martedì 27 dicembre 2011

Tedeschi … un difficile rapporto di Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano - Carpi (Modena)

 Tedeschi … un difficile rapporto
Testo iniziale nov 2011
v 16   19-10-2012
di Mauro D’Orazi
Bozza    dorry@libero.it  con suggerimenti e con il contributo del costante lavoro di ricerca del Gruppo di Facebook “Chi parla dialetto carpsan” e del ruglètt di affezionati del bar Tazza d’Oro alle 7 del mattino.

Il rapporto fra italiani e tedeschi è sempre stato di reciproca diffidenza e talora di disprezzo e odio vero e proprio. Secoli di guerre, dominazioni, sangue e violenze hanno lasciato un segno indelebile nelle nostre popolazioni. Un sentimento atavico che appena di recente l’Europa unita ha attutito e mitigato. Solo uno sprovveduto come il Duce poteva pensare a una virtuosa e fruttifera alleanza in quel senso.
Sia il Risorgimento, che le due terribili guerre mondiali, hanno lasciato un’eredità che resta comunque sempre presente nel nostro DNA.
Basti poi pensare all’enorme soddisfazione per la famosa vittoria calcistica del 4 a 3 con la Germania nel 1970 ai campionati del mondo in Messico. Fu la partita del secolo e il 19 giugno 1970 resterà una data indimenticabile nella storia del calcio, ma non solo. Con questo risultato, in un senso che trascendeva ampiamente il gioco del pallone, si andavano a regolare, all’ “italiana” … ovvio, i conti da sempre in sospeso delle umiliazioni subite nelle vicende di un tragico passato.
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Naturalmente anche il nostro dialetto non poteva ignorare queste cose; da noi, però, non si fanno molte differenze fra austriaci e tedeschi, anche perché la lingua è la stessa.
Spesso nei detti e nelle frasi prevale l’ironia e la presa in giro, quasi a esorcizzare e superare il dolore e il terrore vissuto sia dai nostri soldati nelle sordide trincee dell’Isonzo, che dalla nostra gente nei giorni bui dal ’43 al ’45.
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Dai tempi dell’ultima guerra ci arriva una specie di grammelot che fa il verso ai discorsi in tedesco di Hitler; si tratta di una presa in giro, a pieghe opportunamente volgari, delle teatrali e pazzesche concioni del dittatore; esso ripropone un odio antigermanico sempre ben presente in Italia già durante il Risorgimento, in primis contro gli austriaci, ma che poi si evidenziò ancor maggiormente con la durissima e tragica 1^ Guerra Mondiale, contro tutto il mondo tedesco.


Qui siamo negli anni '30-'40 e la poesiola, certamente greve, va pronunciata con veemente e seccamente cadenzato accento alemanno:
A Berliinen i stròuns i galèggen,    A Berlino gli stronzi galleggiano,
s i n chèeghen ch i s puurghen,      se non cagano che si purghino,
s i n s puurghen ch i s-ciòopen!!    se non si purgano che scoppino!!

Il grammelot è uno strumento recitativo che assembla suoni, onomatopee, parole e fonemi anche privi di significato in un discorso. Un grande esempio di grammelot cinematografico, sempre per restare sullo stesso tema, è rappresentato dal monologo di Adenoid Hynkel (un Hitler caricaturale) nel celebre film “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin.” Il grammelot è spesso citato e usato dal premio Nobel Dario Fo. Si tratta di una lingua assonante, ma INVENTATA, nella quale si inseriscono discorsi, dialoghi che erano anche divertenti: la favola, il lazzo, il gioco sarcastico, il paradosso di tutte le situazioni che prendevano in giro i personaggi tronfi, prepotenti, gli sciocchi.

Dal mio amico fraterno Graziano Forghieri, ecco un’altra frase che può essere collocata in questo contesto. Essa risale all'occupazione tedesca del '43-'45; si gioca scherzosamente su una somiglianza di suono di alcune parole " NO! nix fasdèin, sóol lèggna gròosa!" (o lunga) !" ovvero "NO ! Non abbiamo fascine, solo legna grossa (o lunga!)". Si equivoca volutamente sul verbo “capire” in tedesco, ovvero nicht verstehen = non capire. Anche questa è un'assonanza storica che illustrava il carattere sbeffeggiante dei carpigiani, nonostante il doloroso e tragico momento.
Marco Giovanardi aggiunge altre frasi, usate quand a Chèerp a gh era i tedèssch.
"Spreche Deutsch" (spreche doic’= parlo tedesco) sta per … Spriccht un òoc' (spriccati un occhio);
Anche “Ma tè sprichètt al tedesch?” sta per “Ma tu lo parli il tedesco?”
"Haben verloren" (aben fervore = ho perso) sta per … A gh ò al ferdoòor (ho il raffreddore).

Guaitlòun era una persona che amava molto il bere; nel ’44 era uno dei pochi che non rispettava il coprifuoco imposto dagli occupanti; tuttavia i tedeschi, incontrando questo uomo barcollante e pensando certamente ai loro usi e costumi beverecci, erano molto tolleranti. Una sera lo incontrano sotto al portico di piazza e il nostro fece loro: Spetèe mò ch a v caant ’na romaanṡa! (Aspettate che vi canto una romanza) e quelli divertiti “ Ja! Ja!”
Con ritmo cadenzato e voce baritonale … allora attaccò:
Ooh rondinella pellegrina / che vai ballando sera e mattina / chi maagna al pèerṡegh / al chèega la rumèela! (Chi mangia la pesca/ deve poi cagare la romella!). Ubriaco sì, ma non tanto da non far loro un auguraccio simbolico e molto doloroso.

Ecco poi una interessante annotazione storica suggerita da Franco Bizzoccoli, dove l’auguraccio assume tutta la sua valenza pesantemente negativa: dall’aprile del 1945 e per vari mesi successivi, quando a Carpi si parlava dei tedeschi e dei mongoli in rotta verso nord, si sentiva spesso ripetere questa maledizione verso di loro: “Ch a gh vèggna un caancher lunngh a la vìa!” … lungo la strada del ritorno.

Finita la guerra nel '45-'46, i ragazzini parodiavano l'Eins / Zwei dei soldati della Wehrmacht, scimiottando la loro marcia con un ben cadenzato e sdrammatizzante: Gnòok frìit! Gnòok frìit! Gnòok friìt!

Da non dimenticare poi una frase, che ho sempre sentito a casa mia per definire una persona malvagia: L è catìiv cóome l’Austria. È cattivo come l’Austria. Penso che il modo di dire ci arrivi almeno dalla prima metà dell’800 e che sia legata al Risorgimento.

Per dire che una persona è ostinata, si può dire semplicemente … L è un tudèssch.
Sempre in tema di “tudèssch”: Al gh à al ciòold (piantèe) in tèesta. Ha il chiodo (piantato) in testa, cioè come l’elmetto tedesco usato fino al termine della 1^ Guerra Mondiale. È riferito a persona poco flessibile, testarda, che non si sposta dalle proprie opinioni. Connotazioni che per stereotipi popolari appartengono ai caratteri del tedesco.
Con lo stesso significato: L è un ciuldòun. È un chiodone.

L è un siruk!: è un persona tonta, ottusa e cafona. La derivazione di questa frase è storica e deriva dal tedesco zurück, ovvero indietro. Il detto pare che nasca nel 1848 Milano per bocca di un protervo ufficiale austriaco che continuava a ordinare di indietreggiare a dei popolani in tumulto. Uno di loro osservò: "Ma c'è il muro!" e l'arrogante ufficiale di rimando: "Zurück! (Indietro) Te e muro!"

L è un tedèssch!: si dice anche di persona decisa, determinata e meticolosa nelle sue cose. Uno che dà affidamento su una certa vicenda e sulla sua evoluzione. In questo caso prevale la parte positiva delle caratteristiche teutoniche. Il modo di dire trae origine in questo caso ad esempio dalla tradizionale precisione e affidabilità della meccanica di quel paese.

Sempre legati alla prima Guerra Mondiale e di conseguenza agli austro tedeschi ci sono rimasti alcuni modi di dire.
Èsser in trincea: per dire che si è in una posizione di strenua difesa di un qualcosa o di una posizione.
L'è 'na desfaata d Caporetto o più semplicemente ... L'è ’na Caporetto! per dire di una cosa che è andata peggio di ogni aspettativa.
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L è cóome invidèer un tugnìin (o un tugàan, o un tedèssch) a bèvver: è lo stesso che invitare un tedesco a bere. La frase si usa quando l’invito a una certa persona a far la tal cosa è scontatissimo. Tugnìin (o anche tognaaro) è un nomignolo dato ai tedeschi per estensione, ma più precisamente in un primo momento era per gli austriaci. Dovrebbe derivare da tuder = straniero in tedesco. Nei dialetti del nord Italia significa “austriaco” in senso dispregiativo, ma anche zuccone.
Con la 2^ Guerra Mondiale il termine fu esteso a tutta la popolazione di lingua tedesca.

Analogo al temine crucco, molto usato anche da noi; esso è un adattamento italiano del croato, serbo, e sloveno kruh, che significa "pane", anche di farina gialla. La parola risale alla prima guerra mondiale, quando i soldati italiani la utilizzarono per soprannominare i prigionieri austriaci di nazionalità croata. I prigionieri croati e sloveni affamati, infatti, domandavano insistentemente kruh, cioè pane, ai loro carcerieri. Per questo motivo, quella terra veniva chiamata anche "terra crucca". In un secondo tempo il termine venne applicato dai soldati che combattevano in Russia e poi dai partigiani per indicare i soldati tedeschi. Oggigiorno, il termine crucco è ancora usato per definire gli abitanti dei paesi di lingua tedesca, sia in connotazione dispregiativa, sia amichevole.

Un'altra interessante teoria vuole, però, che, siccome in tedesco il bicchiere cilindrico in cui si beve la birra si chiama krug (da non confondersi con lo stivale stiefel, il bicchierone trasparente a forma di stivale), fin dall'800, i trentini italiani chiamassero i tedeschi "cruchi", proprio per il bicchierone bierkrug.

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