prima
stesura 2010
v 27
del 06-10-2015
Cantaraana,
Palamàaio
e Vìa Saanta Cèera
Tutto
quello che ho trovato finora
A
cura di
Mauro D’Orazi
Correzione
del testo a cura di Graziano Malagoli e Giliola Pivetti
COME
LEGGERE E SCRIVERE IL DIALETTO CARPIGIANO
Norme
di trascrizione
e lettura del dialetto
Le norme di trascrizione
adottate dal
“Dizionario del dialetto
carpigiano -
di Anna Maria Ori e Graziano
Malagoli
Tabella per
facilitare la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat, scaat, caana
è
e aperta (come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer, regolèeda,
martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi, mé
ée e chiusa e prolungata véeder, créedit, pée
i i come in italiano bissa,
dì
ii i prolungata viiv,
vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss, bòll, brònnṡa,
pistòun, dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos, scatlòot,
malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó, só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca, bussla,
dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’ , òoc’
cc’ c dolce e intensa (come
in faccia) cucc’,
scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch, spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’, alòog’,
coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come
in oggi) puntègg’,
gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh, siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper, sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa)
atéeṡ, traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s
sorda seguita da c dolce s-ciafòun,
s-ciòop, s-ciùmma, s-ciòoch
Cantaraana - Palamàaio e Vìa Saanta Cèera
Tutto
quello che ho trovato finora - A cura di Mauro
D’Orazi
Frutto
del lavoro di ricerca sul web, con suggerimenti e con il contributo costante del Gruppo di
Facebook “Chi parla dialetto carpṡàan” e
del rughlètt di affezionati del bar
Tazza d’Oro alle 7 del mattino e di tanti altri amici e amiche sempre
pronti a portare la loro esperienza personale e familiare al servizio di un
dialetto che deve e può continuare a essere parlato e vissuto.
Per
indicare una donna con molta chiacchiera le si diceva... “Te m pèer la Filiméede”...
“ Mi sembri
Una
curiosità:
In
un numero unico umoristico degli anni ’50 Al blèdegh (Il solletico) le venne
dedicata una vignetta in Cantaraana
Street e una simpatica poesiola di Libera Guidetti:
da
un vecchio numero unico umoristico carpigiano Al Blèdegh.
"Mò dì sù, c'sa t aani faat?
T aani miss in sirudéea
còn un caan e còn un gaat
e còn più d unna stanéela?"
Tutti
sanno e ben si vede
che tu
sei
con
"Bagióola" e con la "Diana"
la ṡbablòuna èd Cantaraana.
"Che canàaii quìi dal Blèdegh,
méegh però a n gh è gniint da féer,
diggh ch i vaaghen a dèer vìa al... sèddeṡ,
diggh
ch i s vaaghen a fèer tuṡèer".
di Libera Guidetti
(forse il suo primo lavoro in dialetto)
**
La prof Anna Maria Ori, che abitava di fronte alla Filimede,
ricorda che il suo gatto si chiamava Bagiolino. Secondo la padrona questo animale sapeva usare il cesso alla
turca, mettendo i piedini sulle due pedane, in modo da non sporcare mai! E la
cosa potrebbe essere verosimile, considerando il modo di come il gatto sapeva
stare con lei sotto l’ombrello aperto alla finestra e da come l’avvisava, se si
distraeva, del passaggio di qualcosa di insolito, o di qualcuno in genere.
Erano in simbiosi perfetta, lei e il suo gatto, attenti a tutto
e a tutti. Conoscevano i bambini della strada, i nostri giochi, i nostri orari,
i nostri amici “di fuori”, tutto... insomma. Al mattino all’alba, si diceva,
che lei uscisse e arrivava fino al passaggio a livello dell’attuale via Roosevelt,
per verificare il traffico in entrata e in uscita da Carpi di trasportatori
& simili, e controllare le novità in uscita o in entrata. Non le
sfuggiva nulla.
*M*
1962
circa - Cantaraana Street –
TuttoCarpi
Ecco qui
sopra un’eccezionale foto di Cantaraana
(Via Brennero) dei primi anni ‘60. A sinistra la bisnonna dell’amico Giorgio R.
con l'inseparabile sporta con la trèssa
da trii, a destra una vicina,
Al
palazzo Losi, dove si vede Setti, è legato un gustoso e piccante episodio.
Lì
abitava una ragazza non bellissima, ma con un corpo da urlo. Una volta, di
ritorno dall'Arlecchino (locale da ballo in Piazza), verso l'una di notte,
(allora si andava a ballare alle 9 di sera e si usciva poco dopo mezzanotte)
era accompagnata niente meno che da Peter van Wood (ottimo chitarrista e
cantante olandese e in seguito anche astrologo). L’artista si era esibito
quella sera nel locale e lì aveva conosciuto la fanciulla. Arrivati al portone,
il bacio della buonanotte... ma putroppo in vedetta alla finestra c'era
Facile
figurarsi l'indomani che taglia e cuci di braghiriiṡm
lungo la contrada.
1962
Trecciaole in Cantaràana
1962
da Tutto Carpi
Giorgio
R. annota: ”In questa foto ecco la mia bisnonna Giuditta, fibra di ferro, morì
serenamente a 93 anni: il giorno prima era andata e tornata a piedi fino alle
case dell'INA sulla Remesina. Le altre due sono la Carlotta Catlàana e l'Emma Tirabàasa, quest’ultima era la madre del proprietario del negozio
di elettrodomestici e dischi che era in corso Fanti di fronte al Vescovado.
Nella foto il negozio a sinistra, cun al
bùssli, era la rivendita di vino di mia nonna... mò quàanta tréssa da trìi... !”
**
**
Aldvìigh Allegretti, così era chiamato in
dialetto. Faceva al barusèer (il birocciaio).
Fu il
fondatore o l'ispiratore della società "Allegretti Trasporti";
infatti era il padre dei Fratelli Allegretti che fecero poi gli
autotrasportatori.
***
Cantaraana, a òogni pòorta a gh è... ’na scraana (ṡò in strèeda, davaanti
a l uss), cun a séeder ’na putaana.... oppure indu caanta ’na putaana. Un luogo comune che troverà nella
successiva nota di Attilio Sacchetti una ferma e circostanziata smentita.
In
Via Brennero, alias Cantaraana,
davanti a ogni porta c’era una sedia dove chi abitava lì si sedeva in strada
davanti alla porta per chiacchierare e spettegolare.
È
chiaro che al posto di scraana si
poteva mettere anche un’altra parola, o aggiungere un’altra frasetta; esse
fanno ugualmente rima e denotano le attitudini e le professioni femminili che
la “vox populi” indicava comunemente essere presenti in loco.
**
Raadio Bugadèera (Radio Lavanderia).
Sta a indicare sia il pettegolezzo in genere che la persona che lo mette in
circolazione o fa da tramite raccontandolo.
Mi è
d’obbligo riportare una frase che è un’icona massima di carpigianità: “Te m pèer Raadio Bugadèera !” Mi sembri
Radio Lavanderia, ad indicare sia il pettegolezzo in genere o comunque il
passaggio di notizie più o meno segrete e/o compromettenti, che la persona che
lo mette in circolazione o fa da tramite raccontandolo. Quindi se si sente in
giro una spettegolata su qualcuno si dirà a
l ò sintìi da Raadio Bugadèera (lo ho sentito da Radio Lavanderia), mentre
se ascoltiamo una persona che rivela un segreto o sparla di qualcuno potremo
commentare... “Sèint mò lè, Raadio
Bugadèera!” Senti lì, Radio
Lavanderia!
Ma
perché tanta insistenza sulla lavanderia? Perché la bugadèera in passato era il locale all'interno o all'esterno di una
casa, molto spesso in comune tra più famiglie, dove si lavavano i panni. Il
termine deriva infatti da bughèeda
(bucato) che curiosamente in dialetto ricorre solo femminile. Lavare i panni si
dice quindi fèer bughèeda. In questo
luogo, molto frequentato da donne, era normale un fitto scambio di informazioni
sui fatti propri, ma soprattutto altrui. Quanto al termine "radio" il
dialetto se ne impadronì subito (magari ironizzando e deformando: mò chi l à ditt, l'aradio? (Chi l'ha detto, la
radio?) essendosi rivelato un potentissimo strumento di diffusione di massa. E
non ci sarà mai una Tele Bugadèera,
perché la comunicazione dialettale non è immagine, ma sonorità, parola e
lessico. Voce, insomma: altre senza allusioni.
La Contrada Cantaraana (via Brennero) finiva
al Palamàaio ed era luogo di sconsolata miseria e disperata umanità, in cui si
ricorda tale "Braghiina"
che viveva di espedienti, ma superando, nonostante tutto e alla bene meglio, le
più forti avversità, da cui il singolare modo di dire... " A termarà al guèeren, mò màai Braghìin d invèeren!"...
"Tremerà il Governo, ma
**
Al ciàacri di putèin i spòorchen la ca! Le chiacchiere dei
bambini sporcano e rendono difficili i rapporti in una casa.
La frase
significa che spesso succede che i bambini (ingenuamente e senza i filtri
diplomatici degli adulti) riportino e spiattellino a estranei fatti e segreti
detti in stretto ambito familiare, provocando imbarazzi e permali.
La
nostra concittadina Luciana Nora racconta che la prima volta che ha sentito
questa espressione aveva otto anni. In quella circostanza era fortemente
afflitta dalla morte del suo gatto Bagióola,
omonimo di quello della Filimede in Cantaraana.
Era un certosino morbidissimo, affettuoso, figlio del gatto della Ganimede e della
gatta della sua prozia Ernesta, che abitava anche lei in Cantaraana. L'aveva portato a casa piccolissimo, con lui giocava
ore e ore. Un pomeriggio, dopo averlo cercato per due giorni, aveva ritrovato
il suo amato Bagiòola in una credenza
che era in cantina. Dal vetusto mobile, da un'anta semiaperta, gli sbucava la
coda e, credendo di poter giocare lui come faceva spesso, l'aveva tirata col
risultato orribile di estrarre un corpo rigido senza vita. Il primo contatto
con la morte. Pianse molto per il dolore e non riuscì mai più a scrollarsi l'impressione
di quel corpo rigido che, senza nessuna sua resistenza, si era tirata addosso.
Proprio quel pomeriggio venne a casa loro un amichetto del fratello che ebbe a
dire quasi compiaciuto: "E' morto il vostro gatto! Eh!?! Mé pèeder al gh à faat un bèel magnarèin (Mio
padre gli ha fatto un bel mangiarino), così non viene più nel nostro granaio a
mangiare le salsicce!”
Sì!
perché le case di via Rocca (Ṡguasalòoca)
sono tutte contigue una all'altra; i gatti attraverso i tetti e i lucernari
aperti entravano e uscivano a loro piacimento, senza il dovuto rispetto dei
confini umani.
Sua
madre uscì allora con la frase: "L è
pròopia véera che al ciàacri di putèin i spòorchen la ca!" In quel
modo si deteriorò un rapporto di buon vicinato, che non trascese a discussioni,
ma perse per sempre di calore. In particolare Luciana non frequentò più quella
famiglia.
**
Gianni Manfredini (Carpi) ricorda:
"Mia nonna abitava in Cantàarana;
a proposito di miseria mia nonna faceva la polenta e ne vendeva delle fette;
con quello che guadagnava (sic!) riusciva a pagarsi le altre fette che
mangiavano i miei nonni e i figli.
prima stesura febbraio
2010 v22 del 09-10-2014
Un
biglietto di auguri dal passato
di Mauro D’Orazi
Pubblicato in
parte su
Ecco un interessante omaggio natalizio
che i garzoni dei barbieri davano ai clienti per le feste di fine anno per
avere una mancia. A quei tempi, fine ‘800, si offriva uno stampato con una “povesia” (poesia), successivamente
nel ‘900 si sarebbero preferiti i gustosi calendarietti profumati con immagini
sexy a colori di donnine o attrici in bikini o in caste pose ignude.
L’autore della povesia non è
ufficialmente noto, ma da un esame del testo, è facile capire che non può
essere altri che il noto Ubaldo Urbini, uno dei maggiori poeti carpigiani, che aveva
un negozio tessuti, una delle professioni tipiche degli ebrei, sotto il portico
di Corso Alberto Pio, poco prima dell’attuale galleria. È provabile che il
testo sia stato commissionato, probabilmente per amicizia, nel lontano fine
anno 1886 da un garzone diciannovenne dell’allora noto barbiere
"Nicco", che era il soprannome o per meglio dire l'abbreviativo di
Nicodemo Bassoli.
Anna Maria Ori, preparata studiosa e conoscitrice delle “cose” locali
carpigiane, ritiene che il testo non possa che essere attribuito all’Urbini. Lo
stampato infatti figura tra le carte di quello che fu uno dei massimi poeti
dialettali carpigiani. La poesia evidenzia le caratteristiche del poeta, dal
lessico alla metrica, al tono, non è quindi l’exploit solitario di un barbiere,
ma opera di Urbini.
È dunque ragionevole pensare a una “graziosa” concessione del poeta
all’amico barbiere per elegante uso augural - natalizio.
Ecco in una foto del 1939,
con particolare ingrandito,
in Piazza la bottega di
barbiere di Nicco e poi di Scaglioli
Nicodemo Bassoli (Nicco) era il
proprietario della più famosa e importante barberia di Carpi, sita in piazza
Martiri (l'ubicazione era in una delle due vetrine dell’attuale gioielleria
Allegretti vicino alla farmacia dell’Assunta); da notare che l'intero edificio
era di proprietà del suddetto Bassoli. D'estate ai clienti veniva fatta la
barba stando all'aperto, sotto il portico. Fra i "garzoun" c'era
anche il bisnonno (2) di Dario (Bonini) D’Incerti, Ferdinando Scaglioli (1).
Ferdinando poi ne divenne in qualche modo l'erede, in quanto sposò la figlia
del Bassoli, Teresita, che sarà così la bisnonna materna di Dario. Ciò spiega
anche l'intestazione "I garzoun d'Nicco al barber..." e la firma
"Scaglioli, anch per chi eter". Scaglioli, abitava in Cantaraana e divenne padre di tre figli tra
cui c’era il notissimo e finemente arguto avvocato Cleomede Scaglioli, un
ragiunadóor, ’n òmm da parér, liberal e generoso, ma anche valente e
talentoso poeta dialettale. Una fotocopia dell’interessante documento, che più
sotto viene integralmente riportato, mi è stata gentilmente data proprio dal
mio caro amico e compagno di classe di tanti anni Dario (Bonini) D’Incerti, il
bisnipote diretto, in quanto sua madre - Anna Scaglioli - era a sua volta una
dei tre figli dell’avv Scaglioli.
Chiarita la complessa prosapia,
soffermiamoci sulla interessante scritto.
Il testo è scherzoso e Urbini riesce a ben rappresentare l’indole
ironica, estrosa e incisiva tipica della famiglia Scaglioli.
Leggendo i versi si nota un elegante e pregevole dialetto cittadino, simile a quello che
io definisco “sgnurèe” (quello che ho sempre sentito da mia madre, che
fu in un lontano tempo appartenente a una famiglia possidente, poi
dolorosamente decaduta). Il dialetto delle classi più abbienti e/o acculturate
con l’uso di parole “difficili”, intercalate volutamente anche da termini in
italiano, per “ dèer più ghèerb a la ragiòun” (per dare più garbo alla
ragione). L’autore evidenzia ancora una volta l’efficacia della musicalità nel
verso, tracciati con precisione e leggerezza, senza eccessi e ridondanze
auliche o banalità; anche se qualche soddisfazione, il nostro Ubaldo, se la
toglie, ad esempio con l’uso di parole anche difficili e ricercate
Circa i dialetti cittadini e del forese
erano facilmente distinguibili le differenze. Addirittura fino a poco tempo fa
era anche possibile capire da quale contrada cittadina o frazione una persona
provenisse, sentendola parlare e pronunciare particolari modi di dire.
Azzardo una mia valutazione, aperta a
ogni confronto: il testo evidenzia un dialetto cittadino che oggi non parliamo
quasi più, soprattutto dopo l’inurbamento dal contado, dei cosiddetti “vilàan”,
dal
Cito, su queste tematiche, il più grande
poeta carpigiano Mario Stermieri:
"Vilàn che Dio ti fè
sapa e badìl ti diè,
e ti scrisse ind ‘na culàta:
porc d'un vilàn vaca!"
**
Ma esaminiamo ulteriormente il testo,
traendone alcune osservazioni interessanti. Anna Maria Ori mi fa osservare come
tutti possano apprezzare la musicalità e la cantabilità delle due strofette di
settenari.
Tornando alle strofe, esse contengono
poi tutte le figure retoriche di una costruzione della frase caratteristiche
delle ariette, inversioni, inserimenti, ecc … , tipiche del melodramma.
Carlo Alberto Parmeggiani ritiene anche
che la cantabilità dei settenari, oltre che
dai libretti d'opera (Boito soprattutto), sia una imitazione, a occhio e
croce, dalle prime poesie di Olindo Guerrini (alias Lorenzo Stecchetti),
che in quel periodo godeva di grande notorietà e successo nei ceti piccolo e
medio borghesi e di Rapisardi, poeta e amico di Guerrini, nelle cui opere sono
presenti ed evidenti i richiami alla Scuola Siciliana (Ciullo d'Alcamo,
Lentini, Guido e Odo delle Colonne).
**
Dal punto di vista dei termini e della
grammatica, osserviamo poi alcune importanti peculiarità ad esempio l’uso di “int al (nel) al posto del corrente “ind
al”, “cap d aan” (capodanno) al
posto di “cav d aan”, “bòuni fèest” tronco, invece di” bòuni fèesti”, oppure “sèinsa taant gnòoli” invece che “tanti”;
il normalissimo uso di “briiṡa” e “minnga”,
quando oggi si usa quasi sempre “mìa”, credendo erroneamente che le due prime
espressioni siano tipiche solo di altre province (Bologna) o altre regioni (ad
es: Lombardia).
Interessante poi il plurale di Natale: “Nadèei”.
Altro particolare da segnalare riguarda una questione mai
completamente risolta:
C’è anche, talora, un utilizzo delle consonanti doppie all’interno
della parole, come nello stesso incipit … “RISPETTABILISSEM AVVINTOR”.
Infine la
chicca finale: un uso del passato remoto, addirittura in terza persona plurale:
“i m
dissen” (mi dissero), ma anche in prima persona
singolare con “ a buttè “ (io buttai) e infine con uno splendido “a gh voss”(Io gli volli). Questo mi
consente di aprire una piccola parentesi sul passato remoto in dialetto e vi sottopongo alcune mie note di una delle
cose più belle e rare forme della nostra parlata locale.
Il passato remoto è un vero reperto
archeologico: non si usa più in italiano, figurerèes in dialètt …
In famiglia avevo sentito alcuni esempi
limitati alla sola 3^ persona singolare; ecco alcuni casi con stupende ed
efficaci contrazioni:
al gè = egli disse (…
ad esempio .... non è fantastica ?); al vdè = egli vide; l andè =
egli andò; al magnè = egli mangiò; al vlè = egli volle, al fè
= egli fece, ecc …
Sono verbi fra i più usati, ma ho dovuto
constare la notevole e stranissima mancanza di ogni traccia del passato remoto
in dialetto per i due fondamentali e primari verbi essere e avere. Un bel
mistero, visto che nella vicina Modena esiste, così come ci testimonia
l’introduzione del vocabolario del Meranesi.
Gli esempi prima riportati sono a mio
avviso davvero piccole PERLE LUCENTI, che pare venissero adoperate solo dal
dialetto colto/borghese di città. Nel contado credo (ma non ne ho certezza) si
adoperasse unicamente il passato prossimo, anche perché (qualcuno forte dei
ricordi di quella provenienza mi ha suggerito) … : “Mò alóora, in campaagna,
i éeren acsè puvrètt ch in gh iivèen gnaanch al pasaato remòoto!”.
Oltre alla terza persona singolare del
passato remoto non avevo trovato nulla, nonostante la consultazione di noti esperti
e letture varie; quindi trovo davvero importanti queste tre forme riportate da Urbini e
aiutano a colmare un piccolo vuoto, anche se molto resta da approfondire su
questo tema.
**
Fra i barbieri di Carpi nel 1914 abbiamo
anche il nostro Scaglioli
**
I GARZOUN
D’NICCO AL BARBER
AI SO’
RISPETTABILISSEM AVVINTOR
(di
Ubaldo Urbini)
Prologo
In Cantaraana quand as dis « Scaglioli »
an fagh minga per dir, ma an s' va più in là.
E chi ragazz ch' al
san, séinza tant gnoli,
a 1' ètra sira int' al condùrm' a cà,
im dissen che pr' i
auguri dal Nadèl
avrev bisgnù ch' a
staniss fora quél.
Sa vlem', acsé in s' duu péé, 1' é un bèl
impegn ...
Ma gnanch per quest' agh' voss dèr un rifiut.
Con dla pazinzia e con cal bris d' inzegn
a buttè zo stì vèrs in des minut:
s' agh fuss un quélch sbagliett, pinsè, i me'
sgnor,
ch' a srev péz ch' am sbagliiss con al rasor:
Parte
unica
Clienti rispettabili,
an v'fèdi maravja
se st' anno il ticchio presemi
de scrivr' in poesia ;
fu questa, il dico subito,
'na prova, al fu un pretèst
per migliorar la rancida
gnola del « Bouni fèst ! »
Eppoi, perchè tacervelo?
L’ é un pèzz ch'a iva in pinser
di presentarvi un tenue
saggio dal me' saver:
Ma il padre mio, buon diavolo,
l' andéva innanz' a dir:
« Bada, Nandino, pensaci,
te t' vè a fér tor in gir ! »
Sia pur. Gracchiate, o critici,
dgìm dl' èsen dl' imprudeint:
sarò
imprudente ed asino,
ma an
v' ho gnanc per la méint.
**
Dunque, signori, io v' auguro
che liber dai malan
cento vediate scorrere
Nadèi e zèint Cap d'an.
Che lungi la crittogama(3)
la v'staga da l' pussioun(4),
talché possiate riempiere
el botti dal véin boun.
Danni giammai vi rechino
breini, timpesti e veint,
il cielo ognor vi liberi
dai begh int' al furmeint...
Ma d' annoiarvi proprio
an n' ho brisa la voja:
d’ altronde è il dir superfluo,
a i già magnè la foja.
Scaglioli (Ferdinando n.d.r.), anch per chi
èter.
24
Dicembre 1886.
**
Carpi,
Tip. Com 1886
________
note:
(1) Ferdinando Scaglioli nato nel 1867 ebbe tre figli da Teresita
Bassoli sposata nel 1890: Celeste, Cleomede e Clodia.
(2)
Il bisnonno in dialetto si dice nunòun (nonnone), non so se esista anche al
femminile
(3)La
crittogama è un parassita vegetale di varia natura molto dannoso per la vite;
ci fu una devastante epidemia in Italia a partire dal 1850, quindi il nostro
Ferdinando ne aveva buona notizia e memoria.
(4)
Possessioni.
**
Hanno
preziosamente collaborato Dario (Bonini) D’incerti, Attilio Sacchetti, Anna
Maria Ori, Carlo Alberto Parmeggiani e Franco Bizzoccoli.
Cantaraana
- Palamàaio e Vìa Saanta Cèera
Un po’ di foto
1912 Don
Ettore Tirelli Santa Chiara senza L'Eden . Qui sotto passa il canale
Nel 1912
al posto del Palamàaio c'era il vecchio macello - in fondo a via Santa Chiara
c’era la murra e la caduta del canale come ci diceva Giorgio Iotti -
Via Cantaraana (Via Brennero) vista da
via Fontana. In fondo si vede il vecchio macello, demolito nel 1925, che verrà
poi spostato lì vicino in via De Amicis; al suo posto sorgerà il Palamàaio in
una foto del 1970.
1970
il Palamàaio oggi - sotto c’è il canale, che prosegue via Medaglie d'Oro
1912 ca
via Santa Chiara - a dx l'edificio anche oggi esistente che esce - a sn in
fondo il vecchio macello, dopo poi sorgerà il Palamàaio - in fondo si vede la
Murra, sotto il famoso canale con la grata. proseguendo poi sorgerà via
Medaglie d'oro
1912 ca
via Santa Chiara (particolare) - a dx l'edificio anche oggi esistente che esce-
a sn in fondo il vecchio macello dopo poi sorgerà il Palamàaio - foto don
Ettore Tirelli
2011
Via Santa Chiara
1910
foto don Ettore Tirelli - via Cantaraana
vista da via Fontana - in fondo via Santa Chiara con il vecchio macello, dove
poi sorgerà il Palamàaio
1910
Particolare della foto sopra
Anni
’50 - via Cantaraana (Via Brennero)
in
fondo via Santa Chiara con il Palamàaio
1973
Via Santa Chiara - L'ultima vera osteria di Carpi
anni
'70 Rovatti, biciclista in Santa Chiara
1979
Via Santa Chiara dal cortile di Palazzo Gandolfi – Foto di Gianni Magnani
2009
Il Canale di Carpi passa sotto il Palazzo Gandolfi in corso Fanti e prosegue
per via Santa Chiara e via Medaglie d’ Oro. Foto di Giorgio Iotti
2012
Via Santa Chiara all’incrocio con corso Fanti Palazzo Gandolfi –
Foto
di Marco Giovanardi
Marzo
2015
Ecco
giungere inaspettate due foto interessantissime dal carpigiano Maurizio
Malvezzi che ha abitato in gioventù in Palazzo Gandolfi, corso Fanti n 40. Le
foto, che hanno un intervallo di circa 15 anni, sono state scattate dalla
finestra della sua abitazione al 3° piano del Palazzo, in direzione di Via
Santa Chiara e ci fanno vedere chiaramente le importanti trasformazioni
avvenute.
1950 ca
Dal 3° piano di palazzo Gandolfi vediamo Via Santa chiara senza il Cinema Eden
e via Medaglie d'Oro. All’altezza del Palamàaio c’è un cancello con un muretto
e il Gabelo che prosegue verso nord- est.
1963
ca – sempre dalla stessa finestra, Malvezzi fotografa via Santa Chiara; le cose
non molto cambiate: c’è il Cinema Eden sulla sinistra e in fondo via Medaglie
d’Oro con sotto il Gabelo ricorperto.
Ecco
alcuni sentiti ricordi legati alla visione della due foto di Malvezzi.
Renato Cucconi
(Carpi - Marzo 2015): “Nella foto degli anni '50 là in fònnda, a s vèed al Palamàaio e un murètt, (che nuèeter ragasóo a
gh sughevèen a la guèera). Là incumincièeva al Gabèelo scuacèe (mò quaant
poundèegh!)- èd fiàanch a gh èera al masèel di Viale De Amicis e me mèeder dal vòolti (quaand a n gh èera
èeter da magnèer) l a m mandèeva (cun un sèec') a tóor al sanghèev dal béesti
chi masèeven, e che al Comun a s regalèeva.”
Carla B.
(Carpi - Marzo 2015): “Che bella! La cercavo proprio una foto così, perché la
terra che si vede era quella che aveva mio nonno come mezzadro dei Salvaterra, terra
che andava dagli attuali Viale De Amicis e Viale Manzoni. Mia madre si è
innamorata di mio padre nel 1937 circa proprio in quell'angolo, vedendolo a 16
anni potare delle piante. Lei abitava nella vicinissa via Brennero (Cantaraana) con la famiglia e aveva il
cancelletto sul retro, su viale De Amicis (ammesso che allora si chiamasse
così).
Mia
padre è nato in quella casa di campagna azzurrina dietro alla villa dei
Salvaterra che hanno demolito 3 anni fa circa per farci un palazzone. Egli mi
raccontava che da bambino, giocando con il figlio dei Salvaterra, avevano
riempito il pozzo di pietre e le aveva prese tutti e due. Nel 1960 però mio
nonno aveva 75 anni e abitava in un altro posto e nessuno dei suoi 3 maschi ha
fatto il contadino. Mio padre nel 1939 entrò nella Guardia di Finanza.”
Anna Maria Ori
(Carpi - Marzo 15): “Il muretto lo abbiamo visto tutti, noi che abitavamo da
quelle parti, e conoscevamo bene anche i profumi e gli effluvi del Gabelo!
Tutti i “maschi” ci giocavano, sfidandosi ad esercizi di abilità nel percorrere
il muretto e simili. Spesso anche scoppiavano litigi furibondi e scontri tra
squadre di diversa residenza: i gruppi amicali si formavano prevalentemente su
base topografica, con qualche compagno di scuola che veniva accettato in cambio
di sostanziosi aiuti scolastici. I genitori lasciavano fare, meno ossessionati
dalla sicurezza di quelli d’oggi, e i bambini si autoregolavano, quanto al
correre rischi, salvo in casi di sfide tra maschi alfa.
Noi
bambine stavamo abbastanza lontane da loro, giocando a palla contro il muro del
macello, ma sempre attente alle prodezze dei più audaci. C’era una specie di
attrazione/repulsione tra i due gruppi dei maschi e delle femmine, che
variavano con l’avvicinarsi della pubertà; e anche le prese in giro verbali e
l’accompagnare o essere accompagnate a casa (dieci metri!) avevano un preciso
significato sociale, allora.
Graziano Malagoli (Carpi - Marzo 2015): “A proposito della foto di via
Santa Chiara, ricordo che ho frequentato il Liceo Fanti dal 1956 al 1961 e la
strada non era completamente asfaltata: vi era una ampia striscia in sassi
(come quelli che erano in piazza e che ben si vedono nella prima foto) davanti
alla scuola.
Ricordo
che un mio compagno di classe (Vincenzo Capretti, figlio del farmacista di Rio
Saliceto) pluriripetente, in 4^ classe, veniva a scuola con una Balilla, che
parcheggiava di traverso proprio davanti al portone.
Allora,
come certo saprete, il Liceo scientifico M. Fanti (5 classi di cui la nostra,
partita in 13 studenti e arrivata in 10, inclusi due ripetenti, Capretti e
Strillo Rossano Bellelli) era tutto su via santa Chiara, salvo l'aula di
disegno che era più all'interno verso sud-ovest e aveva le finestre sul cortile
interno.
Un unico
corridoio che, percorso da sud a nord aveva: proprio davanti alla scalone
l'orologio e la stanzetta dei bidelli, girando a destra un'aula e un tortuoso
corridoio che portava all'aula di scienze, al laboratorio e all'aula di
disegno. Girando invece a sinistra si trovava subito la presidenza con finestre
sul cortile dell'Eden e di fronte la sala professori e le altre aule. Che
piacevoli ricordi!”
Anni
’50 – L’entrata del Liceo in via Santa Chiara
26-05-5-2013-
Mie foto, scattate dal terrazzo del piano nobile (2° p) di Palazzo Gandolfi
***
Commenti
a una foto del 1949
tratte
da Facebook – Gruppo Conosci il dialetto carpigiano?
Scrive La Giuli 23-9-2013: Posto una foto di
gente del Palamàaio e di Cantaarana. Siamo nel giugno del 1949. La signora in
piedi, seconda da destra dietro la Filimede, è mia nonna Jolanda e la punta
della piramide, attaccato alla grondaia, è lo zio Mario Burani.
Primo Saltini per La Giuli: La foto
si riferisce al 50° anniversario del matrimonio di Carmelina Borghi in Sacchi,
altri presenti sono: CLEONICE TAMPELLINI, suo marito GUGLIELMO BORGHI, ancora
RITA BORGHI in GHIDONI, Carmen LUGLI in SACCHI, Daniele SACCHI, DORINA BORGHI
in MALAVASI VITTORIO, Lea LODI in BORGHI, INES SACCHI, ERIO SACCHI, Mora BORGHI
in ANDREOLI, ERMENTINA SACCHI in CAMPEDELLI, Valètt SACCHI. La foto non dovrebbe essere stata scattata al Palamàaio,
ma forse nei pressi del parco!
Il
garofano bianco si portava ai matrimoni. Ecco il perché di questo fiore posto
all'occhiello di tanti nella foto. Si celebra un anniversario di matrimonio dei
due signori in prima fila. L'uomo indicato dalla freccia rossa sembra essere
Walter Andreoli.
Gianna Pagliani: La seconda sinistra
direi che è Norma Veroni. Strano io ci abitavo, ma non vedo nemmeno i mie
genitori; io allora avevo 5 anni dovrei pure ricordare ma dalle porte che si
vedono non è di certo il Palamàaio.
La Giuli per Primo Saltini:
guarda questa foto è venuta fuori dalla scatola delle foto di mia nonna che
nella foto c'è e su questo sono sicura. Dietro alla foto c'è scritto: giugno
1949 Palamàaio. Circa la freccia rossa, c'è scritto zio Mario. Altro non so. Ho
riportato quanto ho trovato. Dietro la foto c'è scritto così e i miei parenti
ci abitavano.
Gianna Pagliani per Giuli: immagino
tu sia molto più giovane di me, come si chiamavano i tuoi parenti? Pensa io ho
conosciuto benissimo tuo zio Mario Burani e famiglie ma in questa foto non lo
riconosco proprio,era un gran bell'uomo ma sordo completamente.
La Giuli: Lo zio Mario è lo
zio della mia mamma che è nata nel 1949 è la più piccola dei 7 fratelli Burani
della Jolanda e di Gino; i miei zii sono Rino, la Graziella, Gastone, Maurizio,
Paola, Admer e poi la mia mamma Mara.
In
questa foto a parte mia nonna non ho riconosciuto nessuno e lo zio Mario l'ho
individuato, perché se vedi ha una freccia rossa sopra la testa e dietro la
foto ci hanno scritto chi era. Mia mamma ha detto che dovrebbe esserci anche
sua nonna Carmelina, ma non l'ha riconosciuta; dei miei zii pare non ci sia
nessuno.
Lo
zio Enrico da quel che so l èera un bèel
nummer. Mio zio Maurizio è stato un grande atleta della squadra della
Patria ed è stato uno dei promotori della pista di pattinaggio del parco, sui
pattini era un drago! Era anche un bravissimo ballerino e faceva le gare.
Gianna Pagliani: Di Maurizio non so
niente, ma Enrico lo ricordo bene, si è sposato con una meridionale e avevano
avuto una figlia che ora deve avere una sessantina d'anni a sua volta ha un
figlio che fa o faceva i mercati.
Alfiero Malavasi: Rìico l èera un nummer, mò annch Gìino a n èera mia da mèena. A se
vdivèen sool a la Lama; la mé cumpagnia l'èera con Gastòun al fiool éd Gìino e conoscevo
tutta la vostra famiglia.
Alóora a gh èera
Rìino, Gastone, Graziella, Maurizio, Admèer. d unna a m suun scurdèe al nòmm e
la cichiìina Mara. Tò nòon Buràani al vindìiva al cucòmmbri, oltre a fèer al so
mistèer (aiutèe da Rìino e Gastòun).
La Giuli per Alfiero Malavasi:
C'era anche Paola; purtroppo da quasi 2 anni è insieme a Rino a Gastone e alla
Graziella
La Giuli per Gianna Pagliani:
Sì è proprio lo zio Enrico che ha sposato la Maria che era meridionale; hanno
avuto una figlia la Gina e, con suo figlio, ha un banco da mercato. L è pròopria lò.
Gianna Pagliani: Allora non ho
sbagliato. Io al Palamàaio ci sono nata nel '44 e sono andata via, perché mi
sono sposata, nel '66. La nonna Carmelina, cosi la chiamavo, il giorno del mio
matrimonio volle che andassi a farmi vedere vestita di bianco. Ogni volta che
mi vedeva, fin da piccola, mi diceva: " Mò dicche te ti giustèeda, ma l'ùltma vòolta ch a t ò visst, t èer
pròopria brutta! E me lo tornò a dire anche il giorno del matrimonio .
Giocavo
con la Marinella e Anselmo figli di tua zia Nina.
1949
Il cocomeraio Gino Burani 2° al centro seduto e in piedi, cicca in bocca, suo
fratello Rino.
La Giuli: Da quello che mi ha
raccontato mia mamma di lei (la nonna) non stento a crederlo. Mio nonno vendeva
le cocomere e altro. So che però quando mia mamma era piccola si erano
trasferiti con la baracchina lungo il viale della Stazione.
**
Altre foto della zona
1910 Fattura della Ditta Fiocchi – sede a Cibeno,
abitazione in Cantaraana
1973 L’ultima osteria di una volta in via Santa Chiara
1975 ca - Romano Bassoli materassaio al Palamàaio
1975 ca Alfredo del Palamàaio, fratello di Aristide e
figlio della Maria Ruṡnèinta
1980 ca Fagiolo
Pignatti del Palamàaio.
1984 Alcide FORNASARI calzolaio in via Brennero - Cantaraana
Postfazione
Nel novembre 2011 c’è stato un
interessante ritrovamento di PROFONDA carpigianità: presso il falegname Pio Venturi
in Ṡguasalòoca (via G. Rocca) ho
avuto copia di una specie di censimento con brevi, ma interessanti descrizioni
scritto in una ventina di pagine da Ivo Malaguti (1926-2011), fratello del professore
di inglese. Lo scritto è relativo alle famiglie del Palamàaio, Cantaraana e Saanta Cèera, cioè di
quelli ritenuti (a torto o a ragione) i peggiori bassifondi di Carpi.
Pio era amico intimo di Ivo e
conferma, salvo alcune scusabili imperfezioni, i contenuti dello scritto. Ne
emerge una realtà stupefacente che incarna molta della carpigianità cittadina
dal '30 al '70 circa. Un mondo pressoché scomparso e che ha ancora pochissimi
testimoni. Un modo denso, densissimo di profondo humus carpigiano.
Per dire di lì sono anche passati
noti magliai e industriali carpigiani; poi tante bravissime persone, che
poi erano la maggioranza, ma anche puvrètt,
strasèer, imberiagòos, lèeder, putaani, accoltellatori, di mianormèe(l) cun la tèesta, famiglie con abbondanza di figli illegittimi; c'era
anche la cuoca della Banda Adani e Caprari che si diceva fornisse cibo e
rifugio ai malviventi.
Queste cose, questi ricordi NON
devono andare persi.
***
Ho parlato con Pio, con Franco
Bizzoccoli e con Carlo Albero Parmeggiani e ognuno di essi ha attestato la sostanziale
veridicità del manoscritto.
Ho messo pure alcune correzioni che
mi hanno giustamente suggerito.
***
Preso da sacro fuoco ho poi anche
raffazzonato tutto ciò che avevo scritto in precedenza su Cantaraana e dintorni nelle mie ricerche, che troverete nella prima
parte di questo testo. Si tratta come sempre di una bozza di lavoro, in
continua evoluzione.
Un saluto a tutti...
Mauro D’Orazi
sempre entusiasta di Carpi e del suo dialetto.
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