stesura iniziale 17 gennaio 2010 v 45
del 09-10-2014
Al cutècc’
Il
cotecchio
Il
cotecchio… al graan ṡóogh dal tróoi
Modi di
dire
e usi
carpigiani
e di
dintorni
revisione del testo e
della grafia del dialetto
a cura di Graziano
Malagoli
di Mauro D’Orazi
Pubblicato in parte su Voce di Carpi n
7 del 18 feb 2010
Norme
di trascrizione del dialetto
Le norme di trascrizione
adottate dal
“Dizionario del dialetto
carpigiano - 2011”
di Anna Maria Ori e
Graziano Malagoli
Tabella per facilitare
la lettura
a a come in italiano vacca
aa pronuncia allungata laat, scaat, caana
è e aperta (come in dieci) martedè,
sèccia, scarèssa, panètt, panèin
èe e aperta e prolungata andèer, regolèeda, martlèeda, taièe
é e chiusa (come in regno) méi,
mé
ée e chiusa e prolungata véeder, créedit, pée
i i come in italiano bissa,
dì
ii i prolungata viiv, vriir, scalmiires, dii
ò o aperta (come in buono) pòss,
bòll, brònnṡa, pistòun, dimònndi
òo o aperta e prolungata scartòos, scatlòot, malòoch, tròop
ó o chiusa (come in noce) tó,
só, indó
óo o chiusa e prolungata vóolpa, casadóor, móoi, óov, ṡóogh
u u come in italiano parucca,
bussla, dubbi, currer, fiùmm
uu u prolungata bvuuda,
vluu, tgnuu, autuun, duu
c’ c dolce (come in ciao) vèec’ , òoc’
cc’ c dolce e intensa (come in faccia) cucc’, scarnìcc’, cutècc’, palpùcc’
ch c dura (come in chiodo) ṡbòcch, spaach, stècch
g’ g dolce (come in gelo) curàag’, alòog’, coléeg’
gg’ g dolce e intensa (come in oggi) puntègg’, gurghègg’
gh g dura (come in ghiro) ṡbrèegh, siigh
s s sorda (come in suono) sèmmper,
sóol, siira
ṡ s sonora (come in rosa) atéeṡ,
traṡandèe, ṡliṡìi
s-c s sorda seguita da c dolce s-ciafòun, s-ciòop, s-ciùmma,
s-ciòoch
Al cutècc’ - Il cotecchio
Io non sono mai stato un gran giocatore da carte, non
sono tagliato e quando uno lo capisce, è meglio rinunciare. Però di fronte a
un’ offerta di fare un partita a cotecchio non so dire di no. Infatti in questo
gioco si è da soli, senza la rottura di dover rispondere a un compagno esigente
e fastidiosamente critico nei tuoi confronti.
Il
giocatore deve dunque rispondere solo a sé stesso e chi sbaglia paga subito e pesantemente
gli errori commessi. Una breve premessa sulle regole a Carpi. Si gioca in
quattro giocatori con le carte da briscola. Le regole sono simili a quelle del
tresette, ma all’inverso; infatti il giocatore perdente è quello che realizza
più punti. Lo scopo del gioco è quello di non prendere, ma si ha l'obbligo di
rispondere al segno giocato. In ogni caso si deve effettuare però almeno una
presa, altrimenti si è perdenti. A volte si possono creare tacite alleanze tra
due giocatori per non permettere agli altri due giocatori di effettuare alcuna
presa; in questo caso, il punteggio vale doppio. Si può verificare il raro caso
di un giocatore che riesce a non permettere nessuna presa agli avversari; il
punteggio viene triplicato per i perdenti. Le carte hanno un loro punteggio:
gli assi valgono tre e le figure uno, chi fa l’ultima mano si fa carico di tre
punti aggiuntivi.
In
ogni partita i punti in ballo sono 35 (32 +3). Fino a 14 punti si paga una
busca, fino a 17 = due, fino a 20 = tre, fino a 23 = 4, fino a 25 = 5; dopo i
26, ogni punto una busca. Terminata la partita si assegnano le busche solo a
chi ha fatto più punti. I primi due che arrivano a 10 busche escono e perdono,
ma se un giocatore arriva a 20 perderà solo lui. Il gioco ha tante varianti
regionali e provinciali e di conseguenza tanti nomi: traversone, busche, rovescino, matassa, vinci-perdi, ass' e mazza, alla
meno, tressette a non prendere, tressette a perdere e ciapa no. Della terribile
variante carpigiana con il Pigugnino ne tratteremo alla fine.
La
simbologia del gioco sta nel riuscire con abilità e fortuna a schivare i colpi
e le responsabilità dell’esistenza umana.
Ma lo scopo sottile e intimo del gioco è il dileggio spietato
dell’avversario, fatto sia dagli altri giocatori, ma anche dagli spigolisti
autorizzati con diritto di parola. Il dileggio scatta in varie occasioni:
quando uno va a venti e paga per tutti, quando uno prende su degli assi, quando
uno paga molte busche in un singolo segno, ecc... La derisione ha un esplicarsi
corale e progressivo che si protrae nel tempo.
**=M=**
Il
noto scrittore carpigiano Carlo Alberto Parmeggiani ritiene invece, con
autorevole parere, che il cotecchio, fra i veri giocatori, debba essere
considerato il "gioco delle carogne, ovvero al ṡóogh dal
tróoi", per cui ci vogliono delle autentiche e ferrate doti in
questo senso. Infatti basta poco per cambiare di nascosto un'alleanza e dare
addosso a chi è messo male in arnese, anche se è l'amico con il quale vai a
donne, oppure in gita. Il cotecchio è sì, il gioco del dileggio, ma soprattutto
è il gioco che genera un diabolico prestigio e stabilisce una gerarchia fra
conoscenti o amici. Infatti il "tradito", il perdente, anche se
bravo, e che magari fino a poco prima aveva goduto di rispetto e di alleanze
sottaciute dai più pavidi e meno capaci, spesso e volentieri si allontana
umiliato, da sconfitto, dai tavoli da gioco per giorni, se non per dei mesi
interi. Il Parmeggiani ama ricordare, con grande soddisfazione, che quando
mandò a venti il più grande giocatore che egli abbia conosciuto (Franco Benzi lo
zio di Tito Ligabue, che in terza mano sapeva già chi aveva certe carte in
mano), per la vergogna, il poveretto si rifugiò a San Remo per tutta l'estate,
tornando poi a coda bassa a settembre inoltrato, deciso a fargliela pagare in
ogni modo.
Il
vero gioco, per i veri giocatori, dunque non consiste nel salvarsi dai
"colpi e dalle responsabilità dell'esistenza umana", bensì
nell'imporre la propria supremazia e il proprio prestigio sugli altri e
soprattutto sul destino. Ciò anche quando questo non metta in mano che delle
brutte carte per la vita. E' filosofia e ferrea matematica applicata, dove una
sola momentanea distrazione è sufficiente per perdere il controllo delle
giocate altrui e scatenare un tracollo emozionale. Tracollo di cui gli altri, i
più avveduti, i più bravi, i più carogna, ne approfittano in meno che non si
dica. Questo avviene anche correndo magari a volte il rischio, come talora è
capitato, di uscir fuori a far cazzotti. Chi gioca invece per solo salvarsi, lo
fa per passatempo ed è spesso definito ironicamente "estroso", poiché
dimostra di non capire il gioco, facendo giocate illogiche, se non addirittura
strampalate. Ma tanto, dopo qualche "raggio", se costui non è cacciato
via in malo modo, lui stesso si alzerà da solo e tornerà a casa, come se fosse
andato al cine.
**=M=**
Ma
ecco alcune delle frasi tipiche carpigiane che caratterizzano il gioco dal cutècc’
(… o anche cutègg’ come ci informa Franco Bizzoccoli, rivelandoci la
pronuncia arcaica in dialetto intra
moenia … nell’antico borgo fra le mura):
Cuacèer = coprire. Bisogna fare almeno una mano (fèer
‘na maan). Se non si copre, si paga una busca, se i giocatori sono due,
i punti sono altrettanti, fino al caso massimo e rarissimo dove un singolo
giocatore fa cappotto.
Forse
al Bar Mercato di Via Alghisi, si urlava .. "Te vèe pò a cuacèer da l'Adéele!"...
“Vai poi a coprire dall’Adele! ” .
Era una frase ricorrente, con un palese significato di pratica sessuale,
essendo questa Adele una nota e frequentata signora mercenaria di Modena,
quando uno, nonostante gli sforzi non riusciva a fare una mano.
Oppure “Te
vèe pò a cuacèer sòtt al pòordegh èd BorgNóov! “ cioè in Corso Fanti dove
c’è il Vescovado.
Andèer
a liss = andare liscio, un termine
derivato e preso a prestito dalla briscola. Qui lo si può usare per il gioco di
una carta bassa; se lo si fa poi in modo reiterato a s fa al ṡóogh
dla lisòuna = si fa il gioco della “lisciona”. Ma espressione più
corretta è tirèer al ṡóogh = tirare il gioco, cioè non si prende per
diverse mani, in modo da far giocare gli avversari, sperando che le carte
girino bene. Si tratta di una tattica furbastra e rischiosa; se le cose
andranno male, si pagheranno parecchi punti. L’espressione pighèeres (piegarsi) ha
lo stesso identico significato.
Fèer
ṡóogh = Fare gioco. Quando un
giocatore ha delle brutte carte alte, tenta da solo o in tacita compagnia di
non far coprire almeno un avversario, che in tal caso pagherà almeno uno.
Quando
hanno già coperto in tre, ed uno di questi cerca di far gioco e di non far
coprire il quarto, gli altri due devono tenere ben presente che: “A gh è
‘na règola: a n s dà mìa ‘na maan a fèer ṡóogh pèr uun!” = C’è un’altra
regola importante ed è quella che quando si fa gioco bisogna sempre tentare di
non far coprire due giocatori, facendo loro pagare ben due busche. Se invece
solo uno non copre, certamente uno degli altri tre si sarà schivato almeno tre
busche di mazzo.
Aas
èd travèers = Asso di traverso.
Sadica pratica di smollare un asso al poveretto che ha giocato per primo una
carta di un seme a cui si è secchi. Di solito la mazzata viene accompagnata da
una falsa e melliflua costernazione: “Oh, a m in despièeṡ!”
Quando
uno cerca di coprire con un asso, lanciandolo in apertura di mano, e semmai un
altro ha il tre o il due secco, e quindi è costretto a prendere e farsi quindi
l'asso (cosa sempre massimamente indigesta) gli dice, a mò di sfida e di
consolazione personale: “Èt cuàac’ pò cun ‘na chèerta più éelta!”
= copri poi con una carta più alta - e
quell'altro gli risponderà: “Mò tèeṡ, te gh l avrèe sècch!” = ma taci
che ce lo avrai secco, il due o il tre (intuendo naturalmente la verità).
ṡughèer
‘na dècima = giocare una carta
decima. Dopo un paio di giri con lo stesso seme restano su almeno un paio di
carte di quel tipo. Chi le gioca tenta di mettere in difficoltà un avversario,
ma se nessuno prende, perché ha sbagliato i calcoli, saranno guai seri per il
provocatore.
La
decima franca è una carta che non
può essere presa dagli avversari, perché è la più alta rimasta in gioco di un
seme e nel caso di brutte carte, la sua presenza rende il possessore molto
inquieto.
Il colpo della cento pistole - giocata suprema in danno altrui. Si tratta di una
ironica citazione dumasiana dal romanzo I tre moschettieri “ Io mi avvicinai a lui, e siccome vidi che
offriva cento pistole per un sauro... ebbi perduto il mio cavallo con nove
punti contro dieci (pensate che colpo!) “. La frase viene pronunciata con
grande e sadico piacere, quando uno sprovveduto giocatore, verso la fine della
partita, cala una “decima franca” e si becca tre assi di traverso, perché tutti
sono secchi a quel seme. Se si verifica questo drammatico episodio, lo
sbeffeggio sarà molto pesante con frasi del tipo: “ Óo, t èe ciapèe trii aas a cavàal
a la schiina o ind al gruggn!” = Hai preso tre assi
sulla schiena o sul grugno.
Alla
fine degli anni ’80, ai tempi d’oro del Caffè Teatro gestito da Vittorio,
Giancarlo Tartari, detto Taras, ma anche Delon o Delone per la sua nota avvenenza,
nel gioco cotecchio era la vittima designata e costante di ogni partita: quasi tutti
gli assi e le decime erano suoi. Da ciò nacque questa frase ironica: “Dio al
s sèelva da la siilta e dal tròun e dal dècimi èd Delòun!” = Dio ci
salvi dalle saette e dal tuono e dalle decime destinate a Delone.
Ciàapa
e pò tóorna = Prendi la mano e
torna a giocare lo stesso seme. Regola aurea del cotecchio. In tal modo
si cerca di rimanere secchi a un gioco o di non farsi trovare in mano con una
decima.
Èsser
sècch a un ṡóogh = essere
secchi a un seme. Situazione molto favorevole che consente di scaricare di
traverso sugli altri, assi o altre carte pericolose.
Andèer
a déeṡ = andare a 10. Quindi
perdere la partita.
Andèer
a vèint = andare a 20. Queste
eventualità è davvero il massimo della ignominia. Significa essere l’unico a perdere
per tutti. Il dramma per lo sventurato è davvero grande. La notizia farà subito
il giro della sala. Chiunque entrerà successivamente nel bar o nel luogo della
partita, verrà immediatamente informato del grave fatto, rigirando il dito
nella piaga: Óo incóo Giig’ l è andèe a vèint ! = Ohh oggi Gigi è andato a
20. E
ṡò èd cal gnòoch a tóor èl pr al cuul = e giù di quel gnocco per
prenderlo in giro. Il fatto, soprattutto se al ṡugadóor l è uun d ghiggna
= cioè reputato un gran giocatore, resterà per giorni nella memoria e non
mancherà chi alla prima occasione gli urlerà: Mò tèeṡ tè che l èeter dè t ii
andèe a vèint! = Ma taci, proprio tu che l’altro giorno sei andato a
20.
Guèerda
che t ii andèe a Nóov =
Guarda che sei andato a nove busche. Al chè lo sfortunato giocatore, con finta
e stizzita sicumera, risponde con prontezza: "A n gh è probléema !!
DALCERO, al gh è stèe taant aan a Nóov!" = Non c'è nessun
problema, tale DalCero (un residente immigrato nel vicino comune dal sud) c'è
rimasto tanti anni a Novi di Modena!". Nel senso che gli altri giocatori
non si illudano, prima di andare a 10 e perdere .. deve ancora passare un bel
po' di tempo.
Dòop
Nóov a gh è la Móoia = dopo Novi c’è Moglia. Una frase a doppio senso
che in partita deve essere interpretata che quando si è arrivati a nove punti,
la successiva e decima busca metterà lo sfortunato o incapace giocatore a mollo
(a
móoi) nella acqua.
La battuta... davvero notevole... di origine ottocentesca era sempre citata dall'indimenticabile Mauro Prandi (elegante giocatore) e voleva tracciare un immaginario itinerario, dai riscontri però ben reali, da Carpi al Po. A piacere … sullo stesso tono ci si può sbizzarrire e aggiungere… T ii a la Zanzara, ristorante prima di Novi, al Puunt dla Préeda, per chi viaggia sulle 7/8 busche; mentre chi arriva a 20 busche, pagando per tutti, si indica, superata la Móoia, il mesto arrivo a S. Benedetto Po, con relativa immersione completa e infamante nell’acqua non certo profumata del Grande Fiume.
“Maagna, bèvv e tèeṡ e va a
ciamèer Malavèeṡ!” Mangia, bevi e taci e va a chiamare Malavasi.
È una frase usata per far tacere qualcuno e indurlo finalmente a
compiere un atto, ad esempio un bambino che continua a parlare anche col piatto
pronto davanti e non si decide a mangiare
Malavèeṡ... s la va bèin l è un chèeṡ! Malavasi... se va bene è un caso.
Il Parmeggiani ci aiuta a risolvere il "mistero" di
questi modi di dire legati al cognome Malavasi; nei suoi ricordi giovanili di
giocatore di cotecchio con persone molto più anziane di lui, Malavèeṡ veniva spesso citato nella
locuzione: "Ormàai t ii andèe da Malavèeṡ!" Questo succedeva durante
una partita durante la quale un giocatore era ormai sul punto di andare fuori a
10 o, peggio, a 20 busche.
Si intendeva significare che per lui la partita era ormai
finita, essendo stato, Malavèeṡ, a loro dire, un antico
personaggio carpigiano (1800 ??) che di mestiere faceva al buṡèer, ossia il
fossaiolo, il becchino al cimitero di Carpi.
Un’altra bella e tagliente frase ad effetto che si indirizza al
disgraziato perdente da parte di uno della combriccola, ma assente al momento
della disfatta e al quale è stata prontamente comunicata la lieta notizia,
anche tramite cellulare, è questa:
“ Óo, a iò sintìi che su a la
Sèera a tiira di bée vèint! A gh è da tgniires estricch!” (Oooh, ho sentito che su a Serramazzoni
tirano dei bei venti - 20- ! C’è da tenersi ben stretti). Pur colto di
sorpresa, prontamente lo sciagurato risponde … minaccioso e assetato di rivalsa:
“ Stà
atèinti … ch a n gh ò mìa la memòoria cuurta!” (Stai attento che non ho
la memoria corta e prima o poi avrò la mia crudele vendetta!).
Nel caso vincano partita dei giocatori non reputati particolarmente
abili, a scapito di personaggio esperti e blasonati, questi ultimi
masticheranno molto amaro (per lesa maestà) e noteranno acidamente: “L’aaqua
la va a la Sèera!”
(l’acqua, contro natura gravitazionale, va dalla pianura a Serra Mazzoni che è
in collina!)
Si può ricordare una scenetta che spesso
si ripeteva nei caffé del centro e della piazzetta, fino agli anni '80, durante
il gioco del cotecchio, allorquando un giocatore, chiamiamolo Mario, faceva una
giocata delle più balzane e chi ci capitava sotto, Carlo, reagiva in questo
modo:
Carlo: Tè te n sèe gniint... T ii ’n ignoràant!
Mario: A nn ofènnder mìa... Ignoràant te
l vèe po' a diir a tò surèela!
Carlo: Óo, mòRRo... Mè a n t ò mìa oféeṡ...
A n t ò mìa ditt t ii un cretèin!... A t ò sóol ditt t ii ’n ignoràant... ch a
vóol diir che "Sei uno che ignora"...
E in quel modo si ristabiliva una pace
armata al tavolo dei giocatori.
Il
noto Mauro Prandi, raffinato giocatore di cotecchio, quando aveva a che fare
con un tavolo di avversari non ritenuti particolarmente valenti, così
sentenziava: "A gh è più pèss che aaqua!" (Ci sono più pesci che acqua,
ne senso che è facilissimo gettare la rete o l'amo e fare una ottima pesca).
Può disgraziatamente capitare a
cotecchio di sbagliare clamorosamente una giocata o di rifiutate, pur avendo il
seme in mano (peccato massimo). Lo sventurato si può giustificare: "A gh iiva
'na chèerta frudèeda!" cioè .. avevo una carta foderata, nascosta
e appiccicaticcia perfettamente sotto un'altra e quindi... invisibile.
**=M=**
Nota storica, testimoniatami da Attilio Sacchetti: negli anni ‘70
nella sede del Club del Corso di Carpi era presente un grosso campanello di
bronzo del diametro di 8
centimetri (scartato in chiesa per l'avvento delle Messe
post conciliari); il barista avvisava con rigorose scampanellate quando uno
sfortunato o incapace ṡugadóor era andato a 20 punti:
provocando uno sbeffeggio generale.
Franco
Bizzoccoli ricorda però che tale usanza fu ereditata dal cafè ustarìa “Garibaldi” in
Piazzetta. Un locale che fu a lungo il più vecchio di Carpi. Nei primi del ‘900
il ritrovo fu dotato, per lo stesso scopo, di un apposito un campanello,
regalato da don Bertani dla céeṡa dal Crisst al gestore Gigìin
Caròobi. In altri locali, in mancanza, si picchiava rumorosamente sui
bicchieri.
**=M=**
In
altre conventicole venivano, ma anche oggi, vengono tenuti specifici diari giornalieri,
redatti con minuziosa cura su appositi registri o quaderni con annotati i
vincitori delle Maglie Nere.
Ecco
le foto eccezionali del “Registro Nero dei 20 punti” usato nella bottega di
Tito Ligabue di Viale Carducci negli anni dal 1996 al 1998 e tenuto con
certosina cura da Carlo Alberto Parmeggiani.
**=M=**
Un
giocatore di grande capacità come Fabiìn Carretti mi racconta, in
confidenza, di avere l’abilità di ricordare e contare a mente le carte giocate e
i punti nei mazzi di ogni giocatore, via via che le mani si dipanano. Ciò
consentente di calcolare e calare con precisione i semi e le decime, cose
fondamentali per non pagare o quanto meno pagare il meno possibile. Con la
situazione sempre sotto controllo e con un appropriato smistamento degli assi e
delle figure, l’astuto personaggio tenta sempre, quando è possibile, di far
raggiungere lo stesso punteggio a due o tre avversari in modo che paghino, come
da regola, doppio o triplo.
**=M=**
Veniamo
al cotecchio con il Pigugnino, che
individua il fante di spade. L’etimo della parola pigugno non è chiara e,
nonostante le ricerche compiute, sono arrivato al massimo all’ipotesi in cui il
Parmeggiani suggerisce l’origine forse da pigòun. Un termine che nel dialetto
della bassa indica il picchio, che fa i buchi negli scuri con grave
disapprovazione e stracancheri al suo indirizzo del padrone che se li è pagati.
E’ gioco di carte diffuso soprattutto in provincia di Modena, in particolare a
Spilamberto e dintorni. Viene anche chiamato pigugno o pico (o, più raramente,
pigo) oppure pigòggn e pigugnìin nei vari dialetti della
zona. Prende il nome dal fante di spade (o di picche), che è appunto "il Pigugno"
e che riveste un ruolo importante nel gioco. Ogni zona ha le sue regole, io narrerò
SOLO del “mio cotecchio” che si giocava a Carpi negli anni ’60 al Parco (delle
Rimembranze) èd fròunt a l uṡdèel =
di fronte all’Ospedale Ramazzini e negli anni ’70, ai tempi delle medie, coi
miei amici Millo, Giorgio, Giuseppe, Giamba, Biccio, ecc … . Se non ricordo
male mi sembra che le uniche differenze fossero che anziché a 10 e 20 busche,
si uscisse a 11 e 21.
A
Carpi oggi tale versione è caduta in disuso, ma non ho mai capito il perché.
Al
Parco due giocatori si mettevano a cavalcioni delle panchine bislunghe di
cemento biancastro coi puntini neri (ancor oggi esistenti) e gli altri due di
fronte ai lati lunghi, appoggiati in bilico sulla canna della bicicletta. Il
gioco era molto duro e nulla veniva perdonato. Un contorno di ragazzi più
giovani seguiva con attenzione e soggezione le partite dei più grandi. Tutti
sempre attenti che non arrivasse il Vigile, cosa che provocava una veloce
sparizione del mazzo (che altrimenti sarebbe stato subito sequestrato) e un
fuggi fuggi generale. Pare fosse proibito giocare a carte, ma sinceramente non
ho mai capito il perché.
A
Carpi le regole, a netta differenza delle altre zone, sono uguali identiche al
normale cotecchio, ma con in più l’incomodo del Pigugnino che deforma e
modifica sostanzialmente il gioco e le sue strategie. Il fantino vale sempre
due busche che sono a carico di chi lo fa malauguratamente proprio, tale
giocatore può quindi essere diverso da chi paga le normali busche del giro; nel
caso un giocatore non copra vale uno.
Gran
parte del tempo delle partite era impegnato nelle operazioni del dare e del
non prendere la famosa carta, in più c’era sempre il pericolo costante d ingugnèeres al Pigugnìin = ovvero … l’ingugno del Pigugno da parte di chi lo aveva in mano: una umiliazione
davvero drammatica, dalla quale era difficile riprendersi psicologicamente con
prontezza.
Ma
in generale anche quando si rifilava il famigerato fantino, con meticolosa e
chirurgica precisione, al giocatore messo peggio, si provocano sentimenti di
odio risentimento e vendetta.
**=M=**
Al
Parco era anche in uso la crudele tradizione dal cutècc’ cun la scaarga
(cotecchio con la scarica). Lo sventurato che andava a 20 doveva pagare pegno.
Veniva fatto sedere a cavallo della panchina, gli si dava in mano il mazzo
mischiato e coperto. Mentre, chino, scopriva una carta alla volta alla ricerca
del Pigugnino, crudelmente gli altri giocatori lo battevano a mani aperte sulla
schiena, finché la carta maledetta non veniva trovata. Mi è capitato solo una
volta di assistere alla sconcertante scena, avevo 13 anni, ma mi è rimasto
impresso in modo indelebile nella mente.
A
m viin i ṡgriṡóor, sóol a pinsèer èggh !.
Fabiìn Carretti mi ha confermato la cosa,
ricordandomi che lui era uno dei protagonisti di questa feroce usanza e che
spesso in tre si mettevano d’accordo per giocare tutti contro tale Billy Dotti
per farlo arrivare a 20 punti e somministrargli, con sadismo giovanile, la pena
corporale prevista.
Sempre
al Parco negli anni ’60, le partite venivano accompagnate da un
sovradimensionato contorno di parolacce e di bestemmie, ciò per dimostrare che
chi giocava era già “grande”; si usavano anche frasi grevi e stupidamente
ridondanti del tipo: “A n t à da gniir domilla caancher, mas-cìin
e femnèini, acsè i faan raasa e a t in viin un milièerd!”
**=M=**
E’
poi da segnalare, non a Carpi, ma in zone limitrofe, l’insana e idiota variante,
nata in tempi più moderni, del così detto "Pigugno Etilico".
Essa prevede l'assunzione di bevande alcoliche, in corrispondenza delle
tradizionali busche; questa variante che in tutto e per tutto resta identica al
gioco originale del luogo, si è diffusa particolarmente negli ambienti
scolastici o generalmente negli ambiti comunitari.
**=M=**
Il
Parmeggiani riguardo al Pigugno modenese, che a Carpi non si gioca quasi più e
comunque con altre regole, se non per le feste di Natale, in cui si ha a che
fare con donne e con bambini, ritiene che ciò sia accaduto perché a Modena e
dintorni sono più "gentili" e meno assatanati (c'è chi dice più
effeminati), dato che il loro modo di contare i punti, ossia le
"busche" da pagare, è molto più attenuato e meno esoso. Infatti, fra
i geminiani, che tu copra o non copra, che tu faccia 15 o 18 oppure 21, o 24, o
35 addirittura è sempre quella sola unica "busca" che tu paghi e che
magari aggiungi al Pigugno, che ti è stato scaricato con lieve cattiveria o
aggiungendoci una scusa. E quindi, a conti fatti, viene meno tutto il macheggio
di alleanze sotterranee e di giocate strepitose da vero stratega, per far pagar
di più chi hai deciso di punire o di mettere alla gogna. Cosa che invece a
Carpi, città di commercianti, gagà, arrabbiati e avventurieri, continua ad
avere un certo suo valore.
**=M=**
Conclusione
I
giochi del cotecchio e in particolare del Pigugno si devono usare se hai una
persona con cui vuoi disgustarti. Un amico mi ha raccontato che un'estate
coinvolse il padre e dei vicini di casa a giocare a pigugno; giocarono
parecchio e sèinsa remisiòun. Un giorno, dopo l'ennesima partita
finita ad aas èd travèers, uno dei vicini sentenziò: "St'èetra
vòolta a ṡugòmm pò cun i curtée piantèe insimma a la tèevla … !”…
“Quest’altra volta giochiamo poi coi coltelli piantati sul tavolo !”
Scherzava o diceva sul serio
???
**=M=**
NOTE:
*
Il vocabolario della Gallia Cisalpina e celtico di Pietro Monti - 1836 -
Cisalpine Republic - 139 pagine dà il seguente significato al nome del gioco:
Cotecchio
= legno tarlato / fradicio.
Forse
per indicare il lento, ma continuo aggravarsi della situazione legata al
punteggio dei giocatori (???)
Si
attendono conferme.
Nessun commento:
Posta un commento
grazie