martedì 27 dicembre 2011

I cuercin di Mauro D'Orazi Carpi Tappi a corona - dialetto carpigiano - Carpi (Modena)


I cuercìin
I coperchini - i tappi a corona
Stesura iniziale 10-4-2010                                        v 26 del 29-08-2013

Pubblicato parzialmente su La Voce di Carpi n 15 del 15 aprile 2010

Il tappo a corona, chiamato con affetto nelle nostre zone coperchino o in dialetto cuerìin, cuercìini, fu inventato nel 1891 da William Painter, inventore americano.
L’invenzione viene subito colta favorevolmente, ma occorsero alcuni anni prima che si affermasse concretamente, in quanto necessitava di apposite macchine in grado di trasformare un sottile foglio di metallo in tanti pezzi a loro volta dovevano essere predisposti per essere saldamente collocati a tenuta stagna su una bottiglia di vetro.
Negli anni '20 il tappo assume la fisionomia attuale, con la presenza di ventuno dentini; tale quantità rappresenta il numero ideale di punti di pressione per sigillare la bottiglia, anche con l'aiuto di un'apposita sottoguarnizione un tempo in sughero oggi in materiali plastici. Con questa chiusura non c'era più pericolo che il contenuto possa evaporare o sgasarsi se agitato.
Coperchini italiani anni ’50 e ‘60
Sino agli anni '30 fu utilizzato esclusivamente dalla Crown Cork a & Seal, poi il suo uso si espanse a livello mondiale. In America era usato addirittura sulle lattine.
In Italia l'uso di questa chiusura è cominciata attorno al 1950; è praticamente impossibile trovare tappi a corona anteriori al questa data, anche perché il metallo, in tempo di guerra, veniva riutilizzato per altri scopi.
Io stesso cominciai una accanita collezione, basata sulla quantità, più che sulla varietà, a partire dalla fine degli anni '50 e per almeno una decina d’anni.
Poi dagli amici della Ludoteca di Carpi mi è arrivato un invito per un’iniziativa davvero speciale dedicata ai coperchini.
Subito mi si è riaccesa … viva, vivissima … l’antica fiamma.
Sabato 10 aprile del 2010 ho atteso con una certa trepidazione le 16,30: l’apertura presso la Sala Estense di una singolare e strana mostra dedicata appunto ai tappi a corona. “Con tappo e dita” un progetto del Castello dei Ragazzi con Emilia Ficarelli, Giorgio Bassoli, Gianfranco Pavarotti e Stefania Vezzani.                         
È stato un vero turbine emozionale di sensazioni riemerse e di ricordi vive e intense.
L’emozione derivava dal fatto che io, come tanti miei amici, sono stato un accanito collezionista di coperchini. La mostra mi ha portato indietro di quasi 50 anni, facendo affiorare tutta una serie di ricordi che sembravano seppelliti per sempre.
La bella iniziativa era riferita in particolar modo all’uso dei tappi per gare ciclistiche; una specialità particolare che si praticava appesantendo il tappo, mettendo una piccola immagine dei campioni di ciclismo di allora e correndo con la spinta di sapienti “ cricchi” su un circuito pieno di curve. Questo tipo di gioco l’ho praticato solo al mare con la variante delle sfere di plastica con le foto dei corridori imprigionati dentro.
Infatti io i miei amici usavamo i coperchini prevalentemente come soldatini, cioè come veri e propri eserciti superbamente organizzati in epiche campagne e battaglie; il tutto, si badi bene, a bassissimo prezzo.
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Per Gianfranco Imbeni al cuercìin è un coperchietto: un tappo di latta, con anima di sughero o di gomma, che sostituì, negli anni Cinquanta nelle gassose e nelle altre bottigliette di bibite, la pallina di vetro per la chiusura ermetica.
Una volta consumata la bevanda, al cuercìin veniva utilizzato dai ragazzi dell'epoca per due utilissimi scopi. Anzitutto per giocare, col metodo del cricco, al giro d'Italia.
La pista veniva disegnata per terra con il gesso: bisognava spingere con il movimento congiunto dell'indice e del pollice il coperchietto stando attenti a non farlo uscire dal tracciato, si poteva però "fare brucia", cioè lo si manteneva in corsa anche sulle righe della pista.

Marco Giovanardi (Carpi) ricorda che alla fine degli anni ’40 i cuercìin, per giocare a queste simulazioni ciclistiche dei grandi Giri, venivano riempiti di terra e spinti col cricco nei sinuosi circuiti disegnati col gesso sui marciapiedi.
Poi con l’uso sempre più diffuso del catrame per asfaltare le strade di Carpi, si riempivano i cuercìin con questo materiale; ciò li rendeva pesanti e molto indicati per questi circuiti.
Al cuercìin veniva riempito col catrame preso dall'asfalto fresco di una strada; quaand i asfaltevèen nuove vie, la voce girava rapida e i ragazzi arrivavano veloci.
Per renderlo poi più scorrevole, la parte col catrame veniva lisciata nella parte utilizzando polvere di terra normale, con ripetute sfregature abrasive sul marciapiede.
A quel punto il coperchino da corsa era pronto e perfetto.
Considerato il grande vantaggio che il coperchino più pesante, nelle gare di quartiere, prima di iniziare, si doveva specificare:”Cun al catràmm o cun la tèera!” … per essere tutti a pari condizioni.
Ma qualche furbone riempiva in parte di catrame, ricoprendo il tutto con un leggero strato finale di terra; ciò gli consentiva fraudolentemente di superare il controllo.
Era anche rilevante la ricerca del disegno giusto in simma al cuercìin, in modo da poterlo legare in modo adeguato al ciclista che si seguiva di più e di cui si era tifosi; perciò il colore o il disegno sul coperchietto erano importanti. Ad esempio Bartali era color giallo e Carollo color nero, ecc ...
Coppi era bianco, ma siccome la tinta non era facile da reperire si poteva battezzarlo anche con altro colore.
Poi venne la moda di raschiare il coperchino; ad esempio al cuercìin dla S. Pellegrino, che aveva una stella rossa al centro, lo si raschiava; si limava con attenzione il metallo tutt'intorno alla stella, procurando così un effetto splendente di metallo vivo.

Figct, "I tappetti", prefazione di Vittorio Adorni, 1996,
Genova, il Golfo, pagine 104, lire 10.000.  Introvabile

Ma i cuercìin diventavano anche fonte di qualche piccolo guadagno per il precoce spirito d'iniziativa dei ragazzi, i quali li usavano per la costruzione di tende per le porte dei negozi.
I coperchietti venivano fatti aderire ribattendoli, su se stessi, a delle sottili corde di cui costituivano una variopinta tesatura. In certi paesini della Bassa si entrava ancora poco tempo in qualche barberia o caffè attraverso simili fili colorati e tintinnanti.
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Coperchini anni ‘60
Ai miei tempi i tappi più ricercati erano le Stelle, cioè quelli distribuiti dalla prestigiosa ditta S. Pellegrino: avevano una caratteristica stella rossa in mezzo al cerchietto e variavano di colori a seconda della bibita che chiudevano.
Chinotto S. Pellegrino anni ‘70
Le Stelle erano molto pregiate, perché potevano essere rivendute ai fornitori all’ingrosso di bibite per ben due lire l’una; probabilmente la S. Pellegrino aveva inventato questa monetizzazione per incentivare le vendite a livello di rete distributiva. Io stesso vendetti ben 750 Stelle per 1.500 lire, tramite la pizzeria Da Biagino; fu tra gli antesignani di locali di questo tipo sorti a Carpi, probabilmente il secondo, ma sicuramente il primo di grande successo.
La pizzeria era proprio di fianco a casa mia, in via Galvani; più tardi Biagino si trasferì in Piazza e la pizzeria fu presa poi in mano a un certo punto dai Casale (proprietari dell’immobile) e poi dai famosi Incazz, che però conclusero la loro carriera di pizzaioli in via Don Davide Albertario.
La caccia a questi coperchini era spietata e, quando si usciva, noi bambini avevamo sempre gli occhi per terra, pronti a cogliere il minimo luccicore metallico.
Le Stelle S. Pellegrino - anni ’80 e ’90 - Collezione di Matteo Marzoli
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Lo stesso Guccini nel suo libro “Dizionario delle cose perdute” così ben definisce il clima che si viveva allora fra noi ragazzini:
“I coperchini sono da noi i tappi a corona delle bibite, detti anche tappini o tollini a Milano, grette a Genova,     fino a un misterioso sinàlcol a Parma, ma chissà in quanti altri modi li avranno chiamati i ragazzi italiani.
Li reclutavamo a scatoloni, rompendo le tasche a chiunque vendesse bibite, frugando addirittura nel rusco (o pattume che dir si voglia). In mancanza dolorosa, ma evidente di veri soldatini, in possesso solo a ragazzi ricchissimi che ne erano estremamente gelosi, i coperchini furono il loro surrogato per molti di noi.”
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Alla fine degli anni ’50, d’estate alla domenica pomeriggio con la mia famiglia eravamo abituati a fare una bella passeggiata fino al bar della stazione, in fondo a Viale Dallaj. Lì fra i tavolini si trovavano veri giacimenti di coperchini; i camerieri aprivano le bottigliette a tavolino e buttavano, chissà perché, in terra i tappi.
Una volta, avrò avuto 5 anni, l’abbondanza era tale che esclamai estasiato: “Mi sento friggere il sangue !” … una frase che poi in famiglia mi fu ripetuta, sorridendo, per decenni. Oggi purtroppo non me la ripetono più …
I tappi con le Stelle più numerosi erano quelli dell’aranciata, allora molto apprezzata dai consumatori, erano dorati con il simbolo rosso a 5 punte (allora la cosa non spaventava … politicamente), poi c’erano quelli gialli del bitter, quelli azzurri del rabarbaro, quelli bianchi e azzurri del chinotto e quelli neri dell’acqua minerale.
Avevo creato un vero e proprio esercito, a seconda del tipo: fanteria, cavalleria, ufficiali e soldati. C’era un re, un suntuoso tappo di una birra estera inglese … che faceva molto Riccardo Cuor di Leone (non dimentichiamo che allora la TV dei Ragazzi trasmetteva i telefilm di Ivanhoe e Robin Hood) e poi c’era uno spietato generale capo militare delle truppe, uno stupefacente antesignano di Lord Dart Fener del Lato Oscuro della Forza. Era uno strano coperchino di bitter S Pellegrino che, in origine giallo, era diventato nero con il calore della macchina da caffè del chiostro del Parco delle Rimembranze. Mi ricordo che lo notai, mentre andavo prendere un biff (ghiacciolo) e lo estrassi con un rametto dal disotto della macchina, intanto che la barista era distratta.
Una vera rarità, un pezzo unico !!   Tutti me lo invidiavano.
Quando giocavo da solo, le battaglie avvenivano sul mio letto, spesso contro un esercito di barbari formato da tappi di Coca Cola, comunissimi e di scarso valore. Oppure con guerre intestine fra il re e il suo generale. Plotoncini di coperchini si affrontavano e quelli che venivano rovesciati erano i morti e messi fuori gioco.
Le articolate avventure naturalmente erano ispirate a storie di libri, fumetti o film.

Coperchini e nazioni
Tutti i miei amici di allora avevano questa passione: le contrattazioni e gli scambi erano all’ordine del giorno. Varie volte tentammo di organizzare delle mega battaglie, ma ognuno aveva le sue regole e immancabilmente si litigava ancora prima di cominciare, con il permaloso di turno che si prendeva su coi suoi sacchetti dei tappi e andava a casa.
Ma il nemico numero uno di questa mio grande divertimento era mio padre, che non sopportava di vedermi impegnato in questa perdita di tempo. A suo dire questi giochi sciocchi rubavano energia allo studio e a una esistenza normale.
Alla prima occasione mi buttò via anche i pochi esemplari, che avevo conservato quando la passione, come tutte le passioni, si era affievolita. Fu così che scomparve il mio preziosissimo bitter nero.
Ma intanto un’altra categoria di impulsi andava sempre più prendendo spazio nel mio animo, ormai, di adolescente. Era tempo di cambiare e il targhet della mia attenzione a poco a poco si spostò verso morbide e sinuose visioni e quasi tutte le mie energie furono indirizzate verso tentativi, quasi sempre vani e disperati, di collezioni riguardanti il campo femminile.

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