Bunarètt, Bunarètta (f)
Bonasi Bunèeṡ, Bunèeṡa (f)
Bonatti Bunàat, Bunaata (f)
Bonetti Bunètt, Bunètta (f)
Bonfatti Bunfàat
Boni Bòun, Bòuna (f)
Bonini Bunèin, Bunèina (f)
Bonizzi Bunìss, Bunissa (f)
Bonnettini Buntèin, Buntèina (f)
Bonzanini Bunṡanèin
Borelli Borèeli
Borellini Burlèin
Borghi Bóoregh
Borlacchini Burlachìin
Bortolamasi Burtlamèeṡ,
Burtlamèeṡa (f)
Boselli Boṡèeli
Bosi Bóoṡ
Botti Bòoti
Braghiroli Braghiróol, Braghiróola (f)
Braglia Bràaia
Branchini Branchìin
Brancolini Branculèin, Branculèina (f)
Brandoli Braandol
Brunetti Brunètt, Brunètta (f)
Bruschi Brussch
Bucciarelli Buciarèeli
Buchignoli Buchignóol
Buldrini Buldrèin,
Buldrèina (f)
Bulgarelli Bulgarèel, Bulgarée (pl),
Bulgarèela (f), Bulgarlòun (accr), Bulgarlètt (vezz)
Burani Buràan, Buraana (f)
Bussetti Busètt, Busètta (f)
C
Cabassi Cabàas
Cadioli Cadióol, Cadióola (f), Cadióo (pl)
Cadossi Cadòos
Caffagni Cafaagna
Caffarri Cafaara
Ca(g)liumi Caiùmm,
Caiùmma (f)
Cagnoni Cagnòun, Cagnòuna (f)
Cagossi Cagòos
Camellini Camlèin, Camlèina (f)
Campagnoli Campagnóol,
Campagnóo (pl)
Campedelli Campdèel,
Campdée (pl), Campdèela (f)
Campioli Campióol, Campióo (pl)
Camurri Camùrr, Camurra (f)
Cantarelli Cantarèeli, Cantarèela (f)
Cantoni Cantòun
Canulli Canùll
Cappelli Capèeli
Cappellini Caplèin, Caplèina (f)
Capuzzi Capùss
Carapezzi Carapèes, Carapèesa (f)
Carboni Carbòun
Carletti Carlètt
Carretta Carètta (m e f)
Carretti Carètt(i)
Casari Caṡèer, Caṡèera (f)
Casarini Caṡarèin, Caṡarèina (f)
Cassiani Csiàan
Cassoli Casòoli
Castellazzi Castlàas, Castlaasa (f)
Castelletti Castlètt
Catellani Catlàan
Catena Cadèina
Cattabriga Catabriiga
Cattini Catèin, Catèina (f)
Cavalletti Cavalètt, Cavalètta (f)
Cavallini Cavalèin, Cavalèina (f)
Cavallotti Cavalòot(i)
Cavani Cavàan
Cavazza Cavaasa
Cavazzoli Cavasóol, Cavasóola (f)
Cavazzoni Cavasòun,
Cavasòuna (f)
Cavazzuti Cavasùu
Cavedoni Cavdòun, Cavdòuna (f)
Cavicchioli Cavcióol,
Cavcióola (f)
Cestelli Cestèeli
Chinaglia Chinàaia
Chiossi Ciòos, Ciòosa, Ciusòun (accr)
Cigarini Sigarèin, Sigarèina (f)
Cipolli Sivòlla
Coccapani Cocapàan
Colli Còoli
Colombo Clòmmb
Contrasti Cuntràast
Copelli Cupèel, Cupée (pl)
Corradi Curèe(d)
Corradini Curadèin,
Curadèina (f)
Cortesi Curtéeṡ
Cottafavi Cotafèev(a)
Cova Còvva
Covezzi Cuvèss
Cremonini Cremunèin
Crotti Cròoti
Cucconi Cucòun, Cucòuna (f)
D
Dallari Dalèera
Dall’olio Dalòoli
Da(v)olio Da(v)òoli
Diacci Giàas, Giasètt (dim)
Diazzi Diàasi, Dgiàas
Dodi Dóoda
Donati Dunàat, Dunaata (f)
Dondi Dònnd
Donelli Dunèel, Dunèela (f) Dunée (pl)
Donzelli Dunṡèel, Dunṡèela (f)
D’Orazi DoraaSi (in omaggio a uno degli autori)
Dotti Dòot
Dozzi Dòos
Durantini Durantèin
F
Fabretti Fabrètt
Facciolo Facióol
Facchini Fachìin
Faggiani Faṡàan
Fagioli Faṡóol
Faglioni Faiòun, Faiòuna (f), Faiunsèin (dim m), Faiunsèina (dim f), Faiunsòun (accr m), Faiunsòuna (accr f)
Fancinelli Fancinèeli
Fantini Fantèin, Fantèina (f)
Fantuzzi Fantùss, Fantussa (f)
Farina Farèina
Farinelli Farinèeli
Farsetti Farsètt
Fava Fèeva
Federzoni Federsòun
Ferraguti Feragùu
Ferraresi Fraréeṡ, Fraréeṡa (f)
Ferrari Feraari
Ferrarini Ferarèin, Frarèin
Ferriani Feriàan
Filippini Flipèin, Flipèina (f)
Fiocchi Fiòoch(i)
Fiorini Fiurèin, Fiurèina (f)
Fogliani Fuiàan, Fuiàana (f)
Fontana Funtaana
Fontanesi Funtanéeṡ, Funtanéeṡa (f)
Fornaciari Furnaṡèer, Furnaṡèera (f)
Fornasari Furnaṡèer, Furnaṡèera (f)
Foroni Furòun, Furòuna (f)
Franzoni Franṡòun, Franṡòuna (f)
Frattini Fratèin, Fratèina (f)
Fregni Frèggna
Frignani Frignàan, Fergnàan
Fumagalli Fumagàal,
Fumagàai (pl)
Ferioli Ferióol, Farióol, Ferióola (f),
Farióo (pl)
G
Galantini Galantèin, Galantèina (f)
Galavotti Galavòot, Galavòota
Galeazzi Gaiàas, Gaiàasa (f)
Galimberti Galimbèert
Gallesi Galéeṡ
Galletti Galètt
Galli Gaal, Gaala (f)
Galliani Gaiàan, Gaiàana (f) Gaianèela (dim m e f)
Galloni Galòun, Galòuna (f)
Galvani Galvàan, Galvaana (f)
Ganassi Ganaasa
Gandini Gandèin, Gandèina (f)
Gandolfi Gandóolf
Ganzerli Ganṡèerla
Garagnani Garagnàan, Garagnaana (f)
Gasparini Gasparèin, Gasparèina (f), Gasparòun (accr)
Gatti Gaat
Gavioli Gavióol, Gavióo (pl)
Gazzotti Gaṡòot(i)
Gelmini Gelmèin, Gelmèina (f)
Gennari Ṡnèer, Ṡnèera (f)
Gherli Ghéerla
Ghidoni Ghidòun, Ghidòuna (f)
Ghizzoni Ghisòun, Ghisòuna (f)
Giacobazzi Giacobaasi
Giacomelli Giacomèeli
Giaroli Giaróol, Giaróola (f)
Giaroni Giaròun, Giaròuna (f)
Gibertini Gibertèin, Gibertèina (f)
Gibertoni Gibertòun, Gibertòuna (f)
Giovanardi Giuanèerd,
Giuanèerda (f)
Giovannella Giuanèela
Goldoni Guldòun, Guldòuna (f)
Golinelli Golinèel, Gulinèel,
Gulinèela (f)
Govi Gòvva (m e f)
Govoni Guvòun,
Guvòuna (f)
Gozzi Gòoṡ, Gòṡṡi
Gradellini Gradlèin,
Gradlèina (f)
Gramostini Gramustèin,
Gramustèina (f)
Grassi Graas
Grillenzoni Grilensòun,
Grilensòuna (f)
Grisendi Griṡènnd
Grossi Gròos
Guagliumi Guaiùmm, Guiaùmma
(f)
Guaitoli Guàaitol, Guaitlèin
(dim), Guaitlòun (accr)
Gualdi Guèeld, Guèelda (f), Gualdèina (dim f)
Gualtieri Gualtéer,
Gualtéera (f)
Guandalini Guandalèin,
Guandalèina (f)
Guerzoni Guersòun,
Guersòuna (f)
Guicciardi Guisèerd,
Guisèerda (f)
Guidetti Guidètt,
Guidètta (f)
Guizzardi Guisèerd, Guisèerda (f)
I
Imbeni Imbèin
Incerti Incèert
Iotti Iòot(i)
L
Lancellotti Lansalòot, Lansalòota (f)
Landini Landèin, Landèina (f)
Lanzoni Lansòun
Lazzaretti Laṡarètt
Levizzani Levsàan
Levratti Levràat(i)
Ligabue Ligabóo
Lipparini Liparèin, Liparèina (f)
Lombardi Lumbèerd, Lumbèerda (f)
Longagnani Lungagnàan
Loschi Lòssch, Lòssca (f)
Losi Lóoṡ, Lóoṡa (f)
Lotti Lòot(i)
Lugli Lùi, Lùia (f), Luiìn (dim)
Lusetti Luṡètt, Luṡètta (f)
Lusuardi Luṡuèerd, Luṡuèerda (f)
Lusvardi Luṡvèerd, Luṡvèerda (f)
M
Maccaferri Macafèer
Macc(h)ioni Maciòun
Mafezzoni Mafesòun,
Mafesòuna (f)
Magnani Magnàan
Magnanini Magnanèin
Magotti Magòot
Mailli Maìll, Mailla (f)
Maini Maìin
Malagoli Malagóo(l), Malaghìin (dim)
Malaguti Malagùu
Malavasi Malavèeṡ,
Malavèeṡa (f)
Malavolti Melavòolta
Malverti Malvèert
Malvezzi Malvèṡṡ, Malvèṡṡa (f)
Mambrini Mambrèin
Manelli Manèeli
Manfredini Munfardèin,
Munfardèina (f)
Manicardi Manichèerd, Manichèerda (f)
Mantovani Mantuàan, Mantvàan
Manzini Manṡèin, Manṡèina (f)
Marani Maràan, Maraana (f)
Marastoni Marastòun, Marastòuna (f)
Marchesi Marchéeṡ
Marchesini Marchiṡèin
Marchetti Marchètt
Marconi Marcòun
Maretti Marètt, Marètta (f)
Mariani Mariàan, Mariàana (f)
Marmiroli Marmiróol, Marmiróo (pl)
Martello Martèel
Martinelli Martinèel, Martinée (pl), Martinèela (f), Martinlòun (accr)
Martini Martèin, Martèina (f)
Marverti Marvèert
Marzi Marsètti
Maz(z)elli Maṡèel, Maṡèela (f)
Masetti Maṡètt
Masini Maṡèin, Maṡèina (f)
Mattioli Matióol, Matióo (pl), Matióola (f)
Mazzelli Maṡèel(i), Maṡèela (f)
Mazzoni Maṡòun, Masòuna (f)
Mazzuchelli Masuchèel,
Masuchèela (f)
Meloni Mlòun, Mlòuna (f)
Melotti Mlòot, Mlòota (f)
Menotti Mnòot, Mnòota (f)
Menozzi Mnòos, Mnòosa (f)
Merighi Merìigh, Meriiga (f)
Mescoli Mèsschel
Messori Amsóor
Michelini Michilèin, Michilèina (f)
Migatti Migàat
Miglioli Miόol, Mióola (f)
Minelli Minèela, Minèeli
Miselli Miṡèel, Miṡèela (f)
Modena Mòodna
Monfardini Munfardèin,
Munfardèina (f)
Montanari Muntanèer
Morandini Murandèin, Murandèina (f)
Morselli Mursèel, Mursée (pl), Mursèela (f)
Moscardini Muscardèin,
Muscardèina (f)
Mussini Musèin, Musèina (f)
Muzzarelli Musarèel(i), Musarèela (f)
Muzzioli Mussiol
Martinlèin (dim)
N
Nadalini Nadalèin, Nadalèina (f)
Naderlini Naderlèin, Naderlèina (f)
Nanetti Nanètt
Negri Néegher
Negrini Nigrèin, Nigrèina (f)
Nicolini Niculèin, Niculèina (f)
Notari Nudèer, Nudèera (f)
O
Orlandi Urlàand, Urlaanda (f)
Orlandini Urlandèin, Urlandèina (f)
Ortolani Urtlàan, Urtlaana (f)
P
Pacchioni Paciòun, Paciòuna (f)
Paglia Pàaia
Pagliani Paiàan, Paiàana (f)
Paltrinieri Palternéer, Palternéera (f)
Panarelli Panarèeli
Panari Panèera
Pancaldi Panchèeld
Pancani Pancàan
Panini Panèin, Panèina (f)
Pantaleoni Pantigliòun
Panza Paansa
Paoluzzi Paolussi
Papazzoni Papasòun, Papasòuna (f)
Papotti Papòot, Papòota (f)
Paradisi Paradìiṡ
Pasquini Pasquèin, Pasquèina (f)
Paterlini Paterlèin
Pavarini Pavarèin, Pavarèina (f)
Pavarotti Pavaròot, Pavarutèin (dim)
Pecchi Pèechi
Pederzini Pedersèin, Pedersèina (f)
Pederzoli Pedersóol, Pedersóola (f), Pedersóo (pl)
Pedrazzi Pedràasi
Pedretti Pedrètt, Pedrètta (f)
Pedrielli Pedrièel(i)
Pedroni Pedròun, Pedròuna (f)
Pellacani Placàan, Placaana (f)
Pelliciar(d)i Plisèer(d),
Plisèer(d)a (f)
Pelloni Pelóoni, Plòun, Plòuna (f)
Piccagliani Picaiàan, Picaiàana (f)
Pignatti Pgnaata, Pgnatèin (dim), Pgnatàasa
Pigoni Pigòun, Pigouna (f)
Pigozzi Pigòos, Pigòosa (f)
Pinotti Pinòot, Pinòota (f)
Pioppi Piòopa (m e f)
Pirondi Pirònnd
Pirondini Pirundèin, Pirundèina (f)
Pivetti Pivètta (m e f)
Poggioli Pogiòoli, Pugióol
Poletti Pulètt, Pulètta (m e f)
Pollastri Pulaaster, Pulaastra (f)
Ponzoni Punsòun, Punsòuna (f)
Poppi Pòop
Pozzetti Pusètt, Pusètta (f)
Pozzi Pòss(i)
Prandini Prandèin, Prandèina (f)
Prampolini Prampulèin,
Prampulèina (f)
Pratissoli Pratisóol, Pratisóo (pl)
Previdi Prèeved
Pritoni Pritòun, Pritòuna (f)
Protti Pròoti
Pullica Pullga
R
Ragazzoni Ragasòun, Ragasòuna (f)
Raimondi Raimònnd, Raimònnda (f)
Razzoli Rasóol, Rasόo (pl)
Rebecchi Rebèechi, Rebèeca (f)
Reguzzoni Regusòun, Regusòuna (f)
Remondini Remundèin,
Remundèina (f)
Richetti Richètt, Richètta (f)
Righetti Righètt, Righètta (m e f)
Righi Riigh
Righini Righìin
Rinaldi Rinèeld, Rinèelda (f)
Rinaldini Rinaldèin, Rinaldèina (f)
Rizzardi Risèerd
Romagnoli Rumagnóol,
Rumagnóola (f), Rumagnóo (pl)
Roncaglia Runcàaia
(m e f)
Ronchetti Runchètt(a) (m e f)
Rondini Rundèin, Rundèina (f)
Ronzoni Runṡòun, Runṡòuna (f)
Rossetti Rusètt , Rusètta (f)
Rossi Ròss(i)
Rossini Rusèin, Rusèina (f)
Rota Róoda
Rovatti Ruvàat, Ruvaata (f), Arvàat
Ruosi Róoṡ, Ruṡèina (dim. f)
Rustichelli Rustichèel, Rustichèela (f) Rustichée (pl)
S
Sab(b)adini Sabadèin,
Sabadèina (f)
Sab(b)atini Sabatèin,
Sabatèina (f)
Saccani Sacàan, Sacaagna
Sacchetti Sachètt, Sachètta (f)
Sacchi Saach(i)
Saetti Saètt(a), Saiètta
Sala Sèela
Salami Salàam
Salardi Salèerd, Salèerda (f)
Salati Salèe
Saltini Saltèin, Saltèina (f)
Salvarani Salvaràan, Salvaraana (f)
Salvaterra Salvatèera
Salvioli Salvióol, Salvióola (f), Salvióo (pl)
Santachiara Santacèera
Santini Santèin, Santèina (f)
Santunione Santuniòun
Sassi Saas(i)
Savani Savàan, Savaana (f)
Scacchetti Scachètt, Scachètta (f)
Scaglia Scàaia
Scaglioli Scaióol, Scaióo (pl)
Scalabrini Scalabrèin, Scalabrèina (f)
Scaltriti Scaltrìi
Scannavini Scanavèin,
Scanavèina (f)
Scarpa Schèerpa
Scarselli Scarsèeli
Scorzoni Scursòun, Scrsòuna (f)
Segantini Ṡgantèin, Ṡgantèina (f)
Serafini Serafèin, Serafèina (f)
Sereni Srèin, Srèina (f)
Serra Sèera
Setti Sèeti
Severi Sféer, Sfiròun (accr)
Sfirètt (dim)
Severini Severèin, Severèina (f)
Sgarbi Ṡghèerb, Ṡgarbiìn (dim)
Ṡgarbèin (dim),
Ṡgarboun (acc)
Sighinolfi Sighinóolf, Sighinóolfa (f)
Signorino Sgnurèin, Sgnurèina (f)
Sili(n)gardi Sili(n)ghèerd,
Sili(n)ghèerda (f)
Silvestri Silvèester
Simonini Simunèin, Simunèina (f)
Sironi Siròun, Siròuna (f)
Sirotti Siròot, Siròota (f)
Sogari Sughèer, Sughèera (f)
Solieri Suléera (m e f)
Soprani Supràan
Spallanzani Spalansàan
Spinabelli Spinabèeli, Spinabée (pl)
Spinardi Spinèerd, Spinèerda (f)
Spinelli Spinèeli, Spinèela (f)
Stabellini Stablèin, Stablèina (f)
T
Tabiani Tabiàan, Tabiàana (f)
Tadolini Tadulèin, Tadulèina (f)
Tagliavini Taiavèin
Talamelli Talamèeli, Talamèela (f)
Tampellini Tamplèin,
Tamplèina (f)
Tangerini Tangirèin, Tangirèina (f)
Tapparelli Taparèeli, Taparlèina (dim f)
Tarabini Tarabèin, Tarabèina (f)
Tardini Tardèin, Tardèina (f)
Tasselli Tasèel, Tasèela (f)
Tassi Taasi
Tassoni Tasòun, Tasòuna (f)
Tavani Tavàan, Tavaana (f)
Tavernelli Tavernèeli
Tavoni Tavòun, Tavoncèelo (dim), Tavòuna (f)
Tedeschi Tedèssch
Tedeschini Tedeschìin,
Tedeschiina (f)
Terenziani Terensiàan, Terensiàana (f)
Termanini Termanèin, Termanèina (f)
Testoni Testòun
Tioli Tióol
Tirabassi Tirabàas
Tiraboschi Tirabòosch
Tirelli Tirèeli
Tognetti Tugnètt, Tugnètta (f)
Tondelli Tundèel, Tundée (pl)
Tundèela (f)
Tommasini Tmaṡèin
Tosatti Tuṡàat, Toṡaati
Tosi Tóoṡ
Traldi Trèeld, Trèelda (f)
Trentini Trintèin, Trintèina (f)
Trevisani Treviṡàan
Turci Tuurc’, Turciòun (accr)
Turcìin (dim)
U
Urbini Urbèin, Urbèina (f)
V
Valenti Valèint, Valèinta (f)
Valentini Valintèin, Valintèina (f)
Vandelli Vandèeli, Vandèela (f)
Varani Varàan
Varini Varèin, Varèina (f)
Vecchi Vèechi
Vecchia Vèecia
Venturelli Venturèeli
Venturini Venturèin, Venturèina (f)
Verri Vèrr
Verrini Varèin, Varèina (f)
Veroni Vròuna (m e f)
Verzellesi Verṡléeṡ
Verzelloni Verṡlòun, Ṡverṡlòun
Vescovini Veschvèin
Vezzani Vesàan(i)
Vezzelli Vesèeli
Villani Vilàan
Vincenzi Visèins, Visèinsa (f)
Violi Vióola (m e f)
Vittadini Vitadèin, Vitadèina (f)
Volponi Vulpòun, Vulpòuna (f)
Z
Zaccarelli Ṡacarèeli
Zagnoli Ṡagnóol, Ṡagnóola (f)
Zambelli Ṡambèel, Ṡambèeli (pl), Ṡambèela (f)
Zanardi Ṡanèerd, Ṡanèerda (f)
Zanasi Ṡanèeṡ, Ṡanèeṡa (f)
Zanella Ṡanèela
Zanellini Ṡanlèin, Ṡanlèina (f)
Zanetti Ṡanètt, Ṡanètta (m e f)
Zanfi Ṡaanfi
Zanfrognini Ṡanfrugnìin,
Ṡanfrugniina (f)
Zanaboni Ṡanabòun
Zaniboni Ṡanibòun
Zanasi Ṡanèeṡ, Ṡanèeṡa (f)
Zanichelli Ṡanichèel, Ṡanichée
Zanini Ṡanèin, Ṡanèina (f)
Zanni Ṡaani
Zan(n)oni Ṡanòun, Ṡanòuna (f)
Zanoli Ṡanóol, Ṡanóola (f), Ṡanóo (pl)
Zanotti Ṡanòot, Ṡanòota (f)
Zavanella Ṡavanèela
Zelocchi Ṡelòochi
Zerbini Ṡerbèin, Ṡerbèina (f)
Zifferi Ṡiffer, Ṡiffra (f)
Zinani Ṡinàan
Zini Ṡiini
Zirondoli Ṡirònndel,
Ṡirònndla (f)
Zironi Ṡiròun,
Ṡiròuna (f)
Zoboli Ṡòobol(i)
Zucati Ṡucaati
Zuccolini Ṡucoliini
Zuffi Ṡuff, Ṡuffa (f)
Zuffolini Ṡuflèin, Ṡuflèina (f)
Nomi di battesimo
Chiudiamo
questa ricerca con l’aggiunta anche dei nomi di battesimo usati nelle nostre
zone. Anche qui ci avvarremo degli stessi criteri usati per i cognomi.
Entrano
nell’elenco di quasi 200 nomi solo quelli usati in dialetto in modo
sensibilmente diverso dall’italiano.
A
Achille Achìll
Adelmo Déelmo
Agnese Agnéeṡ, Agnéeṡa
Agostino Gustèin
Albino Albèin
Aldegonda Degònnda
Alessandro Lisaander
Alfonsino Alfunsèin, Funsèin (dim), Funsètt (dim)
Alfonso Alfòuns
Alfredo Fréedo, Alfridèin (dim)
Andrea Andreìin (dim), Andrièin
Angela Anṡlèina (dim)
Angelo Angilèin (dim), Anṡlèin (dim)
Annibale Nibàal
Anselmo Anséelem
Antonietta Antuniètta, Tugnètta
Antonio Antònni, Antòoni, Tugnìin (dim), Tugnètt (dim), Tugnòun (accr)
Apollonia Pulòonia
Armando Armàand, Armandèin (dim)
Artemio Artèemi
Arturo Tuuro, Arturèin (dim),
Arturòun (accr)
Attilio Tilli, Tiglìin (dim)
Aurelio Vrèeli(o)
Azio Aasio
B
Bartolomeo Bartlamè
Bastiano Bastiàan
Benedetto Benedètt
Bernardino Bernardèin
Bernardo Bernèerd,
Bernardòun (accr)
Biagio Bièeṡ, Biagìin (dim)
Bonfiglio Figlìin (dim)
C
Carlo Carlèin (dim), Carlòun (accr)
Canzio Caansio
Cassiano Casiàan
Caterina Catirèina
Cesare Ceṡarèin (dim), Ceṡaròun (accr)
Cinzio Ciinsio
Claudio Claavdio, Clavdiìn (dim)
Clemente Clemèint
Clementina Climintèina
D
Damaso Daamaṡ
Donato Dunèe
Domenica Minghiina (dim)
Domenico Minghìin (dim), Mingòun (accr), Minghètt (vezz)
E
Egidio Giddi
Eleonora Leonòora
Emilio Emilli
Enzo Éenso
Erminio Erminni
Ernesto Ernèest
F
Fabio Faabi, Fabiìn (dim)
Fabrizio Fabrissi
Faustina Faustèina
Faustino Faustèin (dim)
Fedele Féedel
Felice Fliiṡ
Fernando Fernàand
Filomena Filumèina, Filumma
Franca Franchiina (dim), Francòuna (accr)
Francesco Fransèssch
Franco Franchìin (dim),
Francòun (accr)
G
Gabriele Gabariéel
Gabriella Gabarióola
Gaetano Ghitàan, Ghitanèin (dim), Taniino (dim), Ghitanòun (accr), Tanòun
(accr)
Gastone Gastòun
Geminiano Ṡemiàan
Gennaro Ṡnèer
Giacinto Giacìint
Giacoma Iàacma
Giacomina Iacmèina
Giacomo Iàacm, Giacumèin (dim), Iacmèin (dim)
Gianni Giàani, Gianìn (dim), Gianòun (accr), Gianulòun (accr), Gianètto (dim)
Gigi Giig’, Gigìin (dim), Gigètt (dim), Gigiòun (accr)
Giocondo Giocònnd
Giorgio Giurgìin (dim), Giurgiòun (accr)
Giovanna Giuàana, Giuanèina (dim), Giuanòuna (accr)
Giovanni Ṡvaan, Ṡvanèin (dim)
Girolamo Girumèin (dim), Girumètt (dim)
Giulio Giùlli, Giuliìn (dim)
Giuseppe Iuṡèef, Iusfèin (dim), Iusfòun (accr), Pippo, Pipèin (dim), Pipòun
(accr)
Giuseppina Iusfèina
Giustino Giustèin
Graziano Grasiàan, Grasianèin (dim)
Gregorio Gregòori
I
Ignazio Gnaasi
Ilario Ilaari
Ildegonda Degònnda
L
Laura Laavra, Lèevra
Lauro Laavro, Lavrèin (dim)
Lazzaro Laaṡar
Leone Leòun
Lodovico Aldvìigh
Lorena Lurèina
Lorenzo Lurèins
Luca Lucca
Luciano Lusiàan, Lusianèin (dim), Lucianèin
Luigi Luìig’, Luigìin (dim), Gigìin (dim), Gigètt (dim), Luigiòun (accr)
Luisa Luviiṡa, Luviṡèina (dim)
M
Marcello Marcèelo
Marco Mèerch, Marchìin (dim), Marcòun (accr)
Maria Mariulèina (dim), Mariètta (vezz)
Marino Marèin
Mario Mariìn (dim), Mariètt (dim), Mariòun (accr)
Martino Martèin, Martinlòun (accr)
Massimo Masmèin (dim)
Matteo Matè
Mauro Maavro, Mavrèin (dim)
N
Nando Nandèin (dim), Nandòun (accr)
Narciso Narcìiṡ
Nazario Naṡaari
Nunzia Nuunsia,
Nunsiadèina (dim)
Nunzio Nuunsio, Nunsiìn (dim)
O
Olga Ulghiina (dim) Orsola Urslèina (dim)
Ombretta Umbrètta Ortensia Urtèinsia
Ornello Ornèelo Otello Otèelo
P
Paola Pèevla, Pavlèina (dim), Pavlòuna (accr), Pavlètta (dim)
Paolo Pèevel, Pavlèin (dim), Pavlòun (accr), Pavlètt (dim)
Pasquale Pasquèel, Pasqualèin (dim)
Pellegrino Pel(e)grèin
Piero Pirèin (dim), Piròun (accr)
Pietro Péeder, Pirètt (dim)
R
Raflòun Raffaello (accr)
Renzo Réenso
Romano Rumanèin (dim)
Romolo Rumèela,
Rumlèina (dim)
Rosina Ruṡèina
S
Sandro Sandrèin (dim), Sandròun (accr)
Sauro Saavro, Savrèin (dim)
Sebastiano Sebastiàan
Secondo Secònnd
Serafino Serafèin
Sergio Sergiìn (dim), Sergiòun (accr)
Silvano Silvàan, Silvanèin (dim)
Silvestro Silvèester
Simone Simòun
Stefano Stéeven, Stivanèin (dim)
T
Tiziano Tisiàan, Tisianèin (dim)
Tommaso T(u)mèeṡ, T(u)maṡèin (dim)
Tonino Tunèin, Tugnìin
V
Valentina Valintèina
Valentino Valintèin
Valerio Valèeri
Vincenzo Vi(n)cèins, Vincinsèin (dim)
Virgilio Virgilli
Virginio Virginni
Vittorino Viturèin
Vittorio Vitòori, Vituriìn (dim),
Vituriètt (dim),
Vituriòun (accr)
Z
Zeno Ṡéeno
Zenobio Ṡenòobi
*= =**
Contributi & ringraziamenti
Hanno contribuito fattivamentea questa a questa mia prima ricerca tante persone: in particolare Anna Bulgarelli e poi Franco Bizzoccoli, Carlo Alberto Parmeggiani, Attilio Sacchetti, Giuseppina Bertolazzi, Franca Camurri, Mario Martinelli (per il titolo), il il gruppo di Facebook “Chi conosce il dialetto Carpṡàan”; ancora Luigi Lepri (BO), Jolanda Battini, Anna Maria Ori, Graziano Malagoli, Giorgio Rinaldi, Graziano e Lele Forghieri, Ruggero Po, Simonetta Bonfà, Dario D’Incerti, Pietro D’Orazi, Margherita Panzani, Francesco (Bra-Gheri) Abruscato, Luisa Pivetti, Gianni Bassoli, Dante Colli, Simona Tusberti, Bianca Magnani, Gianni Luppi, Donatella Malavasi, Glauco Belmondi, Gloria Pellacani, Dafne e Renato Corsi, Patty Manicardi, Lele Vaccari, Antonella Rossi, Gloria Govi, Giorgio (Gege) Bigarelli, Luciana Tosi, Jango Grandi, Lara Bertesi, Andrea Massari, Alfio Gozzi, Miriam Bulgarelli, Andrea Artioli, Carla Bruna (pseudonimo), Monica Marchi, Daniele Bisi, Isa Caiumi, Primo Saltini, Alessio Pignatti, Stefania Bellelli, Lombardi al sèert, Gianna Gamberini, Carlone Bertani, Jango Grandi, Tiziano (Pace) Depietri, Viviana Sivori, Paoli Pasini, Mauro Magri, Erminio Ascari, Paolo Vandelli, Angela Andreoli, Renato Cucconi, Carlo Lodi, Gianna Pagliani, Maddalena Zanni, Marco e Stefano Giovanardi, Mario Attolini, Gian Pietro Piccagliani, Mario Guidetti, Pietro Gavioli, Fausta Casali, Francesco Bisi, Renzo Malavasi, Alberto Savani, Gianni Manfredini, Guido Magnani, Corrado Cattini, Elisabetta Spaggiari, Monica Giuseppetti, Bona Bellintani, Franco Toschi, Giuseppe (Gepy) Govi, Luciano + e Giorgio Guerzoni, Claudio (Cipe) Paltrinieri e Ada Menozzi.
Frutto
anche del costante lavoro di ricerca sul web, con
suggerimenti e con il contributo costante del già ricordato Gruppo di Facebook
“Chi conosce il dialetto Carpṡàan” e
del rughlètt
di affezionati del bar Tazza d’Oro alle 7 del mattino e di tanti altri
amici e amiche sempre pronti a portare la loro esperienza personale e familiare
al servizio di un dialetto che deve e può continuare a essere parlato e vissuto
Certamente
esistono altri nomi e frasi o anche interpretazioni anche molto diverse cose
citate; potete mandarli con le opportune spiegazioni a dorry@libero.it .
**00M00**
Sempre piacevole e interessante leggervi.
RispondiEliminaPurtroppo nella Carpi odierna, tutto ciò si sta dissolvendo