martedì 27 dicembre 2011

Un ricòord dla Marina - La Marina Trintèina di Mauro D'Orazi


Un ricòord dla Marina  -  La Marina Trintèina

 V 18    17-05-2012                           ricordi raccolti da Mauro D’Orazi
gentile revisione di Giliola Pivetti
          
Eccola in una rara foto degli anni ’60 in Via Cesare Battisti (oggi davanti alle poste) - La Marina rientrava a casa spingendo il suo carrettino di mercanzia varia verso Cuntreda Teranova, o L’Ultma (Via Giordano Bruno) in du la stèeva ed cà

La Marina Trinteina  (Trentini di cognome) era un ricordo indelebile nella mia memoria; la vedo ancora spingere il suo carro sotto il portico di Corso Fanti, inveendo pesantemente contro chi la prendeva in giro. Vale la pena di ricordala con la testimonianza di alcuni carpigiani, proprio perché ha rappresentato quasi un’icona della nostra città. E come spesso ipocritamente accade per questi personaggi scomodi, che si destavano, ridicolizzavano, sbeffeggiavano, quando erano in vita, si arriva poi a ricordarli quasi con affetto tanti anni dopo la loro morte. Un processo mentale auto assolvente, più che altro rivolto a una nostalgica rievocazione di se stessi e non al “disgraziato” di turno, che apparteneva a una categoria dalla quale si era ben contenti di essere lontani.
In noi ragazzini degli anni ’50 e ’60, la sua inquietante figura è rimasta fortemente impressa nei nostri lontani ricordi: alta, secca, sempre vestita di nero con il fazzoletto dello stesso colore in testa.
Ci faceva molta paura a vederla e le stavamo a debita distanza; non di rado prendeva delle balle orbe e tirava delle sequele ben articolate di briscole, soprattutto contro i monelli cattivi che, con tutta la pungente crudeltà tipica nella loro natura, le facevano degli scherzi feroci o la offendevano. Da giovani spesso si è inutilmente crudeli. Una volta alcuni ragazzi le tolsero il fermo di una ruota del carretto, con l’esito disastroso che possiamo ben immaginare. Al barusèin a cavàal a su, tuti al malgareini per tèera e di siigh e dal madòoni ch a s-cifleva l’aria.
Marina abitava in contrada Terranova (L’Ultma - Via Giordano Bruno), altro luogo di profonda carpigianità; stava subito dopo la bottega da lattoniere di Ardiglio (Cavasùu) Cavazzuti, fratello di Ersiglio e Doviglio. L’artigiano era famoso per la messa in opera di un fugòun da bugadèera … in lèegn. La saracinesca di questa antica attività si può ancora vedere tale quale, chiusa ormai da decenni. Fra qualche anno, con la prima ristrutturazione scomparirà di sicuro.

Pare fosse anche attirata dal fascino di un allora noto enologo carpigiano, che devotamente ogni settimana andava riverire e nel contempo a farsi omaggiare di qualche bicchiere. “Cirooo, mò digh …s t ‘i bèel!” era solito dirgli.
Teneva banco il piazza al giovedì e alla domenica (solo recentemente si è passati al sabato). La sua postazione era di fronte al quella del fabbro Bizzoccoli (il nonno di Franco) che si collocava sotto il torrione degli spagnoli, proprio ai piedi della lapide per Presa di Roma - XX settembre 1870.
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Ho cercato fra la gente ricordi personali sulla Marina, ottenendo tante tessere per un mosaico un po’ frammentato, che dà però un profilo verosimile, anche se approssimativo, del personaggio. Sono convinto che l’interessata non si sarebbe mai immaginata una sua rievocazione.

Primo Saltini ricorda: “Era quasi un divertimento per noi ragazzini di allora, passargli vicino e sussurrarle: Imberiagòosa! Un’ingiuria che immediatamente scatena una litania furente di madonne, cancheri ed epiteti vari. Tutto un vocabolario gergale interessante che poi si poteva ripetere insieme agli amici, sghignazzando. In più la seguivamo, quando andava verso i giardini a fare pipì (all’antica maniera delle donne padane); la faceva stando in piedi e dandosi una asciugatina con il vestito! Eravamo proprio dei delinquenti.”

Alfredo Copelli abitava in via Marco Meloni e nel retro della casa c'era un cortile con una tettoia. Spesso la Marina si fermava li a dormire per scuasèer la bàala (per smaltire le dosi alcoliche), così come era … cun al barusèin abbandonato con tutte le povere merci.

Ersilio Spezzani rammenta che le piaceva anche bere un buon quartino di vino, ma forse anche di più. “Tante volte chiedeva a noi ragazzi se le andavamo a prendere il vino, perchè a lei non lo davano all’osteria vicino a San Rocco. Puvreta !! La fèeva compassiòun, già da ragass … ,  ma anch adesa, dòop tant ann, a pinser cum la viviva, l’a t  fà pinser che la solitudine l'è ‘na gran tristesa.
La pariva cativa, mo l'era sool una povra dònna, senza nisun intoorna ch a la aiutiss.
I eren mument difficil anch aloora, sperem ch in tornen più, anch se a m sembra che incòò a n adema per gninta bèin.

Anche ad Annamaria Loschi la gh fèeva na fàata paura ... Anch perchè a n s capiva gninta ed quel ch l a gìiva. Essere vecchi e poveri era ed è una vera disgrazia.
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Anna Bulgarelli ha bene in mente la Marina Trintèina, abitando nella sua stessa contrada: “Io sono nata e cresciuta in via Giordano Bruno e me la ricordo bene. A noi bambine ci incuteva un certo timore: così alta e vestita di nero, spesso alterata dal vino. Ma quando era lucida e la incontravo uscendo di casa, mi riempiva di complimenti e mi  diceva con grande dolcezza " In du vèet pricipèesa?".
Una volta la nipote la stava aspettando da ore in via Giordano Bruno, più o meno preoccupata. A un certo punto la vide arrivare senza il carrettino, dimenticato chissà dove, la girèeva ed galòun penosamente ondeggiando con un piede sul marciapiede e uno sulla strada. “Bè mò … Cus ela? ‘Na baala nòova?” commentò amareggiata la nipote, commentando lo strano incedere della zia ubriaca.
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Lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani afferma che della Marina, detta anche la MarinaaSa, non sa dire più tanto, perché raramente bazzicava nelle sue zone da bambino, le poche volte che ha avuto a che farci si era sempre mostrata non solo gentile, ma anche spiritosa.
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La prof Anna Maria Ori: “Ricordo vagamente la Marina Trintèina, perché non mi ha mai né spaventato, né intenerito, né (lo ammetto) interessato, ma era una specie di arredo urbano di cui semplicemente prendevo atto. Mi dispiace di non averla osservata con più attenzione, in pratica di non averla vista, anche se entrava nel mio raggio visivo.”

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Gilda Lugli: "Mia madre, Fernanda Bertolazzi, mi raccontava che la Marina era di buona famiglia, ma che a un certo punto suo fratello aveva preso le distanze da lei.
Quando avevamo la ditta di legnami in via Carducci, la Marina entrava dal retro in via N. Biondo e cercava di venderci la sua mercanzia. Mi faceva paura, ma anche tanta pena ..."
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Enrico Rancan, al fiòol dal pròfugh: “Ce l’ho in mente, ma ero veramente piccolo. Suonava a casa mia, in viale Nicolò Biondo, per offrire la sua mercanzia e mia madre, per mandarla via in fretta, le comprava sempre qualcosa. A me piacevano le carrube, che evidentemente lei vendeva, e che ho conosciuto proprio per questo.
La Mary, mia madre, Maria Jone Lugli, zia della Gilda Lugli, però ne dava un severo giudizio e diceva:"E’ una donnaccia !" ... forse per il suo continuo bestemmiare.”
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Margherita Panzani: “Io me la ricordo bene, abitavo in Corso Fanti e lei passava, vestita sempre con un grembiulone nero e un fazzoletto in testa, col suo carretto pieno di scope, secchi, spazzole e tante altre cose. Molte volte si fermava, chiamava mia nonna e chiedeva il permesso per andare al gabinetto che era in cortile, gabinetto che era poi un buco, con sopra un coperchio. Altre volte, semplicemente, apriva le gambe e faceva la pipi li dove si trovava. Non mi faceva paura e la nonna mi diceva che non era cattiva.”
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Mauro Marri ricorda bene questa strana donna; sua nonna, infatti, comprava i giochi da lei per i nipoti, quando erano buoni, il che succedeva molto raramente. La Marina era ... avanti: faceva già il porta a porta tanti anni fa.
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Ecco un incisiva immagine che ci lascia Luciana Nora
La Marina
Se la Filimede fu un personaggio caratterizzante di via Cantarana, l'esprimersi della quale aveva come confine le contrade attigue, ci fu anche un'altra figura femminile particolarissima, completamente fuori dagli schemi, conosciuta in tutta Carpi per via del fatto che svolgeva un'attività ambulante: la Marina Trintèina cla stèeva in Cuntrèeda Teraòova.
Aveva un carro a due stanghe che tirava lei stessa, con il quale portava le sue mercanzie per tutte le contrade carpigiane. Una struttura corporea segaligna, vestita di un nero stinto che aveva virato al grigio: un fazzolettone annodato al collo, i cui lembi estremi venivano usati per asciugare il sudore della fronte e del petto, sottana lunga e larga quasi fino alla caviglie che, estate e inverno, spuntavano nude da larghe, nere scarpe maschili.
Dalle maniche arrotolate fino ai gomiti, uscivano le braccia secche e nervose. Le mani erano lunghe e nodose le mani su cui, dopo una sosta, come erano soliti fare gli uomini, sputava, per poi sfregarsele, prima di riagguantare le stanghe del suo carro e riprendere il suo giro.
I capelli grigi, dritti dal taglio pari appena sotto le orecchie, qualche volta tenuti indietro da un cerchietto metallico, incorniciavano un volto austero, rugoso, dai tratti sottili. Un’ambulante strana che passava senza segnalarsi e bandire la propria merce. Aveva sul carro dal pianale piatto dal malgareini e dal ramàazi, ‘na quelch trapla per soregh, un po' di pentolame e varie altre cose. ‘Na specie ed Righetta ed Limid ambulante … in miniatura.
Il tempo aveva tinto di grigio anche il carro. Sicuramente girò per Carpi fino alla prima metà degli anni ‘60. Se la ripenso oggi, anche il mio ricordo si spoglia dei colori e vira al grigio come in un film in bianco e nero e in parte perde la voce. Incontrarla era un fatto pressoché quotidiano. Almeno a me, ma sono certa di non essere stata la sola tra le mie coetanee, la sua comparsa incuteva qualche timore, specialmente sollecitava un interrogativo: Ma chi era la Marina?
La fantasia infantile poteva associarla a una qualche strega o, più improbabile, a una fata. Avevo capito dove aveva una posta per il suo carro in una delle mie visite alla zia Ernesta, che abitava in Cantarana. Entrando in quella contrada da Santa Chiara, sulla destra, poco più in là del palazzo sede del cappellificio Losi, lì doveva far sostare il carro la Marina. Era pomeriggio inoltrato e uscendo da quella corte affollata da una quantità di famiglie, ero rimasta folgorata sull'ingresso, perché, in quella strada stretta, mi ero ritrovata a un passo dalla Marina che stava smanovrando il suo biroccino. Mi ero fermata ad osservarla, forse cercando qualche risposta.
Di lì a qualche minuto, ebbi a vederla sollevare un poco la sottana, divaricare ampiamente le gambe e, come si usava dire a quel tempo, spender aqua in mèes a la strèeda. Mentre realizzavo mentalmente che doveva essere senza mutande, fui scrollata da un rauco e perentorio: “Veh, te, ragazòola, c'sa gh et da guardèer?  N'et mai vist spendèer aqua?” No! Non avevo mai visto farlo in quel modo. Ero poi filata via come un fuso.
Col tempo però i timori erano arrivati a dissolversi, fino ad avvertire un certo fascino per quella figura femminile particolarissima, la cui filosofia doveva ritrovarsi pienamente nel dantesco "non ti curar di loro, guarda e passa". Filosofia praticata fino a quando, come una sorta di maledizione, uscì la canzone intitolata a Marina, che divenne, tant per zunter al ràam a la mescla, una sorta di perfido dileggio che i ragazzi e anche qualche stupido adulto, usavano cantarle per farla uscire dai gangheri. Marina usciva allora dal suo silenzio, prendeva una scopa dal suo carro e, brandendola, imprecava: “Dio chè! Dio là! Vin ché vigliacch. S a t ciapp a t'la sbrèegh in dla schiina!”
Non so quando e come Marina sia uscita di scena, ma spesso mi è ritornata alla mente, particolarmente quando, tra le mie letture anni Settanta, ho incontrato Le streghe del Nagual di Carlos Castaneda. Mi piace pensare che, chissà, in quel suo continuo e faticoso peregrinare, più che dettato dal bisogno di un'esistenza grama, Marina cercasse e avesse trovato l'essenza dell'essere.
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Francesco Bezzecchi, detto Il Mimì, ricorda che la Marina comprava le scope (al malgareini) dal suo principale Francesco Pacchioni, il mestichero di fianco al cinema Fanti, in via Mazzini, che gestì per molti anni una rivendita di colori e affini. Allo speciale prezzo di costo che le veniva praticato, la Marina applicava poi il suo guadagno di venditrice ambulante.
La Marina spesso andava all'osteria di Cimbro in via Matteotti sotto il portico, e dopo due o tre bicchieri, apriva le gambe e faceva la pipí sotto il tavolo. Arrivava Pippo (Saetti, figlio di Cimbro, in seguito noto e valente ingegnere e arredatore) che, con la segatura e la scopa, puliva senza fiatare.

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La poetessa Luciana Tosi ricorda di averla vista diverse volte, ma a quei tempi lavorava duramente, faceva almeno 10 ore al giorno e a n gh era mia tante teimp de stèer a guardèer chi paseèva ... Si ricorda una la donna alta, un po' curva, con un abito lungo e scuur, al carètt cun dal stanghi acsè lunghi. Aveva una figlia di nome Norma.

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Chiudo con ‘na poVesia degli anni ’60 di Micin (Cinzio Micheli)

LA DONA ED TERANOVA

Col prim sol, po' fin a sira,
per le vie della città,
la Marina, gira, gira,
col carretto se ne và.

Và gridando: sùca fina!
pir e persègh, figh e mlòun,
cun nà vòs ardònda e pìna
da desdèr tutt al riòun.

Ma un brutt dè, s'oscura al mond,
vengon giorni tristi, amari,
dove tutt un po' s'counfond
se sbarchèr s'vol al lunàri.

Fu così che quel carretto,
invece ed sùca o portogall,
di portare fù costretto
quel ch'tuliva su "NIBAL".

Passa un giorno, passa l'altro…
poi il boom viene della lana
dove Carpi, per lo scaltro,
l'è dvintéda nà cucagna.

Lei di nuovo butta all'aria
tutt, baraca e buratein,
e di merce, la più varia,
l'impiniss al barusèin.

Marletèin, candeli usedi,
automatich, pan d'savòun,
e (chisà dove scuvèdi)
scatli d'luster d'Furmigòun.

Per stà dòna ed Teranova, (Terranova = Via Giordano Bruno o l'Ùltma)
al baròs l'è seimpr' impgné,
le un po' tutt la mett in ovra
seinsa bsér la qualité.



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