martedì 27 dicembre 2011

La Pelosa - gioco da sabbia in colonia marittima- di Mauro D'Orazi - dialetto carpigiano - Carpi (Modena)

prima stesura 5-6-2010                             versione v14  30-07-2017

La Pelosa

di Mauro D’Orazi                             email:  dorry@libero.it

Calma! Non si parla di luoghi oscuri intracosce, che tirano più di possenti carri di buoi maremmani, ma di un gioco da ragazzi che si praticava sulla sabbia nelle colonie adriatiche carpigiane.
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Anni ’60 - corriere piene di bambini deportati in una qualche colonia adriatica

La colonia era una sorta di soggiorno coatto, che permetteva ai genitori di tirare un po’ fiato, con la scusa che il sole, lo iodio... i fèeven bèin!! Per i soggiorni al mare, la deportazione iniziava con un viaggio in corriera verso la località balneare adriatica: sacco in spalla, verso l’ignoto. Era quasi sempre il primo spostamento da solo per ogni bambino, con tutti i dubbi e le paure del caso; a cominciare dagli spazi privati che drammaticamente, all’improvviso, non esistevano più.
1960 circa – Colonia adriatica Carpi – Solieria di Monte Marano

Una volta arrivati si procedeva con un severo sistema militare: cancelli chiusi, area recintata tipo Stalag 17 o La grande fuga, suddivisione in squadre comandate spesso da vere proprie kapo, divisa e cappellino da “marinaretto-billy”, traumatico uso comune dei bagni, alza bandiera schierati sull’attenti ogni mattina, mensa collettiva tre volte al giorno, distribuzione delle posta come nel film La grande guerra di Dino Risi, un cinemino su lenzuolo al sabato sera, un dolce marron - budinoso la domenica a pranzo, ecc...
Si stava per ore sotto le tende a righe blu e bianche in spiaggia e la cosa che più era lesinata era proprio quella che ognuno di noi desiderava di più: il bagno in mare. Al via, dato col fischietto, tutti di corsa in acqua, con spruzzi e schiamazzi, un brevissimo quarto d’ora di agognato e atteso divertimento e poi tutti su. Al minimo accenno di nuvole o di mare leggermente mosso, la sergente maggiore, comandante la piazza, sopprimeva sadicamente l’abluzione salmastra.
Di tempo sotto le tende ce n’era tanto e un geniale quanto ignoto sconosciuto inventò, presumo negli anni ’40, un gioco alquanto singolare e di grande presa: la Pelosa.
Chi ha frequentato le colonie elioterapiche e balneari organizzate dal Comune dagli anni ’50 in poi a S Martino Secchia, poi all’Adriatica Carpi - Soliera a Ponte Marano e infine a Miramare di Rimini fino anni ’70, ricorderà questo gioco di abilità alquanto singolare.
La Pelosa era un piccolo “attrezzo” fatto con un robusto filo di ferro, lungo una ventina di centimetri; da una parte la punta era smussata e dall’altra era chiusa a occhiello. Eccone un paio, ottenute con una ricostruzione “di gran lusso” da vecchi raggi da bicicletta; sono opera del mio amico Graziano Forghieri (ch al sa fèer i pèe al mòsschi), famoso meccanico e campione internazione di vari giochi di abilità, tra cui quello di cui stiamo trattando.

Il gioco richiedeva la presenza di un piccolo campo di poche decine di centimetri di sabbia secca per far conficcare il piccolo attrezzo di punta, dopo una lunga serie tra le più varie e strane evoluzioni. I bambini erano seduti gli uni di fronte agli altri a gambe incrociate, sotto i tendoni a righe bianche e blu. Si giocava "alla vecchia”(più facile) e "alla nuova”(più difficile) con tutta una serie di figure che partivano dalla mano, per arrivare alla testa e ritorno. Ecco alcuni esempi: si appoggiava la punta sulla testa, sulla fronte, su una spalla, sull’altra; oppure di piatto sul palmo o il dorso della mano o su due dita aperte a “corna”, ecc...
Si lanciava il ferretto facendo perno e appoggio sulla punta o sull’intero asse: la Pelosa doveva fare alcune evoluzioni... dichiarate e piantarsi dritta o quasi nella sabbia dalla parte della punta. La serie dei tipi di lancio era codificata solennemente all’inizio della gara.

Riporto una classica frequenza di tiri anni ’50 “alla vecchia”.
Fase 1: si partiva con Pelosa puntata sul palmo della mano e col dito indice sull'anello; si imprimeva una rotazione di 360° (al giir dla mòort) e la Pelosa si doveva piantare bella dritta nella sabbia.
Fase 2: al prill l éera da fèer sul mignolo e su tutte le altre dita fino al pollice.
Fase 3: si ripeteva sul dorso della mano, poi si passava al gomito, alla spalla, al mento al naso alla fronte e sulla testa, per finire in posizione in piedi, quando si doveva piantare la Pelosa nella sabbia lanciandola con una rotazione di 180° a guisa di coltello da lanci.
Chi sbagliava al dviiva paghèer penitèinsa... (doveva pagare penitenza).

In colonia il gioco era naturalmente proibitissimo (cosa del resto non lo era in colonia?) per vari motivi: perché si smontavano senza pietà pezzi di recinzione, distruggendo la rete divisoria in fondo al cortile, vicino alla casa del bagnino Serafino, e poi perché c’era pericolo per gli occhi, anche se non ho mai sentito di nessun incidente. C’era poi un terzo motivo che spiegava la determinazione posta dalle occhiute vigilanti che erano incaricate della sorveglianza, del sequestro e della immediata distruzione dei preziosi attrezzi, ottenuti con sprezzo del pericolo, destrezza e duri sforzi. Si trattava della efferatezza della penitenza: un rito giovanile - tribale... spietato, quanto atteso da tutti i presenti al gioco, che si accomodavano compiaciuti per godersi lo spettacolo. Quanto prima il giocatore commetteva un errore nella prevista serie di lanci, tanto più dura era la penitenza che gli altri compagni preparavano e viceversa.

È proprio nella penitenza che risiede forse l’origine del curioso nome “Pelosa”, dovuto al fatto che la baṡlètta (il mento) si sporcava di sabbia e il ragazzino sembrava avesse la barba. E perché il mento si sporcava ? Perché quando uno sbagliava il lancio e la Pelosa non si conficcava dritta secondo i canoni, c’era la penitenza da fare. Non posso tralasciare di annotare che, da più testimonianze, mi è stata suggerita un’altra ipotesi di derivazione ben più maliziosa dell’origine del nome, dovuta anche alla forma dell’anella, tondeggiante e schiacciata: come è facile intuire stiamo parlando di una simbologia legata al sesso femminile. Una tesi suggestiva, ma mio parere molto meno provabile.
Il più volte citato Carlo Alberto Parmeggiani si rivela dubbioso sulle congetture sopra esposte, suggerendo una terza interpretazione, che riporto per solo dovere di informazione, ma che mi pare ancor più inverosimile:Le ipotesi che ti hanno suggerito mi sembrano un po' troppo forzate, visto che il gioco della Pelosa è un gioco di bambini. Io propenderei invece per un'ipotesi del tipo che evoca una coda di animale (cane o gatto o porcello addomesticato) con tanto di ricciolo alla fine, che si "impelucca”o si "imPelosa", allorché, umidiccia di saliva, viene estratta dalla sabbia come penitenza imposta al maldestro giocatore.

In ogni caso gli avversari dello sventurato perdente nascondevano la Pelosa sotto un mucchietto di sabbia, sprofondandola con un pugno. A questo punto lo sventurato doveva ritrovare e scoprire il ferretto: in ginocchio e con le mani dietro alla schiena. Si usava, prima il mento, poi prenderla con la bocca o con gli incisivi, lavorando, se possibile, anche col soffio. Una volta spianata la montagnola di sabbia, ci si alzava in piedi con l’anello del ferretto in bocca e infine bisognava mollare la Pelosa; questa si doveva piantare dritta, altrimenti era tutto da rifare. Nelle versioni più sofisticate si poteva stabilire anche un tetto per i colpi di mento e i soffi concessi.
Da altre testimonianze risulta anche questa variante: in alcune compagnie di ragazzi già all’inizio del gioco si nascondeva la Pelosa sotto una montagnola di sabbia; ogni giocatore per partire doveva estrarre coi denti il ferretto, mordendolo per l’anella.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a un gioco del nostro passato semplice, di grande divertimento, a costo nullo e dove era ben presente un certo tasso di crudeltà... tutte cose oggi quasi impensabili.
Tornati a casa, qualcuno tentò di portare il gioco al Parco, ma con effimero successo. Certo! il filo di ferro finalmente abbondava, ma mancavano l’ambiente, l’atmosfera e soprattutto... la sabbia adatta. Meglio dunque le tradizionali palline.
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Altri giochi da spiaggia.
La pulèinta (La polenta)

Un gioco sempre con la sabbia, ma non certo cruento come la pelosa, era la pulèinta. Due o più giocatori, maschi e femmine, formavano una piccola montagna di sabbia, mettendo sulla sommità una bandierina o uno stecchetto. Uno dopo l'altro con la mano si prendeva via delicatamente un po' di sabbia. Subito a mano piena, poi via via pochi granelli col dito. Perdeva chi faceva cadere la bandierina o lo stecchetto. Questo gioco deve proprio il suo nome alla polenta, perché tutti, mentre si era a pranzo o a cena, ne prendevano a turno una fetta fumante, ma all'ultimo resta solo il tagliere vuoto.
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Al furtèin (il fortino)

In colonia al mare si praticava anche un bel gioco balistico con la sabbia e l éera ciamèe... al furtèin (il fortino).
C'erano due squadre e ognuna costruiva, con un intenso lavoro ingegneristico, un fortino, a 2-3 metri di distanza, l'uno di fronte all'altro. Il fortino era in pratica un piccolo argine alto circa 30 cm e lungo 150 cm. Ogni squadra perforava la sabbia umida con il dito, creando 10 buchini, ovvero 10 soldati, sul lato più nascosto all'avversario. Un arbitro controllava che i fori fossero davvero 10 e non qualcuno di più. A turno si colpiva la muraglia avversaria con un sasso o un pugno di sabbia bagnata; i soldati corrispondenti ai fori che venivano coperti dallo scivolamento della sabbia erano eliminati. L'arbitro sanciva la qualità di vittima. Perdeva chi rimaneva senza soldati. Alcune varianti permettevano al comandante, battezzato prima, di avere due vite e una volta coperto lo si poteva miracolosamente rigenerare.

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Grazie a Marco Giovanardi, Graziano Forghieri e  Carlo Alberto Parmeggiani.

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Pubblicata parzialmente su La Voce di Carpi – il 10 giugno 2010

9 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Mi ha aiutato a ricordare un gioco della mia infanzia grazie mille

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  3. Proprio stanotte mi è venuto in mente questo gioco, son passati di anni, io ne ho 52 . Ero in colonia a Pesaro erano i primi anni '70.
    Grazie!

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  4. Grazie a te . Anche io lo giocavo in colonia

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  5. Io giocavo a questo gioco negli anni 70 nelle colonie romagnole ma mi sembra che noi lo chiamassimo "" pipis""

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  6. Io sono di Roma, e ho cocciuto questo gioco nella seconda metà degli anni 50, quando sono andato in colonia a Cattolica; ma non ne ricordo il nome , forse soltanto ferretto.

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  7. Grazie, ho un bellissimo ricordo di quel gioco.
    1952 da Modena andai in colonia a Riccione, avevo 7 anni e trascorsi un
    mese al mare, ricordo pochissime cose di quel periodo ma il gioco della plosa é
    ancora vivo nella mia mente.
    Un cordiale saluto
    Salvatore

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grazie