prima stesura febbraio 2010 v22 del
09-10-2014
Un biglietto di auguri dal passato
di Mauro D’Orazi
Pubblicato in parte su La Voce di Carpi del 4 marzo
2010 n 9
Ecco un interessante
omaggio natalizio che i garzoni dei barbieri davano ai clienti per le feste di
fine anno per avere una mancia. A quei tempi, fine ‘800, si offriva uno
stampato con una “povesia” (poesia), successivamente nel ‘900 si
sarebbero preferiti i gustosi calendarietti profumati con immagini sexy a
colori di donnine o attrici in bikini o in caste pose ignude.
L’autore della povesia non è ufficialmente noto, ma da un esame
del testo, è facile capire che non può essere altri che il noto Ubaldo Urbini,
uno dei maggiori poeti carpigiani, che aveva un negozio tessuti, una delle
professioni tipiche degli ebrei, sotto il portico di Corso Alberto Pio, poco
prima dell’attuale galleria. È provabile che il testo sia stato commissionato,
probabilmente per amicizia, nel lontano fine anno 1886 da un garzone diciannovenne
dell’allora noto barbiere "Nicco", che era il soprannome o per meglio
dire l'abbreviativo di Nicodemo Bassoli.
Anna Maria Ori, preparata studiosa e conoscitrice delle “cose” locali
carpigiane, ritiene che il testo non possa che essere attribuito all’Urbini. Lo
stampato infatti figura tra le carte di quello che fu uno dei massimi poeti
dialettali carpigiani. La poesia evidenzia le caratteristiche del poeta, dal
lessico alla metrica, al tono, non è quindi l’exploit solitario di un barbiere,
ma opera di Urbini.
È dunque ragionevole pensare a una “graziosa” concessione del poeta
all’amico barbiere per elegante uso augural - natalizio.
Ecco in una foto del 1939, con
particolare ingrandito,
in Piazza la bottega di barbiere
di Nicco e poi di Scaglioli
Nicodemo Bassoli (Nicco) era il proprietario della più famosa e
importante barberia di Carpi, sita in piazza Martiri (l'ubicazione era in una
delle due vetrine dell’attuale gioielleria Allegretti vicino alla farmacia dell’Assunta);
da notare che l'intero edificio era di proprietà del suddetto Bassoli. D'estate
ai clienti veniva fatta la barba stando all'aperto, sotto il portico. Fra i "garzoun" c'era anche il
bisnonno (2) di Dario (Bonini) D’Incerti, Ferdinando Scaglioli (1).
Ferdinando poi ne divenne in qualche modo l'erede, in quanto sposò la figlia
del Bassoli, Teresita, che sarà così la bisnonna materna di Dario. Ciò spiega
anche l'intestazione "I garzoun d'Nicco al barber..." e la firma
"Scaglioli, anch per chi eter". Scaglioli, abitava in Cantarana e divenne padre di tre figli tra cui c’era il
notissimo e finemente arguto avvocato Cleomede Scaglioli, un ragiunadóor,
’n òmm da parér, liberal e generoso, ma anche valente e talentoso poeta
dialettale. Una fotocopia dell’interessante documento, che più sotto viene
integralmente riportato, mi è stata
gentilmente data proprio dal mio caro amico e compagno di classe di tanti anni
Dario (Bonini) D’Incerti, il bisnipote diretto, in quanto sua madre - Anna
Scaglioli - era a sua volta una dei tre figli dell’avv Scaglioli.
Chiarita la complessa prosapia, soffermiamoci sulla interessante scritto.
Il testo è scherzoso e Urbini riesce a ben rappresentare l’indole ironica,
estrosa e incisiva tipica della famiglia Scaglioli.
Leggendo i versi si nota un elegante e pregevole dialetto cittadino, simile a quello che
io definisco “sgnurèe” (quello che ho sempre sentito da mia madre, che
fu in un lontano tempo appartenente a una famiglia possidente, poi dolorosamente
decaduta). Il dialetto delle classi più abbienti e/o acculturate con l’uso di
parole “difficili”, intercalate volutamente anche da termini in italiano, per “
dèer più ghèerb a la ragiòun” (per dare più garbo alla ragione).
L’autore evidenzia ancora una volta
l’efficacia della musicalità nel verso, tracciati con precisione e leggerezza,
senza eccessi e ridondanze auliche o banalità; anche se qualche soddisfazione,
il nostro Ubaldo, se la toglie, ad esempio con l’uso di parole anche difficili
e ricercate
Circa i dialetti cittadini e del forese erano facilmente distinguibili
le differenze. Addirittura fino a poco tempo fa era anche possibile capire da
quale contrada cittadina o frazione una persona provenisse, sentendola parlare
e pronunciare particolari modi di dire.
Azzardo una mia valutazione, aperta a ogni confronto: il testo
evidenzia un dialetto cittadino che oggi non parliamo quasi più, soprattutto
dopo l’inurbamento dal contado, dei cosiddetti “vilàan”, dal 1946 in poi. Questi nuovi
carpigiani avevano una parlata con evidenti diversità e caratteristiche, che
contribuì non poco alla modifica del dialetto. Dal punto di vista socio -
politico, ciò coincise con la presa di possesso del governo della città da parte
di una maggioranza PCI con consensi oltre il 60%. Ebbene quasi tutti i
dirigenti del partitone erano di provenienza delle frazioni a nord di Carpi e questo
a mio parere ha avuto conseguenze anche sul dialetto parlato.
Cito, su queste tematiche, il più grande poeta carpigiano Mario
Stermieri:
"Vilàn che Dio ti fè
sapa e badìl ti
diè,
e ti scrisse ind ‘na culàta:
porc d'un vilàn
vaca!"
**
Ma esaminiamo ulteriormente il testo, traendone alcune osservazioni
interessanti. Anna Maria Ori mi fa osservare come tutti possano apprezzare la
musicalità e la cantabilità delle due strofette di settenari. La Parte Unica molto
facilmente potrebbe nascere da un orecchio educato a teatro, alla cantabilità
delle arie dei libretti d’opera, spessissimo in settenari, appunto, coi loro
bravi accenti fissi. Questa metrica facilita la memoria dei versi e stimolano
la fantasia, quando ci si vuol provare a scrivere poesie. A quel tempo tutti
cantavano arie d’opera, quando lavoravano e a casa. Ogni rappresentazione
veniva seguita per tutte le repliche.
Tornando alle strofe, esse contengono poi tutte le figure retoriche di una
costruzione della frase caratteristiche delle ariette, inversioni, inserimenti,
ecc … , tipiche del melodramma.
Carlo Alberto Parmeggiani ritiene anche che la cantabilità dei settenari, oltre che dai libretti
d'opera (Boito soprattutto), sia una imitazione, a occhio e croce, dalle
prime poesie di Olindo Guerrini (alias Lorenzo Stecchetti), che in quel periodo
godeva di grande notorietà e successo nei ceti piccolo e medio borghesi e di
Rapisardi, poeta e amico di Guerrini, nelle cui opere sono presenti ed evidenti i richiami alla Scuola Siciliana
(Ciullo d'Alcamo, Lentini, Guido e Odo delle Colonne).
**
Dal punto di vista dei termini e della grammatica, osserviamo poi alcune
importanti peculiarità ad esempio l’uso di “int al (nel) al posto del corrente “ind al”, “cap d aan”
(capodanno) al posto di “cav d aan”,
“bòuni fèest” tronco, invece di” bòuni fèesti”, oppure “sèinsa taant gnòoli” invece che “tanti”;
il normalissimo uso di “briiṡa” e “minnga”,
quando oggi si usa quasi sempre “mìa”, credendo erroneamente che le due prime
espressioni siano tipiche solo di altre province (Bologna) o altre regioni (ad es: Lombardia).
Interessante poi il
plurale di Natale: “Nadèei”.
Altro particolare da
segnalare riguarda una questione mai completamente risolta: la Z e la S, che, a causa della nostra
simpatica dizione, tendono a confondersi. Si è sempre detto la Z spetta più ai modenesi e la S più ai carpigiani, affrontando
eterne (e noiose) dispute anche solo per dire “carpsàan” o “carpzàan” (o
addirittura “carbsàan” o “carbzàan”). Ebbene il nostro Urbini usa
tranquillamente la Z,
molte volte. Dobbiamo quindi prenderne atto; basta poi osservarne l’uso in “pazinzia”.
Interessante anche la contrazione “de scrivr' “ anziché “de scriver” o “pr’ ” invece di “per”.
C’è anche, talora, un
utilizzo delle consonanti doppie all’interno della parole, come
nello stesso incipit … “RISPETTABILISSEM
AVVINTOR”.
Infine la chicca finale: un uso del passato
remoto, addirittura in terza persona plurale: “i m dissen” (mi dissero), ma anche in prima persona singolare con
“ a buttè “ (io buttai) e infine con uno splendido “a gh voss”(Io gli volli). Questo mi consente di aprire una piccola
parentesi sul passato remoto in dialetto e
vi sottopongo alcune mie note di una delle cose più belle e rare forme della
nostra parlata locale.
Il passato remoto è un vero reperto archeologico: non si usa più in
italiano, figurerèes in dialètt …
In famiglia avevo sentito alcuni esempi limitati alla sola 3^ persona
singolare; ecco alcuni casi con stupende ed efficaci contrazioni:
al gè = egli disse (… ad esempio .... non è fantastica ?); al
vdè = egli vide; l andè = egli andò; al magnè = egli mangiò; al
vlè = egli volle, al fè = egli fece, ecc …
Sono verbi fra i più usati, ma ho dovuto constare la notevole e
stranissima mancanza di ogni traccia del passato remoto in dialetto per i due
fondamentali e primari verbi essere e avere. Un bel mistero, visto che nella
vicina Modena esiste, così come ci testimonia l’introduzione del vocabolario
del Meranesi.
Gli esempi prima riportati sono a mio avviso davvero piccole PERLE
LUCENTI, che pare venissero adoperate solo dal dialetto colto/borghese di
città. Nel contado credo (ma non ne ho certezza) si adoperasse unicamente il
passato prossimo, anche perché (qualcuno forte dei ricordi di quella
provenienza mi ha suggerito) … : “Mò alóora, in campaagna, i éeren acsè puvrètt
ch in gh iivèen gnaanch al pasaato remòoto!”.
Oltre alla terza persona singolare del passato remoto non avevo trovato
nulla, nonostante la consultazione di noti esperti e letture varie; quindi trovo davvero importanti queste tre forme riportate da Urbini e aiutano a colmare un
piccolo vuoto, anche se molto resta da approfondire su questo tema.
**
Fra i barbieri di Carpi nel 1914 abbiamo anche il nostro Scaglioli
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I GARZOUN
D’NICCO AL BARBER
AI SO’
RISPETTABILISSEM AVVINTOR
(di Ubaldo Urbini)
Prologo
In Cantarana quand as dis « Scaglioli »
an fagh minga
per dir, ma an s' va più in là.
E chi ragazz ch' al san, séinza tant gnoli,
a 1' ètra sira int' al condùrm' a cà,
im dissen che pr' i auguri dal Nadèl
avrev bisgnù ch' a staniss fora quél.
Sa vlem', acsé in s' duu péé, 1' é un
bèl impegn ...
Ma gnanch per quest' agh' voss dèr un
rifiut.
Con dla pazinzia e con cal bris d'
inzegn
a buttè zo stì vèrs in des minut:
s' agh
fuss un quélch sbagliett, pinsè,
i me' sgnor,
ch' a srev péz ch' am sbagliiss con al
rasor:
Parte unica
Clienti
rispettabili,
an v'fèdi maravja
se st' anno il
ticchio presemi
de scrivr' in
poesia ;
fu questa, il
dico subito,
'na prova, al fu
un pretèst
per migliorar la
rancida
gnola del « Bouni fèst ! »
Eppoi, perchè
tacervelo?
L’ é un pèzz ch'a
iva in pinser
di presentarvi un
tenue
saggio dal me'
saver:
Ma il padre mio,
buon diavolo,
l' andéva innanz'
a dir:
« Bada,
Nandino, pensaci,
te t' vè a fér tor
in gir ! »
Sia pur.
Gracchiate, o critici,
dgìm dl' èsen dl' imprudeint:
sarò imprudente ed asino,
ma
an v' ho gnanc per la méint.
**
Dunque, signori,
io v' auguro
che liber dai malan
cento vediate
scorrere
Nadèi e zèint Cap
d'an.
Che lungi la
crittogama(3)
la v'staga da l' pussioun(4),
talché possiate
riempiere
el botti dal véin
boun.
Danni giammai vi
rechino
breini, timpesti
e veint,
il cielo ognor vi liberi
dai begh int' al
furmeint ...
Ma d' annoiarvi
proprio
an n' ho brisa la voja:
d’
altronde è il dir superfluo,
a i già magnè la
foja.
Scaglioli (Ferdinando n.d.r.),
anch per chi èter.
24
Dicembre 1886.
**
________
Carpi,
Tip. Com 1886
________
note:
(1) Ferdinando Scaglioli nato
nel 1867 ebbe tre figli da Teresita Bassoli sposata nel 1890: Celeste, Cleomede
e Clodia.
(2)
Il bisnonno in dialetto si dice nunòun (nonnone), non so se esista anche al
femminile
(3)La
crittogama è un parassita vegetale di varia natura molto dannoso per la vite;
ci fu una devastante epidemia in Italia a partire dal 1850, quindi il nostro Ferdinando
ne aveva buona notizia e memoria.
(4)
Possessioni.
**
Hanno
preziosamente collaborato Dario (Bonini) D’incerti, Attilio Sacchetti, Anna
Maria Ori, Carlo Alberto Parmeggiani e Franco Bizzoccoli.
interessantissimo tutto! grazie per quello che fa e trasmette
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